martedì 12 maggio 2015

Il caso Moro (1986)

di Giuseppe Ferrara


Regia: Giuseppe Ferrara. Soggetto: Robert Katz. Sceneggiatura: Giuseppe Ferrara, Robert Katz, Armenia Balducci. Fotografia: Camillo Bazzoni. Montaggio: Roberto Perpignani. Musiche: Pino Donaggio. Scenografia: Francesco Frigeri. Produttore: Mauro Berardi. Durata: 110’.Genere: Docu-fiction (biografico, drammatico, storico). Interpreti: Gian Maria Volonté (Aldo Moro), Margarita Lozano (Eleonora Moro), Daniela De Silva (Maria Fida Moro), Sergio Rubini (Giovanni Moro), Emanuela Taschini (Anna Moro), Mattia Sbragia, Bruno Zanin, Consuelo Ferrara, Enrica Maria Modugno, Enrica Rosso, Maurizio Donadoni, Stefano Abbati, Danilo Mattei, Massimo Tedde, Francesco Capitano, Augusto Zucchi, Franco Trevisi, Nicola Di Pinto, Pino Ferrara, Umberto Raho, Silverio Blasi, Paolo Maria Scalondro, Bruno Corazzari.

Il caso Moro di Giuseppe Ferrara è il miglior modo per far conoscere ai nostri giovani temi importanti come terrorismo, Brigate Rosse, rapimento Moro, stragi di Stato, in una parola l’intera stagione degli anni di piombo. Molti registi contemporanei credono di aver inventato la docu-fiction, ma hanno scoperto l’acqua calda, perché Giuseppe Ferrara (Castelfiorentino, 1932) - partendo dal giornalismo su carta e radiotelevisivo - è benemerito realizzatore di cortometraggi e lungometraggi capaci di unire spettacolo e realtà storica. A parte i molti documentari (tutti collegati ai problemi del paese), come autore di pellicole è un polemista di alto livello, capace di denunciare mali endemici che hanno sempre afflitto la società italiana: mafia, terrorismo e droga. I suoi lavori migliori e di maggior successo sono Cento giorni a Palermo (1984), Il caso Moro (1986), Giovanni Falcone (1993) e I banchieri di Dio (2002), opere di grande impegno civile che non dimenticano il rispetto per lo spettatore. Non è scontato. Il soggetto è tratto da I giorni dell’ira. Il caso Moro senza censure, di Robert Katz e racconta la storia seguendo brani di lettere scritte dallo statista. Non condividiamo lo sbrigativo giudizio di Mereghetti che lo definisce un film di maniera che resta a livello di generica indignazione.
Il caso Moro è un film che indaga senza remore e timori reverenziali i lati oscuri del rapimento dello statista democristiano e della successiva esecuzione. Ferrara segue l’esempio di Elio Petri (Todo modo, 1976) e decide che il miglior attore per interpretare Moro non può essere che Gian Maria Volonté. Il risultato gli dà ragione, perché l’interpretazione è misurata, non scade mai nella caricatura (come in Todo modo, dove il tono era grottesco), ed è capace di riflettere l’angoscia di un uomo tradito e abbandonato, condannato a morte dalle decisioni del suo partito. Volonté viene premiato come miglior attore protagonista al Festival di Berlino del 1987. Margherita Lozano riesce nel non facile compito di rappresentare la rabbia di Eleonora Moro nei confronti di un partito che decide sulla pelle del marito la linea della fermezza. Mattia Sbragia merita una menzione perché è molto bravo nei panni del carceriere di Moro, un brigatista integerrimo e ideologico con rari sprazzi di umanità.


La pellicola racconta i 55 giorni del rapimento fino al ritrovamento del corpo in via Caetani, a poca distanza dalla sede del Partito Comunista Italiano. Il regista mette in scena solo quel che poteva sapere nel 1986, quando non erano ancora venute fuori le tesi sul coinvolgimento di un ufficiale dei servizi segreti. Ferrara non poteva sapere neppure dei contatti tra Stato, camorra e banda della Magliana per cercare di individuare la prigione di Moro. Tra i fatti mai accaduti che il regista romanza: il non uso del passamontagna da parte dei brigatisti (per esigenze cinematografiche) e la visita nel covo di Don Stefani (Zucchi) per confessare Moro. Inutile raccontare diffusamente la trama - parte integrante di uno dei periodi più bui della nostra storia -, diciamo solo che il film non concede molto al romanzesco, ma racconta i fatti senza indulgere nelle opinioni e senza perdere di vista il lato spettacolare.


Ne viene fuori un docu-film che si gusta come un poliziottesco, pieno di tensione narrativa e di momenti altamente cinematografici. Tra le cose migliori la fusione tra telegiornali e documenti d’epoca che si alternano alla parte drammatica, recitata da attori ben calati nella parte. Un film cronaca costruito con lucidità e sdegno civile, senza timore di lanciare accuse precise nei confronti di servizi segreti e Democrazia Cristiana.

Pubblicata su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/

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