Gualtiero Jacopetti è un
toscano della Garfagnana, nasce nel 1919 a Barga, paese caro a Giovanni Pascoli che
lo immortalò definendolo con magici versi il suo “cantuccio d’ombra romita”.
Jacopetti intraprende la carriera militare, combatte nella seconda guerra
mondiale come ufficiale di collegamento ed è collaboratore del controspionaggio
americano. Finita la guerra fa il propagandista per la Democrazia Cristiana
e con la sua azione contribuisce alla vittoria nel referendum sul blocco
socialcomunista alle elezioni politiche del 1948. Nel primo dopoguerra, su
consiglio e raccomandazione dell’amico Indro Montanelli, si dà al giornalismo e
scrive articoli di costume e attualità
su Oggi, Il Corriere della Sera e La
Settimana Incom. Per il giornale di via Solferino fa
l’inviato speciale, alla Settimana Incom
è capo redattore, infine fonda e dirige il settimanale Cronache. I primi contatti di Jacopetti con il mondo delle immagini
avvengono nel 1950 e riguardano i commenti sonori del cinegiornale Settimana Incom e della rubrica
televisiva Cineselezione.
La vita di Jacopetti pare
orientata a grandi successi nel mondo del giornalismo, ma la sua vita privata
desta scalpore e attenzione da parte dei media per le continue conquiste
femminili. Jacopetti è un tipo interessante che piace alle donne e lui ne è
consapevole, tanto che gioca molto sulla sua fama di rubacuori. Nel febbraio del
1955 uno scandalo sessuale porta Jacopetti alla ribalta delle cronache e lo
travolge. La giovane zingara Jolanda Kalderas, una ragazzina di appena dodici
anni, accusa Jacopetti e il suo amico Pier Luigi Buzzetti di averla portata in
un appartamento di via San Giovanni Decollato per violentarla in presenza di
una giovane donna. L’identità della donna che osserva l’episodio di violenza
resta avvolta nel mistero e la fantasia dei giornalisti si sbizzarrisce per
dare un nome a quella che venne indicata come Annie (o Anny). Pare che sia lei
a organizzare tutto e alcuni media indicano diversi nomi di ragazze della Roma
-bene ma non si scopre niente di certo. Il reato di violenza carnale è
perseguibile solo su querela da parte dei genitori della minorenne, ma la
giustizia indaga ugualmente. Jacopetti e Buzzetti sono accusati di violenza
carnale e ratto a scopo di libidine.
In un primo tempo i due si danno alla
latitanza per far affievolire lo scandalo, ma un mese dopo Jacopetti compare
davanti al Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, Mario Bruno, per
rispondere alle accuse. A questo punto Jacopetti si mette alla ricerca dei
genitori della ragazzina e tenta di chiudere lo scandalo in maniera
stragiudiziale. La madre sarebbe d’accordo a sistemare tutto con un congruo
assegno, ma per fermare la macchina processuale serve il parere favorevole del
padre che pare introvabile. Domenico Kalderas forse è in galera o forse è
morto, nessuno può saperlo. Jacopetti, disperato ma deciso a risolvere il grave
problema, alla fine lo rintraccia a Mirandola presso una carovana di zingari.
Jacopetti e il padre della ragazza vanno a cena insieme, corrono soldi e
promesse, alla fine il Kalderas decide di ritirare ogni denuncia. Non va tutto
bene, però. Polizia e carabinieri sono ancora sulle tracce di Jacopetti che
viene arrestato al termine della cena insieme al padre della ragazza. Il
giornalista esibisce la dichiarazione autografa dei genitori, sostiene che ogni
accusa è decaduta, ma la polizia non sente ragioni e Jacopetti viene tradotto
in carcere.
Jacopetti e Kalderas trascorrono un breve periodo a Regina Coeli, il
padre della zingara ritratta la dichiarazione firmata e si decide a inoltrare la
querela di parte che innesca l’azione penale contro il giornalista. C’è il
sospetto che lo zingaro venga obbligato da qualcuno ma è impossibile sapere la
verità. Fatto sta che Jacopetti si trova con le spalle al muro e l’unica via
d’uscita concessa dalla legislazione del tempo è un matrimonio riparatore. Il
giornalista paga una forte somma alla famiglia a titolo di risarcimento danni
(un milione di lire) ed è costretto a sposare la ragazzina violentata in un
clima da commedia all’italiana. Le nozze vengono celebrate nella prigione di
Regina Coeli e sono una farsa perché subito dopo la cerimonia la sposa rientra
nella tribù zingara e Jacopetti presenta domanda per ottenere l’annullamento.
Lo scandalo travolge la popolarità di Jacopetti e provoca la chiusura del
settimanale Cronache, un giornale
liberale considerato precursore de L’Espresso,
tra i primi in Italia a parlare di divorzio.
Jacopetti sfoga tutta la sua
acrimonia nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine nel libro Lettera aperta al Procuratore Generale.
Il libro colpisce nel segno ma per Jacopetti ci sono ancora guai giudiziari
sotto forma di reati commessi a mezzo stampa e per nuovi atti di libidine su
minori. Il giornalista viene accusato di aver tentato di rimorchiare due
ragazzine incontrate al Luna Park. Jacopetti è definito un soggetto socialmente
pericoloso, viene diffidato a tenere una condotta irreprensibile se non vuole
incorrere nella libertà vigilata e addirittura nel confino di polizia.
Jacopetti è sconcertato, soprattutto per le ammonizioni che riguardano le cose
scritte nel libro che fanno pur sempre parte della libertà di espressione. La
sua condotta morale e la passione per le ragazzine saranno una costante della
sua vita, croce e delizia di un’esistenza spesso sofferta (1).
Jacopetti, su consiglio
dell’editore Rizzoli, abbandona la carta stampata e fonda il cinegiornale
settimanale Europeo Ciak che resiste
dal 1956 al 1959 con un tipico taglio anticonformista e irriverente,
soprattutto verso i politici. La censura si scatena contro lo stile di
Jacopetti che non si assoggetta a nessun tipo di servilismo e di retorica. Pier
Francesco Pingitore e Mino Argentieri si ribellano al suo modo di fare
giornalismo per immagini e cercano di screditare la figura dell’uomo per
sminuirne l’opera. Jacopetti va avanti per la sua strada, per tre anni seduce
il pubblico con la sua critica irriverente e a tratti qualunquista, ma sempre
originale e frizzante. Ieri, oggi e domani è un altro cinegiornale prodotto
da Jacopetti per conto dell’editore Rizzoli che ricalca la solita formula.
Gualtiero Jacopetti resta
nella storia del nostro cinema bis
come inventore dei mondo movies, ma
prima di passare alla macchina da presa il giornalista cura i commenti di Europa di notte di Alessandro Blasetti
(1959), Il mondo di notte di Luigi
Vanzi (1960), L’America vista da un
francese di Françoise Reichenbach (1960) e Che gioia vivere! Di René
Clement (1961). Da
queste collaborazioni viene fuori la sua intuizione di un cinegiornale sugli
orrori e le storture di un mondo che sta cambiando. Franco Prosperi accoglie
l’idea di Jacopetti con entusiasmo e subito viene composta una squadra di
quattro persone che gira il mondo a caccia di immagini interessanti. I testi
sono scritti da Jacopetti che gira le immagini e le monta, mentre Prosperi
partecipa in prima persona alle riprese e alla scelta di location e argomenti. Vengono fuori due documentari che ancora oggi
sono considerati cinema di culto: Mondo
cane e La donna nel mondo.
Gualtiero Jacopetti durante la lavorazione di questi documentari non viene meno
alla sua fama di depravato e viene accusato di atti contro la morale e tentata
violenza carnale nei confronti di tre bambine di undici anni. Nell’estate del
1960 Jacopetti è condannato dal tribunale di Hong Kong a tre mesi di
reclusione. Mario Castellacci - a proposito della condanna di Jacopetti - scrive
su Lo Specchio un sonetto irriverente
che comincia così: “Mondo cane! gridava Gualtiero,/ stavolta m’ingabbiano
davvero”.
Finita la condanna Jacopetti termina le riprese de La donna nel mondo e subisce un dramma
personale che lo segna per lungo tempo. Nel 1961, a causa di un
incidente d’auto in California muore Belinda Lee, affascinante attrice
americana che da qualche anno è sua compagna di vita. Jacopetti se la cava con
una frattura alla gamba e per un po’ di tempo deve camminare con un bastone. Mondo cane esce in Italia nel 1962 ed
è preceduto dalle polemiche sulle vicende penali di Jacopetti e dalle leggende
metropolitane in merito alla vita dissoluta che il regista avrebbe condotto in
Africa e in Oriente. L’incasso di Mondo cane
è fantastico, pure perché il film è interessante e rappresenta una novità nel
panorama della documentaristica italiana. La colonna sonora di Riz Ortolani (lo
stesso autore di Cannibal Holocaust)
è una delle componenti che contribuisce a valorizzare il film. Lo stile di
Jacopetti è fatto di un continuo alternarsi di immagini efferate e
paradisiache, di cazzottate nello stomaco e di momenti sentimentali, di
violenza e dolcezza, di riflessioni sulla vita che cambia e commenti pseudo
razzisti. Il montaggio è serrato, la fotografia azzeccata, le locationes suggestive, l’idea in sé
molto originale. Il successo porta Jacopetti a realizzare subito dopo Mondo cane 2 con gli scarti del primo
film, inaugurando una tendenza italiana al recupero che farà la gioia di
cineasti come Joe D’Amato.
I tre documentari di Jacopetti sono un trionfo al
botteghino e rappresentano i maggiori successi di incasso del periodo 1962 -
63. Solo i critici non sono d’accordo e accolgono con sonore stroncature i
documentari di Jacopetti e Prosperi così amati dal pubblico. Il critico de Il Borghese,
giornale culturale di destra, Claudio Quarantotto rappresenta un’eccezione alla
regola e apprezza i film di Jacopetti proprio per la crudeltà, il sadismo, la
necrofilia che vengono ben rappresentati sul grande schermo. Ovvio che la
censura si accanisce alla grande sia su Mondo
cane che su Mondo cane 2 alleggerendoli di qualche metro. Va peggio a La donna nel
mondo che viene bocciato in prima
istanza e riesce a uscire nelle sale solo grazie ai contatti influenti di
Angelo Rizzoli.
Gualtiero Jacopetti non si
ferma e insiste sulla linea del documentario con nuovi prodotti come Africa addio, un affresco sui
cambiamenti del continente africano in odore di razzismo strisciante e
commentato da un testo di indubbio cattivo gusto. Il film si ricorda per alcuni
passi che documentano la turbolenta situazione politica africana con
fucilazioni e stragi riprese in diretta. Carlo Gregoretti, presente sul posto
durante le riprese, accusa Jacopetti di aver partecipato alle azioni militari
in Congo e di aver ripreso dal vivo le feroci esecuzioni sommarie. Nuovi guai
giudiziari si profilano all’orizzonte del regista e la magistratura italiana
apre un procedimento d’ufficio per stabilire la verità. L’accusa è concorso in
omicidio e riguarda non solo Jacopetti ma anche il direttore della fotografia
Antonio Climati e l’organizzatore generale Stanis Nievo. Il regista si difende
querelando Gregoretti e il settimanale L’Espresso
che ha pubblicato l’articolo per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La
battaglia giudiziaria porta incassi al film che è ancora una volta campione al
botteghino, pure se la pellicola viene prima definita dalla critica come
fascista, razzista, ignobile e poi finisce nelle aule dei tribunali. Se ne
occupa persino il parlamento con l’interrogazione del democristiano Salvatore
Foderaro, che pone l’accento sull’inopportunità che continui a circolare per le
sale italiane un prodotto che reca solo discredito al continente africano. Il
Ministro del Turismo e dello Spettacolo, il socialista Achille Corona, nell’agosto
del 1966 a
Taormina rifiuta addirittura di consegnare un premio assegnato ad Africa addio.
La Rai Tv non manda in onda la
telecronaca del premio e non fa parola dell’avvenimento. Si scatena una difesa
da destra di Gualtiero Jacopetti contro le angherie e le censure della televisione di Stato ed è
per questo motivo che il regista si costruisce la fama di uomo di destra. Di
fatto solo la destra lo accoglie nelle sue riviste e solo la critica di destra
elogia i prodotti cinematografici di Jacopetti come “emozioni proibite
realizzate con cura estrema e cinica freddezza”.
Jacopetti e Prosperi
lavorano a La vita è bella (1968), un
quadro della civiltà contemporanea secondo la loro particolare ottica
sensazionalista, ma l’opera resta incompiuta e il progetto provvisoriamente
abbandonato. Il successivo documentario, Addio
zio Tom, invece scatena ancora polemiche e porta di nuovo alla ribalta
la coppia Jacopetti - Prosperi. Il film viene presentato come un lavoro dalla
parte dei negri americani che, morto Martin Luther King, pretendono di avere un
loro ruolo nella società. In realtà il documentario parla dello schiavismo in
termini quasi elogiativi e nostalgici. Viene idealizzato il rapporto stretto
tra padrone e schiavo e il negro è
dipinto come un essere nato per servire il bianco che lo tratta bene e lo
considera come un oggetto di sua proprietà. Le accuse di razzismo sono
avvalorate anche da un commento sonoro fastidioso che accentua ancora di più il
senso di inutilità della pellicola. Jacopetti, Prosperi e Luciano Cirri in
questo periodo realizzano anche lo spettacolo di cabaret Occidente, good-by, un’opera satirica che riprende le tematiche di Addio zio Tom.
Nello spettacolo le
affermazioni razziste e qualunquiste si sprecano e vanno dai negri che vogliono
un’ecatombe bianca, ai contestatori da quattro soldi, per arrivare ai nuovi
preti non violenti e ai negri visti come razzisti al cioccolato. Addio zio Tom è girato negli Stati
Uniti e ad Haiti utilizzando comparse prese dalla strada messe a disposizione
dal dittatore Papa Doc. Il film è indubbiamente di destra e segue il filo
conduttore del finto reportage cercando di raccontare l’epopea dei neri
d’America secondo l’ottica dei bianchi più razzisti. Il film ha alcune scene di
vero e proprio culto per gli esteti del trash
come la sequenza della serva adolescente che vede la sua verginità come un
ostacolo alla possibilità di servire i padroni e implora verso la macchina da
presa che qualcuno gli “facesse lo servizio” per poter poi tornare dal bianco
che l’ha rifiutata. Molto trash anche
la scena della castrazione tramite tenaglie di uno schiavo che urla “No i palli
no!” e che la folla del suo stesso colore apostrofa, dopo che il malcapitato se
l’è fatta sotto per il terrore, “Ha pisciasse, c’ha paura, ha pisciasse!”. Per
non parlare della scena della “purificazione anale” tramite clistere dove tutti
gli schiavi soffrono per la rozzezza della pratica tranne uno, che sorride
beato alla macchina da presa. Pure lo slang
con cui parlano i negri è patetico.
Addio zio Tom esce nel 1971 e viene stroncato un po’ ovunque, questa volta abbastanza
giustamente perché si tratta del peggior film di Jacopetti, il più falso e
ideologicamente scorretto che abbia mai girato. Pure il pubblico tradisce il
regista e diserta le sale anche perché il momento d’oro dei mondo movies sta finendo. Nuovi guai
giudiziari per Jacopetti che si vede sequestrare il film dalla magistratura
perché “contrario al buon costume e al sentimento etico e sociale per le
frequenti scene di volgare sessualità, per la esasperata rappresentazione
dell’odio razziale e per le tragiche e sanguinose stragi che la lotta razziale
determina nella struttura dello spettacolo”. Il dissequestro di Addio zio Tom avviene poco dopo con una
motivazione che lo riconosce come “opera d’arte”, ma sono gli autori che lo
ritirano dalle sale e decidono di rimontarlo. Jacopetti e Prosperi pensano che
la prima versione è risultata poco chiara agli spettatori e quindi inseriscono
un nuovo commento di uno speaker che spiega antefatti storici e dà informazioni
utili. Nel 1972 esce una nuova versione del film tagliata di ventotto minuti
rispetto alla precedente e intitolata Zio
Tom. Questa volta il pubblico risponde abbastanza bene, pure se non si
toccano le vette di incassi dei primi mondo
movies. L’unica cosa negativa è l’accusa di plagio da parte di uno
scrittore francese, plagio relativo solo al titolo e per questo viene comminata
una parziale condanna al risarcimento.
La coppia Prosperi -
Jacopetti, dopo il parziale insuccesso di Addio
zio Tom, riprende in mano il vecchio progetto de La vita è bella e ne
ricavano un film a soggetto al quale collabora anche il giornalista Claudio
Quarantotto. Il film esce nel 1975 con il titolo di Mondo Candido, perché ispirato al Candido di Voltaire, e passa in rassegna
una serie di atrocità commesse dal genere umano che vanno dall’inquisizione
alle ingiustizie del nuovo mondo, per arrivare alle guerre civili irlandesi e
al conflitto arabo-israeliano. Ma il film si occupa pure della perdita della
verginità, dell’innocenza, della fine delle ideologie e della caduta delle
illusioni. Il quadro deprimente che ne esce fuori è pessimista e sconcertante, rappresenta
una visione del mondo cupa e nichilista che il pubblico non apprezza. Mondo Candido viene punito da critica e
botteghino che decretano la fine della carriera di Jacopetti e il definitivo
tramonto dei prodotti stile mondo movies.
Gualtiero Jacopetti torna
alla ribalta delle cronache alla fine del 1975 quando partecipa a una
“Costituente di Destra” insieme a Mario Tedeschi, direttore de Il Borghese, che si propone alle elezioni per costituire
uno schieramento conservatore a destra della Democrazia Cristiana. La
costituente raduna uomini di spettacolo come Gianni Manera, Nino Segurini,
Gianni Solaro e Gualtiero Jacopetti entra nel Comitato di Presidenza. Il
movimento politico ha vita breve e Jacopetti comprende che nell’Italia di fine
anni Settanta c’è ben poco spazio a destra di Democrazia Cristiana e che quel
poco è ricoperto dal Movimento Sociale Italiano. Il nuovo movimento subisce una
bruciante sconfitta nelle elezioni politiche del 1976 proprio per la sua natura
neofascista che viene giudicata pericolosa dagli elettori. Il posto della
“Costituente di Destra per la libertà” è
preso da Democrazia Nazionale, che si fonde con il Movimento Sociale e vede tra
i suoi attivisti Gualtiero Jacopetti. Negli anni Ottanta il regista torna a
occuparsi di giornalismo e collabora a Il
Giornale dell’amico Montanelli come inviato speciale nelle zone calde del
pianeta.
Il cinema di Jacopetti è
oggi al centro di una globale rivalutazione e riscoperta. L’inventore del mondo movie, del “documentario
scandalistico violento e scioccante, che con immagini di inusitato verismo,
crudeli e sadiche, tende a impressionare
lo spettatore rivelandogli aspetti sconosciuti di riti e usanze proprie di
numerose popolazioni” (R. Poppi “Dizionario del Cinema Italiano - I registi -
Gremese, 1993). Gualtiero Jacopetti passa alla storia del cinema anche con la
nome del grande mistificatore perché avrebbe costruito sul set false sequenze
documentarie. L’accusa è confortata da testimonianze di suoi collaboratori
diretti ma non è stata mai del tutto provata (2).
Riferimenti bibliografici
(1) Per le vicissitudini
giudiziarie di Gualtiero Jacopetti si veda: Franco Grattarola – “Il Candido
Gualtiero” - da “Il Foglio Letterario” n.21 - Edizioni Il Foglio - Piombino,
2003
(2) La figura di Gualtiero
Jacopetti è stata ricostruita sulla base del saggio critico di Franco Grattarola
sopra citato.