Regia: Nanni Loy. Soggetto: Piero De Bernardi, Leo
Benvenuti. Sceneggiatura: Piero De Bernardi, Leo Benvenuti, Nanni Loy.
Fotografia: Sergio D’Offizi. Montaggio: Franco Fraticelli. Musiche: Luis
Enríquez Bacalov. Scenografia. Aurelio Crugnola. Distribuzione: Titanus.
Durata: 106’. Genere. Commedia - Drammatico. Interpreti: Paolo Villaggio,
Sterling Saint-Jacques, Armando Brancia, Alfredo Rizzo, Rita Savagnone, Christa
Linder, Carla Mancini, Fernando Cerulli, Nello Pazzafini, Jeff Brown.
Sistemo
l’America e torno (1974) è una
spietata analisi del razzismo negli Stati Uniti, sceneggiata da regista con la
collaborazione di Piero De Bernardi e Leo Benvenuti. Un impiegato di Busto
Arsizio (Villaggio) si reca negli Stati Uniti per scritturare Ben Ferguson, un
giocatore di colore di basket (Saint-Jacques) per la squadra aziendale, guidata
da un ricco e arrogante imprenditore (Rizzo). Il cestista milita nel movimento antirazzista
delle Black Power, si fa notare per dimostrazioni e proteste anche durante le
gare. Inoltre pare non avere nessuna voglia di venire in Italia, porta il
povero Villaggio a vagare per gli Stati Uniti mentre ritarda con diverse scuse la
partenza. Commedia all’italiana insolita per lo sguardo impietoso sugli Stati Uniti,
che vede un Paolo Villaggio in gran forma interpretare un ruolo diverso, prima
da provinciale alla scoperta di un nuovo mondo, infine protagonista di
un’impensabile tragedia.
Impegno politico notevole, a tratti persino eccessivo, sia
per lo sviluppo che per il finale imprevedibile e cruento, ma un certo modo di
affrontare i problemi da parte degli intellettuali era figlio dei tempi. Amiamo
di più il Nanni Loy di Detenuto in
attesa di giudizio e Caffè Express,
ma Sistemo l’America e torno resta un’interessante
pellicola on the road, girata in
presa diretta, con stile documentaristico e da reportage, che porta alla
scoperta di New York, Detroit, Reno, New Orleans, Miami e Atlanta. Proprio in
quest’ultima città il giocatore disputerà l’ultima partita con la sua squadra,
ma non partirà per l’Italia perché la protesta inscenata insieme ai compagni di
colore gli costerà la vita. Finale tragico con Villaggio che torna in Italia e
a bordo dell’aereo piange per la morte del giocatore, ormai diventato suo
amico.
Un film non molto uniforme, a volte ripetitivo, ma
interessante per il tentativo di capire la società nordamericana e il razzismo,
superando facili stereotipi. Il viaggio che il giocatore fa compiere a
Villaggio diventa una sorta di itinerario spirituale alla scoperta di una
cultura ignota, tra mostre d’arte afroamericana, movimenti politici di
protesta, aggressioni a ricchi imprenditori e partite di basket ben
ricostruite. La scoperta straordinaria e sconvolgente sarà quella di trovarsi
di fronte a una società razzista con una polizia ostile alla parte nera della
popolazione e un’evidente segregazione razziale, persino in ambiente scolastico
e ospedaliero. Nanni Loy affronta il problema della marginalità dei neri, il
degrado degli ambienti in cui vivono, la diffidenza dei bianchi, la
disoccupazione e i quartieri fatiscenti dove vengono confinati. Altra accusa
importante: i neri vengono considerati solo nel mondo dello sport dove sono
utili per vincere competizioni e aggiudicarsi medaglie.
Se le cose sono
cambiate - anche se momenti di razzismo di tanto in tanto affiorano - il merito
è stato anche di simili operazioni intellettuali. Niente da dire sulla tecnica.
Fotografia sporca, macchina a mano, zoom usato con proprietà, piani sequenza
poetici, stile da film inchiesta. Villaggio è bravissimo, un anno primo del
successo fantozziano e ancora attore poco noto al grande pubblico. Meno bravo
Sterling Saint-Jacques, attore di modeste qualità, mentre il resto del cast è
pura coreografia. Il finale è un trionfo della commedia all’italiana, che
racconta la vita e non è soltanto farsa, ma vive di momenti drammatici intensi.
La denuncia non è mai di maniera e non scade nella macchietta pietosa e
compassionevole.
La critica. Morando Morandini (due stelle e mezzo - tre
per il pubblico): “Commedia all’italiana in trasferta USA con esplicito impegno
politico, guidato da un Loy scombinato ma efficace. Paolo Villaggio è in gran
forma. Insolito sguardo sull’America”. Pino Farinotti concede tre stelle limitandosi
a sintetizzare la trama. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Il vecchio
motivo del provinciale nel nuovo mondo è alla base di un ibrido che indugia nel
reportage sensazionalistico e poi scivola nella tragedia. Messaggio politico
progressista molto forzato, ma che allora andava di moda”.
Approfittiamo per ricordare in sintesi la carriera di
un nostro importante regista abbastanza dimenticato. Nanni Loy (Cagliari, 1925 -
Fregene, 1995) si laurea in giurisprudenza, frequenta il Centro Sperimentale
Cinematografico e si diploma in regia. I suoi primi lavori sono cortometraggi (Pittori davanti allo specchio, Dipinti biografici), apprendista a
bottega di buoni registi (soprattutto Luigi Zampa) e dal 1949 al 1953 aiuto sul
set di alcune pellicole: La figlia del
mendicante, Africa sotto i mari,
Il capitano di Venezia, Amo un assassino, Camicie rosse, Processo alla
città, Anni facili, Canzoni di mezzo secolo, Canzoni canzoni
canzoni, Casa Ricordi, Maddalena e Ragazza d’oggi.
Il primo lavoro che lo vede regista come responsabile
della seconda unità è Tam Tam Mayumbe
(1955). Collabora con Gianni Puccini per Parola
di ladro (1957) e i due registi sono entrambi all’esordio dietro la
macchina da presa. La coppia di registi ottiene ancora un buon successo di
pubblico con Il marito (1958),
interpretato da Alberto Sordi. Primo film
da solista. Audace colpo dei soliti
ignoti (1959), intelligente sequel
de I soliti ignoti (1958) di Mario
Monicelli. Un giorno da leoni (1961)
e Le quattro giornate di Napoli
(1962) sono le prime opere che secondo la critica rivelano la spiccata personalità
di Nanni Loy (si veda Roberto Poppi e Gianni Canova). Nel 1964 Nanni Loy
approda in televisione per dirigere Specchio
segreto, un programma che ha
modificato il modo di fare intrattenimento televisivo. Gag create a tavolino mentre
una telecamera nascosta dietro uno specchio segreto filma le reazioni delle
persone alle provocazioni.
Alcune gag da ricordare: il marito tradito, il
fidanzato scemo, la zuppetta nel bar,
il disoccupato che reclama diecimila lire davanti alla fabbrica e il
balbuziente. Un successo enorme di pubblico, anche se la critica non è
d’accordo perché rimprovera al regista di lavorare secondo sceneggiature
studiate in precedenza. Il programma è un’idea originale di Nanni Loy che
riveste un ruolo importante da attore - guastatore, una sorta di Candid Camera artigianale ispirato al
programma statunitense. Tutti lo ricordiamo inzuppare il cornetto nel
cappuccino dello sconvolto avventore di un bar per studiare le reazioni
dell’italiano medio. Molti i lavori interessanti: Made in Italy (1965), Il
padre di famiglia (1967), Rosolino
Paternò soldato (1969), Detenuto in
attesa di giudizio (1971), Sistemo l’America e torno (1974), Signore e signori buonanotte (1976), Basta che non si sappia in giro (1976),
Quelle strane occasioni (1976), Café Express (1979), Testa o croce (1982), Amici miei - Atto III (1982), Mi manda Picone (1983).
Nanni Loy torna
in televisione con la fiction Gioco di società (1989) e i suoi ultimi lavori per il cinema sono ancora
due opere su Napoli come il musical
teatrale Scugnizzi (1989) e la
commedia ironica Pacco, doppio pacco e
contropaccotto (1993). Gli ultimi lavori di Nanni Loy sono il film
televisivo A che punto è la notte (1994) e la regia teatrale di Scacco pazzo (1994). In televisione
ricordiamo il regista alle prese con buoni programmi di varietà come Il tappabuchi
e il rievocativo Ieri e oggi. Nel
1970 interpreta Marcovaldo, dai
racconti di Italo Calvino, per la regia di Giuseppe Bennati. Nanni Loy ha una
buona attività come attore: Le belle
famiglie, I complessi, Lettera aperta a un giornale della sera, Incensurato provata disonestà
carriera assicurata cercasi, Tre
canaglie e un piedipiatti e Tre tigri contro tre tigri. Il regista -
per tutta la vita grande tifoso della Lazio - muore a 69 anni a Fregene, il 21
agosto del 1995 e viene sepolto al cimitero del Verano, a Roma. Le pellicole di Nani Loy si segnalano per
un’intelligente critica di costume, mai qualunquista, che ci permettono di
inserirlo nel ristretto gruppo di registi che meglio hanno saputo narrare i
mutamenti avvenuti nell’Italia del dopo boom,
fino ai primi anni Novanta.
Gian Piero Brunetta scrive: “Loy è soprattutto un
regista che ama osservare gli altri, che descrive il dibattersi di personaggi
comuni nelle ragnatele burocratiche, giudiziarie, esistenziali, come nella
normale routine quotidiana, tentando di far sentire il senso della propria
protesta civile con un tono di voce moderato, ma con pugno fermo. Mantiene
nelle sue storie il gusto per l’accadimento imprevisto, lo stupore e l’ammirazione
sia per la creatività italiana del vivere giorno per giorno che per la
stupidità burocratico - istituzionale che assume proporzioni iperboliche. I
suoi film mantengono l’imprinting stilistico - morale del cinema di Luigi
Zampa, con cui Loy ha fatto l’apprendistato e come insieme aiutano a
ricostruire il ritratto antieroico del viaggio dell’italiano medio lungo la
storia di quest’ultimo cinquantennio.
Il tempo lavora a favore dei film di
questo regista, accentua il retrogusto amaro delle sue commedie, ma anche il
tipo di coinvolgimento e di partecipazione affettiva alle avventure picaresche
dei suoi protagonisti. Se da Zampa ha ereditato la vena di scetticismo, da
Eduardo De Filippo il senso di una tradizione profonda, il desiderio di
cogliere al di là del gioco delle maschere e degli stereotipi, dei meccanismi
della commedia, il senso della perdita dello spirito della napoletanità, del
degrado inesorabile dell’anima napoletana” (Storia
del cinema italiano - vol.4 - dal miracolo economico agli anni novanta, pp.
309-310).
Gordiano Lupi scrive di cinema su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/
Gordiano Lupi scrive di cinema su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/
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