domenica 27 maggio 2012

La saga di Pierino e il barzelletta movie


Pierino contro tutti (1981) è uno dei film per cui sarà ricordato Marino Girolami, che con questa pellicola rivitalizza il barzelletta movie e apre la strada a una serie infinita di sequel apocrifi. I veri film di Pierino vedono Alvaro Vitali dare corpo a una serie di barzellette scurrili e risapute, inaugurando un filone che fa furore per un paio d’anni nel cinema italiano. Michela Miti impersona la supplente sexy che fa andare Pierino (e il pubblico) in visibilio quando mostra le gambe dietro la cattedra e si abbandona a brevi scene di nudo. La serie ufficiale prosegue con Pierino medico della S.A.U.B. di Giuliano Carnimeo (1981), in realtà una sorta di parodia de Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa poco collegata a Pierino. Pierino colpisce ancora di Marino Girolami (1982) è il vero sequel, l’ultimo Pierino realizzato da Girolami che girerà anche una miniserie televisiva diffusa soltanto da alcune reti private del Lazio. Pierino torna a scuola di Mariano Laurenti (1990) è il canto del cigno del sottogenere, un remake tardivo che vede l’ex miss Italia Nadia Bengala al posto di Michela Miti, la sora Lella invece del nonno Riccardo Billi e Giulio Massimini per Enzo Liberti. Citiamo anche un orribile Pierino Stecchino, girato nel 1992 da Claudio Fragasso, che riscuote una fredda accoglienza da parte del pubblico. Alvaro Vitali prende in giro Roberto Benigni e ironizza sul suo Johnny Stecchino, ma non è Totò e neppure Franco e Ciccio. Il successo della serie ufficiale produce un proliferarsi di falsi pierini come il terribile Pierino il fichissimo di Alessandro Metz (1981), sceneggiato da Sacchetti e interpretato da Maurizio Esposito. Pierino aiutante messo comunale… praticamente spione di Mario Bianchi (1981) è un altro imbarazzante prodotto che si salva per la conturbante presenza di Laura Gemser. Il tremendo (in tutti i sensi) Pierino di turno si chiama Tony Raggetti e i suoi siparietti comici sono irritanti. Il film è composto da una serie di avventure scollegate tra loro e il solo interesse per lo spettatore resta la dottoressa Gemser, medico condotto a Bolsena. Forse ce ne saranno anche altri, non è facile tenere il conto di una serie di prodotti di serie C che fanno il verso al modello originale. Tra tutti i Pierini apocrifi non c’è dubbio che Pierino la peste alla riscossa (1982) di Umberto Lenzi è quello girato con maggiore professionalità e con attori degni di questo nome. Il Pierino di Lenzi è il toscanissimo Giorgio Ariani.


Pierino contro tutti (1981) è scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Vincenzo Mannino e Gianfranco Clerici, pure se per raccogliere un po’ di vecchie barzellette non servivano grandi soggettisti. La fotografia (pessima) è di Federico Zanni e il montaggio (serrato) di Alberto Moriani. Le scenografie sono di Vincenzo Morozzi e le musiche (divertenti) di Berto Pisano. Gli interpreti principali sono Alvaro Vitali (Pierino), Riccardo Billi (il nonno sporcaccione), Enzo Liberti (il padre di Pierino) e Michela Miti (la supplente bona). Da non sottovalutare le presenze comiche di Toni Ucci, Sophia Lombardo, Michele Gammino, Enzo Robutti, Deddi Savagnone, Cristina Moffa, Francesca Romana Coluzzi, Enzo Garinei e Salvatore Baccaro. La genesi del primo Pierino la racconta Alvaro Vitali alla rivista Dynamo: “Marino viene da me e mi dice: perché non diamo un volto al mitico Pierino e non mettiamo in scena le sue barzellette? Comprammo un’intera collana di libri di barzellette, con i quali andavamo sul set e decidevamo, giorno per giorno, quelle da girare. Avemmo un successo inaspettato. Mi ricordo che Sergio Leone andò a vedere il film al cinema e non credette ai suoi occhi, quando gli spettatori si alzarono in piedi per applaudire una battuta particolarmente divertente”. Pierino è uno scolaro terribile che combina scherzi atroci a compagni di scuola, insegnanti e genitori, ma raccontare la trama è quasi impossibile. Girolami salva quel poco che resta della commedia sexy inserendo nel cast una sensuale Michela Miti che vediamo completamente nuda durante un sogno di Pierino. Non solo. Ci sono anche diverse sequenze spiate dal buco della serratura e alcune visioni maliziose sotto la cattedra con la supplente che manda in visibilio il ragazzino terribile. La pellicola è costruita su una serie di gag e battute così volgari da far dire a Mereghetti che l’ultimo gradino della commediaccia all’italiana è una regressione all’infanzia e alle barzellette sulla cacca. Il critico milanese rimpiange il vecchio Vitali, comparsa felliniana e splendida spalla di Montagnani e Banfi che non meritava di essere bruciato così in fretta. Non lo ha visto come spalla di Dario Ballantini nel televisivo Striscia la notizia (2007 - 2008) altrimenti rivaluterebbe le interpretazioni della serie Pierino. Marco Giusti sostiene che la maggior parte delle barzellette sono risapute (è vero), ma nonostante le banalità il film è divertente. 


Pierino colpisce ancora (1982) viene realizzato da Girolami sulla scia del successo del film originale e la squadra dei collaboratori tecnici non cambia. Produce e distribuisce sempre Medusa. Il cast degli attori è quasi identico, soprattutto per le parti principali, ma non è la stessa cosa del primo Pierino, anche perché il mercato è saturo e le barzellette sono state riciclate in tutte le salse. Il sequel originale non riesce ad arrivare nelle sale prima dei sequel apocrifi, anche se Alvaro Vitali si ostina a dire negli spot pubblicitari che lui è l’unico vero  inimitabile Pierino. Aggiunge che gli altri fratelli sono tutti figli de… e accompagna l’affermazione con la caratteristica risata come quando domanda se ci deve andare col fischio o senza…La trama è soltanto una scusa per dare il via a una serie di barzellette. Pierino è sempre più pestifero, il padre lo mette prima in collegio e poi gli trova qualche lavoro. Niente da fare. La sola vocazione di Pierino è quella di combinare guai. Marino Girolami difende un genere che ha inventato e afferma: “Girerò altri Pierini, se me lo chiederanno, lo farò fino all’esaurimento…”. Il genere inflaziona il mercato e si esaurisce nel giro di pochi mesi, al punto che Girolami abbandona il progetto cinematografico per riversarlo su una sit - com televisiva di poco successo.
Giggi il bullo (1982) è il canto del cigno di un grande artigiano come Girolami che cerca di lanciare Alvaro Vitali in un ruolo da protagonista con una certa complessità di trama. La pellicola, scritta e sceneggiata dal regista insieme a Carlo Veo, non va oltre il tentativo di raccontare le avventure di un buffo teppista di periferia. Battute risapute, dialetto trucido alla Tomas Milian, cazzotti e furberie, rappresentano il sale di una farsa sguaiata e poco comica che delude tutti. Fotografia di Federico Zanni, montaggio di Alberto Moriani, musiche di Paolo Rustichelli, aiuto regista Romano Scandariato. Producono Dania e Medusa (che distribuisce). Interpreti: Alvaro Vitali, Adriana Russo, Cinzia De Carolis, Marcello Furgiuele e Susanna Fassetta. Un film che non riscuote nessun successo e che conclude male l’onesta carriera da artigiano di Marino Girolami.


Giuliano Carnimeo gira il miglior Pierino della serie apocrifa con Pierino medico della Saub (1981), in pratica Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa con Alberto Sordi, rivisto e corretto in versione Alvaro Vitali. La pellicola è solo un falso Pierino, perché dice le cose migliori come parodia del famoso film e presenta un secondo ruolo per Vitali da nipotino terribile, dove interpreta il ruolo di Pierino. Si racconta che uno spettatore di Taranto denunciò la produzione per truffa, visto che aveva pagato per assistere a un film della serie Pierino  invece non c’erano molte barzellette. Nella pellicola troviamo Alvaro Vitali, Mario Carotenuto, Mario Feliciani, Serena Bennato, Pino Ferrara, Anna Campori, Angelo Pellegrino, Enzo Garinei, Mario De Vico, Ester Carloni, Sabrina Siani, Gianni Ciardo, Salvatore Baccaro, Jimmy il Fenomeno e Franca Scagnetti. Vitali è il dottor Gasperoni, medico laureato ad Addis Abeba grazie alle raccomandazioni del padre (Carotenuto). Il film entra nel vivo quando Vitali conquista un posto da assistente nel reparto del professor Tambroni, svolge maldestre funzioni da primario e fa ricoverare parenti e amici. Un’ispezione del ministero procura non pochi problemi. Sabrina Siani rappresenta la sola variabile sexy di un film soprattutto comico, ma si limita a una rapida esposizione di seni. Vitali non può esimersi dalle battute di grana grossa che caratterizzano il suo personaggio, ma lo ritiene il suo film più vero.


Pierino aiutante messo comunale… praticamente spione (1981) si ricorda solo per la presenza di un’affascinante Laura Gemser. Mario Bianchi firma come Alan W. Cools uno dei tanti Pierini apocrifi che imperversavano sul grande schermo dopo il successo di Alvaro Vitali. Laura è la dottoressa Barbara, medico condotto di Bolsena, e il terribile (in tutti i sensi) Pierino di turno si chiama Tony Raggetti. Il film è composto da una serie di avventure scollegate tra loro e tenute insieme dall’esile collante della bellezza di Laura Gemser e delle insulse battute di Raggetti. Nel cast c’è anche Gabriele Tinti, amante della dottoressa, che ci regala le scene più sexy della pellicola e diversi amplessi ai limiti del porno. La storia ruota attorno all’amore tra la figlia del sindaco democristiano e il rampollo dell’ex sindaco comunista di Bolsena.

L'edizione spagnola del pessimo film apocrifo

Laura Gemser riesce a compiere una sorta di “compromesso storico erotico” e con un pizzico di furbizia fa sposare i due ragazzi contro il volere dei genitori. Come premio si porta a letto anche il giovane figlio dell’ex sindaco comunista, ma solo per una volta, da brava Emanuelle fedele al ruolo cinematografico di donna amante del sesso che non si innamora mai. Citiamo anche un divertente Nino Terzo, che impersona l’assessore Cipolla, pure se il sindaco lo chiama con tutti i nomi di ortaggi possibili meno che Cipolla. La gag ricorda Totò però funziona. Tony Raggetti è il solo a non funzionare. Le sue battutacce da Pierino dei poveri sono patetiche e si rimpiange Alvaro Vitali. A parte questo, la presenza di un Pierino in una trama come questa si giustifica solo con esigenze di botteghino. In quel periodo bastava inserire nel titolo la parola Pierino per far accorrere in sala centinaia di ragazzini. Laura Gemser è bellissima e fin dal suo arrivo a Bolsena come medico condotto sconvolge il tranquillo tran tran del paese, fa squagliare i gelati in mano agli uomini seduti al bar e provoca incidenti perché gli autisti guardano lei invece che la strada. Il sindaco chiede un colloquio con la dottoressa e mentre parla ammira le sue gambe nude che fuoriescono da uno spacco vertiginoso. Arriva la moglie e pone fine all’idillio a suon di botte, pure se il povero sindaco non aveva fatto niente di male. Laura Gemser si mostra nuda in un paio di classiche docce e diventa l’attrazione del paese, per via di un vicino di casa che affitta un cannocchiale per osservarla nuda quando si lava o mentre fa l’amore. Ricordiamo alcuni ottimi numeri di strip e di vestizioni sensuali che permettono al regista di fotografare Laura Gemser in pose da film hard. Mario Bianchi è uno specialista in tal senso e lo vediamo pure con Femi Benussi (non accreditata nei titoli) che riveste un ruolo secondario come serva dell’ex sindaco. Femi Benussi viene inquadrata dal basso verso l’alto mentre sale una scala, mostra le lunghe gambe e un bel posteriore, che il padrone di casa accarezza con piacere. Il film è girato male, in video, stile pellicola porno, con poche lire e con poca passione, le idee mancano e spesso si sfiora il ridicolo per la pochezza delle situazioni comiche. Gli amanti del trash non lo devono perdere perché ci sono sequenze davvero epocali. Laura Gemser e Femi Benussi rivalutano la pellicola con qualche scena di nudo.


Pierino la peste alla riscossa (1982) è un lavoro atipico per Umberto Lenzi come lo è per Dardano Sacchetti, autore di un soggetto comico realizzato raschiando il barile delle barzellette più triviali. Sacchetti è autore conosciuto soprattutto per poliziottesco, horror, thriller e cinema d’azione di vario tipo. Pure per lui questa incursione nel sottogenere pierinesco è dovuta a motivi squisitamente alimentari. La sceneggiatura è sempre di Sacchetti che viene coadiuvato dal diligente Giorgio Mariuzzo, mentre le scenografie sono di Massimo Lentini. Questo collage di barzellette è montato in maniera rapida e decorosa da Gianfranco Amicucci e la fotografia porta la firma di Guglielmo Mancori. La musica divertente e ai limiti del trash è di Walter Rizzati che s’inventa una mitica sigla di testa cantata da Giorgio Ariani e da Lella Fabrizi. La pellicola è prodotta da Fabrizio De Angelis per la Fulvia Film e la Flora Film e vede Lillo Vannini come direttore di produzione. Interpreti: Giorgio Ariani, Jenny Tamburi, Didi Perego, Lucia Cassini, Lella Fabrizi, Ugo Fangareggi, Giacomo Rizzo, Enzo Robutti, Renzo Montagnani, Mario Brega, Adriana Facchetti, Tiberio Murgia, Luigi Leoni, Enzo Andronio e Serena Grandi. La pellicola è inquadrabile come un Pierino apocrifo per la mancanza di Alvaro Vitali, attore simbolo della serie ufficiale.


Pierino la peste alla riscossa è il miglior prodotto di questo sottogenere cinematografico, quello girato con maggiore professionalità e con attori degni di questo nome. La trovata più esilarante del film è la canzone che accompagna la sigla di testa che vede una sorta di fumetto con protagonista Ariani - Pierino. Walter Rizzati è davvero bravo a comporre una marcetta trash con Giorgio Ariani che canta: “Pierino la peste che genio che testa/ le studio le invento le fo/ se vedo un reattore che va fuori di pista/ Pierino, io forse lo so./ Son proprio un tesoro/ è pieno di pepe quel vino che beve papà/ ho messo il carburo nell’acqua del water/ la nonna così scoppierà…” E la nonna (la sora Lella) risponde: “Ahi, ahi, ahi!/ Pierino tutto questo non si fa/ prendi pe’ fondelli questa nostra società/ Ahi, ahi, ahi!/ Pierino non lo devi dire più/ che chi fa casino al mondo non sei solo tu…”. Il motivetto di Pierino la peste ci accompagna per tutto il film e fa da colonna sonora nei momenti di maggiore comicità. La pellicola si sviluppa con una serie di barzellette collegate tra loro dal filo conduttore delle avventure scolastiche di Pierino. Ci sono alcuni momenti comici di buon livello, come i siparietti nella farmacia gestita dal babbo di Pierino e le divertenti incursioni di Renzo Montagnani nei panni di un pazzo scatenato. La cosa incomprensibile è la toscanità di un Pierino come Giorgio Ariani, che vive a Roma, ha due genitori romani (Mario Brega e Didi Perego) e una nonna romanissima come l’ottima Lella Fabrizi. Il film è così assurdo e ai limiti del trash che certe cose non sono importanti, anche perché lo spettatore attende solo il momento comico e la battutaccia per ridere a quattro ganasce. Cito qualche perla raccolta nel florilegio di barzellette saccheggiate da Dardano Sacchetti. Il babbo di Pierino scorreggia e il figlio propone un silenziatore per il culo. Pierino alla nonna: “Ma se non scopi, non fumi, non bevi, che festeggi a fa’?”. Pierino con una candela da chiesa in mano che consegna a un ragazzo in moto: “Accenditelo al culo così diventi super jet”. Pierino: “Io vo’ a gas” (e scorreggia). Un vigile lo ferma e dice: “Bollo!”. Pierino: “Beato lei. Io sto’ a  morì dal freddo”. Barista (la spalla per antonomasia Enzo Andronico): “Voglio vedere lo scontrino!”. Pierino prende due modellini di auto e li picchia insieme. Pierino sugli omosessuali: “Un ricchione è un dirottatore di uccelli” e poi rivolto al bidello che si chiama Orazio: “I Curiazi sono quelli che cacano e non sono mai sazi”. E ancora: “Ti ho fatto venire un cappuccino”. Alle sue parole segue l’ingresso a scuola di un frate. A parte le barzellette, sono divertenti i momenti scolastici dove Giacomo Rizzo è il professore soprannominato cammello che i ragazzi prendono di mira con scherzi atroci. Pierino recita “San Martino” del Carducci grazie a un registratore, incolla la sedia del professore, cambia la cassetta per far recitare a un amico una serie di offese e via di questo passo. La bruttissima direttrice è interpretata dalla spiritosa Adriana Facchetti che ogni tanto irrompe nell’aula dove Pierino imperversa. Pierino: “Professore, secondo me lei ha 36 anni”. Rizzo: “Bravo Pierino. Come fai a saperlo?”. Pierino: “Ho un cugino che ha 18 anni ed è mezzo stronzo”.

Jenny Tamburi

Un’affascinante Pierino la peste alla riscossa è la professoressa Bonazzi che i ragazzini spiano al bagno grazie a un periscopio artigianale. Lenzi inserisce una breve parentesi di commedia sexy con la Tamburi che si fa ammirare seminuda con mutande di pizzo e giarrettiere. Jenny Tamburi (alias Luciana Tamburini) non sfigura per niente nel confronto con la Michela Miti della serie originale, anche perché lei era un’attrice vera che sapeva rivestire tutti i ruoli. Jenny Tamburi è morta nel 2006, a soli 53 anni, dopo una lunga malattia e va ricordata per interpretazioni come Liquirizia di Samperi,  Peccati di famiglia, La seduzione e molti altri film dell’erotico - soft. Jenny Tamburi non ha mai rinnegato il suo passato di attrice sexy, anzi ne andava (giustamente) orgogliosa. Negli ultimi anni della sua vita aveva aperto una scuola di recitazione e lavorava come direttrice di casting per Rai e Mediaset. Il film prosegue tra battute e battutacce spesso inserite nella trama per allungare il brodo, come quando Pierino incontra tre cinesi e assistiamo a una serie di dialoghi idioti a base di Cionfurgoncin, Urinasumuri e Cacapocochifapocomoto. In farmacia ricordiamo i numeri di Enzo Robutti, un cliente cavallo che nitrisce e ha le scarpe ferrate, al punto che Mario Brega lo autorizza a cacare per strada. Pierino filosofeggia sui rutti come “scorregge che prendono l’ascensore” e cura una signora malata di aerofagia mettendo ogni cosa al suo posto. Lucia Cassini è la cameriera di casa fidanzata con un carabiniere stupido che dà il via a una serie di barzellette sull’Arma. Serena Grandi riveste un ruolo modesto come cameriera nel bar di Enzo Andronico, ma non fa vedere niente. Giorgio Ariani è abbastanza divertente come tipo di comicità gretta e genuina, pure se rende di più nel cabaret che in una pellicola dove soffre la lunga distanza. Le trovate comiche sono spesso ridicole e risapute. Il test della lumaca per scoprire se uno ha le corna, la vernice fresca e la maglia di lana, le barzellette sugli animali allo zoo e via dicendo. Da citare una serie di doppi sensi piuttosto triviali legati all’equivoco tra uccello e tema. Tamburi: “Ho visto quello di tutti ma non il tuo”. “Quello di Carletti era un po’ moscio…”. Quando la Tamburi afferma che vuole vederlo assolutamente, Pierino ha già i pantaloni calati, ma in quel momento comprende che si tratta solo del compito di italiano. Allo zoo si ricalca la battuta di Nando Cicero e il doppio senso tra fica e foca quando una signora cade ed esclama: “Che cozzo!”. Ma siccome cade a gambe larghe e fa vedere le mutande, Pierino risponde: “Che foca!”. Arriva il fidanzato e lui subito indica la foca dello zoo per salvarsi dalla reazione dell’uomo. Allo zoo assistiamo agli amoreggiamenti tra Rizzo e la Tamburi che non trovano mai il modo di stare da soli e Pierino li interrompe a colpi di cacca in faccia al professore. A questo punto entra in scena Renzo Montagnani, che alza il tasso comico del film con una parte da ispettore scolastico che si complimenta con Pierino pure se dice una serie di idiozie. Quando arrivano gli infermieri in classe si scopre che è solo un pazzo che ogni tanto scappa dal manicomio. La pellicola presenta anche una parte sexy comica con la Tamburi e Rizzo che amoreggiano nel bagno dei professori. Non si vede molto, ma la Tamburi è brava e sensuale quando sgambetta tra le braccia dell’amante e mostra le gambe velate da calze trasparenti e slip bianchi. Pierino toglie la luce, trova il modo di far finire la brutta direttrice tra le braccia di Rizzo e poi fa entrare di nuovo la Tamburi. La scena sexy diventa farsa con il povero Rizzo preso a ceffoni dalle due donne. Un altro cammeo di Montagnani lo vediamo al ristorante dove interpreta il presidente dell’ordine dei farmacisti e promette al padre di Pierino altre farmacie. Montagnani balla con la cameriera, recita la poesia meglio puzzar di merda che di povero, prende in giro tutti e alla fine arrivano gli infermieri e lo portano via insieme al babbo di Pierino che viene preso per pazzo. L’ultimo cammeo di Montagnani è nei panni del Ministro della Pubblica Istruzione che tra lo stupore generale premia Pierino come bambino dell’anno. Pierino riconosce il pazzo e dice: “Vorrei che tu fossi il mio babbo”. Invitato a fare un discorso, emette una pernacchia e conclude la storia come una perfetta pochade.  Mereghetti è molto caustico: “Serie di barzellette su Pierino, interpretato da un imbarazzante Ariani. Squallido tentativo di agganciarsi al successo dei già mediocri film di Girolami con Vitali”. Farinotti afferma: “Non c’è storia, soltanto una raffica di gags: il film è un sottoprodotto del filone pierinesco lanciato da Vitali, qui assente, mai rimpianta star della risata a sfondo gastrointestinalsessuale”. Non condivido il rigore critico con cui si affrontano film come questi, che pure hanno caratterizzato un periodo storico non solo del cinema ma anche del costume italiano. Se cerchiamo la storia in un barzelletta movie vuol dire che non abbiamo compreso la funzione catartica e liberatoria di certe pellicole. I film della serie pierinesca, originali o apocrifi che fossero, vivevano soprattutto per la loro volgarità, anarchia e inosservanza degli schemi cinematografici. Erano pellicole politicamente scorrette, irriverenti e assurde, ma rappresentavano bene un sano e sboccato divertimento che il pubblico in quel preciso momento storico chiedeva al cinema. Pierino la peste alla riscossa è il migliore tra i pierini apocrifi, soprattutto perché gode di un cast di attori eccellente e anche il protagonista Ariani ha una sua buffa originalità. Mario Brega, Didi Perego, Lella Fabrizi, Jenny Tamburi, Giacomo Rizzo ed Enzo Robutti contribuiscono a elevare la qualità del film. Nessuno si aspetti di vedere un capolavoro, ma all’interno del barzelletta movie questo film di Lenzi (girato per motivi alimentari) ha una sua dignità.


Quella peste di Pierina (1982) è un pessimo apocrifo femminile della serie girato da Michele Massimo Tarantini. Piero Regnoli scrive e sceneggia un lavoro indefinibile, un ibrido tra barzelletta movie e commedia sexy che non vede nessuno. Fotografia di Pasquale Fanetti, musiche di Franco Campanino e montaggio di Alessandro Lucidi. Produce Cesare Jacolucci per Ladan Film. Interpreti: Marina Marfoglia, Oreste Lionello, Lucio Montanaro, Carmen Russo, Adriana Facchetti, Francesca Romana Coluzzi, Enzo Andronico, Jimmy il Fenomeno, Ugo Fangareggi, Galliano Sbarra, Clara Colosimo, Giuseppe Cairelli, Antonio Viespoli, Bruno Rosa e Maurizio Mattioli. Si tratta dell’unico Pierino versione femminile che affida la parte comica a Marina Marfoglia ma soprattutto a Lucio Montanaro e Oreste Lionello. Il suo handicap più grave sta nella scelta di un’attrice poco adatta come la Marfoglia, anche se la frase di lancio afferma: Di Pierini ce ne sono tanti… ma Pierina li batte tutti quanti! Il film esce in piena guerra dei Pierini dopo il successo di Marino Girolami con Alvaro Vitali, sfrutta una serie di barzellette residuali e raschia il barile della comicità scolastica, realizzando una serie di scenette comiche con poco ritmo e solo parzialmente collegate. Lucio Montanaro è il più credibile come unico alunno maschio in una sezione femminile e innamorato incompreso di Pierina che usa la scoreggia come arma di difesa. Marina Marfoglia duetta con Carmen Russo (sorella sexy) a colpi di “Con quel culo che ti ritrovi dev’essere una fatica portarlo a spasso!” e soprattutto fa scappare di casa tutti i fidanzati. Carmen Russo è la sola variante sexy in un film dichiaratamente farsesco e spesso la macchina da presa insiste sul suo corpo seminudo, nella vasca e vestito di completi intimi seducenti. La commedia sexy fa capolino quando la Marfoglia spia la sorella dal buco della chiave mentre amoreggia con un fidanzato bersagliere. Sequenza innovativa perché non avevamo mai visto nel cinema comico - erotico una donna spiare un’altra donna, pure se Pierina non ha caratteristiche femminili ed è vista come una sorta di Gian Burrasca.  Carmen Russo ha tutti fidanzati militari, ma il più trash e surreale è Ugo Fangareggi che mentre la ragazza si spoglia racconta stupide barzellette sui carabinieri. Un fidanzato marinaio viene allontanato perché Pierina lo convince che è capitato in una casa chiusa e che la sorella fa la prostituta. Francesca Romana Coluzzi è una giunonica professoressa di educazione fisica e sessuologia che spiega il Tampax e Pierina ribatte che è il lecca lecca del bambino. Il film procede a suon di scherzacci, battute volgari, presidi arroganti, professori inetti, studenti svogliati, pernacchie, scoregge e situazioni ispirate al Pierino di Girolami. Oreste Lionello interpreta un surreale professor Alceo Taccone, detto Il Tigre, così temibile che parla un buffo tedesco da nazista, porta baffetti stile Hitler, ha una protesi di ferro al posto della mano destra, mette sull’attenti vestiti e cappelli, pretende il saluto romano. Pierina prende in giro anche lui e va citata la serie di battute volgarissima tra Montanaro, Marfoglia e Lionello: “Il melo dà la mela, il pero dà la pera, il fico dà la fica, il caco la cacata e il finocchio dà il culo”. Siamo al massimo del trash. Adriana Facchetti interpreta una divertente nonna di Pierina che si spaccia per madre, concupisce il preside ricordando un vecchio amore e facendo credere che la ragazza è sua figlia. Il finale della parte comica vede ancora Lionello e Pierina a scuola per uno scambio di battute volgarissimo. Lionello: “Come si scrive uccello?” Marfoglia: Con due zeta!” Lionello: “Mi spiego meglio. Cosa deve avere l’uccello per essere perfetto? Marfoglia: “Due palle così!”. Il film si conclude come peggio non potrebbe, ma diverte ancora come manifesto di un’epoca e come icona della comicità trash.


Mariano Laurenti ci riprova nel 1990 con Pierino torna a scuola, tentativo non riuscito di riprendere il discorso del barzelletta movie riproponendo un personaggio di culto. Alvaro Vitali non è più affiancato da Michela Miti, ma da Nadia Bengala, fresca Miss Italia. Elena Fabrizi e Bruno Minniti completano il cast. Pierino è disoccupato, decide di tornare a scuola, si innamora della supplente e finisce nell’esercito. Il regista lascia anche spazio per un improbabile sequel militare che per fortuna nessuno si è mai sognato di girare. Un film sconclusionato che ha perso tutta la freschezza e la dissacrante volgarità del Pierino contro tutti (1981) di Marino Girolami. La fotografia è pessima, la pellicola è girata male, la sceneggiatura (partecipa anche Vitali) è piena zeppa di buchi, al punto che il film sembra un collage di ritagli pescati dagli avanzi dei vecchi film. Laurenti inserisce tante barzellette risapute, Elena Fabrizi (la sora Lella) è divertente nei panni della nonna di Pierino, Vitali prova a scatenarsi con battutacce rivolte alla Bengala (si chiama Rizzi), tipo Rizzi…Rizzi mi s’addrizzi!, ma non basta. Tutto ha il sapore del tempo passato. 

Per vedere qualche sequenza dai film di Pierino...

Da Pierino torna a scuola: http://www.youtube.com/watch?v=dpHWJEn6An4

Da Pierino contro tutti, Chicago di notte: http://www.youtube.com/watch?v=qzPzLEBTpsI




Gordiano Lupi

sabato 19 maggio 2012

Il pranzo di Ferragosto - Il cinema di Claudia 14

Recensione di Claudia Marinelli

 

Regia: Gianni Di Gregorio

Soggetto: Gianni Di Gregorio

Sceneggiatura: Gianni Di Gregorio

Montaggio: M. Spoletini
Scenografia: Daniele Cascella
Fotografia: G. Bianco
Musica: Ratchev & Carratello
Genere: Commedia
Cast:  Gianni Di Gregorio, V. De Franciscis Bendoni, A. Santagata, M.Cicciotti, M. Calì, G.Cesarini Sforza, Luigi Marchetti
Produzione: Italia 2008
Durata: 75 minuti


Siamo in un quartiere del centro di Roma alla vigilia di un torrido Ferragosto. Gianni, uomo di mezz’età, con il vizio de bere, non ha altro lavoro che quello di accudire l’anziana madre,  Donna Valeria, alquanto oppressiva e capricciosa. Madre e figlio abitano in quello che un tempo doveva essere stato un bell’appartamento ormai decaduto e sono pieni di debiti. La vita di Gianni trascorre regolare e senza più sogni  tra le faccende domestiche, le visite all’osteria sotto casa e le chiacchiere con Vichingo, che gironzola per il quartiere. Ma ecco che alla vigilia di Ferragosto arriva a casa di Gianni,  Alfonso, l’amministratore del palazzo, per riscuotere le numerose rate insolute di condominio.  Gianni farfuglia rispose evasive. L’amministratore allora gli propone di cancellare tutti i suoi debiti a condizione che Gianni ospiti sua madre fino alla sera del giorno dopo, perché lui possa raggiungere la sua famiglia alle terme. Gianni si vede costretto ad accettare non solo la mamma di Alfonso, Marina, ma anche la zia Maria, un’arzilla vecchietta con problemi di memoria, che Alfonso, a tradimento, gli porta in casa insieme alla madre. Gianni accusa un malore e chiama il suo medico, Marcello, che lo visita e lo rassicura e gli chiede di potergli portare anche la sua di madre per la notte e il giorno dopo, visto che lui è di turno in ospedale e non la può lasciare da sola per troppo tempo. Così Grazia, la mamma del medico, si aggiunge alla compagnia.


Le quattro donne hanno tutte caratteri diversi e impiegano qualche ora prima di prendere confidenza le une con le altre, e con la nuova situazione, mettendo Gianni in difficoltà. La zia Maria si piazza in cucina per confezionare la pasta al forno, Marina vuole avere la televisione tutta per lei, Grazia, che deve seguire una dieta rigorosa, si abbuffa prima di mortadella e poi  della pasta fatta dalla zia Maria appena Gianni abbassa un po’ l’attenzione, mentre Donna Valeria vorrebbe spettegolare in disparte delle nuove arrivate con il figlio e si rifiuta di mangiare con loro.  Gianni è frastornato, si adopera al meglio per soddisfare le esigenze delle quattro arzille vecchiette, ritrova Marina che arrabbiata per la mancanza della televisione è scappata di casa, ed infine riesce a metterle tutte a letto. Il giorno seguente le quattro signore si svegliano felici di essere in compagnia, e si aspettano il rituale pranzo della festa estiva.

L'edizione tedesca del film

A Gianni non rimane che farsi trascinare dai preparativi della festa, con l’aiuto di Vichingo trova del pesce e confeziona  un pranzetto con i fiocchi. L’esuberanza, la voglia di vivere e di divertirsi, di condividere i piaceri della tavola e del buon vino, delle quattro signore travolgono Gianni che quasi non riesce a star dietro alla loro vitalità. Il pranzo di Ferragosto è un vero successo, Valeria ha apparecchiato con la tovaglia ricamata, piatti di un bel servizio, bicchieri di cristallo e fiori, zia Maria si è agghindata con un cappello di Valeria, e Marina e Grazia si sono vestite a festa, mentre Gianni  e Vichingo hanno cucinato il pesce al forno. Quando arriva la telefonata del medico alla fine del pranzo  che verrà presto a riprendersi la mamma, tutte sono deluse e tristi. Gianni fa la valigia di Grazia, ma quando arriva l’ora di partire ecco che le anziane signore metteranno in mano a Gianni un bel po’ di soldi e lui non potrà rifiutare di tenerle ancora  a casa sua.

     
Il film prende spunto dall’esperienza personale del regista sceneggiatore, Gianni Di Gregorio, al quale l’amministratore del suo condominio aveva veramente offerto di tenere la madre. Offerta da lui rifiutata nella realtà. Probabilmente l’originale rifiuto ha generato ripensamenti, e così il regista, chiedendosi “Che cosa sarebbe successo se avessi accettato?” ha costruito la trama di questa garbata e coraggiosa commedia sulla vecchiaia.  Gianni Di Gregorio, sceneggiatore e regista, che recita la parte di Gianni, e Alfonso Santagata, nella parte dell’amministratore, sono gli unici attori professionisti. E se il resto del cast è catalogato come “non professionista”, di certo nessun attore e nessuna attrice risultano non all’altezza del ruolo a loro assegnato. Di Gregorio ha scelto le attrici per la loro spontaneità e la loro verità.  In effetti, la “quaterna” femminile non poteva essere più riuscita, sia per i fisici completamente diversi, Donna Valeria ha ancora un portamento aristocratico, in netto contrasto con l’incedere un po’ goffo e pesante della Zia Maria ad esempio, sia per i toni delle voci, come quello dolce e pacato di Grazia in contrasto con le tonalità più acute di Marina. Bella l’ambientazione: la casa antica, in un palazzo d’epoca, con alcuni mobili d’antiquariato anche belli, e altri più dozzinali, in una Roma quasi deserta e caldissima, con finestre spesso chiuse a oscurare le stanze, ben si presta al dipanarsi della storia. Quelle stesse finestre, una volta aperte durante il pranzo di ferragosto, faranno entrare la luce prepotente dell’estate, dando all’ambientazione la gioia  e il calore che il cibo condiviso porta a tutti i commensali. In soli 75 minuti, Gianni Di Gregorio riesce a raccontare una storia leggera eppure profonda, divertente ma anche amara aprendo uno squarcio sul mondo della terza età e obbligandoci a riflettere su che cosa significhi essere anziani.

Con dialoghi brillanti e ben costruiti, pause funzionali alla storia, personaggi realistici e soprattutto coerenti, il film ci intrattiene e ci diletta per lo sguardo amorevole e un po’ disilluso del regista verso un mondo che spesso viene volutamente dimenticato, e forse anche mal capito. Le quattro donne sono quattro anziane diverse di carattere, eppure ancora così vitali!  Donna Valeria la nobildonna decaduta, che si trucca un viso solcato di rughe con mani deformate dall’artrite, per farsi bella con le sue ospiti, dapprima vuole rimanere sul suo piedistallo e neanche esce dalla sua camera per salutare le nuove arrivate, ma poi capisce che la compagnia vale ben di più dei suoi titoli nobiliari, e accetta le nuove amicizie con la grazia dei bambini. Invita le ospiti a prendere una camomilla in camera sua, adatta un suo cappello alla Zia Maria, che è ben felice della nuova acconciatura, rende la tavola accogliente apparecchiandola in modo perfetto e ornandola di fiori. Zia Maria, con il fisico un po’ tozzo quasi da contadina, si preoccupa di fare da mangiare, come probabilmente ha sempre fatto nella sua vita, e impartisce istruzioni culinarie a Gianni che non si sogna neanche di contraddirla. Grazia, dolce e gentile, accetta la situazione di “mamma abbandonata” con serenità, mangia la cena a base di verdure che le ha preparato Gianni, ma si vede che muore dalla voglia di gustare la pasta al forno della Zia Maria e, appena può, la ruba di notte dal frigo. Scoperta da Gianni, non si scompone, e con la sua serafica dolcezza, chiede, mentre l’uomo le toglie il piatto:  “Ancora un pezzettino?” Ed infine Marina, esuberante, ancora ben in carne, accentratrice di attenzione e despotica almeno quanto Donna Valeria, all’inizio rifiuta la sua situazione e lo dimostra con i suoi capricci, chiudendosi a chiave in salone e poi scappando di notte agghindata con una gonna lunga di organza. Ritrovata da Gianni sul lungotevere seduta a un tavolino che fuma e beve, si lascia convincere di ritornare a casa e quasi flirta con il padrone di casa.


Niente si è perso delle rispettive personalità con l’avanzare degli anni.  Queste donne sono anziane, ma hanno ancora aspirazioni, bisogni, idee precise sul come fare le cose, e soprattutto una gran voglia di vivere! La vecchiaia ha colpito i loro corpi, li ha intrappolati in un involucro decadente, ma sembra non aver poi tanto invecchiato le menti. Hanno tutte una gran voglia di divertirsi, di gioire dei piaceri semplici della vita quale il mangiare, il bere e il godere della reciproca compagnia. Perché nella casa al centro di Roma, è Gianni, il più giovane della compagnia, a sembrare il più stanco, il più disilluso, il più passivo di fronte alla vita. Le anziane signore non si sono arrese alla tirannia del tempo, chiacchierano, si raccontano i loro ricordi, i loro amori, si fanno compagnia ed emanano gioia. E quando appaiono i titoli di coda viene naturale domandarsi: ma la vecchiaia che cosa è? In un mondo dove essere sempre giovani e belli, scattanti e veloci, sembrano i valori più importanti,  è da apprezzare il coraggio del regista – sceneggiatore che ci racconta questa storia semplice dove i personaggi, vecchi e forse non più belli (anche se i visi rugosi alle volte conservano un fascino particolare, ma diverso) lenti e indolenti, godono del tempo senza inquietudine. È vecchio colui che ha un certo numero di anni, che ha un viso pieno di rughe, mani deformate dall’artrite, o colui che non ha più voglia di gioire della vita?

    
Il film è anche una riflessione sulla condizione degli anziani nella società, spesso rimasti da soli perché vedovi e o vedove,  emarginati in qualche modo, considerati un peso per  le famiglie dei parenti che li ospitano o che  si curano di loro. L’amministratore paga una cifra astronomica, pur di avere due giorni liberi, e vediamo che non raggiunge la sua famiglia alle terme come dice a Gianni, ma si allontana in decappottabile con una bella ragazza giovane al fianco. Il medico Marcello, ligio al suo dovere di figlio medico, che gestisce le medicine della madre in modo eccellente, promette di riprenderla per mezzogiorno, ma che poi chiama a pranzo finito. Ed infine Gianni, succube di una madre un po’ despotica, accetta di tenere le anziane signore solo per soldi, non certo che affetto. E se la battuta finale di Gianni che dice, dopo aver preso i soldi al termine del pranzo di Ferragosto, annuendo e sciogliendosi in un sorriso: “Stasera però cuciniamo qualcosa di leggero, un brodino vegetale!” ci fa ridere, ci lascia anche con l’amaro in bocca. In una società in cui il numero di anziani cresce ogni anno, perché non si può pensare al mondo della terza età come un universo ancora vitale e gioioso, popolato di persone capaci di apprezzare la vita, di amare e di rendersi utili? 

"Il pranzo di Ferragosto” è stato acclamato al festival di Venezia dove ha vinto il Leone del futuro, ha vinto il David di Donatello per miglior regia di esordiente, e die Ciak d’oro per miglior opera prima e miglior sonoro in presa diretta. Non possiamo che concordare con le giurie di questi premi:  in effetti questa tenera commedia è un piccolo gioiello del cinema italiano. 

L'edizione francese saluta il grande ritorno della commedia all'italiana

venerdì 18 maggio 2012

Franco e Ciccio… ladro e guardia (1969)

di Marcello Ciorciolini


Regia: Marcello Ciorciolini. Soggetto e Sceneggiatura: Amedeo Sollazzo, Marcello Ciorciolini. Montaggio: Luciano Anconetani. Fotografia. Enzo Barboni. Scenografia: Enzo Bulgarelli. Musiche: Robert Poitevin. Aiuto Regista: Filiberto Fiaschi. Effetti Speciali: Sergio Chiusi. Girato: Teatri di Posa De Paolis In.Cir.. Direttore di Produzione: Ezio Palaggi. Produttore Esecutiv: Roberto Palaggi. Produzione: Italo Zingarelli per West Film. Distribuzione: Delta Film. Interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Giusi Raspani Dandolo, Gianni Agus, Umberto D’Orsi, Adriano Micantoni, Barbara Nelli, Ignazio Leone, Fortunato Arena, Spartaco Battisti, Giorgio Dolfin, Ton Felleghy, Leo Gavero, Tony Santaniello. 


Franco e Ciccio… ladro e guardia è un giallo comico adatto a un pubblico di famiglie, una farsa che cita il cinema muto e l’avanspettacolo che gode di una puntuale ambientazione nel mondo del circo. Guardie e ladri (1951) di Steno e Mario Monicelli, interpretato dai grandissimi Totò e Aldo Fabrizi è solo il pretesto per dare il via alla parodia, ma il film di Ciorciolini prende altre strade e ha diverse ambizioni.


Ciccio Chiappalone è un vicebrigadiere di polizia, degradato e messo in aspettativa perché si fa sempre sfuggire il cugino Franco, ladro provetto e truffatore, protagonista di situazioni che anticipano La stangata (1973). Il regista ci presenta subito la sua abilità mostrando Gianni Agus in mutande, derubato di ogni avere all’aeroporto di Roma, persino vestiti e automobile, grazie a un abile trucco di Franco aiutato dalla solerte zia (Raspani Dandolo). “Trattamento a grappolo d’uva, le ha tolto tutto. Purtroppo lei è il raspo”, commenta Ciccio. Per la zia, il vicebrigadiere è la pecora nera della famiglia, uno sbirro senza morale, lei protegge il nipote prediletto, nascondendolo nella lavatrice. Ciccio sventa una rapina in gioielleria, insegue Franco per tutta Roma in una sequenza che ricorda Guardie e ladri, solo che non ci troviamo in periferia ma sui tetti della capitale. I due vengono incastrati in un brutto fatto di sangue, prima sospettati di omicidio e infine utilizzati come esche per scoprire il vero colpevole. “Ciccio è un’esca perfetta. Lui è un verme”, afferma Franco. A questo punto la storia prende la piega inattesa di una pellicola di ambientazione circense che cita analoghi lavori statunitensi come Il circo (1928) di Charlie Chaplin e Il più grane spettacolo del mondo (1952) di Cecil B. DeMille. In Italia ricordiamo alcune commedie di ambientazione circense: Circo equestre Za-bum (1944) di Mario Mattòli, Il più comico spettacolo del mondo (1953), sempre di Mattòli, vera e propria parodia del capolavoro statunitense. Altri film italiani sono solo in parte ambientati nel circo: Il figlio del circo (1962) di Sergio Grieco, Chimera (1968) di Ettore Maria Fizzarotti, I clowns (1970) di Federico Fellini, Stringimi forte, papà (1978) di Michele Massimo Tarantini, L’una e l’altra (1996) di Maurizio Nichetti, La tigre e la neve (2005) di Roberto Benigni. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia interpretano altri due film che presentano scene di ambientazione circense: Due bianchi nell’Africa nera (1970) di Bruno Corbucci - con sequenze dal Circo nell’Acqua di Darix Togni - e Paolo il freddo (1974) di Ciccio Ingrassia - con scene dal Circus on Ice di Moira Orfei.

La sequenza della truffa a Gianni Agus

La parte principale del film è ambientata all’interno del Circo Gaspare, dove vediamo animali feroci, equilibristi, clown, domatori di leoni, un nano che beve e fuma, un fratello gigante, zebre, elefanti, cammelli… Il direttore del circo è il bravo Umberto D’Orsi, ma anche gli altri comprimari non sono da meno e realizzano un clima di tensione da giallo comico che si stempera grazie all’interpretazione dei due comici. Il vero colpevole tenta di uccidere Franco e Ciccio, assunti come inservienti, mentre Franco ruba bistecche al leone, sogna di fare il domatore e al tempo stesso la bestia feroce, ma rischia di finire sbranato. La parte in cui Franco sfoggia le sue capacità mimiche e da imitatore di belve è puro avanspettacolo ambientato al circo. Non mancano le battute. Ciccio “Ci sono già state due coincidenze”. Franco: “La terza coincidenza la prendo io. Per Palermo. E me ne vado”. Un’altra parte da antologia è quando Franco tenta di cucinare la pasta all’uovo a bordo di una roulotte ma non ci riesce per colpa della guida spericolata di Ciccio, minacciato da un finto frate. Ciorciolini e Sollazzo citano Charlie Chaplin a più non posso, ma Franchi è bravissimo a rifare identiche sequenze come un consumato attore del cinema muto. Comicità mimica, gestuale, da comica, basata su musica e situazioni paradossali. Sono da citare altre battute al circo quando i due cugini cercano di scoprire il colpevole. Battute anche un po’ razziste e non politicamente corrette, ma sono altri tempi. “Il nano non può essere. Non è all’altezza”. La roulotte del nano è definita “la casa di Pollicino”. Il nano legge “Moby Dick, la sardina bianca”. Ciccio: “È alticcio”. Franco: “Non è possibile”. Grandissima la parte in cui Franco e Ciccio si improvvisano clown del Barbiere di Siviglia. Avanspettacolo puro, dove mettono in scena gran parte del loro repertorio a base di smorfie e lazzi, citando numeri ideati agli esordi e scenette portate in palcoscenico. “Ridi pagliaccio” cantata da Franco interrompendo un tango di Ciccio e rimediando una serie di schiaffoni, ma sono da ricordare anche il numero della bilancia, l’interpretazione da manichino, nei panni di una marionetta, di un pagliaccio con il piede calpestato e infine un tango dopo un finto duello. Franco è un clown naturale ma Ciccio è una spalla eccellente e i due attori rispettano tempi comici da manuale. Alla fine si scopre che il vero colpevole è Oscar, il fratello della trapezista che dopo un incidente si era finto morto per diventare una spia internazionale. Bellissima la battuta dei due comici che ironizza sulla loro carriera. Ciccio: “Riuscissimo a prenderlo!”. Franco: “Noi due? L’Oscar? E quando mai!”. Ciccio è promosso brigadiere, mentre Franco è messo in libertà. “Un’aspirazione ce l’avrei. Vorrei aprire un negozio…”, dice Franco. Sì, ma con il piede di porco. Tutto ricomincia da capo, anzi finisce, con Ciccio che insegue Franco per mettergli le manette e portarlo in galera.

Franco e Ciccio clown del circo

La critica è più benevola del solito. Paolo Mereghetti concede una stella e mezzo: “Non molto più di un canovaccio che abbandona ben presto la parodia di Guardie e ladri per lasciare il posto a una serie di assolo di Franchi (domatore e leone in gabbia, cuoco in una roulotte troppo instabile) per la verità non molto divertenti. Solo il numero con lui e Ingrassia vestiti da pagliacci testimonia le grandi potenzialità mimiche della coppia, purtroppo poco sfruttate”. Morando Morandini concede due stelle ma non ha visto il film perché parla di “una parodia di Guardie e ladri con Franco nella parte di Totò e Ciccio in quella di Aldo Fabrizi”. Pino Farinotti conferma le due stelle, ma cita persino Margaret Lee nel cast, che purtroppo non è presente.


Il film è un’ottima farsa dai toni gialli, ben ambientata tra Roma e il circo equestre, con alcuni numeri del circo e molti pezzi da antologia del comico, spesso improvvisati e recitati da Franco e Ciccio in gran forma. I dieci minuti in cui si concedono al pubblico vestiti da pagliacci sono entrati nella storia del cinema comico.

Per vedere la fantastica sequenza dei clown: http://www.youtube.com/watch?v=Qdvo-dA1270

Gordiano Lupi

domenica 13 maggio 2012

Biagio Proietti tra cinema e narrativa

Biagio Proietti - pagina Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Biagio_Proietti

Biagio Proietti (Roma, 1940) è un nome che tutti gli appassionati del cinema di genere conoscono, unito a quello della compagna di vita Diana Crispo, da sempre collaboratrice anche nel mondo del lavoro. Proietti & Crispo hanno inventato sceneggiati televisivi di culto come Coralba, Un certo Harry Brent, Come un uragano, Lungo il fiume e sull’acqua, Ho incontrato un’ombra, Philo Vance (interpretato da Giorgio Albertazzi), Un uomo curioso, Dov’è Anna, La mia vita con Daniela, L’ultimo aereo per Venezia e Doppia indagine. Erano i tempi della televisione in bianco e nero, gli originali televisivi non si chiamavano ancora fiction, il cinema di genere italiano faceva scuola e le grandi sale erano affollate di ragazzini urlanti. Proietti è noto agli appassionati anche come regista per aver girato alcuni telefilm (L’armadio, La mezzatinta, Miriam, La casa della follia, Uno più uno) e due film televisivi (Storia senza parole, 1979 e Sound, 1988, interpretato da Peter Fonda). Al cinema ricordiamo Chewingum (1984), una commedia giovanilistica di buon successo popolare e Puro cachemire (1986), ma non va dimenticato che è suo il soggetto di Black Cat (1981) di Lucio Fulci.

Chewingum, un film di successo con Isabella Ferrari, Massimo Ciavarro e Mauro Di Francesco

Biagio Proietti è meno attivo nel campo della narrativa pura, ma recentemente - forse per la crisi della televisione che manda in onda solo reality e talent show  e di un cinema italiano in affanno tra commedie paradossali e gay-movies - ha scritto alcuni romanzi dove dimostra tutto il suo mestiere di sceneggiatore di storie del mistero: Una vita sprecata (2005) e Io sono la prova (2007), entrambi editi da Dario Flaccovio. Adesso torna alla ribalta in coppia con la compagna Diana Crispo, ispirandosi al cinema di Hitchcock (Vertigo, Io ti salverò, Marnie), come aveva fatto Lucio Fulci nel film Una sull’altra (1969), cercando di dipanare il mistero di una donna che sembra aver vissuto due volte. Protagonista del giallo è l’avvocato Morelli che un bel giorno si trova davanti Bianca Rizzi, una ragazza identica alla moglie Daniela, scomparsa otto mesi prima. Non solo Bianca è simile a Daniela, sembra proprio lei, una serie di indizi inequivocabili lo dimostrano. Non è possibile dire altro sulla trama senza togliere il piacere della lettura, aggiungiamo che ricorda molto Una sull’altra, un giallo - thriller di Lucio Fulci scritto con la collaborazione di Roberto Gianviti, una rivisitazione de La Donna che Visse Due Volte (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcock, vicenda inquietante e morbosa. Proietti & Crispo si ispirano a un loro vecchio soggetto televisivo: La mia vita con Daniela (andato in onda nel 1976) e realizzano un giallo sofisticato che ricorda molto da vicino le atmosfere del thriller all’italiana degli anni Settanta. Profumo di nostalgia, madeleines di Scerbanenco, Fulci, Lenzi, Bava, Hitchcock e chi più ne ha più ne metta. Da leggere, per ricordare come eravamo e quel che siamo diventati. Una letteratura popolare e un cinema consegnato nelle mani degli statunitensi come se fossero una truppa di occupazione. Che peccato! Grazie Proietti per continuare a esserci e per far tornare alla memoria un passato che profuma di cinema popolare.

Io sono la prova (Flaccovio)

Un appunto devo farlo all’editore. Se vogliamo far leggere gli italiani, la narrativa popolare non può costare più di 12 euro per 200 - 250 pagine. Il prezzo (16,50 per una carta scadente uso mano e una copertina cartonata) è troppo alto per un editore di grandi dimensioni e dotato di un’ottima distribuzione come Hobby & Worck.



Chiunque io sia
di Biagio Proietti & Diana Crispo
Hobby & Work –Euro 16,50 – Pag. 221

Gordiano Lupi

venerdì 11 maggio 2012

L’elmo e la rivolta


L’elmo e la rivolta è un fumetto colto, pieno zeppo di citazioni cinematografiche, di riferimenti storici, rimandi filosofici e annotazioni politiche. Luciano Curreri - saggista di vaglia, autore de Il peplum, di Emilio (Il Foglio, 2012) - scrive un testo ispirato, che non rinuncia alla complessità (in senso positivo) pur usando il mezzo espressivo del fumetto. Siamo in presenza di un vero e proprio saggio disegnato con protagonisti due simboli come Spartaco e Scipione l’Africano che non ha niente da invidiare a precedenti opere ponderose di un autore esperto di D’Annunzio e Salgari. I disegni sono del grande Giuseppe Palumbo (Matera, 1964), che ricordiamo creatore per Frigidaire del personaggio di Ramarro, un supereroe bizzarro e masochista. Un maestro del fumetto italiano, autore di tavole con protagonisti personaggi popolari come Diabolik e Martin Mystere. Comma22 gli dedica un’intera collana che contiene le sue storie più personali, in formato 17x24 con una speciale sovraccoperta stampata su cartoncino acquerello.
L’elmo e la rivolta cita Uccellacci e uccellini, il capolavoro di Pier Paolo Pasolini, introducendo il racconto con la figura di un corvo saccente che accompagna lo svolgersi egli eventi e con un finale che ricalca la pellicola interpretata da Totò e Ninetto Davoli. Spartaco viene immortalato come l’eroe della ribellione, lo schiavo che affronta il potere a viso aperto, sia nell’interpretazione marxista, in funzione anticapitalista e antiborghese, che in chiave religioso - messianica. Alla base di tutto ci sono le pellicole e i romanzi (Spartacus di Howard Fast), ma soprattutto lo Spartaco scritto da Stanley Kubrick e interpretato da Kirk Douglas nel 1960. Personaggi del libro sono anche Annibale e Scipione l’Africano, eterni avversari di una guerra infinita, citati per mezzo di pellicole storiche (Scipione l’africano di Luigi Magni, 1971) e fatti rivivere con vesti contemporanee. Garibaldi potrebbe essere uno Scipione moderno, ma pure Mussolini come il condottiero della guerra d’Africa ricalca le orme del personaggio storico. Persino Alessandro Manzoni avrebbe voluto scrivere il romanzo di Spartaco, ma allora non avremmo avuto I promessi sposi, avremmo dovuto attendere Fogazzaro per il primo vero romanzo d’amore italiano. Meglio così, abbiamo lasciato al cinema il compito di far rivivere la leggenda di Spartaco, mentre questo saggio grafico, scritto in maniera mirabile e illustrato con classe da artista, si arroga il compito di far riflettere sulle tante valenze simboliche e sui molteplici corsi e ricorsi storici.

Giuseppe Palumbo – Luciano Curreri
L’elmo e la rivolta
Fumetto d’autore
Comma22 - www.comma22.com – Euro 10,00

Gordiano Lupi
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