Porcile è un film ancora più scomodo di Teorema
- sempre sotto sequestro quando cominciano le riprese del nuovo lavoro
- perché non si limita a un attacco antiborghese che proviene da un
elemento esterno, ma descrive l'implosione della borghesia, la deflagrazione messa
in atto dai suoi stessi membri, dai suoi figli ribelli e trasgressivi. Un film
girato in economia, in poco più di un mese, ma forse il lavoro più lucido ed
emblematico di tutta l’opera pasoliniana. Tratto da una tragedia in versi dello
stesso autore, si compone di due episodi apparentemente diversi tra loro, ma
uniti da una stessa valenza metaforica. Il primo episodio non fa parte
dell'opera teatrale, viene girato nella Valle dell'Etna, ed è la storia di un
cannibale (Clementi) che prima uccide il padre poi si spinge a vagare nel
deserto, dove continua a mietere vittime, fa proseliti e si ciba di carne
umana. Di fronte al patibolo non si pente. Tutt’altro: “Ho ucciso mio
padre, mangiato carne umana, ma tremo di gioia”. Il secondo episodio racconta
la storia di una famiglia borghese tedesca, il padre (Lionello) è un ricco imprenditore
che si alleano con un altro capitalista (Tognazzi), ex criminale nazista, che
conosce l'orribile e inconfessabile segreto del figlio: il suo unico amore sono
i maiali.
Puro cinema di poesia, come dice Pasolini, pellicola dove ogni gesto
è metafora, allegoria pura, ciò che conta non è la storia ma il significato
e il significante. Un lavoro a tema, intellettualmente complesso,
filosofico quanto grottesco, soffuso di straordinaria bellezza lirica, come
nella sequenza del monologo di Julian (il figlio del borghese interpretato da
Léaud), che parla del suo amore proibito senza citarlo. Il significato di Porcile sta tutto nella trasgressione,
nella dimostrazione dell'assunto che i santi e i diversi, i non ortodossi, i
disubbidienti, non fanno la storia, ma la subiscono, agiscono per sé,
nella loro diversità, fino a morire vittime del loro non essere conformi, mai in
linea con la massa. Sia il cannibale che il ragazzo muoiono sbranati ma in
fondo felici nella loro lucida follia, perché hanno raggiunto quello che
volevano: l'autodistruzione, unica via possibile in una società che ammette
solo uniformità, devozione e obbedienza.
Viene da pensare, oggi, che Pasolini
parlasse di se stesso, in questo apologo pervaso da un pessimismo cosmico e da
una totale impossibilità di redenzione. Porcile
è un film visionario che usa strumenti tipici della cinematografia di genere
per esibire l'orrore, dimostrando che trasgredire non basta, non è sufficiente
uccidere il padre - come Edipo - e ribellarsi, se la ribellione individuale non
serve agli altri, non coinvolge la massa, se resta un atto di puro narcisismo. Grandi interpreti per un film che tradisce la
sua origine e vocazione teatrale, tra tutti Lionello e Tognazzi, nei panni di
due laidi borghesi, soprattutto il secondo che resta impresso nell’immaginario
grazie a un’inquietante sequenza finale.
Ferreri presta il suo volto a un’interpretazione abbastanza insolita nei
anni di un amico di famiglia dell’imprenditore. Davoli è la purezza, il
candore, l’ingenuità da ragazzino che porta un soffio di bontà e disperanza in
un panorama gretto e arido.
Porcile esce con il consueto divieto ai
minori riservato per i film di Pasolini,
viene distrutto dalla critica di destra ma anche da quella sinistra
perbenista che non ha mai capito il nostro più grande intellettuale del
Novecento. Pasolini si vendica organizzando una prima del film alternativa alla
Mostra di Venezia, mostrandolo a pochi intimi, a Grado, dove sta girando Medea. Porcile è un film maturo e consapevole anche da un punto di vista
tecnico, dotato di una fotografia originale, parti riprese con la macchina a
mano, campi e controcampi teatrali, direzione degli attori discreta e senza
intromissioni, montaggio parallelo delle due vicende, uso del silenzio (il
primo episodio è quasi del tutto muto) in funzione poetica, paesaggi e campi
lunghi superbi. Un film da rivedere, da studiare con attenzione per capire che
esiste – ma non è dei nostri tempi - il buon cinema di progetto.
Regia:
Pier Paolo Pasolini. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Fotografia:
Armando Nannuzzi (primo ep.), Tonino Delli Colli, Giuseppe Ruzzolini (secondo
ep.). Costumi: Danilo Donati. Musica: Benedetto Ghiglia. Montaggio: Nino
Baragli. Aiuti Regista: Sergio Citti, Fabio Garriba. Assistente ala regia.
Sergio Elia. Produzione primo ep.: Giani Barcelloni Corte, BBG cin. srl.
Produzione secodno ep.: Gian Vittorio Baldi, IDI Cinematografica (Roma), I Film
dell'Orso, CAPAC Filmédis (Paris). Pellicola: Kodak. Colore: Eastmancolor.
Esterni primo ep.: Valle dell'Etna (Catania), Roma. Secondo ep.: Verona, Stra,
Villa Pisani. Durata: 98'. Prima ufficiale: Festival di Venezia, 30 agosto
1969. Intrerpreti: Primo episodio -
Pierre Clementi, Franco Citti, Luigi Barbini, Ninetto Davoli, Sergio Elia.
Secondo episodio - Jean-Pierre Léaud, Alberto Lionello, Margherita Lozano
(doppiata da Laura Betti), Anne Wiazemsky, Ugo Tognazzi, Marco Ferreri
(doppiato da Mario Missiroli).
Il mio cinema, due volte a settimana, su Futuro Europa:
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