venerdì 20 dicembre 2019

Due corti di Vincenzo Totaro


Vincenzo Totaro è un regista interessante. Ho visto il lungometraggio La casa del padre (2019) che dimostra tutto il suo talento introspettivo e fotografico, oltre che una cinefilia militante che per un autore non è fattore trascurabile. Totaro ha scritto il saggio Un’altra vita - Il tema del doppio nel cinema muto italiano (1905 - 1931) (Prospettiva, 2018), quasi a voler confermare questo assunto.


Vediamo due corti che ho avuto occasione di apprezzare recentemente, ulteriore dimostrazione di talento cinematografico. Quel tipo strano (2018) è a colori, dura sei minuti e affronta il tema della follia, la diversa prospettiva del racconto, i modi in cui può essere intesa la realtà. Un ragazzo è seduto al tavolo di un bar con due amiche, di fronte a lui un uomo sembra parlare da solo, fare una proposta di matrimonio a una donna fantasma. Congetture e ipotesi si fanno largo e provocano tensione fino al rocambolesco finale. Non anticipo niente, non faccio spoiler di sorta, anche se il colpo di scena ci sta tutto. Produzione Aelita film srl e Silentium Film. Vincenzo Totaro scrive, sceneggia, monta e gira il breve ma intenso corto, mentre alla fotografia troviamo il bravo Antonio Universi. Ispirati e credibili gli interpreti Antonio Del Nobile, Rosa Fariello, Annarita Granatiero, Teresa La Scala, Adriano Santoro e Carmine Spera. 

La versione americana:


Quel ramo sulla pianta di Giacomo è in bianco e nero, dura poco più di tre minuti, frutto di un esercizio per la masterclass di Werner Herzog, girato in prima versione con lo smartphone. La lezione voleva far capire che se un autore è tagliato per fare film deve capirlo anche se non dispone di grande tecnologia. Il breve film si svolge in un unico ambiente tra due personaggi, come il precedente è molto teatrale, gioca ancora una volta su argomenti fantastici, in questo caso una pianta che non accetta di farsi potare un ramo, sembra muoversi, interagire con il padrone, parlare, spostarsi da un punto all’altro della stanza. Sceneggiatura di Antonio Del Nobile e Vincenzo Totaro, che cura la regia e il montaggio. Antonio Del Nobile e Tonino Bitondi sono i due interpreti che deliziano il pubblico con uno scambio di battute che crea un’atmosfera surreale. Terzo classificato al concorso 8 minuti per un ambiente migliore. 


LE SCHEDE

Quel tipo strano - Anno e origine: Italia (2018) - Durata: 5'43” colore - Tipologia: cortometraggio - Genere: drammatico - Produzione: Aelita film srls e Silentium Film -Formato originario: HD - Regia, Montaggio e sceneggiatura: Vincenzo Totaro - Direttore della fotografia: Antonio Universi - Operatori di ripresa: Luisa Totaro -Musiche: Donato Raele - Audio in presa diretta: Giannino deFilippo -Microfonista: Tonino Bitondi -Missaggio audio: Richard Gremillon - Produttore esecutivo: Giannino deFilippo -Backstage: Chiara Piemontese - Sottotitoli: Studio HONO - Luisa Totaro, Yurika Oshima, Yougha Im -Interpreti: Antonio Del Nobile, Rosa Fariello, Annarita Granatiero, Teresa La Scala, Adriano Santoro, Carmine Spera.

Quel ramo della pianta di Giacomo - Italia 2017, b/n (sottotitolato in inglese) -Durata: 3'34” - Tipologia: cortometraggio - Genere: commedia - Produzione: Silentium film - Formato originario: Full hd, 1.85:1 - Titolo inglese: That branch of Giacomo's plant - Regia: Vincenzo Totaro - Sceneggiatura: Antonio Del Nobile e Vincenzo Totaro – Interpreti: Antonio Del Nobile e Tonino Bitondi - Montaggio: Vincenzo Totaro - Operatore di ripresa: Luisa Totaro – Note: cortometraggio ideato e realizzato all'interno della Werner Herzog Masterclass, anno 2017.


Il mio cinema è su Futuro Europa: 

giovedì 19 dicembre 2019

Per conoscere Nino D'Angelo - 3


Tradimento (1982) di Alfonso Brescia




Regia: Alfonso Brescia. Soggetto: Francesco Calabrese. Sceneggiatura: Enzo Gicca, Alfonso Brescia. Fotografia: Silvio Fraschetti. Montaggio: Carlo Broglio. Produttori: Francesco Calabrese, Alfonso Brescia. Scenografia: Francesco Calabrese. Costumi: Valeria Valenza. Musiche: Eduardo Alfieri. Direttore di Produzione: Antonio Pittalis. Aiuto Regista: Gianfranco Pasquetto. Casa di Produzione: I.M.P.P.. Ispettore di Produzione: Gino Minopoli. Segretari di Produzione: Francesco Raffa, Angelo Corrieri. Distribuzione: Cidif. Operatore di Macchina: Federico Del Zoppo. Assistente Operatore: Franco Fraschetti. Segretaria di Edizione: Federica Valenza. Fonico: Fabio Ancillai. Trucco: Massimo De Rossi. Parrucchiera: Placida Capranzano. Sarta: Anna Onorati. Attrezzista: Antonio Rinaldi. Assistente al Montaggio: Anna D’Angelo. Sincronizzazione: Cinefonico Cinecittà. Sartoria: Ditta Ferroni. Arredamento: Postiglione. Tappezzeria: Ditta D’Angelo. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Sviluppo e Stampa: Technicolor. Teatri: De Paolis Incir (Roma). Titoli Effetti Ottici: Moviecam 2000. Burattini: Baracche e Burattini di Lia Amoroso. Canzoni: Acquarello Napoletano (Benedetto - Bonagura), edizioni Nationalmusic, canta Mario Merola; Ndringhetendrà (Cinquegrana - De Gregorio), edizione A.B.C. - Gennarelli, canta Mario Merola, Tradimento (Alfieri - Palomba), edizione A.B.C., canta Mario Merola; Ballammo (V. Annona - De Paolis - D’Angelo), edizione Gesa Sas Milano, canta Nino D’Angelo;  Che si pe’ me (R. Fiore - De Paolis - D’Angelo), edizione Gesa Sas Milano, canta Nino D’Angelo. Interpreti: Mario Merola (Gennaro La Monica), Nino D’Angelo (Nino Esposito), Ida Di Benedetto (partecipazione straordinaria - Carmela, moglie di Gennaro), Antonio Ferrante (avvocato Colantuoni), Tommaso Bianco (Totonno, il mago dei bambini), Gianni Ciardo (assistente avvocato), Rita Binetti (compagna assistente avvocato), Roberta Olivieri (Rosalia), Lucio Montanaro (Ciccio, amico di Nino), Antonio Allocca (Don Salvatore), Benito Artesi, Salvatore Puccinelli, Pamela, Nello Pazzafini (Pasquale Ruoppolo), Isa Marlene, Enzo Berri, Marta Zoffoli (la piccola Titina), Ghigo Masino (giudice), Regina Bianchi (Assunta, madre di Gennaro).


Celebrità di Ninì Grassia lancia il personaggio di Nino D’Angelo al cinema, proponendolo come erede e innovatore della sceneggiata, rendendolo così popolare che un regista - produttore scaltro come Alfonso Brescia lo vuole come partner d’eccezione di Mario Merola in due sceneggiate pensate per il cinema insieme al sodale Francesco Calabrese. Alfonso Brescia (Roma, 1930 - 2001) è un terrorista dei generi, uno dei tanti che hanno caratterizzato il vitale cinema degli anni Settanta e Ottanta, autore di circa sessanta film, tutti B-movie, che vanno dal thriller alla sceneggiata, passando per peplum, poliziottesco, fantascienza e bellico. Figlio di un produttore, lui stesso spesso produce i film che sceneggia e dirige, andando quasi sempre sul sicuro, con generi di successo e costi contenuti. Regista di buona tecnica, appresa alla scuola di Federico Fellini e Sergio Leone, lo ricordiamo come sceneggiatore di molti film interpretati da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e per il Merola movie, sottogenere della sceneggiata napoletana di cui può dirsi deus ex machina. Tra i suoi titoli ricordiamo il debutto con La rivolta dei pretoriani (1964), Il tuo dolce corpo da uccidere (1970), Ragazza tutta nuda assassinata nel parco (1972), L’eredità dello zio buonanima (1974), L’adolescente (1976), L’ultimo guappo (1978), Zappatore (1980), I figli … so’ pezzi ‘e core (1981), Omicidio a luci blu (1991). Il suo ultimo film è Club vacanze (1995), autoprodotto e fallimentare, in un periodo storico che vedeva ormai la fine del cinema di genere.


Alfonso Brescia si fa venire l’idea di unire un simbolo di Napoli come Mario Merola, cantante e attore di successo, alla stella emergente Nino D’Angelo e il risultato è tutto sommato buono, se pensiamo che la storia deve restare nei limiti di un genere codificato da determinate regole. In breve la trama. Brescia e Calabrese raccontano la storia di una povera famiglia napoletana composta da Gennaro (Merola), venditore abusivo di brodo di polipo, Carmela (Di Benedetto), gestore di un chiosco di bibite, Titina che frequenta la scuola elementare e Rosalia, sorella minore di Carmela. Gennaro non riesce a ottenere la licenza di venditore a causa di vecchi conti in sospeso con la giustizia, mentre la camorra lo perseguita chiedendo un pizzo che lui rifiuta di pagare. La madre di Gennaro (Bianchi) paga un losco individuo per cercare di far ottenere la licenza al figlio, togliendo i carichi penali pendenti. Carmela paga il pizzo per non avere problemi, quindi protegge il marito cercando di ottenere l’amicizia di un sordido avvocato (Ferrante), che prima cerca di approfittare di lei, quindi la fa passare per una malafemmina. In questa storia principale si inserisce la sottotrama di Nino (D’Angelo) e Rosalia (Olivieri), innamorati contrastati da Gennaro che non vuole avere rapporti con un giovane mariuolo convinto di sfondare come cantante. Finale melodrammatico, che vira bruscamente in comico, dopo il processo con Carmela, rea confessa di cose che non ha commesso, malafemmina per salvare il marito dalla galera, con la complicità di un buffo (ma equo) giudice fiorentino (Masino) che condanna il camorrista violento (Pazzafini). Si rispettano tutti i canoni della sceneggiata (isso, issa e o malamente) con il marito tradito - pure se non è vero - che caccia di casa la moglie, precipita nel baratro del disonore, quindi comprende e torna insieme a lei, di nuovo felice come un tempo, senza carichi pendenti, con un negozio legale di polipo dove si canta, si ride e si balla.


Tradimento è sceneggiata napoletana a tutti gli effetti, colonna sonora di Eduardo Alfieri, intervallata da canzoni interpretate da Mario Merola, dalle struggenti Tradimento e Acquarello Napoletano, per finire con la comica Ndringhetendrà, quando il melodramma vira in pochade e tutto termina con la più classica delle bagarre, che prevede tutti gli attori sulla scena. Nino D’Angelo ci mette del suo cantando in discoteca Ballammo, davanti alla sua bella, e replicando con Che si pe’ me, ma non è lui il protagonista, il suo ruolo (pur efficace) è pensato come spalla di Merola, come sostegno per invogliare i giovani ad andare al cinema. Un film di impianto teatrale, come ogni sceneggiata che si rispetti, molto convenzionale, con ruoli stabiliti e certi, dove il confine tra buono e cattivo è netto e subito comprensibile. Attori ben calati nelle interpretazioni. Regina Bianchi è la madre coraggiosa e disperata, tutta casa e chiesa, preoccupata e devota, ruolo della sua vita, che replica la parte sostenuta in Celebrità. Ida Di Benedetto è la bellezza prosperosa napoletana, la donna del protagonista, la moglie dedita alla famiglia, che regge sulle sue spalle una situazione difficile e che si accusa per proteggere il suo uomo. Mario Merola è il padre duro e inflessibile, capo famiglia d’un tempo, violento ma buono, inflessibile ma in fondo dal cuore tenero, pervaso da un senso della giustizia e dell’onore che provengono da secoli di tradizione. Nino D’Angelo non è protagonista ma si ritaglia un ruolo da scugnizzo lestofante con vocazione musicale e animo buono che ha una sua valenza nell’economia della pellicola. Ricordiamo la sua storia d’amore con Rosalia (una diligente Olivieri), alcune canzoni e soprattutto la scena madre quando va in ospedale dalla signora anziana scippata per restituire la borsa. Una sequenza riuscita lo vede testimone oculare dello scontro al coltello tra Merola e Pazzafini che per lui finisce con un emblematico pestaggio, ben diretto da Brescia che lo rende credibile come se fosse un poliziottesco. Nino ruba solo ai camorristi e a chi se lo merita, in fondo è un bravo ragazzo e sa che presto farà successo con la musica. Il suo personaggio è rispettato in pieno. Bene il cast di contorno, da un antipatico avvocato reso al meglio da Ferrante, per finire con il divertente giudice fiorentino (Masino), passando per il camorrista (Pazzafini), Totonno il mago dei bambini (Bianco) e la figlia di Gennaro (Zoffoli). 


Tra le cose migliori la realistica ambientazione napoletana - pur con toni da fiaba canora - e l’idea di aprire la pellicola con un piano sequenza che introduce lo spettatore nel vivo dei bassifondi partenopei, per concludere con un carrello inverso che porta fuori dall’azione scenica in cui si sono destreggiati i personaggi. Tradimento è un classico Merola movie, di fatto una sceneggiata corretta al musicarello dialettale con schizzi di melodramma, commedia e pochade, davvero ben dosati da un maestro del cinema popolare come Alfonso Brescia. Personaggi stereotipati quanto si vuole, ben definiti, tutti troppo buoni o troppo cattivi, ma gestiti in una sceneggiatura che non presenta sbavature di sorta. Fotografia napoletana interessante, tra luci soffuse e panoramiche marine, ralenti canori sulla spiaggia e un mercato ricco di colori che ricorda Campo dei fiori, tra polipo e bibite, passando per un metaforico teatro di burattini dove Pulcinella racconta la vita del povero napoletano costretto a inventarsi il modo per campare. Interessante l’immedesimazione Pulcinella - Merola che spesso la storia tende a realizzare quando Totonno rappresenta momenti della vita del venditore di polipo. Storia d’amore e camorra, con parti violente e da cinema poliziottesco, momenti persino sexy con Ida Di Benedetto in vesti succinte, elementi comici con Masino e Montanaro, quindi canzoni e guapperia con Merola e D’Angelo. Bellissimo il finale in musica, da bagarre comica, secondo i canoni della migliore commedia musicale. Inutile dire che fu un successo, soprattutto a Napoli.


Rassegna critica. Marco Giusti (Stracult): “Grande incontro tra due miti della sceneggiata. Mario Merola al suo massimo fulgore e Nino D’angelo ai suoi inizi. A sostenere il duo Ida Di Benedetto ancora fresca di esperienze alte nella parte della moglie, forse traditrice, di Merola. La storia è sempre quella. Il sospetto, il bravommo, Merola che si impunta e chiede spiegazioni a o malamente, stavolta interpretato da Nello Pazzafini assolutamente sballato. Finisce a coltellate, poi davanti a un giudice, che è il toscano Ghigo Masino finito a Napoli quasi per caso. Merola, reticente, verrà salvato dalla moglie, che, disonorata, verrà messa alla porta, ma tutto finirà per il meglio. Non male il pestaggio di Nino D’Angelo da parte degli uomini di Pazzafini. Ma la parte migliore spetta al brodo di polipo che Merola si ostina a vendere per strada, giustamente definito da Ghigo Masino una schifezza”. Morando Morandini assegna una stella e mezzo ma non spreca una riga di commento. Pino Farinotti (una stella): “Tra camorra e presunti tradimenti si sfiora la tragedia, ma, alla fine, l’amore trionfa”. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Merola e D’Angelo in un sol colpo, una delizia per gli estimatori, un flagello per gli altri. Il film cerca di aggiornare i modi della sceneggiata ma resta saldamente sul folcloristico”.

Per vedere il film: 



Il mio cinema è su Futuro Europa: 

sabato 14 dicembre 2019

Per conoscere Nino D'Angelo - 2


Celebrità (1981) di Ninì Grassia



Regia. Ninì Grassia. Soggetto: Ninì (Antonio) Grassia (tratto dalla canzone Celebrità di Annona - D’Angelo, discografia Vis Radio). Sceneggiatura: Ninì Grassia, Angelo Fusco. Fotografia: Federico Zanni. Negativi e Positivi: Stacofilm. Montaggio: Franco Malvestito. Musiche: Nino D’Angelo. Arrangiamenti e Direzione: Augusto Visco. Edizioni Musicali: Gesa (Milano). Direttore di Produzione: Luigi Ciotola. Produzione: Giada Cinematografica srl. Operatore alla Macchina: Renato Doria. Assistente Operatore: Roberto Marsigli. Assistente al Montaggio: Filomena Paoletti. Aiuto Montaggio: Renata Bosingo. Aiuto Regista: Romano Scandariato. Fonico: Davide Gentile. Capo Macchinista: Giuseppe Argento. Macchinisti: Ciro De Falco, Gaetano Rutigliano, Francesco Ferro. Capo Elettricista: Andrea Guarino. Elettricisti: Giuseppe Nardone, Vincenzo Guarino. Truccatore: Aldo Navarra. Parrucchiere: Mario Turco. Sarta: Giusy. Segretaria di edizione: Maria Nunzia De Maria. Fotografo di Scena: Enzo De Turris. Scenografo: Giovanni Biascioli. Gruppista: Savino Libertazzi. Ispettore di Produzione: Giovanni Garbetta. Segretario di Produzione: Luigi Ciotola. Mixage: Sandro Occhetti. Tecnico del Suono: Gianni Ruggero. Doppiaggio: Cinemontaggio Colangeli. Direttore Doppiaggio: Roberto Del Giudice. Titoli: Studio Mafera. Esterni: Napoli, Aversa. Interni: Edenlandia, Agenzia Pompe Funebri Citarella (Aversa), Discoteca Old Station, Circolo Club Punto D’Incontro, Il Lanternone (Palinuro). Genere. Musicale, Drammatico. Durata: 117’. Interpreti: Nino D’Angelo, Regina Bianchi, Sonia Viviani, Lino Crispo, Bianca Sollazzo, I Fatebenefratelli, Luciano Iannantuoni, Stefania Di Giandomenico, Mimmo Postiglione, Renato Devi, Gigi Capone, Gianni Rossetti, Michela Gallo, Armando Rossi, Ciro Scarfato, Gennaro Strazzullo, Enzo Berri.

Ninì Grassia

Ninì Grassia (Aversa, 1944 - Castelvolturno, 2010) s’inventa Nino D’Angelo attore cinematografico, dopo aver debuttato dietro la macchina da presa con La pagella (1980) e L’ultima volta insieme (1981), scrivendo - insieme ad Angelo Fusco - un melodramma romantico, con accenni di farsa e musicarello, ispirato alla canzone Celebrità. Ricorda Nino D’Angelo in alcune interviste quanto Grassia fosse convinto che il suo personaggio avrebbe fatto furore al cinema, perché il regista intravedeva il carisma dell’attore oltre a quello del cantante. Ninì Grassia replica il successo con L’Ave Maria e Lo studente, anche se nello stesso periodo deve condividere il cantante napoletano con Alfonso Brescia (Tradimento e Giuramento, 1982). Produttore, scrittore di cinema e compositore, realizza prodotti di gradimento popolare con pochi mezzi, molto spesso localizzati nella zona di Napoli, come nel caso di Amaré, interpretato dal cantante Gigi D’Alessio, un incasso di circa mezzo miliardo solo in Campania. Regista legato al Nino D’Angelo movie, vero e proprio sottogenere che nasce grazie alla scommessa di portare al cinema una storia tratta da una canzone che in parte rispecchia le vicissitudini del giovane cantante. Grassia resta attivo fino al 2003 - ultimo film Come sinfonia -, noto anche come organizzatore di concerti neomelodici a Napoli e per gli emigrati italiani all’estero.


Celebrità è composto da due film distinti che procedono come rette parallele senza toccarsi, per congiungersi in sporadiche occasioni, grazie a eventi che coincidono tra la storia principale e la sottotrama. Il film comico, direi quasi farsesco, da puro avanspettacolo, vede protagonisti I Fatebenefratelli (Edo e Gigi Imperatrice), un duo comico napoletano che vive un periodo di effimero successo televisivo, teatrale e cinematografico. I due comici gestiscono un’impresa di pompe funebri dal nome improbabile (Le ore liete dei fratelli Fate Bene) e sono amici di uno sciocco meccanico, proprietario dell’officina dove lavora il nostro Pasqualino Capece (D’Angelo). La parte comica è affidata tutta a loro, basata su una serie di malintesi tra donne e morti, motori e sesso, funerali che si fermano per mancanza di benzina, persone che vengono quasi convinte a morire in cambio di ricca sepoltura e via con amenità da avanspettacolo. Il film principale vede Nino D’Angelo mattatore, operaio meccanico figlio di povera gente, vorrebbe fare il cantante ma viene truffato da un finto agente privo di scrupoli e si trova a delinquere per restituire una somma di denaro prestata da amici malfattori. Il nostro eroe finisce in galera ma è la sua fortuna perché durante uno spettacolo per detenuti dimostra le doti canore, quindi un boss lo raccomanda a un vero impresario che lo fa scritturare per alcuni spettacoli e in poco tempo arriva il successo. Non è finita la serie delle prove che attendono Pasqualino - che ha cambiato nome in Nino D’Angelo - perché deve cadere nella rete tesa da una malafemmina (Sonia Viviani), bella e ricca, che lo vorrebbe tutto per sé come un oggetto da esibire. La morte della madre per infarto riporta il giovane sulla retta via, anche se il dramma finale lo vede sconvolto e in lacrime a rimproverarsi sul lungomare per non aver capito in tempo quale fosse la strada da seguire.


Ninì Grassia pesca a piene mani dalla vita di Nino D’Angelo, drammatizzando alcuni episodi e rendendoli più cinematografici, con la collaborazione di Angelo Fusco. La canzone Celebrità viene messa in scena sul palcoscenico di una Napoli solare e povera, tra quartieri dove vivono i diseredati e via Caracciolo dove si va a passeggio sul lungomare. La lunga soggettiva iniziale sulla quale scorrono i titoli di testa fa capire che Napoli è protagonista, come sono importanti i suoi abitanti, la gente che ci vive, i luoghi della città vera, negli anni Ottanta già caotica e percorsa da intenso traffico. Il regista realizza un film che profuma di musicarello e di sceneggiata napoletana, ricco di musica neomelodica composta da Nino D’Angelo. Il soggetto proviene da una sola canzone, anche se nel corso del film ne vengono cantate altre di simile tenore, fino alla conclusiva - strappalacrime - dedicata alla mamma. Tutte le componenti della sceneggiata sono presenti: l’amore tra madre e figlio, la brava ragazza da sposare, la malafemmina, gli amici buoni, i compagni mariuoli, il truffatore, il boss uomo d’onore, le umili origini, la famiglia unita … Tutto questo contesto è schizzato di musica napoletana che richiama i classici popolari del genere ma anche di comicità da avanspettacolo e di romanticismo che nel finale diventa cupo melodramma. Ninì Grassia inserisce parti prese da veri concerti di D’Angelo, spezzoni girati in discoteca e programmi televisivi per realizzare sempre di più la compenetrazione tra personaggio e attore, rendendola indissolubile. Il film ottiene uno straordinario successo di pubblico, soprattutto a Napoli e in Campania, ma poco a poco fa scalpore e riempie le sale di tutta la penisola, contribuendo a consolidare il fenomeno dello scugnizzo dal volto buono che mentre canta racconta la sua vita.  A Napoli si deve ricorrere alla forza pubblica per regolare l’affluenza degli spettatori in sala, perché a ogni spettacolo c’è una folla incredibile fuori dal cinema.


Il regista dimostra mestiere, usa lo zoom a più non posso come costume del periodo, ma fotografa molto bene una Napoli solare e marina, realizzando alcune buone sequenze da film d’azione. Va da sé che siamo in presenza di un film convenzionale dove la malavita viene dipinta a colori tenui e il protagonista finisce per trionfare dopo aver superato diverse prove che lo fanno diventare uomo. Nino D’Angelo è cantante dialettale dalla voce invidiabile e attore abbastanza naturale, mentre Regina Bianchi è una madre coraggio straordinaria, la vera attrice del film. Sonia Viviani interpreta un ruolo da cattiva e perfida amante senza precedenti, molto castigata e ben calata nel ruolo. Ricorda in un’intervista rilasciata a Cine 70 nel 2003 che immaginava di trovare un attore alto, bruno, molto mediterraneo e che restò sorpresa nel vedere un ragazzo piccolo, magro e ossigenato. Sonia Viviani viene accolta bene dal pubblico partenopeo durante la prima, nonostante il suo ruolo sia da malafemmina, ma rientra nei caratteri tipici della sceneggiata anche la donna fatale che fa morire di crepacuore la madre del protagonista. I Fatebenefratelli se la cavano discretamente nella parte comica, restando coinvolti persino nel finale drammatico.


I dialoghi sono artefatti e carichi di patos drammatico, da pura sceneggiata napoletana; nel finale il melodramma diventa ancora più commovente, non si resta insensibili alla morte della madre mentre Nino canta in televisione e poco dopo accorre al capezzale per finire sul lungomare a intonare musica e parole struggenti. La musica di Nino D’Angelo è tra le cose migliori del film, cambia tonalità a ogni sviluppo della storia, come da lezione del miglior melodramma. La durata di 117’ sconcerta, se si pensa che tutto deriva da una canzone, ma molto contribuisce la parte comico - farsesca che , come abbiamo detto, è un film nel film.


Alcuni giudizi critici, tutti impietosi. Paolo Mereghetti (una stella): “Il climax del film è la scena della morte della mamma mentre il figlio canta Celebrità in televisione. D’Angelo è meno legnoso quando a dirigerlo è Mariano Laurenti”. Pino Farinotti (una stella): “Tutto come la sceneggiata impone: il povero ragazzo ingenuo si fa traviare dalle cattive compagnie e tenta la strada del canto. Finisce in prigione. Ma mamma muore e lui capisce il senso della vita”. Morando Morandini (due stelle): “Melodramma canoro di produzione partenopea che affonda le radici nella gloriosa tradizione della sceneggiata. Strappalacrime e con qualche sdolcinatura di troppo, ma gli interpreti funzionano e le canzoni pure”. Marco Giusti (Stracult): “Primo film di Nino D’Angelo. Lo dirige Ninì Grassia. È un successo. Nino D’Angelo, già gelataio alla stazione ferroviaria di Napoli e cantante di matrimoni, viene scoperto da Grassia a teatro, dove si esibiva alla grande”.

Per vedere il film: https://www.youtube.com/watch?v=pmNr3IHGv94


Il mio cinema è su Futuro Europa: 

lunedì 9 dicembre 2019

Una rosa blu (2018)

di Stefano Simone


Regia: Stefano Simone. Origine: Italia. Durata: 20'. Musica: Luca Auriemma. Soggetto e Sceneggiatura: Sabrina Gonzatto. Distribuzione: X-Movie Internazional (Amazon Prime Video). Interpreti: Veronica Cataraga, Davide Frea, Giulio Fraglia.

Stefano Simone è un regista pugliese che conosco da tempo, ho potuto apprezzare l’intera produzione sia di video clip che di lungometraggi, collaborando con lui per alcuni progetti legati al cinema noir (Gli scacchi della vita, Cattive storie di provincia …) e due documentari letterari (Il cielo sopra Piombino, Litania su Piombino). In questa sede analizziamo un breve video girato a Torino che potrete trovare in distribuzione su Amazon Prime Video, in Italia e Stati Uniti, grazie a X-Movie Internazional. Stefano Simone ama occuparsi di problemi sociali, dalla piaga del bullismo (Fuoco e fumo, 2017) al degrado provinciale, passando per il disagio giovanile, il divorzio e la bigenitorialità (L’accordo, 2018). Una rosa blu parla di pedofilia e di rapporti amorosi estorti ma anche del ruolo che scuola e società possono giocare nella normalizzazione di situazioni pericolose. La storia vede protagonista una ragazzina che frequenta un istituto tecnico, figlia unica di una madre che da un po’ di tempo vede un nuovo compagno, purtroppo interessato anche a lei in modo malsano. Un preside che sa ascoltare e un vero amore da parte di un coetaneo faranno il miracolo di far venire alla luce il problema e di affrontare alla radice quel che non va nel cuore della ragazzina. 
Stefano Simone gira un corto molto teatrale, quasi tutto ambientato in interni, gestendo bene campi e controcampi, alternando brevi quanto riuscite sequenze di esterni che immortalano Torino, tra angoli periferici, parchi cittadini e montagne innevate che fanno da cornice. Gli attori sono tutti non professionisti, quindi si perdonano alcune incertezze e una recitazione troppo impostata, ma il regista è bravo a gestire i lunghi dialoghi e un argomento complesso. Notevole il simbolo della rosa blu tatuata, importante per la ragazzina, ma che finisce per ricordare soltanto un’esperienza negativa. La forza del breve filmato sta nelle scene girate in esterno, rapide e concitate, in una fotografia livida e spettrale, nei brevi flash che immortalano gesti dei protagonisti e in una macchina da presa che non si lascia mai andare a movimenti banali e riprese scontate. Il film ha scopi didattici, ma è un lavoro educativo - morale capace di raccontare una storia d’amore toccante e un riscatto consapevole da una situazione di vita disperata. Ottimo il sottofinale con i personaggi che si alternano sulla scena mentre una visione di Torino dall’alto simboleggia speranza e fiducia nel futuro. L’amore trionfa, la ragazzina prende coscienza di sé, abbandona il nero per colori sgargianti, non ha paura di osare e di vivere una vera storia d’amore. Scritto da Sabrina Gonzatto. Consigliata la visione ai giovani.

mercoledì 27 novembre 2019

Per conoscere Nino D'Angelo - 1


BREVI CENNI BIOGRAFICI

Nino D'Angelo

Nino D’Angelo nasce a San Pietro a Patierno, un povero quartiere alla periferia di Napoli, il 21 giugno 1957. Presto lascia la scuola per svolgere i lavori più umili e disparati per aiutare la famiglia, tra questi il calzolaio e il posteggiatore, infine il gelataio ambulante alla stazione ferroviaria e - viste le doti canore - il cantante nelle feste di matrimonio. La popolarità napoletana e campana cresce sul finire degli anni Settanta e lo porta a incidere (a sue spese) il primo disco: A storia mia, che ottiene un grande successo. Comincia la stagione dei concerti e della sceneggiata a teatro, affermandosi sempre più come l’erede di Mario Merola, di fatto un modernizzatore di un genere che i giovani non seguono più, un cantante che riesce a rivitalizzare una tradizione correggendola per andare incontro ai mutati gusti del pubblico. 

Ninì Grassia

Il debutto al cinema è merito di Ninì Grassia, che lo dirige in una trilogia: Celebrità (1981) - autobiografico e personale -, L’Ave Maria (1982) e Lo studente (1982), mentre in contemporanea lavora nel cast di due sceneggiate dirette da Alfonso Brescia e interpretate da Mario Merola: Tradimento e Giuramento, entrambe del 1982. Mariano Laurenti è il regista che lo porta all’apice del successo con film diretti con mano ferma e dotati di solide sceneggiature. Un jeans e una maglietta (1983), è uno dei maggiori incassi della stagione.  Il declino arriva inesorabile sul finire degli anni Ottanta. Nino D’Angelo è attore di modeste qualità ma cantante dotato di grandi doti, conquista il pubblico grazie a un volto angelico, da bravo ragazzo, da scugnizzo napoletano dal volto emaciato, incorniciato da un caschetto di capelli biondi ossigenati.  Snobbato dalla critica ufficiale che nelle recensioni non va oltre le due stelle, accusato di aver portato un genere classico come la sceneggiata al conformismo piccolo - borghese, in realtà è un innovatore di un genere ormai stereotipato. Prosegue l’attività di cantante e musicista anche quando termina l’effimero successo cinematografico, che comunque segna un’epoca e merita di essere raccontato. Ricordiamo colonne sonore importanti come Tano da morire (1997) di Roberta Torre (Nastro d’Argento e Ciak d’oro per la migliore musica) e del celebrato Gomorra (2008) di Matteo Garrone. Appare spesso in televisione, interpreta il telefilm Ama il tuo nemico (1999) di Damiano Damiani, dimostra doti da vero attore sotto la guida di Pupi Avati (Il cuore altrove, 2003) e del figlio Toni (Una notte, 2007).


Appunti sparsi su sceneggiata e Mario Merola

La sceneggiata nasce a Napoli nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nel primo dopoguerra, con lo scopo di inventare un genere nuovo, capace di unificare la musica popolare classica e il teatro dialettale. I primi testi della sceneggiata vengono messi in scena da teatranti di strada e di paese, parlano di problemi sociali, amori contrastati, donne vilipese e maltrattate; non siamo ancora al classico triangolo composta da  isso, issa e ‘o malamente. Pupatella - messa in scena dalla compagnia di G. D’Alessio - è la prima sceneggiata napoletana che ha per tema il tradimento ed è tratta dalla canzone omonima di Libero Bovio. Diciamo con una forzatura che la sceneggiata anticipa il musicarello cinematografico, perché molto spesso parte da una canzone classica e di grande successo popolare per raccontare una storia teatrale, senza dimenticare il tema musicale di fondo che costituisce il leitmotiv dell’opera in prosa. La sceneggiata è un genere che si abbevera ad altri generi e li compenetra tra di loro formando un genere nuovo, fondendo in un solo contesto scenico musica, canto, danza e recitazione. Il contenuto non è mai soltanto drammatico o sentimentale, sono immancabili parti comiche, così come è fondamentale nella storia la presenza di una mamma (meno basilare la figura paterna) e spesso pure di  un piccolo figlio o nipote problematico. Mano a mano che passa il tempo, la sceneggiata perde il suo alone classico di storia sentimentale e familiare, o meglio, aggiunge a tale elemento base anche una parte noir - come si direbbe oggi - e poliziesca, composta da delitti, affronti, sfide al coltello e duelli a colpi di pistola.

La sceneggiata

Precursori della sceneggiata sono alcuni autori di teatro (Altavilla, su tutti) che per motivi economici si trovano costretti a scrivere opere basate su testi di canzoni famose come Don Ciccillo, Te voglio bene assaie e La Fanfarra. Il governo italiano, dopo la sconfitta di Caporetto, aumentò le tasse sugli spettacoli di puro varietà, giudicati non consoni al grave momento storico,  stimolando in questo modo gli autori a inventarsi uno spettacolo non solo comico, ma di tipo misto. La nascente sceneggiata era perfetta per aggirare la legge e le esose imposte che di fatto impedivano le esibizioni teatrali leggere, così perfetta che nel 1919 le rappresentazioni divennero un buon numero, proliferando sempre di più nei venti anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale. La compagnia più attiva fu quella gestita da Salvatore Cafiero (di estrazione varietà) ed Eugenio Fumo (teatro popolare) che si esibiva in teatri di periferia (Trianon, San Ferdinando) e vedeva tra le sue fila anche un giovanissimo Nino Taranto. La sceneggiata napoletana divenne un genere molto in voga non solo in Campania, ma anche negli Stati Uniti, soprattutto nella Little Italy di New York dove vivevano numerosi emigranti meridionali.

Mario Merola

Mario Merola nasce a Napoli il 6 aprile 1934, da una famiglia molto povera, lavora come aiuto cuoco e scaricatore di porto. La sua prima canzone è Malu figlio, incisa su disco quasi per scherzo e portata al successo da una sceneggiata che lui stesso interpreta al teatro Sirena di Napoli. La vita di Merola cambia d’un tratto, da scaricatore di porto a re del teatro popolare, della canzone dialettale, ambasciatore di Napoli nel mondo, con la sceneggiata che varca i confini regionali e nazionali, andando a frequentare i palcoscenici del Nord America. La sceneggiata di Merola resta un genere classico dove la tradizione si fonde sempre più al gusto per il fotoromanzo e per il cinema melodrammatico di Raffaello Materazzo. Alla base delle storie ci sono dosi massicce di sentimentalismo, amor filiale, rapporti familiari e interpersonali vissuti tra eccessi, conditi da un incombente gusto noir e poliziesco. La sceneggiata esce dagli angusti spazi teatrali e si afferma pure al cinema tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, proprio grazie a Merola, spesso diretto da Alfonso Brescia (Zappatore, 1981 e Carcerato, 1982) ma anche da Ciro Ippolito (Lacrime napulitane, 1981). Fisico massiccio e corpulento, temperamento sanguigno, molto simile ai personaggi che interpreta, si ricorda per canzoni melodrammatiche e roboanti, disperate e sentimentali, intrise di lacrime e core per dirlo con un’espressione tutta napoletana. I ruoli cinematografici lo vedono sempre nei panni di un uomo d’onore vecchio stampo, tutto famiglia e sentimento, spesso accusato di colpe non commesse o alla ricerca di un amore impossibile, altre volte nei panni di un uomo ai limiti della legalità ma sempre caratterizzato da un grande senso dell’onore. 


Molti i lavori diretti da Brescia nella sua filmografia, dopo l’esordio con Sgarro alla camorra (1973) di Fizzarotti una vera cascata:  Napoli … Serenata calibro 9 (1978), L’ultimo guappo (1978), I contrabbandieri di Santa Lucia (1979), Il mammasantissima (1979), Napoli … la camorra sfida e la città risponde (1979), La tua vita per mio figlio e Zappatore (1980), Carcerato, I figli … so’ pezzi  e core e Napoli Palermo New York: il triangolo della camorra (1981). Umberto Lenzi lo dirige  in Da Corleone a Brooklyn (1979) e Stelvio Massi in Sbirro, la tua legge è lenta … la mia no! (1979). Due ruoli intensi nel 1982, accanto al suo erede Nino D’Angelo, in Tradimento e Giuramento, poi lo ricordiamo in due film di Stelvio Massi più intrisi di poliziesco come Guapparia (1983) e Torna (1984). Sud Side Story (2000) è il suo ultimo film, diretto da Roberta Torre, girato subito dopo il celebrativo Cient’anne di Ninì Grassia (1999). In tempi recenti lo ricordiamo nella soap opera televisiva - che eredita i fasti della sceneggiata - Un posto al sole (1996) come Don Tommaso Morraca, guidato da Giambattista Avellino. Resta nell’immaginario collettivo per gli schiaffoni che tirava nei suoi film e che - secondo la leggenda - sarebbero stati veri e in più di un’occasione avrebbero lasciato il segno. Muore a Castellammare di Stabia, il 12 novembre del 2006.


FILMOGRAFIA DI NINO D'ANGELO

(redatta con l’aiuto di Roberto Poppi)

Celebrità (1981) di Ninì Grassia
Tradimento (1982) di Alfonso Brescia
L’Ave Maria (1982) di Ninì Grassia
Giuramento (1982) di Alfonso Brescia
Lo studente (1982) di Ninì Grassia (uscito nel 1983)
Un jeans e una maglietta (1983) di Mariano Laurenti (uscito 2/9/1983)
L’ammiratrice (1983) di Romano Scandariato (uscito 10/11/1983)
La discoteca (1983) di Mariano Laurenti (uscito a gennaio 1984)
Uno scugnizzo a New York (1984) di Mariano Laurenti
Pop-corn e patatine (1985) di Mariano Laurenti
Fotoromanzo (1986) di Mariano Laurenti
Giuro che ti amo (1986) di Nino D’Angelo (firmato da Nino D’Angelo per volontà del produttore Francesco Calabrese e per motivi di noleggio/distribuzione, in realtà diretto da Piero Regnoli)
Quel ragazzo della curva B (1987) di Romano Scandariato
La ragazza del metrò (1988) di Romano Scandariato
Fatalità (1991) di Ninì Grassia
Attenti a noi due (1993) di Mariano Laurenti
La vita a volo d’angelo (1996) di Roberta Torre (documentario)
Tano da morire (1997) di Roberta Torre (colonna sonora)
Paparazzi (1998) di Neri Parenti
Ama il tuo nemico (1999) Film TV di Damiano Damiani
Tifosi (1999) di Neri Parenti
Vacanze di Natale 2000 (1999) di Carlo Vanzina
Aitanic di Nino D’Angelo (2000) (il regista ombra per la parte tecnica è il ben più esperto Romano Scandariato che figura come aiuto regista)
Il cuore altrove (2003) di Pupi Avati
Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco & Ciccio (2004) di Daniele Ciprì e Franco Maresco
4-4-2 Il gioco più bello del mondo (2006) di Michele Carrillo, Claudio Cupellini, Francesco Lagi, Roan Johnson
Una notte (2007) di Toni D’Angelo
Fortapàsc (2009) di Marco Risi (solo colonna sonora)
Falchi (2017) di Toni D’Angelo (solo colonna sonora)

Il piano dell'opera prosegue analizzando tutti i film interpretati da Nino D'Angelo in ordine cronologico. 

Fine della Puntata 1

Il mio cinema è su Futuro Europa: