sabato 17 novembre 2012

I zanzaroni (1967)

di Ugo La Rosa


Regia: Ugo La Rosa. Soggetto e Sceneggiatura: Amedeo Sollazzo e Ugo La Rosa. Distribuzione: Film Arte (regionale). Fotografia: Fausto Zuccoli, Leo Sarola, Alberto Marrama. Scene e Montaggio: Ugo La Rosa. Costumi: Lilli Menichelli. Operatori alla Macchina: Franco Filippini, Alberto Marrama, Ubaldo Terzano. Aiuto Regista: Ernesto Natalello. Musica: Gino Peguri. Teatri di Posa: Istituto Luce s.p.a. (Roma). Produzione: Ugo La Rosa. Sincronizzazione: International Recording Studios. Tecnico del Suono: Renato Cadueri. Negativi: Eastmancolor. Interpreti. Quelli che partono: Carlo Sposito, Nino Terzo, Enzo Andronico, Francine Rhosan, Armando Carini, il complesso Bumpers. Quelli che restano: Franco Franco, Ciccio Ingrassia. Franco Failla con il complesso I Beats canta Bravi ragazzi


Ugo la Rosa (1925) è un giornalista e regista teatrale che lavora nel cinema soprattutto come documentarista, dirigendo tra il 1963 e il 1979 molti cortometraggi di argomento siciliano. Ricordiamo: La Sicilia di Giovanni Verga, La Sicilia di Renato Guttuso, I Ragazzi di Palermo, Siracusa nell’età classica, Castelli siciliani. Alcuni documentari parlano di Roma, come Il Tevere da Roma al mare e Roma giacobina, altri sono di argomento generalista (Il bambino e la pubblicità, L’incontro, La loro luce). Roberto Poppi nel pregevole Dizionario del cinema italiano riferisce che l’unica incursione nel cinema a soggetto è I zanzaroni, mentre altre fonti gli attribuiscono anche L’isola dei ragazzi meravigliosi (1964), una via di mezzo tra il documentario e le pellicola a soggetto. I zanzaroni è un film introvabile, distribuito soltanto in Sicilia, diviso in due tempi - episodi: Quelli che partono e Quelli che restano. Il primo tempo vede quattro siciliani (Carlo Sposito, Nino Terzo, Enzo Andronico, Armando Carini) presi in giro da una svedese (Francine Rhosan ) con la quale speravano di passare una notte d’amore. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia interpretano la seconda parte che si può vedere in rete, grazie a Youtube. Il tema è il teatri dei pupi, la salvaguardia della tradizione, di una sicilianità che non deve morire. Ciccio è un puparo, Franco è l’ultimo degli spettatori, che ogni giorno si presenta al teatrino di Piazzetta delle Rose alla Gioia Mia, dove c’è un’immagine di Santa Rosalia, consegna cinquecento lire al proprietario ed entra per assistere alla rappresentazione. L’episodio mette in scena in maniera molto teatrale un battibecco tra Franco e Ciccio su come va impostata la recitazione dei pupi, sugli errori storici e nella caratterizzazione dei personaggi. Franco Franchi regala una sublime prova di fisicità ed espressività, da marionetta umana, quando mostra a un allibito Ciccuio come deve muoversi un pupo. Cita il grande Totò, regalando al pubblico un pezzo da antologia della comicità teatrale e dell’avanspettacolo che rende omaggio alla nobile arte dei pupi. Il teatrante invita il pubblico con i metodi d’un tempo, racconta la storia con cartello e disegni, quindi comincia la recita di fronte a un solo spettatore. La tradizione non deve morire, anche se il puparo rischia di desistere: “L’opera è morta e io sono l’unico spettatore”, dice Franco con amarezza. Pregevole la parte centrale, da teatro drammatico, dove la maschera di Ciccio assume toni da tragedia, quando tutto sembra finire, ma solo per un istante. Il messaggio di La Rosa è chiaro: accada quel che accada il teatro dei pupi non deve chiudere i battenti. Franco piange durante la recita, segue le gesta di Orlando, Carlo Magno, Rolando, freme per loro, fa capire che non vuole assistere alla morte della tradizione siciliana. Finisce che pupario e spettatore si mettono in società, uniscono la loro passione, e portano a frequentare il teatro un sacco di giovani. Forse è il sogno del regista, rivitalizzare un teatro in crisi che i ragazzi non apprezzano, ma è anche un omaggio al successo di Franco e Ciccio che conquistano i cuori dei giovani italiani. Ugo la Rosa sceneggia e dirige un film teatrale, poetico e suggestivo, un vero e proprio omaggio alla sua terra, che Franchi e Ingrassia interpretano con passione e bravura, anticipando un’opera importante come Che cosa sono le nuvole (1968) di Pier Paolo Pasolini. Un film molto siciliano, in quattro colori, con intense tonalità pastello che ricordano il cinema di Mario Bava e le pellicole psichedeliche degli anni Sessanta. I dizionari di cinema omettono colpevolmente di citare un film interessante. Unica eccezione Pino Farinotti, che lo ribattezza Gli zanzaroni (italianizzando un titolo siciliano), ma concede solo due stelle e si limita a sintetizzare la trama dei due episodi. Marco Giusti ne parla senza averlo visto ma ammette che si tratta di un titolo da recuperare. Grazie a Internet è possibile. 

Per vedere l'episodio con Franco e Ciccio: http://www.youtube.com/watch?v=UbNpx-D4OUA

Gordiano Lupi

lunedì 12 novembre 2012

Sedotti e bidonati (1964)

di Giorgio Bianchi


Regia: Giorgio Bianchi. Soggetto e Sceneggiatura: Roberto Gianviti, Amedeo Sollazzo. Produzione: Ramofilm di Roberto Amoroso. Ideato e Realizzato: Roberto Amoroso. Montaggio: Antonietta Zita. Fotografia: Adalberto (Bitto) Albertini, Enrico Menczer. Architetto: F. Fontana. Musiche: Carlo Rustichelli. Direzione Musiche: Carlo Savina (Edizioni Musicali C.A.M.). L’ammucchiata di Rustichelli e Lepore è cantata da I Gemelli. Direttore di Produzione: Romano Cardarelli. Aiuto Regista: A. Florio. Negativi - Positivi - Effetti Ottici: Spes diretti da E. Catalucci. Teatri di Posa: Cinecittà. Sincronizzazione: Fono Roma. Pellicola: Ferrania P.36. Interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Mia e Pia Genberg, Miranda Martino, Alberto Bonucci, Leopoldo Trieste, Pietro De Vico, Alfredo Marchetti, Oreste Palella, Romano Giomini, Elena Nicolai.


Sedotti e bidonati riprende in forma ironica il titolo Sedotta e abbandonata (1963) di Pietro Germi, grande successo di critica e di pubblico, ma non è una parodia, perché la tematica comica è completamente diversa. Il disegno animato della sigla di testa è molto originale, stigmatizza i ruoli dei protagonisti e ironizza sul cast tecnico. Roberto Amoroso è un fornaio che mette in cottura pizze cinematografiche. Gianviti e Sollazzo sono due alunni somari che scrivono abaso l’asquola. La montatrice Zita compone il titolo con le lettere ritagliate. Albertini (futuro inventore dell’esotico - erotico) e Menczer arringano le macchine da presa. Carlo Rustichelli è un uomo - orchestra che suona gli strumenti con il corpo. Il regista Giorgio Bianchi è un domatore che impugna la frusta.

Il vero finale, non quello che racconta Mereghetti!

Il film è una farsa esilarante che si lascia vedere con piacere, basata sulla dabbenaggine dei due protagonisti, truffati ripetutamente da una banda di malfattori, ma ingenui sino alla fine. Franco e Ciccio sono due agricoltori siciliani che vengono scelti per sposare Mia e Pia, due belle ragazze svedesi con un difetto fisico: sono gemelle siamesi attaccate per un fianco. La commedia degli equivoci si scatena prima sui nomi: la tua è Mia, la Mia è tua… una lite sul malinteso e i due stupidi contadini ci mettono un po’ ad accordarsi sul fatto che la tua si chiama Mia, la mia si chiama Pia. Altri qui pro quo cominciano a prendere corpo quando Franco e Ciccio conoscono le due belle ragazze, si rendono conto che sono molto attaccate e che dovranno fare tutto in quattro, pure dopo sposati.


Notevole la sequenza al tabarin, quando Franco e Ciccio inventano L’ammucchiata, un nuovo ballo alla moda sulla musica composta da Rustichelli e Lepore, cantata da I Gemelli. Non esiste altro modo di danzare con due gemelle siamesi, è possibile solo ammucchiarsi. Pietro De Vico è un divertente capomastro che cerca di soddisfare le esigenze abitative di Franco e Ciccio: un bagno per due e una vasca doppia. I nostri eroi cercano anche un letto a quattro piazze, mentre deliziano il pubblico con storiche espressioni a base di smorfie. Presto viene svelata la truffa agli spettatori: una banda che vuole spillare cinquanta milioni ai due sprovveduti convincendoli che un professore tedesco sia in grado di operare le due ragazze. “Pane, amore e incocchiatura”, dice Franco, che le sposerebbe anche unite. Ciccio, invece si lascia convincere da una pratica operazione, nonostante il prezzo.

Al cimitero, piangono la scomparsa delle loro belle

I due sciocchi contadini vendono tutto e pagano, ma la truffa finisce con Mia e Pia decedute per finta e sepolte al cimitero. Esilarante Franco davanti alla sua bellezza tumulate: “Cara Pia perché sei morta/ pane e vin non ti mancava/ l’insalata l’avei nell’orto…”, ma anche Ciccio: “Così è la vita. Oggi a loro, domani a te”, non è da meno. Franco e Ciccio tornano al paese dove ereditano cento milioni perché la vecchia zia è morta di attacco cardiaco. Franco: “Dov’è questo cardiaco? Lo faccio a pezzi!”.


I truffatori organizzano una nuova messa in scena ai loro danni, mettendo in scena le gemelle brune di Mia e Pia, che prima li fanno innamorare, poi vengono rapite da un finto frate. Tocca ai nostri sciocchi eroi pagare il riscatto, ma per fortuna sbagliano luogo, danno i soldi a un’altra banda e liberano un bambino rapito. La polizia capisce tutto, usa i cugini siculi come esca e coglie in flagrante i truffatori. Il commissario prova a spiegare l’accaduto a Franco e Ciccio ma loro non capiscono. Troppo complicato. In ogni caso tornano in Sicilia, tentano di copiare la truffa dei fratelli siamesi, ma si beccano tre anni di galera. Franco: “Vedrai che ci sistemiamo per tutta la vita, avevi detto. Per tutta la vita no, ma per tre anni siamo a posto”.


Franco e Ciccio non hanno ancora ruoli ben definiti, sono due sciocchi integrali, ma la caratterizzazione del personaggio di Ciccio deve essere messa a punto. Poche le smorfie, molti i malintesi e ben registrata la commedia degli equivoci, in una farsa costruita su una solida sceneggiatura. Bravissimo Alberto Bonucci che fa il trasformista alla Fregoli passando da cameriere a maggiordomo, sino a frate e infermiere tedesco. Mia e Pia Genberg sono due belle gemelle svedesi che mostrano lunghe gambe da ballerine in una rapida sequenza iniziale. Leopoldo Trieste è un mafioso siculo, unico punto di contatto con il film di Germi. La pellicola è girata in un nitido bianco e nero, per gli esterni gode di un’ottima location siciliana, mentre gli interni sono negli studi di Cinecittà. Il treno anni Sessanta con la terza classe e i sedili di legno inserisce il tema del viaggio con i nostri eroi che fanno la spola tra la Sicilia e Roma. Buone le musiche di Carlo Rustichelli, soprattutto il divertente motivetto L’ammucchiata.

Leopoldo Trieste

Paolo Mereghetti concede una sola stella, ma va capito, perché non ha visto il film: “Due sprovveduti dopo essere stati derubati da due sorelle di cui si erano innamorati, tentano di rifarsi con due ricche bruttone. Fanno male i loro conti e sono costretti a sposarle”. Quale film avrà visto il noto critico milanese? Forse una pellicola pirata con la trama modificata? Non è dato saperlo. In ogni caso - pur senza raccontare la trama giusta - si permette di aggiungere: “Puntuale e fiacca parodia del film del momento: il risultato è scadente, l’idea redditizia (705 milioni di incasso contro i 989 di Sedotta e abbandonata di Germi)”. Come abbiamo tentato di spiegare, Sedotti e bidonati non è una parodia di Sedotta e abbandonata, ma ironizza sul titolo per motivi di cassetta. Morando Morandini concede due stelle e ammette che per il pubblico ne vale tre: “Negli anni d’oro della loro carriera, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia non si lasciano sfuggire nessuna occasione di parodia: qui tocca al noto film di Pietro Germi. Alti e bassi: gli alti divertenti, i bassi tollerabili”. Il giudizio è più obiettivo, ma si insiste sull’equivoco imperdonabile della parodia. Pino Farinotti conferma le due stelle, non motiva, ma almeno sintetizza la trama senza commettere errori.


Gordiano Lupi

sabato 10 novembre 2012

Paolo il freddo (1974)

di Ciccio Ingrassia


Regia: Ciccio Ingrassia. Soggetto: Ciccio Ingrassia. Sceneggiatura: Marino Onorati, Ciccio Ingrassia. Scenografia: Alberto Boccianti. Montaggio: Tatiana Morigi Casini. Fotografia: Tino Santoni, Aldo Giordani. Direttore di Produzione: Agostino Pane. Organizzatore Generale: Mario Mariani. Musiche: Franco Godi (Edizioni Musicali Ingra Cinematografica srl) Produzione: Ingra Cinematografica srl. Realizzazione: Rosaria Calì. Il tango di Paolo è di Rosaria Calì. Interpreti: Franco Franchi, Ileana Rigano, Guido Leontini, Linda Sini, Elio Crovetto, Grazia Di Marzà, Franco Spano, Luca Sportelli, Flora Carosello, Dante Cleri, Annie Edel Karole, Franca Maria Giardina, Ciro Papa, Giovanna De Vita, Renato Terra, Tino Scotti, Mimmo Baldi, Ciccio Ingrassia, Isabella Biagini. Partecipa il Circus On Ice di Moira Orfei.


Paolo il caldo è il primo film da regista di Ciccio Ingrassia, una grottesca parodia di Paolo il caldo (1973) di Marco Vicario, interpretata da un ottimo Franco Franchi. Ingrassia si ritaglia una partecipazione nei panni del mago Madrakì per un numero circense insieme a Franchi. Paolo il caldo è una commedia sexy tratta dall’ultimo romanzo di Vitaliano Brancati (pubblicato postumo nel 1954 e rimasto incompiuto), un film che segna il lancio erotico di Ornella Muti in Italia, dopo alcune pellicole interpretate in Spagna. Marco Vicario sceglie la bella attrice romana per interpretare la breve ma incisiva parte della servetta che fa compiere le prime esperienze erotiche al  protagonista.


Il barone Paolo Castorini (Giancarlo Giannini) è attratto dalle donne sin da piccolo, quando cresce non sopporta di vivere a Catania circondato dai parenti e si trasferisce a Roma. Non si fa problemi politici, pensa solo a conquistare femmine, infatti durante il fascismo frequenta un’ex amante di Mussolini (Adriana Asti) e nel dopoguerra conquista un’attivista comunista (Pilar Velázquez). Decide di tornare a Catania per sposare la giovane figlia (Neda Arneric) della farmacista (Barbara Bach), un vecchio amore giovanile, ma il matrimonio non riesce perché Paolo è… troppo caldo. Il finale è straziante e suggestivo, perché Paolo comprende che non può sottrarsi al suo destino di uomo sensuale e perennemente attratto dal sesso. Non serve a niente scegliere una donna diversa da lui e provare ad amarla, perché la maledizione del nonno libertino pervade la sua vita. Paolo perde la sola cosa bella della sua vita, la figlia della farmacista che aveva sposato nella sua Catania dopo la morte della madre. Paolo resta solo in compagnia di una prostituta (Femi Benussi) che lo accompagna ancora una volta alla scoperta della notte romana.


Giancarlo Giannini recita sempre sopra le righe, come merita un personaggio innamorato delle donne e della vita. Rossana Podestà è affascinante e sensuale persino durante una lunga zuffa con il compagno. Lionel Stander è un memorabile nonno sporcaccione che ricorda il bel tempo andato. Vittorio Caprioli è un sessuofobo moralista, mentre Orchidea De Santis e Femi Benussi sono due prostitute romane poco valorizzate dal regista. Il film riscuote un grande successo di pubblico anche per merito di flani suggestivi (Giannini tra due natiche di donna) e di un cast femminile fantastico.

Ornella Muti interprete di Paolo il caldo

La pellicola piace così tanto che un anno dopo Ciccio Ingrassia gira la parodia Paolo il freddo, interpretata da Franco Franchi nei panni di Paolo Pastorino. Si parte dall’assunto fantastico di Franchi, figlio di Paolo il caldo, che davanti al padre moribondo giura odio eterno verso le donne. “Travaglio sempre e femmine mai!”, intima. “Devi fare il contrario di quello che ho fatto io!”. Esplicita citazione dei flani di Paolo il caldo quando si vede la testa a forma di natiche del moribondo.

Franco Franchi e Ileana Rigano

Ciccio Ingrassia è all’esordio dietro la macchina da presa, produce con la sua Ingra Cinematografica e gira in identiche location de L’esorciccio (1975), usando persino il salotto di casa per molti interni. Il tono della pellicola è comico - surreale, ricorda lo stile di Nando Cicero, sfrutta i canoni dell’avanspettacolo e della farsa. Il figlio di Paolo il caldo vive in un convento di frati mangioni e laidi che lo allevano solo perché la madre paga la retta, ma quando la donna muore il priore (Crovetto) se ne libera subito. I frati ritratti da Ingrassia ricordano quelli del decamerotico, sono dediti ai piaceri del cibo piuttosto che al sesso, ma la misericordia resta l’ultimo dei loro pensieri. La destinazione di Paolo è la zia  (Di Marzà), tenutaria di un bordello, che il ragazzo scambia per una benefattrice, sconvolgendo le ragazze e il protettore quando si presenta vestito da frate. Molte le macchiette memorabili, ma anche diverse battute esilaranti: “Sono ragazze che ricevono e danno”, il magnaccia è un “Santo protettore”, infine Franco si becca del Decamerone da una beghina quando chiede in farmacia un guanto per conto del magnaccia. Ingrassia inserisce parti di comicità slapstick, da cartone animato, cita Benito Jacovitti nella sequenza del protettore malmenato dal farmacista che esce con gli occhi neri e sputa i denti nel cestino dell’immondizia.

Il numero circense di Ciccio e Franco

Il regista strizza l’occhio alla pochade e alla commedia degli equivoci con scambi di stanze e situazioni paradossali legate al sesso. Tino Scotti è divertente nei panni di un commendatore milanese frequentatore del bordello, ricercato dalla moglie e scambiato per omosessuale quando finisce nella camera di Paolo. A questo punto comincia la parte surreale con Paolo che si reca dal padre al cimitero, un camposanto moderno dotato di portiere, campanelli e citofoni, munito persino di strade con relativi nomi. Paolo il caldo è sepolto in via degli Erotici, interno 3, tra Casanova (che parla veneziano) e Messalina (in romanesco). Il cimitero è la trovata più geniale di Ingrassia: una vedova vestita di rosso ride sulla tomba del marito, annunci di affitto e compravendita spiccano sulle lapidi, notiamo uno snack-bara, la scritta Ditelo con i crisantemi davanti al negozio di fiori, l’annuncio Il 2 novembre: la nostra festa!, la via degli erotici vietata ai minori di diciotto anni e altre prelibatezze. La voce di Paolo il caldo che proviene dalla tomba è quella di Ciccio Ingrassia, la foto è la solita dei flani con le natiche femminili al posto della nuca. I colloqui tra padre e figlio al cimitero sono una trovata da cartone animato che conferisce originalità al film.

Isabella Biagini

Paolo finisce per affittare una baracca in una povera borgata romana, conosce Lucia (Rigano) e cerca lavoro, ma ogni volta è perseguitato dalle donne. Il film prosegue come un collage di scenette da avanspettacolo unite dall’esile collante dei lavori di Paolo. Il nostro eroe prova a fare l’idraulico, si imbatte in un marito geloso (Leontini) che lo perseguita per tutta la pellicola, ma anche in una moglie vogliosa (Carol Edel) e nel suo amante (Baldi). Ingrassia cita a più riprese la commedia sexy. Annie Carol Edel mostra una bella mise in babydoll rosso fuoco, lunghe gambe e seno nudo in trasparenza, ma è notevole anche nella vasca da bagno. Franco Franchi si trova a recitare alcune sequenze sexy, mentre Mimmo Baldi (lo vedremo anche ne L’esorciccio) è abbastanza irritante come amante che si finge idraulico.

Annie Carol Edel, presenza sexy

Ingrassia cita a più riprese le comiche del periodo muto, soprattutto i film interpretati da Stan Laurel e Oliver Hardy. Prende di mira Sergio Leone in alcune sequenze che mettono gli occhi in primo piano mentre un sottofondo di musica western prelude alla sfida tra Paolo e il marito cornuto. Da antologia dell’avanspettacolo la parte in cui Franco Franchi interpreta un maldestro cameriere al servizio di una contessa vogliosa (Sini), sotto la marziale guida di un assurdo maggiordomo (Sportelli). Ne accadono di tutti i colori ma le sequenze più divertenti vedono Franco Franchi e Dante Cleri impegnati in una serie di malintesi sul tema delle bibite da consumare. Divertentissimo un involontario balletto intorno a un bicchiere di aperitivo con Franco che cerca di trattenere un’improvvisa minzione che non riesce a esperire. La scena al bagno è un capolavoro da comica muta e vede Franchi impegnato a togliere un lucchetto dai pantaloni che non vuole aprirsi. Comicità grottesca, parti di assurdo slapstick che ricordano Nando Cicero, ma anche numerose fast - motion da  comiche mute. Ricordiamo anche il teatro dei pupi a tema erotico tra Linda Sini e Franco Franchi con il finale in un lago di pipì liberatoria.  


Isabella Biagini è un’altra bella presenza sexy che insidia Paolo, una ricca snob priva del suo amato cane in cerca di un sostituto umano capace di offrire anche servizi erotici. La Biagini è una perfetta svampita dai capelli rossi, idonea al ruolo di vamp sciroccata che resta delusa dalla fuga di Paolo, fedele al giuramento paterno. Franco Franchi imita il cane e persino il cavallo, da sempre veri cavalli di battaglia. Ingrassia impone alla pellicola un’improvvisa virata felliniana, ambientando alcune scene nel circo di Moira Orfei dove Franco viene assunto come inserviente. Un’esilarante sketch vede Ciccio nei panni del mago Mandrakì, tormentato da un imprevedibile Franco truccato da donna che gli rovina ogni numero magico. Avanspettacolo clownesco da manuale.

Annie Carol Edel nella scena da commedia sexy

Ritorna in scena il marito cornuto che segue il malcapitato dal circo a casa sua, ma la parte più surreale sono le telefonate che Paolo riceve in ogni luogo e alle quali risponde usando persino una moka napoletana. Il tango della gelosia fa da preludio all’’amore che sboccia tra Lucia e Paolo con il giuramento di castità definitivamente rotto. Paolo va al cimitero dal padre. “Non è in cassa”, dice il portiere. Infatti è da Messalina, pure da morto il vizio non l’ha perduto. “In punto di morte ai figli minchiate non se ne raccontano! Ho vent’anni di arretrati! Le donne sono la cosa più bella del mondo”, dice. Vediamo le ultime sequenze che ricordano punto per punto il finale di Paolo il caldo. Franco va dalle puttane, le carica tutte su un camion, ma alla fine trova Lucia, la fa salire e scarica tutte le altre. La scelta è ben diversa da quella di Giancarlo Giannini. Monogamia e amore contro donne e sesso sfrenato.

Franco e il cibo: una vera ossessione

Paolo Mereghetti concede una stella e mezzo: “Più che una parodia del film di Vicario, l’esordio nella regia di Ingrassia (che interpreta l’illusionista Franz Mandrakì) è un ambizioso tentativo di rivendicare una propria dimensione autoriale, in realtà fallito per l’incapacità di fondere la tipica comicità popolare di Franchi con una struttura narrativa coerente. Restano idee e trovate insolite, anche disturbanti (i dialoghi tra figlio e padre al cimitero, con lapidi ai limiti del blasfemo), a volte curiose (la seduzione da parte della contessa raccontata da due burattini), a volte ai limiti dello scatologico”. Pino Farinotti riduce il giudizio a una stella ma come sempre non motiva. Due stelle per Morando Morandini - il più obiettivo - che afferma: “Presunzione? Omaggio all’amico Franco? Imitazione parodistica di Paolo il caldo tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati. Seconda e ultima regia di Ciccio Ingrassia che segnò il tracollo della società di produzione. Non è da buttare: è curioso e Franchi s’impegna assai”. Paolo il freddo precede L’esorciccio di un anno, quindi è la prima regia di Ingrassia. Cade nello stesso errore anche Marco Giusti su Stracult che parla di secondo film come regista e di tracollo della società produttrice. Non ama molto il film: “L’ingenuità e la follia messe in scena da Ciccio spesso si perdono per strada e non riescono a trasformarsi in elementi i giusto delirio. Franco però è notevolissimo”. Insuccesso totale al botteghino. Uno dei motivi per cui Franchi e Ingrassia si separano. Ciccio si sfoga incolpando il mondo del cinema romano. A nostro modesto parere un film geniale intriso di comicità surreale e pieno di trovate originali e moderne.  

Alcune sequenze al cimitero: http://www.youtube.com/watch?v=grXpWwbhsuo

Gordiano Lupi

mercoledì 7 novembre 2012

Tango blu (1987)

di Alberto Bevilacqua


Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Produzione: Michele Janczarek e Giuseppe Giovannini per Be - Mer Film. Distribuzione: Columbia Pictures Italia. Produttore Rai: Roberta Cadringher per Rai Uno. Organizzatore Generale: Giorgio Morra. Scene: Lorenzo Baraldi. Costumi: Gianna Gissi. Fotografia: Pierluigi Santi. Operatore alla Macchina: Mario Cimini. Direttore di Produzione: Nicolò Forte. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Stelvio Cipriani. Aiuto Registi: Walter Italici, Inigo Lenzi. Teatri di Posa: Incir/De Paolis. Interni: Teatro dell’Opera (Roma), Discoteca Central Park (Milano). Interpreti: Franco Franchi, Maurizio Merli, Andrea Roncato, Gigi Sammarchi, Leo Gullotta, Antonella Ponziani, Armando Marra, Andrea Belfiore, Roberto De Marchi, Gloria Paul, Big Laura, Vic Poletti, Antonio Ballerio, Carlo Dapporto, Valentina Cortese, Ginella Vocca, Giuseppe Carlostella, Antonio Caffari. Partecipazione Speciale: Corpo di Ballo Cooperativa Culturale di Milano.


Alberto Bevilacqua (1934) è un romanziere di successo in prestito al cinema come sceneggiatore, regista per un pugno di pellicole, ma convince critica e pubblico soltanto per le prime opere: La califfa (1970), Questa specie d’amore (1971) e Attenti al buffone (1975), forse il suo miglior lavoro, interpretato da Nino Manfredi e Mariangela Melato. Tango blu (1987) è un film da solista di Franco Franchi, l’ultima occasione per vederlo al cinema. “Un insolito divertissement”, lo definisce il regista. Un film di invenzioni, sketch, personaggi avvolti in un’atmosfera sognante che ricorda Amarcord e Otto e mezzo di Federico Fellini. Il night milanese Tango blu riapre i battenti dopo molti anni e il nuovo gestore (De Marchi) premia con la chiave d’oro i figli dei personaggi che hanno reso immortale il locale. Franchi è un facchino del macello, Roncato un fotografo dongiovanni, Cortese una madre diva, Merli un poliziotto della buoncostume, Sammarchi un figlio stonato, Dapporto un rigoletto disperato, Gullotta è il poetico Fior da Fiore. Andrea Roncato si presenta con la canzone Io cerco la Titina e afferma: “Né io né il babbo l’abbiamo mai trovata”, il dramma della sua vita è la disperata ricerca di una donna ideale. Leo Gullotta, il romantico giardiniere soprannominato Fior da Fiore che coltivava le rose al Tango blu, entra in scena chiedendo “un suono di grazia”, aggiungendo che “la grazia non si spiega, è la grazia e basta”. Franco Franchi è un grottesco figlio di due padri (“I miei due padri amavano il caffè, lungo e amaro come la vita”), Maurizio Merli un poliziotto inetto (ironia del ruolo di una vita), Gigi Sammarchi un aspirante cantante incapace di azzeccare la nota giusta e Andrea Roncato un uomo innamorato di tutte le donne che pontifica il sesso sul seggiolino. Alla fine dell’esibizione di tango i quattro protagonisti cantano in coro “Ho un sassolino nella scarpa”. Il film procede sospeso tra la rievocazione romantica del passato, amori perduti, sognati, incompiuti, presentando i tradimenti del presente e i delitti di un killer ironico che si fa chiamare Tango blu, come il locale. L’assassino è tra gli ospiti, niente meno che Fior da Fiore, sarà lui stesso a confessare e a consegnarsi all’amico Merli, per fargli fare carriera. Il killer trucca le vittime come un quadro di Arcimboldo, si fa pubbliche beffe della polizia, è ironico quanto inafferrabile. A un certo punto compie un attentato alla centrale elettrica di Milano perché la città possa finalmente godersi una notte di luna piena. “Si può scoprire la bellezza della notte e ritrovare se stessi”, dice uno straordinario Leo Gullotta, interprete del personaggio più riuscito della pellicola.


Molto bravo anche Franco Franchi, soprattutto quando interpreta una canzone siciliana sui pescatori di tonno, ma è poetico anche come marito tradito da una moglie orrenda e come operaio che guida la rivolta contro un dispotico padrone. Franchi: “Auguro a tutti voi gli amori dei tonni, che non si accorgono che le fiocine arrivano da ogni lato. In questo mondo di tonnare..”. Bellissimo. Pura poesia. Il pezzo gli vale una scrittura per la televisione dove pubblicizzerà il tonno in scatola. Antonella Ponziani è Silvia, figlia sordomuta di Gloria Paul, che Fior da Fiore tiene come la sola cosa preziosa del suo mondo. In realtà la ragazza non parla solo perché non vuole avere più niente a che fare con una madre dispotica. Carlo Dapporto è il padre di Gigi Sammarchi, tenta di insegnargli a cantare ma non ci riesce, rimpiange la sua Valentina Cortese, e finisce insieme a lei in una casa di riposo per artisti. Beviam nei lieti calici è il giusto coronamento del loro amore. Il film procede tra alti e bassi, non sempre diverte, ma possiede una sua cifra stilistica, sospesa tra il poetico e il grottesco, che si basa sull’interpretazione di ottimi attori. Il quartetto dei protagonisti, composto da Gigi Sammarchi, Andrea Roncato, Maurizio Merli e Franco Franchi è così insolito da risultare irresistibile e affascinante. La colonna sonora è stupenda. Stelvio Cipriani mixa pezzi di tango con brani di musica sinfonica e motivetti popolari che compongono uno spaccato poetico suadente.


Marco Giusti su Stracult racconta con dovizia di particolari la storia di questo film maledetto di Bevilacqua pensato per rappacificare il critico cinematografico con la Rai. Il regista concepisce il film come una sorta di Amarcord, un ritorno al varietà, a Milano, componendo un cast bizzarro e variegato. Tango blu non lo vede nessuno, nonostante la grande campagna pubblicitaria impostata da Rai Uno (produttrice del film insieme a Merli), e finisce presto dimenticato. Bevilacqua resta inattivo per dieci anni, ma dopo farà soltanto Gialloparma (1992) con Michela Miti. Il film ha fama di maledetto anche perché di lì a poco muoiono molti interpreti come Merli e Dapporto. Franco Franchi afferma: “Avendo fatto tanti film, circa 140, si sente il bisogno di fare qualcosa di diverso. Questa è un’esperienza nuova per me. È un film del cosiddetto cinema impegnato. Inoltre mi piaceva il fatto strano di lavorare con Bevilacqua: l’incontro tra il poeta e il popolano intelligente che cerca di comunicare nelle mani del poeta”. In ogni caso per Marco Giusti “il film è devastante, pieno di attori fuori ruolo, Merli su tutti, e neppure Franchi riesce a risollevarlo”. Pino Farinotti concede due stelle ma si limita a sintetizzare la trama di un film impossibile da riassumere in poche righe. Conferma le due stelle Morando Morandini, aggiungendo che per il pubblico una basta e avanza: “Un film di invenzioni, estri, personaggi. Il ritmo è a strappi con tendenze allo sketch. Franchi ha garbo. Cortese il birignao. Dapporto la gobba. Il tono? Quieta letizia con stacchi disperazione”. Paolo Mereghetti non ha rispetto neppure per Bevilacqua (una stella): “Scombiccherato tentativo di costruire una storia sospesa tra poesia e sogno: il risultato è una commedia grottesca francamente confusa (per non dire incomprensibile), eterogenea nel cast, ma monotona nello sviluppo”. Tango blu è una commedia grottesca, a tratti incomprensibile, sceneggiata male, confusa, frammentaria, teatrale, ma nelle sequenze migliori risulta un piacevole affresco in bilico tra poesia e sogno. 

Gordiano Lupi

lunedì 5 novembre 2012

Viva l’Italia (2012)


di Massimiliano Bruno


Regia: Massimiliano Bruno. Soggetto e Sceneggiatura: Edoardo Falcone, Massimiliano Bruno. Distribuzione: 01. Interpreti: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Alessandro Gassman, Ambra Angiolini, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Isa Barzizza, Elena Cucci. 


Trama. Il film racconta la storia di un politico, Michele Spagnolo (Placido), che in seguito a un grave malore perde i freni inibitori, dice ciò che gli passa per la testa e diventa una mina vagante per se stesso, per il suo partito e per la sua famiglia. Corrono a salvarlo i tre figli che poco si sopportano tra loro: Riccardo (Bova), medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna (Angiolini), attrice di fiction senza alcun talento, Valerio (Gassman), buono a nulla che deve tutto al padre. Proprio da qui prende l’avvio il film, una commedia che racconta il bel paese nelle sue tante contraddizioni, senza risparmiare niente e nessuno.


Massimiliano Bruno ha inventato un nuovo genere cinematografico: la fiction televisiva al cinema. Vogliamo dare un nome? Television - movie, potrebbe andare. Nessuno mi può giudicare (2011) è stato il primo grande successo, anticipato da alcuni lavori come sceneggiatore di film di cassetta, molto graditi al pubblico. Bruno strizza l’occhio allo spettatore, ne asseconda i gusti, non vuole stupirlo, ma si limita a confezionare prodotti che sono in tutto e per tutto fiction televisiva con la sola differenza che passano sul grande schermo. C’era una volta la farsa e adesso non c’è più, o quasi. C’era una volta la commedia all’italiana e anche quella è semi estinta, tranne sporadiche eccezioni.


Viva l’Italia non è né carne né pesce. Non è farsa perché avrebbe ambizioni alte, vorrebbe raccontare la vita facendo sorridere. Al tempo stesso non è commedia perché fallisce miseramente nel suo intento. Viva l’Italia diverte solo nei momenti dichiaratamente comici, grazie ad attori bravi come Michele Placido, Maurizio Mattioli e Rocco Papaleo, ma naufraga per tutto il resto.


Viva l’Italia è un film furbo, retorico, qualunquista, didascalico, pieno zeppo di usurati cliché e di filosofia da bar. Bruno e Falcone per dare corpo alla sceneggiatura avranno attinto ai discorsi che si fanno ogni mattina davanti a cappuccino e cornetto. I personaggi sono stereotipi monodimensionali, tutti troppo buoni, troppo cattivi, troppo scemi, troppo inetti, troppo ladri, troppo di tutto. Non solo, cambiano carattere repentinamente, passano da inetti a furbi, da ladri a pentiti, confessano in pubblico le loro mancanze, insomma, si comportano come personaggi delle fiabe. Ma il pubblico applaude, alla fine del film, e al cinema non si applaude. Non siamo a teatro. Al cinema si attende che scorrano i titoli di coda prima di alzarsi, ma nessuno lo fa, anzi è bagarre per entrare in sala e conquistare il posto migliore, come sul divano di casa.


E lì scatta la lampadina al povero cinefilo abituato a vedere film sin dai tempi di Totò. Vuoi vedere che non sono al cinema? Vuoi vedere che questo è il pubblico della televisione che per caso è venuto al cinema? Proprio così. Sono io lo spettatore intruso. Il film è destinato a un pubblico assuefatto alla fiction televisiva e io che non ne vedo dai tempi di Coralba e di Ritratto di donna velata sto messo male. In fin dei conti Bruno ha ragione: dà al pubblico quel che vuole, non fa ragionare troppo, spiega la realtà in modo stereotipato, fa sentire tutti molto intelligenti.


Non è difficile, perché il livello di mediocrità di molte sequenze - su tutte la confessione finale di Michele Placido - rasenta la stupidità e il trash involontario. Recuperate I due deputati (1969) di Gianni Grimaldi, interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Dice le stesse cose - ma le dice meglio - e le ambizioni sono da farsa. Per fortuna.

Gordiano Lupi

giovedì 1 novembre 2012

Appunti sul cinema erotico italiano

Blue Jeans, con Gloria Guida, il disco di Nico Fidenco

Nonostante quello che affermano certi critici con la puzza sotto il naso, il cinema erotico non è un genere di serie B, soprattutto quello italiano che occupa un posto importante nella cinematografia europea. In Italia riscontriamo contaminazioni erotiche a partire dagli anni Sessanta in pellicole horror, gialle e drammatiche, fino al giorno in cui il genere si guadagna una meritata autonomia.

Laura Antonelli interprete di Malizia

La commedia all’italiana inaugura una stagione di peccati in famiglia che produce tre pellicole importanti di Salvatore Samperi (Malizia, Grazie zia e Peccato veniale) che fanno da battistrada per la futura commedia sexy. La protagonista di turno (Lisa Gastoni o Laura Antonelli) si lascia andare a un gioco di seduzione erotica nei confronti del protagonista maschile che coinvolge anche lo spettatore. Il voyeurismo entra nelle sale cinematografiche e diventa un elemento essenziale delle pellicole.

Una stupenda Gloria Guida su Playmen 1978

Nei primi anni Settanta il cinema italiano presenta un numero indescrivibile di attrici che interpretano la nascente commedia sexy. Gloria Guida, Lilli Carati, Femi Benussi, Anna Maria Rizzoli, Carmen Villani, Nadia Cassini, Edwige Fenech, Orchidea De Sanctis, Barbara Bouchet, Laura Antonelli… l’elenco è interminabile. Mai periodo storico del cinema italiano è stato più affollato di starlettes e di attrici affascinanti. La commedia sexy, o commedia erotica, deriva dalla commedia all’italiana e si afferma con l’esaurimento del sottogenere decamerotico. Nel decamerotico abbiamo un modello colto pasoliniano (Il Decameron, Il fiore delle mille e una notte e I racconti di Canterbury) che viene estremizzato da un punto di vista erotico e farsesco. Le tematiche ricorrenti sono quelle dei mariti cornuti, delle mogli traditrici e dei frati impenitenti che a tutto pensano fuorché a pregare. L’erotismo va a braccetto con la comicità e i registi raccontano storie divertenti ma piuttosto sboccate. Il sottogenere sfrutta ogni possibile variazione sul tema e si esaurisce nel breve volgere di un paio di stagioni.

Orchidea De Santis, reginetta del Decamerotico

La commedia sexy unisce l’esperienza della commedia all’italiana con l’eredità del decamerotico e si propone di raccontare storie divertenti e piccanti ambientate in età contemporanea. Sono film che narrano storie familiari a base di tradimenti, equivoci a non finire, scambi di stanze e di coppie, travestitismi e situazioni comiche da avanspettacolo. A tutto questo va aggiunto, come ingrediente fondamentale, un pizzico di erotismo, perché la commedia sexy è soprattutto voyeuristica e basata sul gioco malizioso del si vede - non si vede. Non possono mancare le scene con la bella protagonista seminuda sotto la doccia e l’attore guardone che spia dal buco della serratura.

Un decamerotico che anticipa la commedia sexy

Il regista vuole l’immedesimazione tra interprete e pubblico, perché chi è seduto in platea osserva la scena con la soggettiva dell’attore che spia dal buco della chiave. Alla base della commedia sexy c’è sempre una comicità di grana grossa, facile, priva di implicazioni politiche e intellettuali. Le trovate da avanspettacolo di ottimi attori come Banfi, Montagnani, Vitali, Buzzanca, Salce, D’Angelo (e molti altri) sono il leitmotiv che accompagna le grazie più o meno esposte delle belle attrici.

Annamaria Rizzoli

La commedia sexy lascia grande spazio all’immaginazione, non esibisce ma fa intuire ed è sempre più comica che erotica. In certi casi realizza uno spaccato veritiero della provincia italiana, soprattutto meridionale, e descrive vizi e turbamenti di un’Italia che cambia. Le piazze accolgono gruppi di femministe che contestano e vestono abiti per niente femminili. Al cinema (per contrasto) incontriamo le donne sensuali, il modello di riferimento che gli uomini cercano. È bene dire, però, che in questi film la donna esce sempre vincitrice mentre l’uomo non fa mai una bella figura. La donna è maliziosa, intrigante, spesso è solo una finta oca, ma in ogni caso è il motore che fa girare il film e riveste un ruolo vincente.

Commedia sexy - scolastica

La commedia sexy rappresenta una variante della commedia all’italiana condita da situazioni equivoche e piccanti ai limiti del paradossale. Non è esagerato dire che simboleggia la voglia di liberazione sessuale di quel periodo storico e che molti film sono capaci di fotografare bene la realtà e di mettere alla berlina un’Italia moralista e bacchettona. Quei film ingenui e a volte un po’ raffazzonati non sono certo roventi storie di sesso, ma raccontano le emozioni e i turbamenti di tanti ragazzini che scoprono il sesso e sognano di diventare adulti.

Orchidea De santis in Colpo di stato di Luciano Salce

Non trascuriamo il lavoro dei registi della commedia sexy, perché si tratta di validi artigiani che danno vita a personaggi e macchiette indimenticabili. Citerei su tutti Sergio Martino, Mariano Laurenti, Michele Massimo Tarantini, Nando Cicero, e Bruno Corbucci, ma episodicamente incontriamo registi che provengono dal cinema fantastico come Lucio Fulci (La pretora con Edwige Fenech), Umberto Lenzi (Scusi lei è normale? con Annamaria Rizzoli) e Luigi Cozzi (La portiera di notte con Anne Miracle). Da non dimenticare che spesso hanno fatto ricorso a motivi e interpreti della commedia sexy anche registi del cinema alto, della commedia pura, come Ugo Tognazzi, Steno (si veda l’ottimo Fico d’India con Gloria Guida e Renato Pozzetto) e Alberto Sordi. Non dimentichiamo neppure sceneggiatori generosi e prolifici come Francesco Milizia (ferroviere prestato al cinema), Raimondo Vianello e Sandro Continenza.

Gloria Guida, una presenza importante della commedia sexy

La commedia sexy porta sul grande schermo anche il sottogenere delle professioni con una sfilata di dottoresse, insegnanti, infermiere (la prima è Ursula Andress nell’ottimo L’infermiera di Nello Rossati), soldatesse, tassiste e poliziotte. Nei ruoli professionali primeggia Edwige Fenech, mentre Gloria Guida è perfetta nelle caratterizzazioni da Lolita nabokoviana. Il sottogenere professionale, nella sua variante scolastica, vede la Fenech impegnata in alcune pellicole come insegnante (diretta da Cicero, Laurenti e Tarantini), mentre la Guida impersona una conturbante studentessa ne La liceale di Michele Massimo Tarantini. La liceale è la pellicola che decreta il successo della bella meranese nel campo della commedia sexy, un film icona dell’erotico - scolastico, divertente e malizioso quanto basta. Per capire l’importanza di questa pellicola basta pensare che è stato uno dei primi film liberati dalla censura e proiettati nei cinema iracheni dopo la caduta di Saddam Hussein.

Nadia Cassini ne Il Dio serpente

Il cinema erotico italiano è molto vitale e produce un’infinità di sottogeneri. Tra questi va citato l’esotico - erotico  che nasce con Bora Bora di Ugo Liberatore ma si afferma con una pellicola cult come Il Dio serpente (esordio italiano di Nadia Cassini) di Piero Vivarelli e con Incontro d’amore a Bali di Liberatore ed Heusch interpretato da Laura Antonelli. Questi film sono ambientati in paradisi tropicali, al tempo visti come mete impossibili per la scarsità dei mezzi di trasporto aerei e le difficoltà economiche di gran parte della popolazione. Zeudi Araya e Laura Gemser sono due attrici feticcio del sottogenere e portano sul grande schermo una bellezza esotica che intriga lo spettatore. Queste pellicole parlano quasi sempre di una fuga dalla civiltà e di un incontro d’amore insolito in una terra lontana e misteriosa. Sono frequenti le contaminazioni fantastiche e horror, soprattutto nella famosa serie Emanuelle Nera realizzata da Joe D’Amato che vede protagonista Laura Gemser.

Laura Gemser, Emanuelle Nera

Altri filoni erotici sono le monache nel peccato, gli storici in costume, le Tarzan in gonnella, i preistorici e qualche pellicola di ambientazione romana. Ricordiamo film come Isabella duchessa dei diavoli di Guido Malatesta, tratto dall’omonimo fumetto erotico, Tarzana sesso selvaggio con Femi Benussi, Quando le donne avevano la coda  di Festa Campanile, Caligola e Immagini di un convento di Joe D’Amato. Tutte pellicole dove vengono rappresentati vizi e perversioni di suore, imperatori romani, donne preistoriche e personaggi del passato. I titoli promettono visioni molto più peccaminose di quanto accade nella realtà.

Femi Benussi: Tarzan in gonnella, Decamerotico e commedia sexy

Il cinema erotico produce anche pellicole impostate su coppie perverse sul modello colto di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci e Il portiere di notte di Liliana Cavani. Il dramma erotico è un altro sottogenere interessante ed è caratterizzato da una trama impostata su eventi melodrammatici e su finali cruenti. Le malizie di Venere di Massimo Dallamano con Laura Antonelli è un esempio. Anna quel particolare piacere di Giuliano Carnimeo con  Edwige Fenech rientra nella solita tipologia di pellicola. I film con protagonista Gloria Guida girati da Silvio Amadio (Quella età maliziosa su tutti) e Avere vent’anni di Ferdinando Di Leo sono ancora drammi erotici. L’elenco sarebbe lunghissimo.

Incipit di Avere vent'anni

Merita una segnalazione anche il filone nazi - erotico che nasce e prolifera dopo il grande successo del Salon Kitty di Tinto Brass. Persino Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini può essere definito un nazi - erotico, pure se resta opera di un grande autore e per questo difficilmente inquadrabile in un genere. Mario Caiano, Alfonso Brescia e Rino Di Silvestro producono molti nazi - erotici portando alle estreme conseguenze le torture e gli accoppiamenti contro natura già presenti in Salon Kitty. Bruno Mattei (scomparso di recente tra l’indifferenza generale) lascia l’eredità di un eccessivo KZ9 lager di sterminio, ma anche La bestia in calore di Paolo Solvay non è da meno.

Un nazi - erotico di Cesare Canevari

Nel filone erotico possiamo ascrivere anche le pellicole ambientate nei carceri femminili che mettono l’accento sui rapporti lesbici e sulle torture tra aguzzine e condannate. Citiamo Diario segreto di un carcere femminile di Rino Di Silvestro, Violenza in un carcere femminile e Blad Violent di Bruno Mattei. Attrici simbolo di questo sottogenere sono Laura Gemser e Lilli Carati.


Bruno Mattei dirige Laura Genser in un women in prison

L’erotismo all’italiana annovera alcuni lavori definibili come erotico - soft girati da Alberto Lattuada (La cicala con Clio Goldsmith), Marco Ferreri (Storie di ordinaria follia con Ornella Muti), Salvatore Samperi (Casta e pura con Laura Antonelli), Bruno Gaburro (Malombra) e Gabriele Lavia (Scandalosa Gilda e altri film con protagonista la moglie Monica Guerritore). L’elenco di questo sottogenere è interminabile e comprende molte pellicole anni Ottanta interpretate da attrici come Eleonora Brigliadori (La cintura di Giuliana Gamba) e Debora Caprioglio (Spiando Marina di Sergio Martino).

Una sexy Debora Caprioglio

Sono due i registi del cinema erotico italiano che meritano una trattazione a parte e una classificazione che va oltre i sottogeneri. Tinto Brass è il poeta geniale dell’eros giocoso e spensierato, il cantore del posteriore femminile e delle sue grazie cinematografiche, filmato con una fotografia flou e con un sapiente uso di luci e inquadrature. Resta il più originale regista erotico italiano, pur tra gli alti e bassi di una produzione caratterizzata da un erotismo sempre più esibito. Citiamo La chiave con Stefania Sandrelli, Miranda   con Serena Grandi, Paprika con Debora Caprioglio e Così fan tutte con Claudia Koll. Le sue ultime produzioni subiscono una brusca virata che le porta al confine del cinema porno. Si veda un’opera non eccelsa come Fallo.

Tinto Brass e Debora Caprioglio sul set di Paprika

Joe D’Amato è un altro regista che amo particolarmente, ma più per gli horror truculenti e originali che per un cinema erotico patinato girato a imitazione di Tinto Brass. Massaccesi (vero nome di D’Amato) è un grande contaminatore dei generi, uno che si trova a suo agio quando inserisce scene porno in un film horror come Porno Holocaust o Emanuelle e gli ultimi cannibali. Mi piace meno quando gira Il piacere o Voglia di guardare, perché preferisco vedere le opere originali di Tinto Brass che lo hanno ispirato. Altri lavori degni di nota sono Sesso nero, il primo porno italiano (con la trama) che porta la sua firma, ma pure lavori come Eva nera, L’alcova, Top Model, Eleven days eleven nights e Dirty love. Per ciascuno di questi film esiste il corrispettivo modello ad alto costo dal quale Massaccesi ricava una versione girata con poche lire per il mercato delle sale di periferia.  

Una sequenza di Porno Holocaust

Le pellicole erotiche sono molto importanti nella storia del cinema italiano e sarebbe interessante studiare le contaminazioni tra erotismo, horror e thriller che caratterizzano la sterminata produzione degli anni Settanta e Ottanta.

Gordiano Lupi