sabato 29 dicembre 2012

I pompieri di Viggiù (1949)


di Mario Mattòli 


Regia: Mario Mattòli. Soggetto e Sceneggiatura: Marcello Marchesi, Steno. Produttore: Dino De Laurentiis. Fotografia: Aldo Tonti. Montaggio: Giuliana Attenni. Musiche: Armando Fragna. Scenografia: Alberto Boccianti. Interpreti: Carlo Campanini, Totò, Silvana Pampanini, Ave Ninchi, Carlo Croccolo, Dante Maggio, Aldo Tonti, Ughetto Bertucci, Alfredo Rizzo, Leopoldo Valentini, Augusto Caverzasio, Ernesto Almirante, Dolores Palumbo, Mirella Gailardi, Ricky Denver, Totò Mignone, Isa Barzizza, Mario Castellani, Wanda Osiris, Carlo Dapporto, Laura Gore, Guido Morisi, Leho, Manet, Nino Taranto, Carlo Taranto, Enzo Turco, Elena Giusti, Adriana Serra, Franchina Cerchiai, Stella Nicolich, Magda Gonnella, Harry Fiest, Ariodante Dalla, Gregorio Di Lauro, Rosetta Pedrani, Geo Dorlis, Miriam Gori, Odoardo Spadaro. 


Mario Mattòli gira un film omaggio del teatro di rivista, ben sceneggiato da Steno e Marchesi; in pratica un film a episodi mascherato, un contenitore di numeri musicali, balletti, coreografie e sketch piuttosto divertenti, interpretati dai migliori fantasisti e comici del tempo. La trama si sviluppa partendo dal paesino di Viggiù (cinquemila abitanti in provincia di Varese) dove Carlo Campanini, comandante dei pompieri, ha due problemi: una bella figlia Fiamma (Silvana Pampanini) che vuol fare la soubrette e una canzone di successo come I pompieri di Viggiù. Campanini guida i componenti dei vigili del fuoco a Milano, deciso a interrompere la rivista I pompieri di Viggiù ma anche intenzionato a riportare a casa la figlia. I vigili del fuoco dietro le quinte del palcoscenico sono il filo conduttore della storia, collegano alcuni numeri sexy, canzonette romantiche e siparietti comici. Il vero scopo dei pompieri è quello ammirare bellezze seminude che in provincia non è facile vedere, per questo motivo la solerte moglie Ave Ninchi redarguisce il marito.  I nostri pompieri abbandonano il proposito di far smettere di recitare attori e ballerine, ma si lasciano ammaliare - insieme al pubblico - dal teatro di rivista. Il padre desiste del riportare a casa Fiamma e la lascia libera di seguire la sua vocazione.

Totò abbraccia Isa Barzizza

I pompieri di Viggiù è un film moderno e brillante che per le parti comiche non risente del tempo passato, ma risulta datato per gli inserti melodici di gusto anni Cinquanta (Sentimental, Wanda Osiris che canta scendendo la scalinata…). La trama è una scusa per fare la storia del teatro di rivista, omaggiato da alcune scenette indimenticabili, tra tutte quella che vede Totò innamorato di Isa Barzizza, moglie di un venditore di stoffe (Castellani) sull’orlo del fallimento e convinto che esistano gli spiriti. Totò corteggia la donna proprio mentre sta arrivando il marito, quindi - secondo le buone regole della pochade - dovrebbe nascondersi. Non trova di meglio che fingersi manichino, dando il via a una serie di qui pro quo, smorfie e situazioni comiche esilaranti. Totò diventa bersaglio di schiaffoni, persino di improbabili colpi di pistola, ma alla fine si finge l’anima del padre, estorcendo allo sciocco marito stoffe, giacche e persino baci dalla moglie. Totò torna per uno sketch finale come  direttore della banda, una parte che Franco Franchi imiterà nei futuri film (Ma che musica maestro su tutti) e in televisione. Totò conclude dando il via alla Marcia dei Bersaglieri e a una divertente passerella finale. Proprio lui consiglia a Carlo Campanini di non interferire sulla vita della figlia e di farle seguire la sua vocazione, invece di sposarla a un fidanzato con la faccia da fesso. Tra le altre scenette comiche citiamo la bravura di Nino Taranto come topo d’albergo e come poliziotto siciliano intento a multare bellezze al bagno in costumi discinti. Mario Mattòli anticipa la commedia balneare, la commedia sexy, persino il musicarello e confeziona un prodotto divertente che in certi momenti sfida la solerte censura.


I pompieri di Viggiù è un film molto citato. Nella pellicola Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, quando la sala prende fuoco, nella piazza del paese si sta proiettando proprio il film di Mattòli. Edoardo Bennato cita la pellicola nella canzone C’era una volta e Ascanio Celestini ne La Rivoluzione. Ennio Flaiano scrive nel 1949: “L’errore dei critici è volerlo considerare un film, in realtà è un documentario che anticipa in Italia le gioie della TV”. Morando Morandini aggiunge: “Sotto questo profilo, la pellicola è un capolavoro involontario di reportage, una preziosa antologia dell’avanspettacolo nell’Italia del dopoguerra. Il titolo è quello di una popolare canzone di Arnaldo Fragna. Terzo incasso nella stagione 1949 - 50”. Due stelle è il giudizio critico, ma cinque stelle è il responso del pubblico. Contraddiciamo il noto critico, perché se di antologia si tratta è del teatro di rivista e non dell’avanspettacolo, che è ben altra cosa. Pino Farinotti concede due stelle e afferma che “le vicende del corpo pompieri di Viggiù servono solo a legare tra loro numeri musicali e sketch comici”. Paolo Mereghetti, invece, è entusiasta. Ben tre stelle anticipano una lunga nota critica: “Un film corale… uno straordinario documentario sul mondo della rivista, girato come se fosse un musical hollywoodiano (anche se con minor ricchezza di mezzi) e montato con un bel ritmo, tra abbondanza di belle ragazze molto poco vestite (almeno per i tempi) e frequenti gag sui temi d’attualità”.

Ancora Totò - Barzizza

Le riviste del 1948 dalle quali vengono prelevati parti comiche e numeri musicali: Nuvole, E così era il mondo, Al Grand Hotel, Buon Appetito. Molte le canzoni: Canto campestre e Sentimental (Wanda Osiris), I pompieri di Viggiù (Carlo Dapporto), Qui... sotto il cielo di Capri (Ariodante Dalla), Perché non sognar (Jole Cacciagli). Ottime le musiche e le scenografie. Bravi gli attori di secondo piano come Ave Ninchi, Carlo Croccolo, Alfredo Rizzo. Belle e seducenti Silvana Pampanini e Isa Barzizza. Un film da rivedere.

Per vedere la scenetta del manichino: http://www.youtube.com/watch?v=yPyi0-LK_KA

Gordiano Lupi

giovedì 27 dicembre 2012

Basta guardarla (1970)

Luciano Salce e la nostalgia del teatro di rivista


Basta guardarla (1970) è uno dei migliori film di Luciano Salce perché unisce in un solo lavoro comicità, nostalgia del tempo passato, ironia, umorismo caustico e ricordi di un teatro di rivista che non esiste più. Il soggetto è di Iaia Fiastri, la sceneggiatura dello steso Salce, con la collaborazione di Steno, la fotografia di Aiace Parolin, la musica di Franco Pisano, il montaggio di Marcello Malvestito, le scenografie sono di Luciano Spadoni e i costumi di Luca Sabatelli. La produzione è Mario Cechi Gori per Fair Film. Il cast è notevole: Maria Grazia Buccella, Carlo Giuffrè, Mariangela Melato, Luciano Salce, Franca Valeri, Pippo Franco, Riccardo Garrone e Umberto D’Orsi. Il meglio della comicità del periodo storico dà vita a un film - memoria dell’avanspettacolo e racconta le vicissitudini di una piccola compagnia teatrale che si esibisce nei paesi più sperduti della nostra provincia.  


Maria Grazia Buccella è una contadinella ciociara a servizio da uno zio prete, sogna di fare la ballerina, si innamora del cantante Silver Boy (un fantastico Carlo Giuffrè) e alla fine riesce a farsi scritturare dalla sua compagnia. Pippo Franco, nei panni del gay Danilo, trasforma la contadinella in una donna interessante, la depila, le toglie gli abiti da lavoro, la veste da soubrette e le insegna a ballare. Il film si sviluppa così, come un’epopea degli artisti di poco conto, attori da avanspettacolo che nessuno conosce, ma che portano la loro passione nei teatri di provincia. Salce costruisce una bella storia d’amore e passione tra Silver Boy ed Enrichetta Rikk (Buccella), contrastata dalla gelosa e focosa spagnola Marisa (Mariangela Melato) che fa di tutto per eliminare la rivale. A un certo punto del film entra in scena un’altra compagnia di guitti, capeggiata da Farfarello (Salce) e dalla moglie Pola (Franca Valeri), che porta via Enrichetta.

Maria Grazia Buccella

In questa pellicola non è tanto importante la trama, quanto il quadro di un’Italia che non esiste più, dalle campagne ciociare dove una ragazzina può sognare di fare la ballerina, diventare attrice e innamorarsi di un cantante come Silver Boy, per arrivare al sapore delle tavole sconnesse dei palcoscenici di periferia. Carlo Giuffrè è bravissimo nella caratterizzazione di un cantante romantico che veste sempre con impermeabile nero, porta occhialoni da sole, fa innamorare le donne, interpreta languide storie strappalacrime, ma se serve esegue pezzi comici. Mariangela Melato è al suo primo film, dimostra bravura e temperamento nei panni di una focosa ballerina spagnola che non tollera rivali. Maria Grazia Buccella è bella e sensuale, ma recita anche una buona parte comico - drammatica, non si limita a mostrare le grazie procaci, come già aveva fatto in Ti ho sposata per allegria (1967), sempre sotto l’attenta guida di Salce. La Buccella è credibile sia come contadinella baffuta mentre addenta un enorme panino e serve il pranzo allo zio prete, che come interprete maliziosa del Cocoricò, numero che ne decreta il successo popolare. Pippo Franco versione gay fa intravedere la futura bravura da attore comico ed è il Pigmalione della nuova Enrichetta, parrucca bionda e fisico mozzafiato. “Questa ragazza c’ha il teatro nel sangue. Basta guardarla!” esclama Giuffrè, allungando la vista sulle lunghe gambe della Buccella e spiegando il motivo del titolo.

Melato e Giuffrè

Luciano Salce è bravissimo come regista, dosa a dovere le parti ironico - melodrammatiche e i siparietti desunti con rigore filologico dal teatro di rivista, costruendo un capolavoro di nostalgia, ma anche una storia d’amore e tradimenti che si segue con passione.

Ancora una stupenda Buccella

Basta guardarla è una proto commedia sexy, perché contiene in nuce molti elementi di un genere ancora in formazione, soprattutto l’esibizione della bellezza di Maria Grazia Buccella, a dire il vero molto castigata. Sono interessanti anche le parti oniriche, velate di musica soffusa e fotografia flou, gli inserti da fotoromanzo con i sottotitoli ammiccanti, gli incontri amorosi tra Giuffrè e la Buccella, i sogni a occhi aperti della ragazza che non perde mai il suo habitus di ingenua contadinella. I numeri prelevati dal teatro di rivista sono una delle cose più divertenti della pellicola, a partire dal Cocoricò, il pezzo più trash del mondo cantato con voce sensuale da una Buccella - gallinella procace e interpretato da un mitico Giuffrè - galletto. Pare una versione anticipata delle ragazze Coccodè di arboriana memoria e non è escluso che lo showman pugliese si sia ispirato proprio a questo film.


Luciano Salce interpreta il ruolo di Farfarello, un capo comico che ha come moglie la bravissima Franca Valeri, personaggio fondamentale nell’economia del film. Il ruolo dovrebbe andare a Ugo Tognazzi, ma ci sono problemi di incompatibilità con altri impegni dell’attore milanese, così Salce decide di fare da solo e ci regala uno dei suoi migliori personaggi. Farfarello è un egocentrico, divenuto impotente dopo uno shock violento (un marito geloso che brandisce un coltello), continua a propagandare la sua fama di latin lover con la complicità della moglie che ogni sera lo interrompe sul più bello perché non faccia cattiva figura. Farfarello scrittura Enrichetta, la trasforma in Erika Rikk e la inserisce nei suoi spettacoli che sono quanto di più volgare abbia prodotto l’avanspettacolo. I doppi sensi a tema sessuale si sprecano (“Aboliremo le tasse! Sì, col cocchio!”), inseriti in scenografie storiche dove la Valeri canta “Piramidal, il mio fascino egizio…” e la Buccella è prima ballerina. La dura legge del teatro porta la Buccella in primo piano quando la Valeri si infortuna sulla scena. Silver Boy, intanto, beve, stecca le canzoni, litiga con il pubblico, perché vorrebbe riavere la sua Erika e comprende che non era una passione fugace, ma vero amore. Sono molto divertenti le parti che descrivono un’improbabile fuga d’amore a Civitavecchia, nello squallore del mare melmoso, a bordo di una barchetta scassata e nelle stanze di una pensioncina di quart’ordine. Tutto in sintonia con la condizione di attori scalcinati. 


Salce prosegue citando diversi numeri di avanspettacolo, scelti tra i pezzi più bassi e volgari: l’autobus (“che piacere… che piacere che si prova nel sedere…”), Via col razzo, Poppea sali sul cocchio, Che Cassio vuoi… e via di questo passo. Umberto D’Orsi è un’ottima spalla che asseconda la verve istrionica di Salce, mentre Riccardo Garrone non ha grande spazio, racchiuso nel modesto personaggio del produttore Pedicone.


Il film presenta alcune parti erotico - ironiche con la Buccella che offre il suo corpo a Farfarello, “un uomo che non ama”, stile fotoromanzo di bassa lega, ma il capo comico è impotente e non ne approfitta. Maria Grazia Buccellla dimostra tutta la sua bravura di attrice completa e di showgirl, nel finale esce da una gigantesca conchiglia e canta la sensuale Venere 2000 (“Sono Venere 2000, sono disponibile a tutto…”), prima fischiata da un pubblico pagato e subito dopo acclamata. La pochade prende il sopravvento con una bagarre finale a base di cazzotti, seggiole divelte e colpi proibiti. Ha la peggio Silver Boy che finisce in ospedale dopo essere stato colpito dalla spagnola in un eccesso di ira gelosa. Il finale registra il trionfo dell’amore tra Silver Boy ed Erika Rikk, ma anche un nuovo shock per Farfarello che recupera la virilità perduta. I due innamorati si ritrovano in ospedale, cantano la loro canzone, progettano un ritorno sulle scene, mentre una marcia nuziale tra suore e malati li accompagna verso la dissolvenza finale. Scorrono sui titoli di coda i finti commenti della stampa estera che registra con soddisfazione un film capolavoro. Salce ironizza su se stesso e non si prende sul serio.


Basta guardarla è una struggente rievocazione del teatro di rivista, eseguita con tratto da maestro e con leggerezza, seguendo il racconto romantico di una protagonista ingenua e innamorata. Salce cita con dovizia di particolari vecchi numeri dell’avanspettacolo e li riproduce sul set con bravura e rigore enciclopedico. Il film non è volgare anche se recupera le battute di quel teatro, perché vengono inserite sotto forma di citazioni e ricordi di un mondo scomparso. 

mercoledì 26 dicembre 2012

Per conoscere il cinema cubano - 2


Per un errore ho pubblicato la seconda puntata della Storia del Cinema Cubano sul mio blog latinoamericano SER CULTOS PARA SER LIBRES. In definitiva, l'argomento si presta anche a quel contenitore. Rimando al link per la lettura: http://blog.edizionianordest.com/2012/12/breve-storia-del-cinema-cubano-2.html

Gordiano Lupi

lunedì 24 dicembre 2012

Cebo para una adolescente – La segretaria (1973)

di Paco Lara Polop

Soggetto e Sceneggiatura: Paco Lara Polop, Francisco Summers. Regia: Paco Lara. Montaggio: Mercedes Alonso. Direttore di Produzione: J. L. Bermudez De Castro. Fotografia: Raul P. Cubero. Musica: Alfonso Santisteban, Manuel Summers. Produzione: Picasa di José Antonio Cascales (produttore esecutivo). Interpreti: Ornella Muti (Maribel), Philippe Leroy (Ignacio), Emilio Gutierrez Caba (Carlos), Lina Canalejas (Teresa), José Vivo (Antonio), Curro Summers (Curro), David Lara (David), Yelena Samarina (Matilde), Angel Menendez, Cris Huertas, Africa Prat, Pilar Gomez Ferrer, José Luis Uribarri, Fernando Guillen (presentatore).


Paco Lara Polop (1932 - 2008) è un produttore, sceneggiatore e regista spagnolo, specializzato in pellicole erotico - sentimentali e melodrammi che debutta nel cinema come autore horror. Non compie studi specifici, la sua vera professione è a bordo delle navi della marina mercantile, ma presto si dedica al cinema. Passa gli ultimi anni della sua vita come guida turistica presso il Monastero dell’Escorial. Tra i suoi film più noti, che non valicano i confini spagnoli: La mansion de la niebla (1972) - primo lavoro di genere horror -, e gli erotici Obsesion (1975), El vicio y la virtud (1975), Climax (1977), Historia de S (1979, per ricalcare il successo de Histoire d’O), Adulterio Nacional (1982). El monje è la sua ultima pellicola, uscita nel 1990.


Cebo para una adolescente - secondo lavoro di Lara - è un film ambientato nella Spagna franchista che ancora risente dei limiti di censura imposti dal regime dittatoriale del generalissimo. Poche le scene erotiche in un clima da fotoromanzo, o per meglio dire da telenovela, visto che siamo in Spagna, tutte giustificate da sequenze in piscina e da ardite minigonne. Ornella Muti ha già interpretato alcune pellicole spagnole diretta da Pedro Maso (Esperienze prematrimoniali - 1972,  e L’amante adolescente - 1973), in Italia proviene dal successo di Paolo il caldo (1973) di Marco Vicario e dallo scandalo di Appassionata (1974) di Gian Luigi Calderone. Mario Monicelli l’ha individuata come interprete di Romanzo popolare (1974), dopo il convincente debutto ne La moglie più bella (1970) di Damiano Damiani.
Il dvd francese

Cebo para una adolescente esce nel mercato tedesco come Forbidden Passion e Bait for an Adolescent nei dvd USA. In Italia la circolazione è limitata, ma con un titolo anonimo e poco ammiccante: La segretaria. Cebo para una adolescente si traduce Trappola per un’adolescente, ma la visione non mantiene quel che promette.

Edizione italiana del film

Il film è una pellicola sentimentale, racconta la storia di un ricco e maturo imprenditore (Leroy), innamorato della segretaria adolescente (Muti). A un certo punto la ragazza incontra un coetaneo giornalista, si innamora di lui e il rapporto con l’imprenditore diventa interesse reciproco. I genitori convincono la ragazza a non lasciare un buon partito che ha cambiato la vita della famiglia e la costringono a recitare il ruolo della mantenuta. La scena finale rivela tutto il melodramma sentimentale, quando la ragazzina fugge con il giovane innamorato.

Il dvd spagnolo

Tra le cose che si ricordano citiamo una giovanissima Ornella Muti in tutta la sua bellezza adolescente e un’ottima prova di Philippe Leroy come uomo maturo innamorato della ragazzina, credibile Humbert Humbert suggestionato dalla sua Lolita. Buona l’ambientazione in una Madrid che si sta liberando del franchismo, con le prime utilitarie che circolano e l’edilizia residenziale in sviluppo. Ricordiamo anche alcune sequenze di corrida in una affollata plaza de toros. Il regime e la ferrea censura limitano i riferimenti erotici, perché il regista sfuma nel momento degli amplessi e delle parti sexy che risultano inesistenti. Vediamo una Londra da cartolina turistica durante un viaggio dei due innamorati (stile mondo movie), un night con uno spogliarello (stile mondo sexy di notte) durante una cena intima e brevi momenti sexy (la prova della sottoveste) in un film dal tono romantico - sentimentale.


Cebo para una adolescente è una pellicola dal tipico gusto iberico che in Italia non può avere mercato, cinema di genere sentimentale da noi prodotto solo per la televisione e per i fotoromanzi. Ottimi gli interpreti, tutti spagnoli, a parte la Muti e Leroy che recitano comunque in castigliano, ma vengono orrendamente doppiati. Uno dei maggiori difetti delle pellicole spagnole è il doppiaggio: tutti parlano un castigliano perfetto, immune da inflessioni dialettali, teatrale, impostato, che fa perdere spontaneità alla pellicola. In definitiva un film che si può apprezzare solo per il valore storico che contiene e per seguire la crescita professionale di un’attrice come Ornella Muti.
Per vedere la versione originale di Cebo para una adolescente: http://www.youtube.com/watch?v=g0rW6BcoZ5U.

Gordiano Lupi

martedì 18 dicembre 2012

Giovani e belli (1996)

di Dino Risi

Dino Risi, il poeta della piccola umanità

Regia: Dino Risi. Soggetto: Bernardino Zapponi, Dino Risi. Sceneggiatura: Bernardino Zapponi, Dino Risi, Cristiana Farina. Fotografia: Maurizio Calvesi. Montaggio: Alberto Gallitti. Musica: Armando Trovajoli. Scenografia: Gualtiero Caprara. Suono: Gaetano Testa. Costumi: Ivan Crnojevic. Coreografie: Leontine Snel.  Trucco: Gloria Fava. Operatore alla Macchina: Roberto Ruzzolini. Aiuto Regista: Massimo Carocci. Produttore: Giovanni Bertolucci per Produttori Associati. Distribuzione: Artisti Associati. Interpreti: Anna Falchi, Luca Venantini, Edoardo Scatà, Ciccio Ingrassia, Carlo Croccolo, Venantino Venantini, Carla Cassola, Gina Rovere, Luisa Fiore, Andrea Sottile, Gabriella Barbuti, Adelina Gnisci, Barbara De Nuntis, Americo Palma, Luciano Gubinelli, Massimo Pittarello, Deborah Di Maggio, Salvatore Cammuca, Carlotta Tesconi, José Maria Gonzales, Riccardo Pellegrino, Andrea Sottile, Nanni Tamma.  


Giovani e belli (1996) è l’ultima prova da regista cinematografico per Dino Risi e anche l’ultima occasione per vedere all’opera Ciccio Ingrassia come attore. Molti critici lo definiscono un fallimentare remake di Poveri ma belli (1956), ma a nostro avviso la sola cosa in comune con un capolavoro del neorealismo rosa è una vaga assonanza nel titolo. Luca (Edoardo Scatà) è un ragazzo bello, ricco e annoiato, incapace di provare nuovi entusiasmi perché ha avuto tutto dalla vita. Luca è figlio di un politico che a un certo punto finisce in galera e manda la famiglia sul lastrico. Gino (Luca Venantini), giovane borgataro romano che vive alla giornata, stringe una solida amicizia con Luca, dopo una notte passata in discoteca. I due ragazzi mollano le rispettive fidanzate, ma anche le famiglie, per andare a vivere alla periferia di Roma, in un barcone sul Tevere. Tra i due amici si inserisce il personaggio di una bella zingara, Zorilla (Anna Falchi), che si finge cieca per rubare indisturbata. La zingara abbandona il campo nomadi, va a vivere con i due ragazzi e li mette uno contro l’altro, ma finisce per sposare entrambi perché non sa decidere.

Ciccio Ingrassia, re degli zingari, celebra il matrimonio

Bernardino Zapponi mette la firma su una sceneggiatura sconclusionata, Dino Risi (1917 - 2008) conclude la carriera con un film da dimenticare, girato con tempi televisivi, senza un filo logico, ricco soltanto di incongruenze. Il poeta della piccola umanità, autore di garbate commedie all’italiana, ci aveva abituati a lavori originali che stigmatizzavano con ironia i vizi della nostra gente. Il regista è lontano anni luce dai suoi capolavori che fotografano i comportamenti della povera gente e i difetti umani. Il suo cinema migliore non è lontano dalla lezione neorealista, anche se si tratta di neorealismo rosa che si presenta sotto forma di commedia. Il suo primo successo è Pane, amore e... (1955), sequel di Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia di Luigi Comencini, pellicole manifesto della stagione del neorealismo rosa. Vittorio De Sica interpreta ancora il maresciallo Carotenuto, mentre il ruolo femminile passa da Gina Lollobrigida a Sophia Loren. Poveri ma belli (1956) è ancora un successo realizzato in economia che genera due sequel come Belle ma povere (1957) e Poveri milionari (1959). Giovani e belli, quarta inutile puntata, giunge fuori tempo massimo, ma potevamo farne a meno. Preferiamo ricordare Dino Risi per pellicole come Il vedovo (1958), Il mattatore (1959),  Il sorpasso (1962), I mostri (1963), Vedo nudo (1969), In nome del popolo italiano (1971), Primo amore (1977) e altri piccoli capolavori del cinema italiano.

Poveri ma belli, un vero capolavoro

Una critica poco obiettiva definisce Giovani e belli come una scanzonata commedia di costume che unisce folclore gitano e vizietti italiani. Niente di tutto questo. Si tratta soltanto di un calderone di stupidità e luoghi comuni a base di approcci e amicizia tra ragazzi e ragazze. Ricordiamo citazioni a casaccio da Hermann Hesse, divagazioni nella Roma di notte, spogliarelli maschili nei night per signore, vecchi comunisti rimbambiti dopo la caduta del muro di Berlino e zingari che celebrano riti tzigani. La musica di Trovajoli è una delle poche cose da salvare, composta da un interessante mix di Roma nun fa’ la stupida stasera e una serie di orecchiabili stornelli.

La copertina del dvd

Carlo Croccolo si perde nella macchietta del collocatore gay, irritante come i due protagonisti, Scatà e Venantini junior, del tutto incapaci di recitare. Bravo Venantino Venantini, invece, nei panni del vecchio playboy Bubi, ormai in disarmo. Straordinario Ciccio Ingrassia, barba bianca e interpretazione intensa, tra le poche note liete del film, nei panni del re degli zingari che tenta di celebrare il matrimonio combinato di Zorilla. Finirà per sposare la bella ladruncola con i due amici, prima gelosi l’uno dell’altro, infine riconciliati dall’idea di diventare entrambi mariti di Zorilla. Anna Falchi è brava, anche se i dialoghi non l’aiutano, ma sostiene sulle sue spalle il peso di alcune sequenze da tarda commedia sexy e risolve le situazioni con freschezza e simpatia. Giovani e belli è una pellicola scadente, soprattutto perché la sceneggiatura non giustifica la grande amicizia tra i due ragazzi e neppure l’amore che Zorilla dice di provare per entrambi. Abbiamo persino lo struzzo Giuditta  a rendere ancora più ridicolo il soggetto di un lavoro da dimenticare.

giovedì 13 dicembre 2012

Per conoscere il cinema cubano - 1

Comincia con questo post una rubrica che si pone come obiettivo la conoscenza divulgativa di una cinematografia vitale come quella cubana, che - specie dopo il 1959 - ha prodotto di grande interesse artistico, non solo apologetiche ma spesso critiche nei confronti della rivoluzione, capaci di anticipare cambiamenti e modifiche di costume di grande importanza. Per prima cosa vogliamo dare un quadro d’insieme, utile per inquadrare la storia del cinema cubano, dagli albori ai giorni nostri.


Gli albori del cinema (1897 – 1936) 

L’Avana, capitale di Cuba, fu tra le prime città dell’America Latina dove giunse la novità tecnologica del cinema. Correva il gennaio del 1897. Rappresentante dei fratelli Lumiere fu Gabriel Veyre, vero e proprio ambasciatore dell’invenzione francese, ma anche realizzatore  del primo film cubano - con ambientazione avanera - di cui si abbia notizia: Simulacro de incendio, girato nel 1897. La sporadica produzione cinematografica durante i primi vent’anni del secolo ebbe un carattere nazionalista e politico. Il principale pioniere della settima arte fu Enrique Díaz Quesada, della cui ampia produzione (El capitán mambí, La manigua o La mujer cubana, El rescate de Sanguily) è rimasto soltanto il corto documentario El parque de Palatino. Alla fine degli anni Venti si raggiunse una certa stabilità produttiva, ma i film non avevano grande qualità, erano opere artigianali, ingenue e di scarso valore artistico. In questo periodo, Ramón Peón, un altro dei principali fondatori della cinematografia cubana, realizzò il memorabile La virgen de la Caridad (1930), considerato da alcuni storici del cinema uno dei film latinoamericani più importanti del periodo. Dal 1920 esistevano notiziari periodici, alcuni dei quali sono conservati ancora oggi come le più importanti testimonianze audiovisive del passato. 


L’avvento del sonoro (1937 – 1958)

La prima pellicola sonora venne realizzata soltanto nel 1937, sulla spinta del successo registrato dal romanzo d’appendice che veniva trasmesso alla radio. Il primo film prodotto fu Serpiente roja, diretto da Ernesto Caparrós e basato sugli episodi radiofonici del detective Chan Li Po, personaggio creato dal celebre Félix B.Caignet. In questo periodo storico la maggior parte dei prodotti cinematografici conteneva elementi musicali e di folclore, oppure imitava il teatro popolare, il melodramma messicano e i romanzi d’appendice radiofonici. I titoli di maggior successo furono Romance del palmar e Estampas habaneras. Nel 1938 il Partito Comunista fondò la Cuba Sono Film, che realizzò con regolarità il Notiziario Hoy, oltre a numerosi documentari e due cortometraggi di fiction. Negli anni Quaranta e Cinquanta vennero realizzate molte coproduzioni con il Messico, prodotti a basso costo e di scarso rilievo artistico. Si possono citare tra i migliori lavori Siete muertes a plazo fijo (1950) e Casta de roble (1953), entrambe diretti da Manuel Alonso, una sorta di monopolizzatore del cinema che sfruttava come industria personale. Nel 1951 venne creata la Sociedad Cultural Nuestro Tiempo, che comprendeva diversi artisti in seguito fondatori dell’Istituto Cubano dell’Arte e dell’Industria Cinematografica (ICAIC). Nel 1955, Julio García Espinosa realizzò il corto documentario El Mégano, con la collaborazione di Tomás Gutiérrez Alea, Alfredo Guevara e José Massip, proponendo un nuovo cinema critico e problematico, che avrebbe contribuito alla creazione dell’ICAIC, dopo il trionfo della Rivoluzione, nel 1959. 


I primi anni della Rivoluzione (1959 – 1969)  

La Rivoluzione Cubana cambiò il modo di fare cinema creando l’ICAIC, sotto la direzione di Alfredo Guevara. La legge istitutiva della casa di produzione statale recitava: “Il cinema deve essere tutelato e promosso come il più potente e suggestivo mezzo di espressione artistica, il più diretto ed efficace veicolo di educazione e diffusione delle idee”. Nei primi tempi il cinema cubano si poteva raggruppare in tre settori: didattico, documentaristico e di fiction, a parte un dipartimento dedicato ai cartoni animati, creato nel 1960, contemporaneamente al Noticiero ICAIC Latinoamericano, realizzato da Santiago Álvarez. In generale i cineasti, per apprendere il mestiere, passavano dal genere didattico al documentaristico e soltanto dopo si dedicavano alla fiction. Nello stesso tempo giunsero a Cuba molte personalità del cinema mondiale che realizzarono importanti opere e insegnarono ai giovani cubani i segreti della tecnica. Ricordiamo la presenza a Cuba di registi e sceneggiatori come Roman Karmen, Chris Marker, Joris Ivens, Mijail Kalatozov, Agnes Varda, Cesare Zavattini e molti altri. Tomás Gutiérrez Alea diventerà il più importante regista cubano dopo aver diretto il primo lungometraggio di fiction, Historias de la Revolución, e dopo aver consegnato alla storia del cinema piccoli capolavori come Las doce sillas, La muerte de un burócrata e soprattutto Memorias del subdesarrollo. Tra i registi più importanti di questo periodo storico dobbiamo citare nomi imprescindibili come Julio García Espinosa (Aventuras de Juan Quinquín), Humberto Solás (Manuela, Lucía) e Manuel Octavio Gómez (La primera carga al machete), che si dedica soprattutto ai documentari ma li realizza con stile personale e originalità. 


Il periodo grigio (1970 – 1981)

Il periodo che va dal 1971 al 1976 è stato definito il quinquennio grigio della cultura cubana, perché furono gli anni successivi al famoso discorso di Fidel Castro agli intellettuali: “All’interno della Rivoluzione è concesso tutto. Fuori della Rivoluzione niente”. Si veniva dal triste caso del poeta Heberto Padila, costretto a ritrattare e a fare pubblica ammenda per il suo libro Fuori dal gioco, critico nei confronti della Rivoluzione. Molti intellettuali europei avevano preso le distanze dalla svolta autoritaria del governo cubano, scrittori come Sartre, Moravia, Pasolini, Simone de Beauvoir, che l’avevano sostenuta sin dai primi momenti. Nel 1976 fu creato il Ministero della Cultura più per motivi di controllo ideologico che di promozione culturale. I film più interessanti di questo decennio si rifugiarono nel barocchismo visivo e concettuale, così come i registi più importanti decisero di valorizzare le esperienze culturali ed esistenziali del passato. Non era tempo di fare cinema sociale e di attualità, ma ci si rifugiava nel cinema storico e di costume con pellicole come Páginas del diario de José Martí di José Massip, Los días del agua di Manuel Octavio Gómez, Una pelea cubana contra los demonios, La última cena e Los sobrevivientes di Tomás Gutiérrez Alea, Maluala, El otro Francisco e Rancheador di Sergio Giral, Mella di Enrique Pineda Barnet, El hombre de Maisinicú di Manuel Pérez, El brigadista di Octavio Cortázar. Non mancarono esempi di film critici e più contemporanei che si proponevano di riflettere sul socialismo caraibico con un lavoro introspettivo, ma furono pochi e concepiti in pieno solco rivoluzionario. Citiamo Un día de noviembre di Humberto Solás, Ustedes tienen la palabra di Manuel Octavio Gómez, Retrato de Teresa di Pastor Vega e De cierta manera di Sara Gómez. In quel periodo debuttò con successo il cartone animato Elpidio Valdés di Juan Padrón, comico ma di argomento storico, pensato per raccontare divertendo le guerre di indipendenza. Una produzione notevole a livello cinematografico fu Cecilia di Humberto Solás, il più importante film di argomento storico girato nel 1982. 


Gli anni dello sviluppo e la commedia di costume (1982 – 1990)

Gli anni Ottanta sono stati importanti per il cinema cubano che incentivò la produzione come quantità senza rinunciare alla qualità. Tre lungometraggi di fiction all’anno è una media sorprendente per una cinematografia in sviluppo. Tra i lavori più importanti e costosi del periodo citiamo Cecilia, lungometraggio di argomento storico che impegnò Humberto Solás dal 1981 al 1982. La pellicola reinterpretava in maniera polemica e personale un racconto mitologico sulla nascita della razza cubana. Dopo questo lungometraggio l’ICAIC decise di dare un maggior impulso alla produzione, dando spazio a nuovi nomi nel campo della fiction, e cercò di riprendere contatto con il grande pubblico, ricorrendo ad alcune commedie di costume e di argomento contemporaneo come Se permuta e Los pájaros tirándole a la escopeta, seguita da una lunga serie di titoli che torneranno a riempire le sale come Una novia para David, Plaff o Demasiado miedo a la vida e La bella del Alhambra, che possiamo citare tra le migliori del periodo. Si cercava soprattutto di restituire al cinema il suo posto come arte popolare e poteva farlo solo la commedia di costume che affrontava argomenti di attualità. In questo periodo ebbe grande successo un cinema di genere che stabilì un nuovo rapporto con il pubblico, ma non mancarono opere introspettive (Papeles secundarios e Hasta cierto punto), storiche (Amada, Un hombre de éxito, Clandestinos), senza dimenticare il documentario, che conobbe un vero e proprio momento di splendore con le opere di Marisol Trujillo, Enrique Colina, Jorge Luis Álvarez, Oscar Valdés e il sempre valido Santiago Álvarez. Tra il 1980 e il 1989 l’ICAIC ha partecipato alla produzione di 70 lungometraggi di fiction, 44 diretti da registi cubani. 


La fine del socialismo reale - Il cinema del periodo speciale (1991 - 1999)

Alla fine degli anni Ottanta si verificarono molti cambiamenti nel mondo, ma il più importante fu senza dubbio la fine del socialismo reale nell’Europa dell’Est. Il primo film capace di testimoniare una situazione che per Cuba stava diventando difficile è stato Alicia en el pueblo de maravillas (1990) di Daniel Diaz Torres. Il problema più sentito del periodo fu la mancanza di fondi per l’industria cinematografica che rimase senza soci commerciali. L’ICAIC passò un periodo piuttosto duro fatto di coproduzioni e di autofinanziamento. In un primo periodo si continuò a seguire il percorso tracciato negli anni Ottanta, producendo ottimo cinema storico (El siglo de las luces, 1992, di Humberto Solás ma anche Hello Hemingway, 1990, di Fernando Pérez) e buone commedie di costume dal contenuto critico (Adorables mentiras, 1991, di Gerardo Chijona). Il resto della produzione si caratterizzò per una nuova impostazione delle utopie, per il disincanto rivoluzionario e per tematiche come l’emigrazione e la sopravvivenza in tempi di periodo speciale. I due grandi titoli del periodo, secondo la critica nazionale e straniera, furono Fresa y Chocolate (1993, di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío) e Madagascar (1994, di Fernando Pérez) anche se non mancarono opere molto popolari come Kleines Tropicana, Zafiros, locura azul e Un paraíso sobre las estrellas, né pellicole sperimentali come Pon tu pensamiento en mí, El elefante y la bicicleta e La ola.

Tempi moderni (2000 – 2010)

I primi cinque anni del nuovo secolo mostrano il solito declino produttivo degli anni Novanta in termini quantitativi, dovuto ai gravi problemi economici dell’Isola dopo la fine del blocco socialista, che non risparmiano il cinema. Nello stesso tempo si registra un vuoto incolmabile di tipo qualitativo per la scomparsa di alcuni tra i migliori registi cubani come Tomás Gutiérrez Alea, Santiago Álvarez e Humberto Solás. Alfredo Guevara, uno dei principali fondatori del progetto ICAIC, si è dimesso da presidente  dell’Istituto Cinematografico Cubano ma dirige ancora il Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano. All’interno dell’ICAIC è stato costituito il Comitato dei Progetti, un’organizzazione utile per sostenere la creatività degli autori nazionali, così come sono importanti le Mostre Nazionali dei Nuovi Registi. Juan Carlos Tabío è ancora molto attivo e si impegna in due coproduzioni di successo con la Spagna (Lista de espera e Aunque estés lejos), mentre Fernando Pérez e Humberto Solás, sempre grazie a coproduzioni e con mezzi molto scarsi, hanno accentuato la loro poetica personale con Suite Habana e Miel para Oshún. Tra scarsità di risorse e problemi di vario tipo, riescono a girare qualche pellicola registi a lungo inattivi e realizzano le prime fiction alcuni documentaristi di valore come Enrique Colina, Juan Carlos Cremata e Rigoberto López.

Gordiano Lupi

sabato 8 dicembre 2012

Una piazza per Franco & Ciccio!



Un progetto che diventa realtà.
Lunedì 10 dicembre 2012, Piazzetta Venezia a Palermo - dove Franco Franchi iniziò a esibirsi come comico posteggiatore - diventata Piazzetta Franchi e Ingrassia.

giovedì 6 dicembre 2012

Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano

Dicembre con il festival
di Yoani Sánchez

Ogni dicembre, come un amico che rientra, torna all’Avana il Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano. Un appuntamento cinematografico che quest’anno riunisce oltre 500 pellicole provenienti da 46 paesi. Vera gioia per i nostri sensi, il Festival comprende la visita da parte di attori e registi di ogni latitudine, mostre tematiche e concerti: dalla presenza del cineasta Eliseo Subiela  e dell’attrice nordamericana Anette Bening,  fino a un’affollata presentazione di Fito Páez. Pure gli omaggi a figure rilevanti della celluloide fanno parte di un intenso programma che dura due settimane. In questa occasione, verranno celebrati il cineasta francese Chris Marker (1921-2012), l’italiano Michelangelo Antonioni (1912-2007) e il maestro ceco del cinema di animazione Jan Svankmajer (1934).

In questa edizione concorrono 21 lungometraggi di fiction e altri materiali nella categoria documentario, corti, animazione, sceneggiatura, carriera e opera prima. Avrà luogo una retrospettiva per il centenario della produzione cinematografica di Porto Rico - oltre 20 titoli - e ci saranno le mostre abituali dedicate a Spagna, Italia, Canada e Polonia. Tra le grandi sorprese di questo evento abbiamo un gruppo di pellicole raccolte sotto il nome “Da Hollywood all’Avana” e presentate da Hawk Koch, presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences  degli Stati Uniti.

Tuttavia, a parte l’alta qualità delle proiezioni e del programma collaterale, il Festival appare circondato da un’aureola magica. Si tratta di qualcosa che non si può descrivere né con il numero dei titoli in programma, né con il rilievo internazionale delle celebrità che saranno ospiti. Qualcosa che è entrato nella nostra pelle, più vicino alla biografia personale di noi che siamo cresciuti aspettando l’arrivo del mese di dicembre. Potremmo scandire il tempo della nostra vita, a partire dalle differenti edizioni e dai momenti memorabili del Festival. Per esempio, la mia adolescenza è legata in maniera indissolubile alle lunghissime code per riuscire a vedere un film argentino o messicano; vive ancora in me tutto lo stupore di una notte in cui i vetri del cinema Acapulco andarono in frantumi sotto la spinta di persone che desideravano entrare.  Rammento il bacio furtivo nell’oscurità della sala, mentre un lussureggiante selva tropicale faceva bella mostra di sé sullo schermo e un cavallo nitriva dagli altoparlanti. Ricordo anche i giorni in cui cadevo stremata sulla poltrona per il gran numero di film che avevo visto in poche ore. Eravamo così giovani e a quel tempo pure il festival lo era.

L’appuntamento avanero del cinema latinoamericano debuttò 34 anni fa, ma la realtà sociale in cui si inserisce è molto cambiata. Si potrebbero elencare infinite trasformazioni verificatesi sul piano della filmografia latinoamericana, ma preferisco concentrarmi su come siamo cambiati noi, che ci troviamo dall’altra parte dello schermo. Tra le grandi differenze che percepisco in rapporto agli anni Settanta durante i quali cominciò il Festival del cinema, indicherei le nuove forme di accesso popolare alla filmografia. Prima dipendevamo totalmente dai programmi delle sale cinematografiche statali. Quindi, se una determinata pellicola non veniva programmata negli spazi pubblici non esisteva alcuna possibilità di vederla. Era una cosa che accadeva molto frequentemente, per motivi di censura, mero disinteresse o mancanza di diritti per diffonderla nel circuito nazionale. Molto timidamente, a metà degli anni Ottanta, cominciarono ad arrivare i primi apparecchi domestici per riprodurre cassette VHS. Da quel momento in poi cominciò a cambiare il rapporto tra noi e il mondo degli audiovisivi.

Da un po’ di tempo a questa parte, proliferano per tutta la città sale video private e molte famiglie possiedono almeno un riproduttore CD per vedere documentari, pellicole e spettacoli televisivi che non saranno mai inseriti nel programma ufficiale. Una vera e propria ondata di film commerciali, ma anche documentari censurati ideologicamente, si è fatta strada grazie alle moderne tecnologie. Questa è la grande sfida e la principale concorrenza che in questo momento deve vincere il Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano. Portare via le persone dallo schermo casalingo, farle tornare a riempire le sale cinematografiche, motivarle con un evento che fino ad alcuni anni fa era l’unico spiraglio possibile per conoscere un cinema fresco e diverso.

Traduzione di Gordiano Lupi

sabato 17 novembre 2012

I zanzaroni (1967)

di Ugo La Rosa


Regia: Ugo La Rosa. Soggetto e Sceneggiatura: Amedeo Sollazzo e Ugo La Rosa. Distribuzione: Film Arte (regionale). Fotografia: Fausto Zuccoli, Leo Sarola, Alberto Marrama. Scene e Montaggio: Ugo La Rosa. Costumi: Lilli Menichelli. Operatori alla Macchina: Franco Filippini, Alberto Marrama, Ubaldo Terzano. Aiuto Regista: Ernesto Natalello. Musica: Gino Peguri. Teatri di Posa: Istituto Luce s.p.a. (Roma). Produzione: Ugo La Rosa. Sincronizzazione: International Recording Studios. Tecnico del Suono: Renato Cadueri. Negativi: Eastmancolor. Interpreti. Quelli che partono: Carlo Sposito, Nino Terzo, Enzo Andronico, Francine Rhosan, Armando Carini, il complesso Bumpers. Quelli che restano: Franco Franco, Ciccio Ingrassia. Franco Failla con il complesso I Beats canta Bravi ragazzi


Ugo la Rosa (1925) è un giornalista e regista teatrale che lavora nel cinema soprattutto come documentarista, dirigendo tra il 1963 e il 1979 molti cortometraggi di argomento siciliano. Ricordiamo: La Sicilia di Giovanni Verga, La Sicilia di Renato Guttuso, I Ragazzi di Palermo, Siracusa nell’età classica, Castelli siciliani. Alcuni documentari parlano di Roma, come Il Tevere da Roma al mare e Roma giacobina, altri sono di argomento generalista (Il bambino e la pubblicità, L’incontro, La loro luce). Roberto Poppi nel pregevole Dizionario del cinema italiano riferisce che l’unica incursione nel cinema a soggetto è I zanzaroni, mentre altre fonti gli attribuiscono anche L’isola dei ragazzi meravigliosi (1964), una via di mezzo tra il documentario e le pellicola a soggetto. I zanzaroni è un film introvabile, distribuito soltanto in Sicilia, diviso in due tempi - episodi: Quelli che partono e Quelli che restano. Il primo tempo vede quattro siciliani (Carlo Sposito, Nino Terzo, Enzo Andronico, Armando Carini) presi in giro da una svedese (Francine Rhosan ) con la quale speravano di passare una notte d’amore. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia interpretano la seconda parte che si può vedere in rete, grazie a Youtube. Il tema è il teatri dei pupi, la salvaguardia della tradizione, di una sicilianità che non deve morire. Ciccio è un puparo, Franco è l’ultimo degli spettatori, che ogni giorno si presenta al teatrino di Piazzetta delle Rose alla Gioia Mia, dove c’è un’immagine di Santa Rosalia, consegna cinquecento lire al proprietario ed entra per assistere alla rappresentazione. L’episodio mette in scena in maniera molto teatrale un battibecco tra Franco e Ciccio su come va impostata la recitazione dei pupi, sugli errori storici e nella caratterizzazione dei personaggi. Franco Franchi regala una sublime prova di fisicità ed espressività, da marionetta umana, quando mostra a un allibito Ciccuio come deve muoversi un pupo. Cita il grande Totò, regalando al pubblico un pezzo da antologia della comicità teatrale e dell’avanspettacolo che rende omaggio alla nobile arte dei pupi. Il teatrante invita il pubblico con i metodi d’un tempo, racconta la storia con cartello e disegni, quindi comincia la recita di fronte a un solo spettatore. La tradizione non deve morire, anche se il puparo rischia di desistere: “L’opera è morta e io sono l’unico spettatore”, dice Franco con amarezza. Pregevole la parte centrale, da teatro drammatico, dove la maschera di Ciccio assume toni da tragedia, quando tutto sembra finire, ma solo per un istante. Il messaggio di La Rosa è chiaro: accada quel che accada il teatro dei pupi non deve chiudere i battenti. Franco piange durante la recita, segue le gesta di Orlando, Carlo Magno, Rolando, freme per loro, fa capire che non vuole assistere alla morte della tradizione siciliana. Finisce che pupario e spettatore si mettono in società, uniscono la loro passione, e portano a frequentare il teatro un sacco di giovani. Forse è il sogno del regista, rivitalizzare un teatro in crisi che i ragazzi non apprezzano, ma è anche un omaggio al successo di Franco e Ciccio che conquistano i cuori dei giovani italiani. Ugo la Rosa sceneggia e dirige un film teatrale, poetico e suggestivo, un vero e proprio omaggio alla sua terra, che Franchi e Ingrassia interpretano con passione e bravura, anticipando un’opera importante come Che cosa sono le nuvole (1968) di Pier Paolo Pasolini. Un film molto siciliano, in quattro colori, con intense tonalità pastello che ricordano il cinema di Mario Bava e le pellicole psichedeliche degli anni Sessanta. I dizionari di cinema omettono colpevolmente di citare un film interessante. Unica eccezione Pino Farinotti, che lo ribattezza Gli zanzaroni (italianizzando un titolo siciliano), ma concede solo due stelle e si limita a sintetizzare la trama dei due episodi. Marco Giusti ne parla senza averlo visto ma ammette che si tratta di un titolo da recuperare. Grazie a Internet è possibile. 

Per vedere l'episodio con Franco e Ciccio: http://www.youtube.com/watch?v=UbNpx-D4OUA

Gordiano Lupi