Regia: Riccardo Ghione. Soggetto: Riccardo Ghione,
Alfredo Mirabile. Sceneggiatura: Riccardo Ghione, Alfredo Mirabile, Gianfranco
Clerici. Fotografia: Enzo Serafin (Eastmancolor, Superscope). Montaggio:
Fernando Cerchio. Scenografia: Giuseppe Bassan. Costumi: Paola Nardi. Fonico:
Massimo Iaboni. Aiuto Regista: Edgardo Viola. Arredatore: Giacomo Calò
Carducci. Operatore: Nino Celeste. Musica: Stelvio Cipriani. Edizioni Musicali:
Cam, Nazionalmusic. Canzone: Lyonesse
(Cipriani - Shepstone, canta Giuliana Valci) Teatri di Posa: Incir/ De Paolis.
Doppiaggio: S.A.S.. Organizzatore Generale: Alfredo Mirabile. Colore:
Telecolor. Produzione: Filmes Cinematografica (Roma). Interpreti: Enrico Maria
Salerno, Rada Rassimov, Colette Descombes, Luciano Bartoli, Gerard Falconetti,
Luciano Telli, Giorgio Dolfin, Bruno Pradal.
Riccardo Ghione (1922
- 2003) debutta negli anni Cinquanta come organizzatore della rivista per
immagini Documento mensile, che
annovera tra le sue fila artisti del calibro di Cesare Zavattini e Marco
Ferreri. Ghione è un seguace della poetica zavattiniana
e insieme al grande sceneggiatore realizza un vero e proprio film manifesto
come Amore in città. Attivo come
sceneggiatore, sia in passato (Fontana
di Trevi, Un giorno in Europa, Fiesta brava…) che in tempi recenti (La bonne,
Scandalosa Gilda, Fotografando Patrizia…), non lavora molto
come regista, realizzando solo tre film tra il 1968 e il 1974: La rivoluzione sessuale (1968), A cuore freddo (1971) e un horror
bizzarro come Il prato macchiato di
rosso (1972).
A cuore
freddo è un piccolo gioiello, in
parte ispirato da identiche suggestioni del contemporaneo Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick, ma originale per quel
che concerne la parte politico - sociale, il messaggio antiborghese e il
rifiuto della società dei consumi. Un film realizzato con poche lire ma
interpretato da due professionisti come Enrico Maria Salerno e Rada Rassimov
che grazie a una recitazione intensa e spesso sopra le righe conferiscono
spessore ai personaggi. Una grande colonna sonora composta da Stelvio Cipriani
contribuisce al fascino della pellicola e accompagna lo spettatore in un
crescendo di tensione verso un truce quanto inaspettato finale. La storia
racconta il grande amore di un ricco borghese (Salerno) per una ragazza hippie
(Rassimov), salvata da un destino infausto. Purtroppo l’amore non è
corrisposto, la donna accetta di sposarsi solo per i soldi, tradisce il marito
con un pittore squattrinato, ma non vuole lasciarlo per timore di perdere il
benessere economico. Il film si svolge
in una sola giornata - a parte gli intensi flashback
che narrano il passato - ed è una sorta di thriller sociale on the road. Marito e moglie compiono un
viaggio in auto per recarsi dalla madre di lui, vengono inseguiti da alcuni
hippie che picchiano l’uomo e violentano la donna. I figli dei fiori non toccano
i soldi che l’uomo porta con sé, perché il denaro non fa parte dei loro
interessi. La moglie approfitta del fattaccio per uccidere il marito incolpando
gli aggressori, ereditando così la sua fortuna. Non la fa franca. Gli hippie comprendono
il gioco sporco della donna e anche il pittore si rifiuta di proteggerla perché
è il primo a non aver mai dato importanza al denaro.
Il film ha molti pregi. Tutto il prologo sembra ambientato
in una vera comune, la musica a tema accompagna immagini che presentano la
differenza tra la vita del ricco borghese e quella dei figli dei fiori. Ottima
la fotografia di una Roma anni Settanta, tra utilitarie e strade poco
trafficate, azzeccate le sequenze marine e le riprese lungo strade sterrate di
campagna. I flashback onirici sono
suadenti e poetici, consentono di alternare ricordi diversi, fanno capire il
grande amore dell’uomo per una donna sensibile soltanto al fascino del denaro.
La ragazza ricorda un passato di privazioni e stenti, un’esistenza senza fissa
dimora, da vera e propria barbona. L’uomo ripensa ai baci appassionati, ai
primi tempi, rivede le corse nei prati, un casolare di contadini dove nascondersi
per fare l’amore. Adesso tutto è finito, lei è fredda, glaciale, minaccia persino
di ucciderlo e non soltanto per gioco. L’amante della donna è un pittore che
dipinge biglietti di banca e monete che si liquefanno, una sorta di De Chirico
anticapitalista, pensato per concretizzare il messaggio contro il denaro e la
società dei consumi. “I soldi dei capitalisti sono lo sterco del diavolo”,
afferma il pittore. L’amore tra moglie e marito è al capolinea, lei lo sfida di
continuo, mostra le gambe a un camionista, provoca la reazione degli altri, lo
tradisce, lo porta a litigare ogni giorno, torturandolo sempre di più. Molto
truce e realistica la parte in cui gli hippie aggrediscono la coppia nella
città fantasma di Galeria, a Montecroci. Sequenze violente e perverse stile Arancia meccanica, che anticipano il
disturbante finale di Avere vent’anni
(1978) di Fernando di Leo, tra violenza carnale, insulti e percosse. Ma il
personaggio negativo a tutto tondo resta la moglie che uccide per denaro un
uomo colpevole soltanto di averla amata. Un precursore nobile della pellicola
di Ghione può essere La fontana della
vergine di Ingmar Bergman, pure se qui manca tutta la parte della vendetta
e l’aggressione è ai danni di una coppia. Il finale vede la disperazione della
ragazza, rifiutata persino dall’amante, pentita del macabro gesto, mentre
scorrono le note di Lyonesse composta
da Stelvio Cipriani e cantata da Giuliana Vanci.
La critica. Marco Giusti (Stracult): “I frutti del 68 alla Ghione, cioè con una miscela di
sesso e sadorealismo. Invisibile da anni, di grande interesse”. Adesso si può
vedere, grazie a Rai Movie che ha messo in circolazione una versione della
pellicola, subito duplicata e messa in rete da benemeriti appassionati.
Mereghetti non ne parla, Morandini concede una stella e mezzo, Farinotti arriva
a due, ma non l’ha visto perché racconta una trama incompleta. Commenti
entusiasti - condivisibili - sul Davinotti on line, sito informativo
frequentato da veri esperti che osservano con passione e competenza il cinema
italiano. Uscito nei paesi ispanici come Una
mala mujer, in Francia con il più conforme A couer froid. Location
affascinanti, recitazione perfetta, clima teso e inquietante, alternarsi di
piani temporali senza soluzione di continuità. Le ambizioni sono grandi, i
mezzi limitati, ma resta un film da riscoprire.
Puoi leggere le mie recensioni su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/
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