martedì 23 ottobre 2012

Per ricordare Sylvia Kristel

Sylvia Kristel (Utrecht, 1952 – Amsterdam, 2012)


Sylvia Kristel è una modella e attrice olandese, recita Wikipedia. Vero, quelle erano le sue professioni, il modo in cui l’incantevole figlia di Piet e di Jean Nicholas, educata con rigore secondo le regole della disciplina cattolica, si guadagnava da vivere. Indossatrice, chi l’avrebbe mai detto. Miss TV Europea, nel 1973. La sua bellezza apre molte porte, prime tra tutte quelle del cinema.


Sylvia debutta nel film erotico L’amica di mio marito (1973) del regista olandese Pim de la Parra, ma non ha intenzione di fermarsi in patria. Conosce lo scrittore belga Hugo Claus, gira il mondo, apprende diverse lingue: inglese, francese, tedesco e italiano. Per la carriera cinematografica le saranno utili. Just Jaeckin è il regista della sua vita che la consegna ai posteri e alla fama immortale con il personaggio di Emmanuelle, alla base del cult movie omonimo uscito nel 1974, girato sull’onda emotiva dello sconvolgente romanzo di Emmanuelle Arsan. Celebre “la scopatina in volo” di Sylvia Kristel, rimasta nell’immaginario giovanile, citata persino da pellicole italiane come Cattivi pensieri di Ugo Tognazzi.

La scopatina in volo

 Emmanuelle, croce e delizia della sua vita, proprio come il personaggio interpretato da Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, perché la Kristel non si libererà più dello stereotipo erotico, sarà condannata a replicare il ruolo di Emmanuelle per tutta la sua carriera. Nessuno la chiama per ruoli importanti, ma continua a sconvolgere turbe di adolescenti inquieti con un personaggio ricco di sequel: Emmanuelle l’antivergine (1975), Goodbye Emmanuelle (1977) ed Emmanuelle 4 (1983). L’Italia è nel futuro della bella olandese, molto amata dal pubblico maschile che sogna con lei, si lascia cullare da uno sguardo dolce e sensuale, candido e perverso.


Walerian Borowczyk la vuole come protagonista de Il margine (1976), un erotico d’autore, ma subito dopo ecco due pellicole italiane: Letti selvaggi (1979) di Luigi Zampa e Amore in prima classe di Salvatore Samperi (1980). Letti selvaggi, ultimo film di Zampa, è commedia erotica a episodi che presenta molte dive sexy del periodo. L’arabo, interpretato da una stupenda Sylvia Kristel e un impacciato Orazio Orlando, racconta la storia di un venditore di tappeti ripetutamente truffato da un’avvenente cliente. La moglie giovane, il secondo episodio interpretato da Sylvia Kristel insieme a un improbabile Enrico Beruschi, vede una bella consorte legare il marito noioso e scappare a Parigi. Le altre bellezze del film sono Laura Antonelli, Ursula Andress e Monica Vitti. La pellicola si compone di otto episodi dal buon contenuto erotico, girati con cura ed eleganza, mai volgari e molto femministi.


Amore in prima classe è un film minore di Samperi, una commedia modesta che si avvale della bella colonna sonora di Paolo Conte e Gianfranco Manfredi. Gli interpreti sono Enrico Montesano, Franca Valeri, Sylvia Kristel, Luc Merenda, Felice Andreasi, Gianfranco Manfredi e Christian De Sica. Montesano è un ragazzo padre che durante un viaggio in treno per andare in Calabria cerca di conquistare la disponibile paleontologa Sylvia Kristel, ma il figlio rovina tutto. La componente erotica è garantita dalla presenza della Kristel, si ride grazie a Montesano e Valeri, mentre De Sica fa un cammeo come venditore ambulante in frac.


L’amante di Lady Chatterley (1981) segna il ritorno della Kristel a farsi dirigere dal suo regista preferito, Just Jaeckyn, nel ruolo perverso di Lady Costanza, una Emmanuelle del passato, ma il film non produce lo stesso effetto conturbante del romanzo. La carriera della bella Kristel prosegue negli Stati Uniti con Lezioni maliziose (1981) di Alan Myerson, ma è un lavoro sfortunato, perché veste i panni di una bella francese che deve educare sessualmente il figlio di un ricco imprenditore. Molte scene vedono amoreggiare la trentenne Kristel con il sedicenne Eric Brown, per questo attrice e regista vengono denunciati per corruzione di minore. I fan di Sylvia, invece, sono delusi dal fatto che nella pellicola non si mostra mai nuda, ma è controfigurata dalla statunitense Judy Sheldon.


Un corpo da spiare (1984) è un altro erotico spinto che racconta la biografia a luci rosse di Mata Hari. Infine la Kristel partecipa a un lavoro nostalgico come Emmanuelle 7, noto come Emmanuelle forever (2001), ma è l’ultimo Emmanuelle della sua vita, dopo alcuni episodi realizzati per la televisione. Sylvia Kristel si trasferisce ad Amsterdam, con il figlio Arthur, pure lui attore. Nel 2006 pubblica la sua autobiografia, Nue (Nuda), per festeggiare i 54 anni, dove racconta per la prima volta la storia di una violenza carnale subita all’età di nove anni. In Italia il libro esce un anno dopo, con il poco consono titolo Svestendo Emmanuelle, e non gode di grande diffusione. Lavora ancora in Italia, nel 2009, per la precisione a Torino, nel cast del film TV Le ragazze dello swing, dove interpreta la madre delle tre sorelle olandesi Lescano. Il film va in onda nel 2010, su Rai Uno, in due puntate. È l’ultima occasione per vedere Sylvia Kristel, non più sogno erotico dei ragazzi italiani, ma signora cinquantasettenne segnata nel fisico da una grave malattia di cui soffre da tempo.

Una delle ultime foto

Il 12 giugno 2012, colpita da ictus, viene ricoverata ad Amsterdam. Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, muore nel sonno, lei che per anni ci aveva fatto sognare, lieve come una pioggia di primavera, come un mito di celluloide dei fatidici anni Settanta. Sylvia Kristel ha solo sessant’anni, eternamente giovane, bella e affascinante. Muor giovane colui che al cielo è caro, diceva qualcuno un po’ di tempo fa. 


Filmografia

L’amica di mio marito (1973)
Perché i gatti (1973)
Nuda dietro la siepe (1973)
Emmanuelle (1974)
L’usignolo e l’allodola (1974)
Un lenzuolo non ha tasche (1974)
Giochi di fuoco (1975)
Emmanuelle. L’antivergine (1975)
Une femme fidèle (1976)
Il margine (1976)
Alice (1977)
Tre simpatiche carogne (1977)
Goodbye Emmanuele (1977)
Pastorale  1943 (1978)
Mysteries (1978)
Letti selvaggi (1979)
The Fifth Musketeer (1979)
The Concorde… Airport ’79 (1979)
The Nude Bomb (1980)
Un amore in prima classe (1980)
Un bacio da un milione di dollari (1981) (TV)
L’amante di Lady Chatterley (1981)
Lezioni maliziose (1981)
American college (1983)
Emmanuelle IV (1984)
Una donna, una preda (1985)
Un corpo da spiare (1985)
Red Heat (1985)
Casanova (1987) (TV)
The Arrogant (1988)
Dracula’s Widow (1988)
In the Shadow of the Sandcastle (1990)
Hot Blood (1990)
Seong-ae-ui chimmuk (1992)
Eternelle Emmanuelle (1993) (TV)
La revanche d’Emmanuelle 81993) (TV)
Emmanuelle a Venise (1993) (TV)
L’amour d’Emmanuelle (1993) (TV)
Magique Emmanuelle (1993) (TV)
Le parfum d’Emmanuelle (1993) (TV)
Beauty School (1993)
Le secret d’Emmanuelle (1993) (TV)
Emmanuelle au 7ème ciel (1993) (TV)
De eenzame oorlog van Koos Tak (1 episodio, 1996) - Tante Heintje (1996) Episodio TV
Onderweg naar morgen (1994) Serie TV
Die Sexfalle (1997) (TV)
Gaston’s War (1997)
Harry Rents a Room (1999)
Film 1 (1999)
An Amsterdam Tale (1999)
Lijmen/ Het been (2000)
Die Unbesiegbaren (2000) (TV)
Vergeef me (2001)
De vriendschap (2001)
Sexy Boys (2001)
Emmanuelle 7 - Emmanuelle forever (2001)
Bank (2002)
Two Sunny Days (2010)
Le ragazze dello  swing (2010) (TV)


Emanuelle nera e l’erotismo anni Settanta

Mi sono occupato di Sylvia Kristel indirettamente, nel libro Erotismo, orrore e pornografia secondo Joe D’Amato, parlando della serie apocrifa Emanuelle, interpretata da Laura Gemser. Ripropongo in questa sede una parte del capitolo.

Laura Gemser, Emanuelle nera

Il filone esotico-erotico viene inaugurato in Italia da film come Bora Bora di Ugo Liberatore (1968) e da Io Emanuelle di Cesare Canevari (1969) con la bella Erika Blanc. Prosegue con Incontro d’amore a Bali sempre di Ugo Liberatore (1970) e con il mitico Il dio serpente di Piero Vivarelli (1970) che vede per la prima volta sul grande schermo la reginetta sexy Nadia Cassini. Poi vengono tutti i film con protagonista Zeudi Araya (soprattutto La ragazza dalla pelle di luna del 1972 e La peccatrice del 1975). Per una trattazione completa della materia consigliamo il bel volume di Antonio Tentori e Antonio Bruschini dal titolo Malizie perverse (Granata Press, 1993).

Emanuelle nera (1975)

La serie di Emanuelle nera viene affidata a Joe D’Amato sulla scia del successo del film francese Emmanuelle (l’originale va scritto con due emme!), diretto da Just Jaeckin nel 1973 e interpretato dall’affascinante  Sylvia Kristel. Il film è una diretta filiazione dei romanzi sconvolgenti di Emmanuelle Arsan e dà il via a una serie di pellicole francesi, che hanno per protagonista una ricca e annoiata signora sposata con un uomo d’affari che passa le sue giornate esperimentando le gioie del sesso. La serie italiana è apocrifa e per evitare l’accusa di plagio il regista ribattezza la protagonista Emanuelle (con una emme sola) e la raffigura come una bella giornalista di colore che gira il mondo a caccia di scoop e di avventure erotiche. L’attrice simbolo di questa serie è Laura Gemser, una stupenda indonesiana dal corpo perfetto, generosamente esibito pellicola dopo pellicola.

Il mio libro su Laura Gemser

La Gemser fu la prima attrice a interpretare questo ruolo ma non fu Joe D’Amato a inventare la serie apocrifa. Il primo film è Emanuelle nera (noto in tutto il mondo come Black Emanuelle per merito della canzone) di Albert Thomas (l’italianissimo Bitto Albertini), girato nel 1975. La pellicola fu un successo, soprattutto per la bellezza sconvolgente di Laura Gemser (che viene citata con il nome d’arte Emanuelle nei titoli di testa e di coda) e per la stupenda musica di Nico Fidenco. Albertini prelevò la bella indonesiana da un film della serie originale Emmanuelle dove interpretava il ruolo di massaggiatrice nuda di Sylvia Kristel (si veda Emmanuelle l’antivergine di Francis Giacobetti). Laura Gemser è Mary Johnson, una fotoreporter che ama viaggiare e fare l’amore. La mitica canzone Black Emanuelle è eseguita dal gruppo dei Bulldog ma c’è anche Don Powell che canta Un amore impossibile. Il film è ai limiti dell’hard e Laura Gemser si serve di una controfigura per le scene più calde. Sul set di Black Emanuelle la Gemser conosce il futuro marito Gabriele Tinti.


Sylva Kristel è un mito internazionale. Ne è prova questo articolo pubblicato da El Nuevo Herald di Miami, scritto da Gina Montaner.


In ricordo di Sylvia Kristel
di Gina Montaner – da El Nuevo Herald

La prima e-mail che ho ricevuto lo scorso giovedì è stata di un amico spagnolo che si lamentava della scomparsa di uno dei miti erotici degli ultimi tempi. Sylvia Kristel, la protagonista del film Emmanuelle, era morta a soli sessant’anni. Per una questione di età e di comuni esperienze, il mio amico sapeva che poteva condividere con me un ricordo che oggi come oggi non significa niente per molti giovani. Quando il regista francese sconvolse il mondo, nel 1974, con le avventure sessuali di una modella nell’esotica Tailandia, in Spagna vivevamo gli ultimi anni del franchismo. Un anno dopo moriva Franco e i suoi oltre trent’anni di regime autoritario si stemperarono in una transizione verso la democrazia che portò, tra gli altri cambiamenti, la fine della censura e un’ondata di nudo al cinema. Mentre in gran parte del mondo debuttava Emmanuelle, in Spagna giungevano soltanto gli echi di un successo al botteghino e le immagini clandestine della bella e sensuale Kristel, un’attrice olandese dai grandi occhi azzurri e le movenze morbosamente languide. Gli uomini spagnoli, compreso il mio nostalgico amico, sognavano quell’oscuro oggetto del desiderio. Fu così grande il furore che scatenò la foto del cartellone pubblicitario, in cui Sylvia Kristel mostrava le sue grazie comodamente seduta in una sedia di vimini, che si moltiplicarono i pellegrinaggi verso il sud della Francia per vedere la bramata pellicola, con il desiderio di chi vuole addentare un frutto proibito.

Un nudo artistico

Nel 1974, tre anni prima che fosse eliminata la censura in Spagna, frequentavo un gruppo di adolescenti snob dedito al cinema artistico e sperimentale. Con la pazienza che solo un giovane possiede, vedevamo per intere giornate le pellicole di Godard, Bresson e Pasolini. I miei genitori, in compenso, con spirito più giocoso, se ne andarono fino a Perpiñán per non perdersi le peripezie della sfrontata Emmanuelle. Di quell’epoca, che annunciava una ventata di libertà sul punto di arrivare dal sud dei Pirenei, ancora conserviamo una foto del poster di Emmanuelle nella bella località costiera del paese francese.

Maria Schneider

Sylvia Kristel è morta e poco più di un anno fa anche un’altra musa del cinema erotico, María Schneider, ci ha lasciato. Se la prima fu Emmanuelle per sempre, la seconda fu la ragazza che s’imbarcò in un’avventura con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi. Bernardo Bertolucci possedeva più talento di Jaeckin e nel 1972 provocò uno scandalo mondiale con la torrida storia d’amore tra la giovanissima Schneider e un maturo Brando disposto a impartire lezioni erotiche alla sua discepola. In Spagna abbiamo dovuto attendere cinque anni prima di vedere questo classico del regista italiano. 

Emmanuelle 7

Alla fine degli anni Settanta esordiva la democrazia e la Movida madrilena muoveva i primi passi, coinvolgendo Pedro Almodóvar e gruppi musicali come Nacha Pop e Alaska y los Pegamoides. Sebbene con ritardo era giunta l’ora di vedere Ultimo Tango ipnotizzati dal sax di Gato Barbieri. E se i miei genitori fecero un’escursione fino in Francia per vedere Emmanuelle, un giorno io scappai di collegio per vedere al cinema Azul della Gran Vía l’impossibile storia d’amore tra un americano e una ragazza parigina. L’episodio del burro era solo un aneddoto negli incontri crepuscolari tra due persone in crisi in un appartamento parigino.


Comprendo la malinconia del mio amico nel ricordare la Emmanuelle dei suoi sogni giovanili. La perdita di Sylvia Kristel, e i suoi grandi occhi azzurri, è un modo per rammentare le cose che abbiamo fatto. La trasgressione di Perpiñán. La scoperta del maestro Bertolucci una sera che abbiamo marinato la scuola. La donna adagiata nella sedia di vimini. I nostri verdi anni … 




Articolo e Traduzione di Gordiano Lupi

lunedì 22 ottobre 2012

Tutti i santi giorni (2012)

di Paolo Virzì


Regia: Paolo Virzì. Soggetto: Liberamente tratto dal romanzo La generazione di Simone Lenzi. Sceneggiatura: Paolo Virzì, Simone Lenzi, Francesco Bruni. Fotografia: Vladan Radovic. Montaggio: Cecilia Zanuso. Scenografia: Alessandra Mura. Costumi: Maria Cristina La Parola. Trucco: Massimo Gattabrusi. Musiche: Thony (Federica Victoria Caiozzo). Sigla di coda: Simone Lenzi (Tutti i santi giorni). Produttore: Elisabetta Olmi. Produzione: Motorino Amaranto, Rai Cinema. Distribuzione: 01. Girato: Lazio (Roma, Acilia) e Sicilia. Interpreti: Luca Marinelli, Thony, Katie Mc Govern, Micol Azzurro, Frank Crudele, Robin Mugnaini, Fabio Gismondi, Benedetta Caselli. 

Paolo Virzì

Paolo Virzì gira una commedia romantica che spesso scade nel grottesco, passabile per tutto il primo tempo, persino ironica e divertente, ma decisamente sopra le righe per tutta la seconda parte, fino a risultare fastidiosa e poco credibile. Tutti i santi giorni ha pure il torto di arrivare dopo un piccolo capolavoro di poesia come La prima cosa bella, oltre al fatto che da Virzì ci attendiamo sempre il massimo e non uno scadente film alimentare.

Thony - Marinelli

In sintesi la trama. Guido (Marinelli) e Antonia (Thony) sono una coppia male assortita ma molto innamorata, lui viene dalla Val d’Orcia ed è figlio di docenti universitari, lei è una ragazza scappata di casa che vorrebbe fare la cantante. Vivono alla periferia di Roma, lui fa il portiere di notte ma è un ragazzo intelligente, laureato in letterature classiche, che per restare accanto alla sua bella rinuncia a un posto negli Stati Uniti come docente universitario. Antonia lavora in un autonoleggio e scrive canzoni nella speranza di avere successo.

Luca Marinelli e Thony

Il titolo del film è il leitmotiv della storia: Guido rientra dal lavoro e ogni mattina sveglia Antonia con la colazione a letto e la storia del santo quotidiano. I due ragazzi sono felici ma c’è qualcosa che manca alla loro unione: un figlio. Il desiderio si fa pressante, provano diverse strade, medici e consultori, infine optano per la fecondazione assistita. Il tentativo non va a buon fine, Antonia perde la testa, tradisce Guido con il primo che capita, scappa di casa, lui sprofonda nella disperazione, in un crescendo di disavventure davvero fuori luogo. Il lieto fine che prevede il matrimonio in Sicilia è la cosa più assurda di una storia bislacca, raccontata male, spesso fastidiosa, decisamente inutile.

Il regista con i due protagonisti

Tutti i santi giorni è senza dubbio il peggior film di Paolo Virzì, alla sua decima prova dietro la macchina da presa, che decide di raccontare una storia d’amore tra due persone diametralmente opposte per carattere, cultura e origini familiari. Guido è un bel personaggio e soltanto la bravura di Luca Marineli salva la pellicola da un giudizio ancora più negativo. Antonia è una figura raccontata molto sopra le righe, interpretata dalla debuttante Thony, molto brava come musicista ma con scarse doti da attrice. La colonna sonora ne guadagna non poco, ma il film meno. Apprezziamo l’ironia di alcune battute, il tono farsesco di certe situazioni, ma troviamo spiazzanti le caratterizzazioni dei personaggi di contorno, troppo trucidi per essere veri. I personaggi sono tratteggiati con poco spessore, a tinte monocordi, persino il protagonista è troppo buono, eccessivo nella sua dose di sopportazione di tutte le angherie pur di coronare un sogno d’amore. Virzì si fa prendere la mano da Simone Lenzi, autore di un libro scadente che affascina il regista, mentre l’apporto di Francesco Bruni, della sua poetica minimalista resta in secondo piano.

Marinelli e la debuttante Thony

Leggiamo alcune dichiarazioni di Paolo Virzì, raccolte sulla stampa specializzata (Vivi il Cinema, ottobre 2012) che compongono una sorta di interpretazione autentica.

I protagonisti nella neve

“Stavolta ho tenuto a bada lo spiritaccio sarcastico, anche se non ho rinunciato all’ironia, alle note buffe e anche tristi. Mi piaceva l’idea di celebrare la storia d’amore di questi due giovani che si adorano, nonostante il mondo gelido e feroce intorno a loro. È un film romantico, mi sa. Abbiamo spostato l’ambientazione a Roma e abbiamo messo questi due sradicati a vivere nella periferia metropolitana. Guido è un toscano della Val d’Orcia e viene da una famiglia di intellettuali prestigiosi. È un grande studioso latinista, uno dei maggiori conoscitori di santi e martiri proto - cristiani con alle spalle studi umanistici che avrebbero potuto portarlo chissà dove. Invece fa il portiere di notte, senza nessuna recriminazione o rimpianto. Si è accomodato a fare questa vita minuscola per stare appiccicato ad Antonia, che lavora come impiegata in un autonoleggio ma in realtà sarebbe una cantautrice. Ogni tanto canta in un locale canzoni struggenti nell’indifferenza generale, o si esibisce a beneficio dei vicini di casa, che le chiedono di fare Grazie Roma. Il suo unico devoto fan è il fidanzato. Sono entrambi dei talenti sotto - utilizzati, come ormai è regola che non scandalizza più nessuno. Presi singolarmente, Guido e Antonia sarebbero dei disadattati. Lui è un erudito d’altri tempi, parla lingue morte e vive nella propria mente. In fondo fa volentieri il portiere di notte perché può starsene tranquillo a leggere e a pensare. Lei è una sciagurata con un passato da ragazzaccia punk, spavaldamente ignorante ma vivace, vitale e bisbetica. Per il suo caratteraccio è presa di mira dal responsabile della filiale dove lavora e potrebbe essere licenziata da un giorno all’altro. Però messi insieme, questi due esseri così fragili diventano qualcosa di potentissimo, oltre a creare un meccanismo da commedia perfetto.

Thony

Questo amore così potente, che scalda il cuore, a un certo punto arriva sul punto di esplodere. Lei soprattutto sembra  intenzionata a buttare tutto all’aria per la frustrazione del bambino che non arriva. Il libro è stato decisamente trasformato in sceneggiatura ma il personaggio di Guido è rimasto fedele. Ci ha ispirato una qualità inconsueta nel panorama delle narrazioni all’italiana, ovvero quel suo essere tenacemente e pazientemente innamorato della compagna. Abbiamo complicato ulteriormente le carte rendendo il personaggio femminile irrequieto e sempre sull’orlo di sbottare e impazzire. Quando poi la vicenda sentimentale prende una piaga critica, nel film si aprono le pagine che nel libro non ci sono. Per i protagonisti volevo due attori del tutto ignoti, se possibile, per restituire quell’aria di verità, di storia realmente accaduta che avevo percepito nelle pagine di Simone. Per il ruolo di Guido ho fatto tanti provini a molti non attori, giovani registi, cantanti, anche a Simone Lenzi. Però poi mi ha conquistato Luca Marinelli, che avevo visto ne La solitudine dei numeri primi e ne L’ultimo terrestre, perché ha questa timidezza, questa dolcezza che corrisponde al personaggio, o perlomeno è stato capace di portarmela. Per Antonia, che nel racconto fa la cantante professionista, più che cercare un’attrice ci siamo subito indirizzati verso una cantante, che portasse nel film il suo vissuto e le sue canzoni. Ci siamo imbattuti in questo tipo un po’ curioso, Federica Victoria Caiozzo, che si è scelta un nome d’arte da elettrodomestico: Thony. Canta in inglese, pur essendo siciliana, ha una bella faccia che ispira un’aria di vivacità e insieme di dolore, è imbronciata, ombrosa e anche un po’ matta. Lei è del tutto inedita, non solo non aveva mai recitato, ma non desiderava neanche farlo. Abbiamo dovuto convincerla perché la cosa non la entusiasmava troppo. Nel film ci sono tante sue canzoni originali, bellissime. Ha veramente un talento incredibile”.


Il Trailer ufficiale: http://www.youtube.com/v/yqtfywGOI80&fs=1&source=uds&autoplay=1


Gordiano Lupi

venerdì 19 ottobre 2012

Porgi l’altra sberla - L’eredità dello zio buonanima (1974)

di Alfonso Brescia


Regia: Alfonso Brescia. Soggetto: Antonino Russo-Giusti (commedia omonima). Adattamento e Sceneggiatura: Roberto Gianviti. Aiuto Regista: Filippo Perrone. Direttore delle Luci (Fotografia): Franco Villa. Montaggio: Liliana Serra. Operatore alla Macchina: Gianfranco Turini. Architetto e Arredatore: Romeo Costantini. Truccatore: Andrea Riva. Segretaria di Edizione: Giuliana Gherardi. Ispettore di Produzione: Augusto Dolfi. Produzione: Canguro Produzioni Internazionali Cinematografiche. Musiche: Roberto Pregadio (Nationalmusic, Milano). Realizzazione: Luigi Mondello. Teatri di Posa: De Paolis - Incir. Interpreti: Franco Franchi, Riccardo Garrone, Patrizia Gori, Franco Ressell, Andrea Lala, Grazia Di Marzà, Maria Bosco, Enzo Monteduro, Renato Pincirolli, Gaetano Balestreri, Enzo Andronico, Tonino Accolla, Dante Cleri, Renato Malavasi, Maria Morales, Grazia Spadaro, Consalvo Dell’Arti, Alberto Postorino.


L’eredità dello zio buonanima è una vecchia pochade teatrale scritta da Antonino Russo-Giusti, adattata per il grande schermo da Roberto Gianviti, ma resa ai minimi termini da Alfonso Brescia che gira con il consueto stile trasandato. La storia si racconta in poche battute, non regge una sceneggiatura da lungometraggio, per pochezza di spessore e scarsità di trovaste comiche. Un ricco zio muore, tutti vorrebbero ereditare, Franco è convinto di essere il nipote prediletto, in realtà è proprio vero, ma se ne rende conto soltanto dopo una serie di malintesi. L’eredità è il filo conduttore del film, contesa, perduta, ritrovata, alla fine contenuta in un quadro di grande valore, dopo il fallimento della banca dove era stato versato il denaro. Alla fine tutti contenti e, per sottolineare la teatralità del film, Franco si rivolge al pubblico con un saluto da palcoscenico: “Speriamo che sia contento anche questo rispettabile pubblico”.


Non è facile contentarsi di così poco, pur con tutta la stima per Franco Franchi, che si impegna non poco per salvare il salvabile con la sua faccia di gomma, incline a smorfie di ogni tipo. Bene anche Riccardo Garrone come notaio che soffre di un equivoco tic nervoso e tutto sommato anche Enzo Monteduro, fratello pittore dal cuore d’oro. Patrizia Gori è la bellezza femminile ma si nota poco ed è un elemento marginale. Pessima Grazia di Marzà, litigiosa sorella di Franco. Nella pellicola recitano tutti gli elettrodomestici di Franco Franchi, a parte Nino Terzo e Lino Banfi che hanno preso altre strade. Riconosciamo Dante Cleri (il medico), Enzo Andronico (il pasticcere marito della sorella), Tonino Accolla, Mario Malavasi e Consalvo Dell’Arti.


Ottima la colonna sonora a base di musica siciliana, composta da Roberto Pregadio, che abbonda in scacciapensieri e ritmi da avanspettacolo. Alfonso Brescia ci mette del suo per peggiorare il tutto: zumate fuori luogo, macchina da presa che insegue gli attori, riprese sghembe, inutili primi piani, pellicola sporca, effetti speciali risibili. Il film si salva solo per il tono dichiaratamente trash, per alcune citazioni di generi popolari come la sceneggiata, il western e le comiche del periodo muto. Vediamo una sequenza in cui Franco Franchi cammina sotto la pioggia e si muove come Charlie Chaplin, così come troviamo epocale la scena in pasticceria tra torte in faccia, uova sbattute in testa e bagni di farina.

Il dvd non è uscito, resta la VHS DE Agostini

Le battute sono insipide e le trovate potrebbero funzionare a teatro, ma al cinema si perdono tra pessimi dialoghi che non funzionano. Manca una spalla efficace. Manca un Ciccio Ingrassia, che è molto più di una spalla. Alcuni girotondo e diverse canzoncine sono dei miti del trash, mentre una delle parti migliori si svolge nello studio del notaio quando viene aperto il testamento. La farsa termina con un quadro di Caravaggio ritrovato che fa diventare ricco Franco e riunisce la famiglia.

Alberto Postorino è il ricco e goloso Don Fefè

Un film modesto, difficile da salvare e da recuperare, pur con tutta la buona volontà. Una dimostrazione in più di quanto possa contare il regista nell’economia di una pellicola. Alfonso Brescia ha girato di tutto, ma non ricordo un solo film da salvare. Marco Giusti su Stracult esprime un giudizio simile: “Curiosa rielaborazione del cinema basso anni Settanta della vecchia commedia di Russo Giusti. Ma è anche uno dei rari film di Franco Franchi da solo in cerca di un successo. Forse Alfonso Brescia, oltre a non conoscere bene il protagonista, non è il regista più fine per un’operazione del genere e il cast secondario è di grana un po’ grossa, ma il film è una rarità…”. Pino Farinotti concede addirittura due stelle ma senza motivare. Morando Morandini conferma le due stelle, ma non racconta neppure la trama e aggiunge che per il pubblico vale tre stelle. Una tantum condivido il caustico giudizio di Paolo Mereghetti: “Dopo il litigio con Ingrassia, Franchi cerca nuove strade e si affida alla commedia di Antonino Russo-Giusti (già portata sullo schermo nel 1934 da Amleto Palermi) ma nella classica parte dell’erede trombato non va più in là della farsa e del solito campionario di smorfie”.

Ancora Postorino (discreto) con la Di Marzà (pessima)

Concordiamo che la pellicola meriti una sola stella e che non sia da consigliare, ma il solo motivo d’interesse resta la convincente interpretazione di Franco Franchi. Regia e sceneggiatura, invece, lasciano molto a desiderare. Il giudizio complessivo è negativo.


Gordiano Lupi

mercoledì 17 ottobre 2012

Ghost Son (2006)


di Lamberto Bava


Ghost Son (2006) segna il ritorno di Lamberto Bava sul grande schermo con un film scritto e sceneggiato insieme a Silvia Ranfagni e realizzato in Sudafrica da una ricca produzione internazionale. Lamberto Bava aveva già fornito una buona prova con The Torturer (2005), ma con questo lavoro girato su pellicola torna a livelli di eccellenza. Sorprende trovarsi a leggere giudizi sprezzanti e negativi su una pellicola che consiglierei senza mezzi termini, perché molto superiore alla media delle produzioni italiane. Vediamo la trama.

Pete Postlethwaite  e Laura Harring

Stacey e Mark vivono una storia d’amore che supera i confini della vita, perché quando il ragazzo muore la donna continua a sentirlo vicino, sogna di fare l’amore e sente le sue parole. Mark spinge Stacey a seguirlo per tornare di nuovo insieme, cerca di farla suicidare, ma un medico la salva dopo che si è tagliata le vene. Un rapporto sessuale, non sappiamo quanto reale o immaginario, fa nascere Martin, un bambino che mostra strani poteri e incredibili reazioni. Morde la madre mentre succhia il latte e si ritrae con la bocca sporca di sangue, vomita spruzzi di cibo liquido stile L’esorcista, cammina come un bambino grande e si trasforma nel padre… Il film è caratterizzato da grandi momenti di suspense durante i quali realtà e fantasia si confondono.


Lo spettatore non comprende se il bambino è indemoniato perché figlio del fantasma o se la madre sta impazzendo. Il regista risolve bene la tensione narrativa, ricorre a un’ottima fotografia africana tra gazzelle, elefanti, giraffe, tramonti e spettacolari riprese di un cielo azzurro, spesso percosso da improvvise piogge torrenziali. Gli attori sono molto bravi, ma una segnalazione a parte la merita Laura Harring, credibile come donna innamorata e terrorizzata che fa rivivere il fantasma del compagno e cerca di salvare la vita al figlio. John Hannah è un ottimo Mark, sensuale quanto basta e inquietante durante le apparizioni da fantasma che tormenta la povera Stacey. Diligenti anche Pete Postlethwaite (il medico) e Mosa Kaiser (la bambina africana). Meno in forma l’italiana Carolina Cataldi Tassoni che interpreta l’amica Beth, ma in ogni caso il suo ruolo è marginale.

Laura Harring e John Hannah

Il film ricorda a tratti Ghost di Jerry Zucker (1990), perché la tematica del grande amore che va oltre la vita terrena è identica, anche se qui abbiamo un fantasma in versione horror. La pellicola è un vero e proprio horror romantico, sulla falsariga di lavori come La morte ha sorriso all’assassino e di Buio omega, entrambi del compianto Aristide Massaccesi.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

domenica 14 ottobre 2012

I tartassati (1959)


di Steno

Regia: Steno. Soggetto e Sceneggiatura: Aldo Fabrizi, Roberto Gianviti, Ruggero Maccari, Vittorio Metz, Steno. Fotografia: Marco Scarpelli. Montaggio: Eraldo Da Roma. Musiche: Piero Piccioni. Scenografia: Giorgio Giovannini. Costumi: Ugo Pericoli. Trucco: Marcello Ceccarelli. Produzione: Mario Cecchi Gori per Maxima Film, CEI Incom, Champs - Élysées Productions. Distribuzione: CEI Incom. Interpreti: Totò, Aldo Fabrizi, Ciccio Barbi, Miranda Campo, Anna Campori, Cathia Caro, Louis De Funès, Luciano Marin, Piera Arico, Elena Fabrizi (Sora Lella), Cesare Fantoni, Ignazio Leone, Anna Maria Bottini, Fernard Sardou, Nando Bruno, Jean Bellenger, Gianna Cobelli, Lamberto Antinori, Jacques Dufilho.


I tartassati (1959) è un buon film interpretato da Totò nei panni di un evasore fiscale, in coppia con Aldo Fabrizi, maresciallo di finanza che cerca di incastrarlo. Terzo attore comico, voluto dalla produzione francese, un ottimo Louis De Funés, come consulente fiscale. L’amore che sboccia tra i rispettivi figli (Luciano Marin e Cathia Caro) complicherà le cose, ma servirà a far diventare amici i due rivali. Steno lascia liberi i due comici di scatenarsi in una serie di duetti esilaranti e Totò conferma la predilezione per un regista che lo dirige nei suoi migliori personaggi.


I tartassati è un Guardie e ladri (1951) in tono minore, più leggero, in sintonia con i temi del neorealismo rosa e non ancora vera e propria commedia all’italiana. Se nel famoso film del 1951, Totò rubava per necessità, quindi era moralmente giustificato, qui truffa per avidità, non versando all’erario quanto dovuto. I toni sono più leggeri, spesso farseschi, ma Totò è grande nei panni di un laido evasore fiscale che tenta con ogni mezzo di corrompere  il maresciallo. Il personaggio di Aldo Fabrizi è ben delineato da Steno come un uomo povero ma incorruttibile, deciso a fare il suo dovere e a respingere ogni tentativo di amicizia interessata. Ottima anche la parte da neorealismo rosa, l’amore tra i rispettivi figli, che non fa cambiare idea al maresciallo, deciso a multare Totò per le inadempienze.

Di ritorno dalla caccia, la scena dell'incidente

Lieto fine assicurato, con Totò che pare redimersi dopo aver tentato di rubare al maresciallo la borsa con i documenti che lo incastravano. Commedia degli equivoci, malintesi, doppi sensi, comicità tipica di Totò, verbale e fisica, gli ingredienti di un film riuscito ci sono tutti. Oltre a questo c’è una storia che affronta un problema reale, raccontata con garbo e sceneggiata senza punti morti o lungaggini eccessive.

De Funès, Totò, Fabrizi

La pellicola vive su momenti di puro teatro comico, presenta dialoghi esilaranti tra Totò e Fabrizi, ma anche molti scambi di battute tra il Principe e De Funès (“Ragioniere, ragioni!”). Totò dice del collega francese: “Il linguaggio della comicità è universale. Ci capiamo bene anche se io non so una parola di francese e lui non conosce l’italiano”.  Il film esce in Francia come Fripouillard et Cie, sempre nel 1959, ma con un montaggio diverso e alcune scene aggiuntive che accentuano la presenza di De Funès, attore molto noto in patria. Vediamo diverse sequenze in galera, dove il consulente fiscale viene condotto dopo essere stato arrestato come bracconiere.

Qui c'è anche la bella Cathia Caro

Altri paesi dove il film è esportato, nella versione italiana: Portogallo, Brasile, Spagna e Grecia. Incasso notevole (oltre 392 milioni di lire per circa due milioni e mezzo di spettatori), grande successo di pubblico e buona attenzione critica. Una commedia garbata che fa leva su personaggi indovinati per raccontare una piccola storia italiana di ordinaria evasione fiscale.

La caccia. "Alzare il cane", secondo Totò...

Terzo film interpretato da Totò e Fabrizi insieme, dopo Guardie e ladri (1951) e Una di quelle (1953), diretto dallo stesso Aldo Fabrizi. La coppia Totò - Fabrizi funziona bene come quella Totò - Peppino, anche se i ruoli sono leggermente diversi. La caratteristica di Fabrizi è di essere meno succube (in tutti sensi) di Totò rispetto al collega De Filippo, l’attore romano dà vita a personaggi di forte personalità che non cedono di fronte alla furbizia del comico napoletano. Alcune sequenze del film vengono inserite in un video promozionale del Ministero delle Finanze per convincere gli italiani a pagare le tasse.

In ospedale, dopo l'incidente

Tre stelle è il giudizio quasi unanime della critica italiana, a parte Mereghetti che si ferma a due. Da rivedere.

Per vedere parte del film: http://www.youtube.com/watch?v=SNgxe8eLR0w


Gordiano Lupi

sabato 13 ottobre 2012

I due evasi di Sing-Sing (1964)

di Lucio Fulci


Regia: Lucio Fulci. Soggetto: Marcello Ciorciolini. Sceneggiatura: Marcello Ciorciolini, Lucio Fulci. Architetto: Saverio D’Eugenio. Scenografo: Giuseppe Ranieri. Costumista: Vera. Effetti Speciali: Sergio Canevari. Musiche: Ennio Morricone (nei titoli Moriconi!), edizioni musicali Firmamento. Montaggio: Ornella Micheli. Fotografia: Adalberto (Bitto) Albertini. Organizzatore Generale: Antonio Colantuoni. Direttore di Produzione. Jacopo Comin. Interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Arturo Dominici, Gloria Paul, Alicia Brandet, Attilio Dottesio, Omero Gargano, Poldo Bendandi, Renato Terra, Vittorio Bonos, Freddy Mack, Livio Lorenzon, Enzo Andronico, Nino Terzo, Lino Banfi, Mimmo Poli.


I Due Evasi di Sing-Sing è un film scritto da Marcello Ciorciolini, che sarà un regista importante per implementare il fenomeno del Franco e Ciccio movie. Trovata divertente nei titoli di testa con gli attori presentati come se fossero dei veri detenuti, con schede segnaletiche e impronte digitali. Fulci ama molto questo film, lo ritiene il suo lavoro comico più riuscito, molte scene, soprattutto di boxe, sono davvero ben fatte. Tra gli interpreti le affascinanti Gloria Paul e Alicia Brandet, come donne dei nostri eroi. Arturo Dominici, Enzo Andronico, Nino Terzo, Lino Banfi e Mimmo Poli sono la factory di Franco e Ciccio, immancabili presenze di contorno delle loro pellicole. Lucio Fulci li definisce gli elettrodomestici di Franco e Ciccio.


Franco e Ciccio sono i cugini Bacalone, reclusi nel carcere di Sing-Sing a causa della loro maldestra attitudine a cacciarsi nei guai. Si comincia con la sequenza da avanspettacolo della mancata esecuzione, davvero esilarante, con Franco che prima implora di vedere suo figlio prima di morire per poi confessare: “Ancora non è stato concepito, ma se mi date la possibilità…”. I nostri eroi staccano la corrente e affrontano impavidi la sedia elettrica, ma alla fine scoprono che sono destinati a morire in una camera a gas con una pastiglia di cianuro.

Errore o pseudonimo?

I toni sono da farsa carceraria, una parodia gustosa del prison-movie drammatico, in gran voga negli States. Il film è surreale al punto che i due condannati non muoiono, Franco per la paura fa l’uovo (!), infine restano chiusi nella camera a gas il direttore del carcere e alcuni secondini. Esecuzione fallita e carcerieri salvi per miracolo. Franco scrive un memoriale per lasciare qualcosa ai posteri: “Le mie prigioni e quelle di mio cuggino”. Il film scorre in flashback grazie a questa invenzione di sceneggiatura.


Vediamo Franco e Ciccio al lavoro in un bagno termale mentre salvano il boss Attanasia (Dominici) durante uno scontro a fuoco con il mafioso Tristano (Lorenzon) e i suoi uomini. Questa parte ricorda le comiche del muto, identiche sequenze tratte dai film di Charlie Chaplin, con Franco che stende mafiosi grazie ai secchi che porta sulle spalle. Attanasia è un boss potente e rispettato, in grado di cambiare i programmi della televisione con una telefonata, di uccidere rivali e nemici a distanza e di invitare a casa ballerine del piccolo schermo. Franco entra nelle grazie del boss, che decide di farlo diventare un campione di pugilato, comprando tutti gli incontri fino alla finale del campionato mondiale. Siamo nella parte migliore del film, una parodia del cinema pugilistico, ben ambientata nel mondo della boxe. Franco Franchi è un pugile imbranato e fifone, caratterizzato con smorfie e gag visive, insieme a lui apprezziamo uno scalcinato manager come Ciccio Ingrassia, prodigo di consigli. La comicità è genuina, slapstick, da cartone animato, sembra di trovarsi in un fumetto di Popeye di identico argomento pugilistico.

Una bella foto di Alicia Brandet dal film Le bambole

Lucio Fulci ricostruisce molto bene l’ambiente del pugilato, la palestra, il ring, gli incontri, l’atmosfera agonistica, riscrivendo tutto in chiave comica. Citiamo il pugno proibito di Franco per via del guantone pieno di monete vinte alla slot-machine del boss, le corse sul ring per evitare i cazzotti e il rivale incollato al pavimento che oscilla mentre il nostro eroe lo evita. Franco esce indenne per puro caso da alcuni tentativi di attentato, quindi vince anche l’incontro che dovrebbe perdere, contro il terribile Cassius Piston (Mack). Vediamo un giovanissimo Lino Banfi (con i capelli!) nei panni di un assistente del pugile che piange in pugliese per la sua probabile morte, che non si verifica. L’incontro con Cassius è comica allo stato puro, Franco usa i capelli del nonno come amuleto e confonde l’avversario convinto che gli sia spuntata la coda. La guerra tra bande dopo la vittoria imprevista si scatena in un set cinematografico, dove i boss si uccidono a vicenda e Fulci fa un po’ di metacinema, svelando alcuni trucchi di scena.

Franco bovero negro e l'affascinante Alicia Brandet

Il memoriale di Franco si conclude con l’arresto e finisce di raccontare l’antefatto della prigione. La storia procede come un carcerario parodistico. Nino Terzo è un divertente secondino che con il suo caratteristico tartagliare grida: “In c… in c… in cella!”. Franco risponde: “Salute!”. In prigione ritrovano Lo sfregiato (Bendandi), scagnozzo di Tristano, che vorrebbe ammazzarli, ma poi li usa per scavare un cunicolo e finisce nei guai perché la galleria porta dritta nell’ufficio del direttore. Franco e Ciccio evadono dal carcere, cercano le prove della loro innocenza, ma i soli che potrebbero salvarli si uccidono a vicenda.

La bellissima Gloria Paul

Abbiamo il tempo di ammirare le grazie di Gloria Paul in uno spogliarello ammiccante e la bellezza platinata di Alicia Brandet, sempre molto castigata. Il numero da avanspettacolo dei boveri negri che incontrano due ubriachi è memorabile. Il finale è divertente. Franco e Ciccio vengono di nuovo catturati, ma un bel giorno giunge la notizia che sono liberi perché è stata appurata la loro innocenza. Niente da fare. I due cugini non ci credono e per timore di essere giustiziati si barricano in cella. Non si lasciano convincere neppure dalla telefonata del Pentagono. Pernacchie per tutti. Passa il tempo, i cugini Bacalone sono due vecchietti con la barba bianca, ma continuano a spernacchiare chi cerca di farli uscire di galera. Fulci conclude: “Come l’uomo di Alcatraz e l’Abate Faria, un giorno qualcuno parlerà dei due di Sing-Sing”.


Un film ottimo, girato in un perfetto bianco e nero, divertenti mento allo stato puro, ben oltre la misera stella che concede Paolo Mereghetti. Una commistione di parodie di tre sottogeneri in gran voga: mafia-movie, prison-movie e boxe-movie. Segnaliamo come piccole perle di comicità le gag sul ring e la parte in cui il maldestro Franco vince un incontro che per contratto doveva perdere. Marco Giusti su Stracult apprezza la pellicola: “Il film di Franco e Ciccio che Fulci preferisce tra quelli da lui diretti. Non ha torto. Non solo è visivamente affascinante, con un bianco e nero da vecchia comica, ma offre al duo un numero classico e magistrale di boxe da urlo, dove Franco, dietro consigli del suo manager Ciccio, riesce a vincere proprio un incontro che doveva assolutamente perdere. Delizioso”. Pino Farinotti concede due stelle ma si limita a riassumere la trama. Morando Morandini conferma due stelle, aggiunge che per il pubblico sono tre, apprezza le musiche di Morricone. Tra le curiosità, a parte il maestro Morricone (ribattezzato nei titoli Moriconi) alla colonna sonora, anche l’inventore dell’esotico-erotico Bitto Albertini, responsabile di una stupenda fotografia in bianco e nero. Da rivedere.