Vincenzo Totaro è un regista interessante. Ho visto il lungometraggio La casa del padre (2019) che dimostra tutto il suo talento introspettivo e fotografico, oltre che una cinefilia militante che per un autore non è fattore trascurabile. Totaro ha scritto il saggio Un’altra vita - Il tema del doppio nel cinema muto italiano (1905 - 1931) (Prospettiva, 2018), quasi a voler confermare questo assunto.
Vediamo due corti che ho avuto occasione di apprezzare recentemente, ulteriore dimostrazione di talento cinematografico. Quel tipo strano (2018) è a colori, dura sei minuti e affronta il tema della follia, la diversa prospettiva del racconto, i modi in cui può essere intesa la realtà. Un ragazzo è seduto al tavolo di un bar con due amiche, di fronte a lui un uomo sembra parlare da solo, fare una proposta di matrimonio a una donna fantasma. Congetture e ipotesi si fanno largo e provocano tensione fino al rocambolesco finale. Non anticipo niente, non faccio spoiler di sorta, anche se il colpo di scena ci sta tutto. Produzione Aelita film srl e Silentium Film. Vincenzo Totaro scrive, sceneggia, monta e gira il breve ma intenso corto, mentre alla fotografia troviamo il bravo Antonio Universi. Ispirati e credibili gli interpreti Antonio Del Nobile, Rosa Fariello, Annarita Granatiero, Teresa La Scala, Adriano Santoro e Carmine Spera.
La versione americana:
Quel ramo sulla pianta di Giacomo è in bianco e nero, dura poco più di tre minuti, frutto di un esercizio per la masterclass di Werner Herzog, girato in prima versione con lo smartphone. La lezione voleva far capire che se un autore è tagliato per fare film deve capirlo anche se non dispone di grande tecnologia. Il breve film si svolge in un unico ambiente tra due personaggi, come il precedente è molto teatrale, gioca ancora una volta su argomenti fantastici, in questo caso una pianta che non accetta di farsi potare un ramo, sembra muoversi, interagire con il padrone, parlare, spostarsi da un punto all’altro della stanza. Sceneggiatura di Antonio Del Nobile e Vincenzo Totaro, che cura la regia e il montaggio. Antonio Del Nobile e Tonino Bitondi sono i due interpreti che deliziano il pubblico con uno scambio di battute che crea un’atmosfera surreale. Terzo classificato al concorso 8 minuti per un ambiente migliore.
LE SCHEDE
Quel
tipo strano - Anno e origine: Italia (2018) - Durata: 5'43” colore -
Tipologia: cortometraggio - Genere: drammatico - Produzione: Aelita film srls e
Silentium Film -Formato originario: HD - Regia, Montaggio e sceneggiatura:
Vincenzo Totaro - Direttore della fotografia: Antonio Universi - Operatori di
ripresa: Luisa Totaro -Musiche: Donato Raele - Audio in presa diretta: Giannino
deFilippo -Microfonista: Tonino Bitondi -Missaggio audio: Richard Gremillon -
Produttore esecutivo: Giannino deFilippo -Backstage: Chiara Piemontese -
Sottotitoli: Studio HONO - Luisa Totaro, Yurika Oshima, Yougha Im -Interpreti:
Antonio Del Nobile, Rosa Fariello, Annarita Granatiero, Teresa La Scala,
Adriano Santoro, Carmine Spera.
Quel
ramo della pianta di Giacomo - Italia 2017, b/n
(sottotitolato in inglese) -Durata: 3'34” - Tipologia: cortometraggio - Genere:
commedia - Produzione: Silentium film - Formato originario: Full hd, 1.85:1 -
Titolo inglese: That branch of Giacomo's plant - Regia: Vincenzo Totaro -
Sceneggiatura: Antonio Del Nobile e Vincenzo Totaro – Interpreti: Antonio Del
Nobile e Tonino Bitondi - Montaggio: Vincenzo Totaro - Operatore di ripresa:
Luisa Totaro – Note: cortometraggio ideato e realizzato all'interno della
Werner Herzog Masterclass, anno 2017.
Regia:
Alfonso Brescia. Soggetto: Francesco Calabrese. Sceneggiatura: Enzo Gicca,
Alfonso Brescia. Fotografia: Silvio Fraschetti. Montaggio: Carlo Broglio.
Produttori: Francesco Calabrese, Alfonso Brescia. Scenografia: Francesco
Calabrese. Costumi: Valeria Valenza. Musiche: Eduardo Alfieri. Direttore di
Produzione: Antonio Pittalis. Aiuto Regista: Gianfranco Pasquetto. Casa di
Produzione: I.M.P.P.. Ispettore di Produzione: Gino Minopoli. Segretari di
Produzione: Francesco Raffa, Angelo Corrieri. Distribuzione: Cidif. Operatore
di Macchina: Federico Del Zoppo. Assistente Operatore: Franco Fraschetti.
Segretaria di Edizione: Federica Valenza. Fonico: Fabio Ancillai. Trucco:
Massimo De Rossi. Parrucchiera: Placida Capranzano. Sarta: Anna Onorati.
Attrezzista: Antonio Rinaldi. Assistente al Montaggio: Anna D’Angelo.
Sincronizzazione: Cinefonico Cinecittà. Sartoria: Ditta Ferroni. Arredamento:
Postiglione. Tappezzeria: Ditta D’Angelo. Pellicola: Kodak Eastmancolor.
Sviluppo e Stampa: Technicolor. Teatri: De Paolis Incir (Roma). Titoli Effetti
Ottici: Moviecam 2000. Burattini: Baracche
e Burattini di Lia Amoroso. Canzoni: Acquarello
Napoletano (Benedetto - Bonagura), edizioni Nationalmusic, canta Mario
Merola; Ndringhetendrà (Cinquegrana -
De Gregorio), edizione A.B.C. - Gennarelli, canta Mario Merola, Tradimento (Alfieri - Palomba), edizione
A.B.C., canta Mario Merola; Ballammo
(V. Annona - De Paolis - D’Angelo), edizione Gesa Sas Milano, canta Nino
D’Angelo;Che si pe’ me (R. Fiore - De Paolis - D’Angelo), edizione Gesa Sas
Milano, canta Nino D’Angelo. Interpreti: Mario Merola (Gennaro La Monica), Nino
D’Angelo (Nino Esposito), Ida Di Benedetto (partecipazione
straordinaria - Carmela, moglie di Gennaro), Antonio Ferrante (avvocato
Colantuoni), Tommaso Bianco (Totonno, il mago dei bambini), Gianni Ciardo
(assistente avvocato), Rita Binetti (compagna assistente avvocato), Roberta
Olivieri (Rosalia), Lucio Montanaro (Ciccio, amico di Nino), Antonio Allocca
(Don Salvatore), Benito Artesi, Salvatore Puccinelli, Pamela, Nello Pazzafini
(Pasquale Ruoppolo), Isa Marlene, Enzo Berri, Marta Zoffoli (la piccola
Titina), Ghigo Masino (giudice), Regina Bianchi (Assunta, madre di Gennaro).
Celebrità
di Ninì Grassia lancia il personaggio di Nino D’Angelo al cinema, proponendolo
come erede e innovatore della sceneggiata, rendendolo così popolare che un
regista - produttore scaltro come Alfonso Brescia lo vuole come partner
d’eccezione di Mario Merola in due sceneggiate pensate per il cinema insieme al
sodale Francesco Calabrese. Alfonso Brescia (Roma, 1930 - 2001) è un terrorista
dei generi, uno dei tanti che hanno caratterizzato il vitale cinema degli anni
Settanta e Ottanta, autore di circa sessanta film, tutti B-movie, che vanno dal thriller alla sceneggiata, passando per
peplum, poliziottesco, fantascienza e
bellico. Figlio di un produttore, lui stesso spesso produce i film che
sceneggia e dirige, andando quasi sempre sul sicuro, con generi di successo e
costi contenuti. Regista di buona tecnica, appresa alla scuola di Federico
Fellini e Sergio Leone, lo ricordiamo come sceneggiatore di molti film
interpretati da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e per il Merola movie, sottogenere della sceneggiata napoletana di cui può
dirsi deus ex machina. Tra i suoi
titoli ricordiamo il debutto con La
rivolta dei pretoriani (1964), Il
tuo dolce corpo da uccidere (1970), Ragazza
tutta nuda assassinata nel parco (1972), L’eredità dello zio buonanima (1974), L’adolescente (1976), L’ultimo
guappo (1978), Zappatore (1980),
I figli … so’ pezzi ‘e core (1981), Omicidio a luci blu (1991). Il suo
ultimo film è Club vacanze (1995),
autoprodotto e fallimentare, in un periodo storico che vedeva ormai la fine del
cinema di genere.
Alfonso
Brescia si fa venire l’idea di unire un simbolo di Napoli come Mario Merola,
cantante e attore di successo, alla stella emergente Nino D’Angelo e il
risultato è tutto sommato buono, se pensiamo che la storia deve restare nei
limiti di un genere codificato da determinate regole. In breve la trama.
Brescia e Calabrese raccontano la storia di una povera famiglia napoletana
composta da Gennaro (Merola), venditore abusivo di brodo di polipo, Carmela (Di
Benedetto), gestore di un chiosco di bibite, Titina che frequenta la scuola
elementare e Rosalia, sorella minore di Carmela. Gennaro non riesce a ottenere
la licenza di venditore a causa di vecchi conti in sospeso con la giustizia,
mentre la camorra lo perseguita chiedendo un pizzo che lui rifiuta di pagare.
La madre di Gennaro (Bianchi) paga un losco individuo per cercare di far
ottenere la licenza al figlio, togliendo i carichi penali pendenti. Carmela
paga il pizzo per non avere problemi, quindi protegge il marito cercando di
ottenere l’amicizia di un sordido avvocato (Ferrante), che prima cerca di
approfittare di lei, quindi la fa passare per una malafemmina. In questa storia principale si inserisce la sottotrama
di Nino (D’Angelo) e Rosalia (Olivieri), innamorati contrastati da Gennaro che
non vuole avere rapporti con un giovane mariuolo convinto di sfondare come cantante.
Finale melodrammatico, che vira bruscamente in comico, dopo il processo con
Carmela, rea confessa di cose che non ha commesso, malafemmina per salvare il marito dalla galera, con la complicità
di un buffo (ma equo) giudice fiorentino (Masino) che condanna il camorrista
violento (Pazzafini). Si rispettano tutti i canoni della sceneggiata (isso, issa e o malamente) con il marito
tradito - pure se non è vero - che caccia di casa la moglie, precipita nel
baratro del disonore, quindi comprende e torna insieme a lei, di nuovo felice
come un tempo, senza carichi pendenti, con un negozio legale di polipo dove si
canta, si ride e si balla.
Tradimento
è sceneggiata napoletana a tutti gli effetti, colonna sonora di Eduardo
Alfieri, intervallata da canzoni interpretate da Mario Merola, dalle struggenti
Tradimento e Acquarello Napoletano, per finire con la comica Ndringhetendrà, quando il melodramma
vira in pochade e tutto termina con
la più classica delle bagarre, che
prevede tutti gli attori sulla scena. Nino D’Angelo ci mette del suo cantando
in discoteca Ballammo, davanti alla
sua bella, e replicando con Che si pe’ me,
ma non è lui il protagonista, il suo ruolo (pur efficace) è pensato come spalla
di Merola, come sostegno per invogliare i giovani ad andare al cinema. Un film
di impianto teatrale, come ogni sceneggiata che si rispetti, molto
convenzionale, con ruoli stabiliti e certi, dove il confine tra buono e cattivo
è netto e subito comprensibile. Attori ben calati nelle interpretazioni. Regina
Bianchi è la madre coraggiosa e disperata, tutta casa e chiesa, preoccupata e
devota, ruolo della sua vita, che replica la parte sostenuta in Celebrità. Ida Di Benedetto è la
bellezza prosperosa napoletana, la donna del protagonista, la moglie dedita
alla famiglia, che regge sulle sue spalle una situazione difficile e che si
accusa per proteggere il suo uomo. Mario Merola è il padre duro e inflessibile,
capo famiglia d’un tempo, violento ma buono, inflessibile ma in fondo dal cuore
tenero, pervaso da un senso della giustizia e dell’onore che provengono da
secoli di tradizione. Nino D’Angelo non è protagonista ma si ritaglia un ruolo
da scugnizzo lestofante con vocazione musicale e animo buono che ha una sua
valenza nell’economia della pellicola. Ricordiamo la sua storia d’amore con
Rosalia (una diligente Olivieri), alcune canzoni e soprattutto la scena madre
quando va in ospedale dalla signora anziana scippata per restituire la borsa.
Una sequenza riuscita lo vede testimone oculare dello scontro al coltello tra
Merola e Pazzafini che per lui finisce con un emblematico pestaggio, ben
diretto da Brescia che lo rende credibile come se fosse un poliziottesco. Nino ruba solo ai camorristi e a chi se lo merita,
in fondo è un bravo ragazzo e sa che presto farà successo con la musica. Il suo
personaggio è rispettato in pieno. Bene il cast di contorno, da un antipatico
avvocato reso al meglio da Ferrante, per finire con il divertente giudice
fiorentino (Masino), passando per il camorrista (Pazzafini), Totonno il mago
dei bambini (Bianco) e la figlia di Gennaro (Zoffoli).
Tra
le cose migliori la realistica ambientazione napoletana - pur con toni da fiaba
canora - e l’idea di aprire la pellicola con un piano sequenza che introduce lo
spettatore nel vivo dei bassifondi partenopei, per concludere con un carrello
inverso che porta fuori dall’azione scenica in cui si sono destreggiati i
personaggi. Tradimento è un classico
Merola movie, di fatto una
sceneggiata corretta al musicarello
dialettale con schizzi di melodramma, commedia e pochade, davvero ben dosati da un maestro del cinema popolare come
Alfonso Brescia. Personaggi stereotipati quanto si vuole, ben definiti, tutti
troppo buoni o troppo cattivi, ma gestiti in una sceneggiatura che non presenta
sbavature di sorta. Fotografia napoletana interessante, tra luci soffuse e
panoramiche marine, ralenti canori
sulla spiaggia e un mercato ricco di colori che ricorda Campo dei fiori, tra polipo e bibite, passando per un metaforico
teatro di burattini dove Pulcinella racconta la vita del povero napoletano
costretto a inventarsi il modo per campare. Interessante l’immedesimazione
Pulcinella - Merola che spesso la storia tende a realizzare quando Totonno
rappresenta momenti della vita del venditore di polipo. Storia d’amore e
camorra, con parti violente e da cinema poliziottesco,
momenti persino sexy con Ida Di Benedetto in vesti succinte, elementi comici
con Masino e Montanaro, quindi canzoni e guapperia con Merola e D’Angelo.
Bellissimo il finale in musica, da bagarre
comica, secondo i canoni della migliore commedia musicale. Inutile
dire che fu un successo, soprattutto a Napoli.
Rassegna
critica. Marco Giusti (Stracult):
“Grande incontro tra due miti della sceneggiata. Mario Merola al suo massimo
fulgore e Nino D’angelo ai suoi inizi. A sostenere il duo Ida Di Benedetto
ancora fresca di esperienze alte
nella parte della moglie, forse traditrice, di Merola. La storia è sempre
quella. Il sospetto, il bravommo,
Merola che si impunta e chiede spiegazioni a o malamente, stavolta interpretato da Nello Pazzafini assolutamente
sballato. Finisce a coltellate, poi davanti a un giudice, che è il toscano
Ghigo Masino finito a Napoli quasi per caso. Merola, reticente, verrà salvato
dalla moglie, che, disonorata, verrà messa alla porta, ma tutto finirà per il
meglio. Non male il pestaggio di Nino D’Angelo da parte degli uomini di
Pazzafini. Ma la parte migliore spetta al brodo di polipo che Merola si ostina
a vendere per strada, giustamente definito da Ghigo Masino una schifezza”.
Morando Morandini assegna una stella e mezzo ma non spreca una riga di
commento. Pino Farinotti (una stella): “Tra camorra e presunti tradimenti si
sfiora la tragedia, ma, alla fine, l’amore trionfa”. Paolo Mereghetti (una
stella e mezzo): “Merola e D’Angelo in un sol colpo, una delizia per gli
estimatori, un flagello per gli altri. Il film cerca di aggiornare i modi della
sceneggiata ma resta saldamente sul folcloristico”.
Regia. Ninì Grassia. Soggetto: Ninì (Antonio) Grassia
(tratto dalla canzone Celebrità di
Annona - D’Angelo, discografia Vis Radio). Sceneggiatura: Ninì Grassia, Angelo
Fusco. Fotografia: Federico Zanni. Negativi e Positivi: Stacofilm. Montaggio:
Franco Malvestito. Musiche: Nino D’Angelo. Arrangiamenti e Direzione: Augusto
Visco. Edizioni Musicali: Gesa (Milano). Direttore di Produzione: Luigi
Ciotola. Produzione: Giada Cinematografica srl. Operatore alla Macchina: Renato
Doria. Assistente Operatore: Roberto Marsigli. Assistente al Montaggio:
Filomena Paoletti. Aiuto Montaggio: Renata Bosingo. Aiuto Regista: Romano
Scandariato. Fonico: Davide Gentile. Capo Macchinista: Giuseppe Argento.
Macchinisti: Ciro De Falco, Gaetano Rutigliano, Francesco Ferro. Capo
Elettricista: Andrea Guarino. Elettricisti: Giuseppe Nardone, Vincenzo Guarino.
Truccatore: Aldo Navarra. Parrucchiere: Mario Turco. Sarta: Giusy. Segretaria
di edizione: Maria Nunzia De Maria. Fotografo di Scena: Enzo De Turris.
Scenografo: Giovanni Biascioli. Gruppista: Savino Libertazzi. Ispettore di
Produzione: Giovanni Garbetta. Segretario di Produzione: Luigi Ciotola. Mixage:
Sandro Occhetti. Tecnico del Suono: Gianni Ruggero. Doppiaggio: Cinemontaggio
Colangeli. Direttore Doppiaggio: Roberto Del Giudice. Titoli: Studio Mafera.
Esterni: Napoli, Aversa. Interni: Edenlandia, Agenzia Pompe Funebri Citarella
(Aversa), Discoteca Old Station, Circolo Club Punto D’Incontro, Il Lanternone
(Palinuro). Genere. Musicale, Drammatico. Durata: 117’. Interpreti: Nino
D’Angelo, Regina Bianchi, Sonia Viviani, Lino Crispo, Bianca Sollazzo, I
Fatebenefratelli, Luciano Iannantuoni, Stefania Di Giandomenico, Mimmo
Postiglione, Renato Devi, Gigi Capone, Gianni Rossetti, Michela Gallo, Armando
Rossi, Ciro Scarfato, Gennaro Strazzullo, Enzo Berri.
Ninì Grassia
Ninì Grassia (Aversa, 1944 - Castelvolturno,
2010) s’inventa Nino D’Angelo attore cinematografico, dopo aver debuttato
dietro la macchina da presa con La
pagella (1980) e L’ultima volta
insieme (1981), scrivendo - insieme ad Angelo Fusco - un melodramma
romantico, con accenni di farsa e musicarello,
ispirato alla canzone Celebrità.
Ricorda Nino D’Angelo in alcune interviste quanto Grassia fosse convinto che il
suo personaggio avrebbe fatto furore al cinema, perché il regista intravedeva
il carisma dell’attore oltre a quello del cantante. Ninì Grassia replica il
successo con L’Ave Maria e Lo studente, anche se nello stesso
periodo deve condividere il cantante napoletano con Alfonso Brescia (Tradimento e Giuramento, 1982). Produttore, scrittore di cinema e compositore,
realizza prodotti di gradimento popolare con pochi mezzi, molto spesso
localizzati nella zona di Napoli, come nel caso di Amaré, interpretato dal cantante Gigi D’Alessio, un incasso di
circa mezzo miliardo solo in Campania. Regista legato al Nino D’Angelo movie, vero e proprio sottogenere che nasce grazie
alla scommessa di portare al cinema una storia tratta da una canzone che in
parte rispecchia le vicissitudini del giovane cantante. Grassia resta attivo
fino al 2003 - ultimo film Come sinfonia
-, noto anche come organizzatore di concerti neomelodici a Napoli e per gli
emigrati italiani all’estero.
Celebrità è composto da due film distinti che procedono
come rette parallele senza toccarsi, per congiungersi in sporadiche occasioni,
grazie a eventi che coincidono tra la storia principale e la sottotrama. Il
film comico, direi quasi farsesco, da puro avanspettacolo, vede protagonisti I
Fatebenefratelli (Edo e Gigi Imperatrice), un duo comico napoletano che vive un
periodo di effimero successo televisivo, teatrale e cinematografico. I due
comici gestiscono un’impresa di pompe funebri dal nome improbabile (Le ore liete dei fratelli Fate Bene) e
sono amici di uno sciocco meccanico, proprietario dell’officina dove lavora il
nostro Pasqualino Capece (D’Angelo). La parte comica è affidata tutta a loro,
basata su una serie di malintesi tra donne e morti, motori e sesso, funerali
che si fermano per mancanza di benzina, persone che vengono quasi convinte a
morire in cambio di ricca sepoltura e via con amenità da avanspettacolo. Il
film principale vede Nino D’Angelo mattatore, operaio meccanico figlio di
povera gente, vorrebbe fare il cantante ma viene truffato da un finto agente
privo di scrupoli e si trova a delinquere per restituire una somma di denaro
prestata da amici malfattori. Il nostro eroe finisce in galera ma è la sua
fortuna perché durante uno spettacolo per detenuti dimostra le doti canore,
quindi un boss lo raccomanda a un vero impresario che lo fa scritturare per
alcuni spettacoli e in poco tempo arriva il successo. Non è finita la serie
delle prove che attendono Pasqualino - che ha cambiato nome in Nino D’Angelo - perché
deve cadere nella rete tesa da una malafemmina
(Sonia Viviani), bella e ricca, che lo vorrebbe tutto per sé come un oggetto da
esibire. La morte della madre per infarto riporta il giovane sulla retta via,
anche se il dramma finale lo vede sconvolto e in lacrime a rimproverarsi sul
lungomare per non aver capito in tempo quale fosse la strada da seguire.
Ninì Grassia pesca a piene mani dalla vita di
Nino D’Angelo, drammatizzando alcuni episodi e rendendoli più cinematografici,
con la collaborazione di Angelo Fusco. La canzone Celebrità viene messa in scena sul palcoscenico di una Napoli
solare e povera, tra quartieri dove vivono i diseredati e via Caracciolo dove
si va a passeggio sul lungomare. La lunga soggettiva iniziale sulla quale
scorrono i titoli di testa fa capire che Napoli è protagonista, come sono
importanti i suoi abitanti, la gente che ci vive, i luoghi della città vera,
negli anni Ottanta già caotica e percorsa da intenso traffico. Il regista
realizza un film che profuma di musicarello
e di sceneggiata napoletana, ricco di musica neomelodica composta da Nino
D’Angelo. Il soggetto proviene da una sola canzone, anche se nel corso del film
ne vengono cantate altre di simile tenore, fino alla conclusiva -
strappalacrime - dedicata alla mamma. Tutte le componenti della sceneggiata
sono presenti: l’amore tra madre e figlio, la brava ragazza da sposare, la malafemmina, gli amici buoni, i
compagni mariuoli, il truffatore, il boss uomo d’onore, le umili origini, la
famiglia unita … Tutto questo contesto è schizzato di musica napoletana che
richiama i classici popolari del genere ma anche di comicità da avanspettacolo
e di romanticismo che nel finale diventa cupo melodramma. Ninì Grassia
inserisce parti prese da veri concerti di D’Angelo, spezzoni girati in
discoteca e programmi televisivi per realizzare sempre di più la
compenetrazione tra personaggio e attore, rendendola indissolubile. Il film ottiene
uno straordinario successo di pubblico, soprattutto a Napoli e in Campania, ma
poco a poco fa scalpore e riempie le sale di tutta la penisola, contribuendo a
consolidare il fenomeno dello scugnizzo dal volto buono che mentre canta
racconta la sua vita.A Napoli si deve
ricorrere alla forza pubblica per regolare l’affluenza degli spettatori in
sala, perché a ogni spettacolo c’è una folla incredibile fuori dal cinema.
Il regista dimostra mestiere, usa lo zoom a più
non posso come costume del periodo, ma fotografa molto bene una Napoli solare e
marina, realizzando alcune buone sequenze da film d’azione. Va da sé che siamo
in presenza di un film convenzionale dove la malavita viene dipinta a colori
tenui e il protagonista finisce per trionfare dopo aver superato diverse prove
che lo fanno diventare uomo. Nino D’Angelo è cantante dialettale dalla voce
invidiabile e attore abbastanza naturale, mentre Regina Bianchi è una madre
coraggio straordinaria, la vera attrice del film. Sonia Viviani interpreta un
ruolo da cattiva e perfida amante senza precedenti, molto castigata e ben
calata nel ruolo. Ricorda in un’intervista rilasciata a Cine 70 nel 2003 che immaginava di trovare un attore alto, bruno,
molto mediterraneo e che restò sorpresa nel vedere un ragazzo piccolo, magro e
ossigenato. Sonia Viviani viene accolta bene dal pubblico partenopeo durante la
prima, nonostante il suo ruolo sia da malafemmina,
ma rientra nei caratteri tipici della sceneggiata anche la donna fatale che fa
morire di crepacuore la madre del protagonista. I Fatebenefratelli se la cavano
discretamente nella parte comica, restando coinvolti persino nel finale
drammatico.
I dialoghi sono artefatti e carichi di patos
drammatico, da pura sceneggiata napoletana; nel finale il melodramma diventa ancora
più commovente, non si resta insensibili alla morte della madre mentre Nino
canta in televisione e poco dopo accorre al capezzale per finire sul lungomare a
intonare musica e parole struggenti. La musica di Nino D’Angelo è tra le cose
migliori del film, cambia tonalità a ogni sviluppo della storia, come da
lezione del miglior melodramma. La durata di 117’ sconcerta, se si pensa che
tutto deriva da una canzone, ma molto contribuisce la parte comico - farsesca
che , come abbiamo detto, è un film nel film.
Alcuni giudizi critici, tutti impietosi. Paolo
Mereghetti (una stella): “Il climax del film è la scena della morte della mamma
mentre il figlio canta Celebrità in
televisione. D’Angelo è meno legnoso quando a dirigerlo è Mariano Laurenti”.
Pino Farinotti (una stella): “Tutto come la sceneggiata impone: il povero
ragazzo ingenuo si fa traviare dalle cattive compagnie e tenta la strada del
canto. Finisce in prigione. Ma mamma muore e lui capisce il senso della vita”.
Morando Morandini (due stelle): “Melodramma canoro di produzione partenopea che
affonda le radici nella gloriosa tradizione della sceneggiata. Strappalacrime e
con qualche sdolcinatura di troppo, ma gli interpreti funzionano e le canzoni
pure”. Marco Giusti (Stracult): “Primo
film di Nino D’Angelo. Lo dirige Ninì Grassia. È un successo. Nino D’Angelo,
già gelataio alla stazione ferroviaria di Napoli e cantante di matrimoni, viene
scoperto da Grassia a teatro, dove si esibiva alla grande”. Per vedere il film: https://www.youtube.com/watch?v=pmNr3IHGv94
Regia: Stefano Simone. Origine: Italia. Durata: 20'. Musica: Luca Auriemma.
Soggetto e Sceneggiatura: Sabrina Gonzatto. Distribuzione: X-Movie
Internazional (Amazon Prime Video). Interpreti: Veronica Cataraga, Davide Frea,
Giulio Fraglia.
Stefano Simone è un regista pugliese che conosco da
tempo, ho potuto apprezzare l’intera produzione sia di video clip che di
lungometraggi, collaborando con lui per alcuni progetti legati al cinema noir (Gli scacchi della vita, Cattive storie di provincia …) e due documentari
letterari (Il cielo sopra Piombino, Litania su Piombino). In questa sede analizziamo
un breve video girato a Torino che potrete trovare in distribuzione su Amazon
Prime Video, in Italia e Stati Uniti, grazie a X-Movie Internazional. Stefano
Simone ama occuparsi di problemi sociali, dalla piaga del bullismo (Fuoco e fumo, 2017) al degrado
provinciale, passando per il disagio giovanile, il divorzio e la
bigenitorialità (L’accordo, 2018). Una rosa blu parla di pedofilia e di
rapporti amorosi estorti ma anche del ruolo che scuola e società possono
giocare nella normalizzazione di situazioni pericolose. La storia vede
protagonista una ragazzina che frequenta un istituto tecnico, figlia unica di
una madre che da un po’ di tempo vede un nuovo compagno, purtroppo interessato
anche a lei in modo malsano. Un preside che sa ascoltare e un vero amore da
parte di un coetaneo faranno il miracolo di far venire alla luce il problema e
di affrontare alla radice quel che non va nel cuore della ragazzina.
Stefano Simone gira un corto molto teatrale, quasi
tutto ambientato in interni, gestendo bene campi e controcampi, alternando
brevi quanto riuscite sequenze di esterni che immortalano Torino, tra angoli
periferici, parchi cittadini e montagne innevate che fanno da cornice. Gli
attori sono tutti non professionisti, quindi si perdonano alcune incertezze e
una recitazione troppo impostata, ma il regista è bravo a gestire i lunghi
dialoghi e un argomento complesso. Notevole il simbolo della rosa blu tatuata,
importante per la ragazzina, ma che finisce per ricordare soltanto
un’esperienza negativa. La forza del breve filmato sta nelle scene girate in
esterno, rapide e concitate, in una fotografia livida e spettrale, nei brevi
flash che immortalano gesti dei protagonisti e in una macchina da presa che non
si lascia mai andare a movimenti banali e riprese scontate. Il film ha scopi
didattici, ma è un lavoro educativo - morale capace di raccontare una storia
d’amore toccante e un riscatto consapevole da una situazione di vita disperata.
Ottimo il sottofinale con i personaggi che si alternano sulla scena mentre una visione
di Torino dall’alto simboleggia speranza e fiducia nel futuro. L’amore trionfa,
la ragazzina prende coscienza di sé, abbandona il nero per colori sgargianti,
non ha paura di osare e di vivere una vera storia d’amore. Scritto da Sabrina
Gonzatto. Consigliata la visione ai giovani.