venerdì 24 aprile 2015

La signora della notte (1986)

di Piero Schivazappa



Regia: Piero Schivazappa. Soggetto: Galiano Juso. Sceneggiatura: Galliano Juso, Piero Schivazappa. Fotografia: Giuseppe Ruzzolini. Montaggio: Daniele Alabiso. Organizzatore Amministrativo: Mario Sampaolo. Costumi: Vittoria Guaita. Scenografia: Bruno Amalfitano. Organizzatore Generale: Aldo U. Passalacqua. Musiche: Guido e Maurizio De Angelis. Edizioni Musicali: Frame Music. Aiuto Regista: Marzio Casa. Operatore alla Macchina: Giuseppe Di Biase. Fonico: Alessandro Zanon. Coreografo: Pino Pennese. Produttore: Giovanni Bertolucci. Produttore Associato: Galliano Juso. Case di Produzione: San Francisco Film srl, Metrofilm srl. Teatri di Posa: De Paolis (Roma). Negativi: Kodak. Sviluppo e Stampa: Telecolor. Tecnico del Colore: Nicola Tocci. Sonorizzazione: C. D. S.. Mixage: Gianni D’Amico. Effetti Speciali: Fratelli Corridori. Interpreti: Serena Grandi, Fabio Sartor, Francesca Topi, Alberto Di Stasio, Manuela Taschini, Stanko Molnar, Maurizio Rocchi, Emma Gugliotta, Sergio Guidi, Mario Donatone, Cecilia Cerocchi, Andreina Tomada, Lella Giacomini, Tiberio Mitri.



Serena Grandi è Simona, protagonista assoluta di un erotico patinato come La signora della notte, girato da un autore che non ti aspetti: il televisivo Piero Schivazappa. “Un’operazione commerciale dichiarata, dedicata soltanto ai fan di Serena Grandi”, afferma Roberto Poppi. Non ha tutti i torti. Il problema è che noi un po’ fan della Grandi in gioventù lo siamo stati, quindi non possiamo fare a meno di trovare nel film qualcosa di buono. Schivazappa, sollecitato da Bertolucci e Juso, sceneggia una storia sulla falsariga de La chiave (1983) di brassiana memoria, con situazioni erotiche stile Miranda (1985), per concedere al pubblico nudi integrali ed esibizioni estreme della protagonista. Simona si è sposata per amore, ma è insoddisfatta, vorrebbe più fantasia dal compagno e immagina rapporti di tipo sadomasochista. Per questo si concede a una serie di amanti occasionali, ma alla fine capisce che il suo unico amore è il coniuge, si toglie la spirale e vuole mettere al mondo un figlio.  



La signora della notte si regge su una storia molto esile, sceneggiata con sequenze ai limiti dell’imbarazzante e dialoghi irritanti, ma Serena Grandi è straordinaria da quanto è disinibita. L’attrice - reduce da Miranda - sforna una prestazione ai limiti dell’hard che la ritrae in tutta la sua fulgida bellezza. Ricordiamo la scena sul balcone, lei madida di pioggia, quindi nuda tra le braccia del marito che le sugge il seno con avidità; lo stupro nel portone dell’abitazione dopo aver interrotto un rapporto amoroso; una canna di fucile tra le gambe e la fellatio alla carabina; sul lungomare con un regista impegnato a possederla in terrazza sollevandole la gonna alle spalle; sul forcipe del ginecologo (Molnar) e quando il marito (Sartor) la possiede ma non viene riconosciuto.  Altra scena di culto la sodomizzazione di Marco ad opera di Simona con una bottiglia di birra vuota (si intuisce soltanto). 



Non mancano fellatio simulate e molte sequenze di nudo integrale con la Grandi in primissimo piano impegnata in credibili rapporti sessuali. Musica anni Ottanta dei fratelli De Angelis - davvero pessima - purtroppo in primo piano quando Simona fa il suo mestiere di insegnante di aerobica. Il marito è un pilota di aerei, appassionato di motori e pugilato, a un certo punto prende a cazzotti un amante della moglie sotto gli occhi di una vecchia gloria della boxe italiana: Tiberio Mitri, nella parte di se stesso. 



La cosa è altri racconti di Alberto Moravia è uscito nel 1983, è lecito sospettare che un minimo di ispirazione provenga da quel testo intriso di erotismo trasgressivo. Giuliana Gamba, nel 1989, ha sceneggiato uno dei racconti più estremi: La cintura, interpretato da Eleonora Brigliadori. Buona la fotografia romana di Ruzzolini, cupa e intensa, soprattutto i notturni con la luna alta nel cielo blu scuro. Schivazappa ha fatto di meglio, certo, lavori pregevoli come Incontro (1970), con Ranieri e Bolkan, l’ironico Una sera c’incontrammo (1975) e il trasgressivo Femina ridens (1969), ma qui dimostra di saper gestire la materia erotica, senza temere gli eccessi. Uno stile a base di panoramiche e zoom, molti primi piani, senza curare la recitazione degli attori, ma la suspense erotica non manca.



La critica. Pino Farinotti (due stelle): “Storiellina esile confezionata su misura per le gustose esibizioni della protagonista. Involontariamente umoristico il finale con i coniugi che ritrovano un equilibrio quando fanno l’amore per procreare e non per esclusivo piacere”. Paolo Mereghetti (una stella): “Un film erotico rozzo, pieno di comicità non voluta che cerca di sfruttare il successo di Miranda”. La signora della notte viene criticato persino dalla Grandi, forse si rende conto che l’eccesso di attenzione da parte della macchina da presa finisce per togliere appeal al suo ruolo di maggiorata. A noi non è sembrato tutto da gettare, perché la tensione erotica è ai massimi livelli.



Per leggere mie recensioni di cinema: http://www.futuro-europa.it/

giovedì 23 aprile 2015

Il figlio della sepolta viva (1974)

di Luciano Ercoli (André Colbert) 
Regia: Luciano Ercoli (André Colbert). Musiche: Franco Micalizzi. Interpreti: Fred Robsahm, Eva Czemerys, Gabriella Lepori, Gianni Cavina, Pier Maria Rossi, Piero Lulli, Liliana Gerace, Anna Fadda, Salvatore Puntillo, Carla Mancini, Vittorio Fanfoni. Presenti in immagini di repertorio: Agostina Belli, Arturo Trina.
Il figlio della sepolta viva è un sequel apocrifo di Sepolta viva, pensato per sfruttare il grande successo di pubblico del film precedente che aveva inaugurato il minifilone melodrammatico. Il soggetto è estrapolato da un feuilleton di Carolina Invernizio, a base di lacrime e sangue, mentre Luciano Ercoli prende il posto di Aldo Lado, sfoggiando un improbabile pseudonimo francese. Il figlio della sepolta viva torna al castello dei Cambise senza sapere di essere il legittimo erede, per tutti è Francoise (Robsahm), innamorato perso della bella Elisabetta (Lepori), figlia del conte Amadeus (Lulli). Il ducato dei Cambise è governato dalla perfida Giovanna (Czemerys), protetta da un losco figuro detto l’italiano (Rossi) e dalla madre che ha tramato nell’ombra lo scambio dei piccoli. Per ringraziamento, la figlia ucciderà la madre, ma dovrà subire la vendetta organizzata dal legittimo erede e dal buffone di corte. Dany (Cavina) rivelerà lo scambio di neonati, praticato al convento dalla madre di Giovanna, cosa che costerà diverse vite e atroci torture, mentre a lui è già costato il taglio della lingua. Alcune sequenze in flashback mostrano immagini del precedente film con protagonisti Agostina Belli e Arturo Trina. Un escamotage narrativo prevede la morte per crepacuore della sepolta viva subito dopo aver appreso che il marito è stato ucciso.

Il figlio della sepolta viva non è certo un lacrima movie, ma un feuilleton avventuroso, più cappa e spada che melodramma, molto truce e sanguinolento, con diversi colpi di scena e alcune sequenze da cinema horror. Gli attori sono inferiori al film capostipite del sottogenere, perché Eva Czemerys non vale Agostina Belli nel ruolo da protagonista, anche se come perfida duchessa se la cava discretamente. Fred Robsahm, marito della sepolta viva nel primo film, qui è il figlio sconosciuto che uccide la malvagia impostora, torna a sedere sul legittimo trono e sposa la bella Elisabetta. Gianni Cavina non dice una parola perché la sceneggiatura prevede che gli venga tagliata la lingua durante le prime sequenze. Diligente il resto del cast.

Luciano Ercoli è un buon artigiano, usa molto lo zoom e il primissimo piano, ambienta la storia quasi interamente nel Castello Odescalchi di Bracciano (sede della duchessa di Cambise) riservando poche scene per il Palazzo Patrizi a Castelgiuliano (dove vive il conte Amadeus). Ottima la musica di Franco Micalizzi che contribuisce a creare un’atmosfera da thriller melodrammatico e da cinema avventuroso, con accenni horror tipici della narrativa d’appendice della Invernizio. Fotografia nitida in technicolor e montaggio abbastanza serrato. Interessanti le sequenze con torture e uccisioni, truce un volto sfigurato, intensi i duelli a colpi di spada e le cavalcate nella foresta, così come è ben ricostruito un processo per stregoneria e il conseguente rogo. Ercoli illustra a dovere il perverso rapporto tra la cattiva duchessa e il demoniaco figuro, a base di violenze carnali, torture e depravazioni. Un agnello scarnificato nell’acido si spera sia soltanto un trucco di scena, ma non ne siamo certi. Il finale è un piccolo capolavoro di tensione con una corda che sta per spezzarsi e potrebbe far precipitare Elisabetta nell’acido. Va da sé che sarà la duchessa a fare una brutta fine. Lieto fine scontato per un romanzo d’appendice che sa molto di fumetto, in pratica un fotoromanzo horror - sentimentale, ma che (una volta accettati i limiti del genere) si guarda ancora con piacere.

Per leggere mie recensioni di cinema: http://www.futuro-europa.it/

venerdì 17 aprile 2015

Cattivi pensieri (1976)

di Ugo Tognazzi


Il 1976 è l’anno della consacrazione artistica di Edwige Fenech con il salto di qualità nel cinema che conta. Regia di Ugo Tognazzi. Film: Cattivi pensieriUna pellicola indefinibile, a metà strada tra l’erotico, il giallo e la commedia che non piace a molti, ma che a nostro parere è un piccolo gioiello. Marco Giusti la definisce “uno dei lavori più disastrosi di Ugo Tognazzi … di una noia paurosa… ripetitivo come pochi”. Paolo Mereghetti parla di un prodotto “assai curioso e perfino disturbante, ma ingiustamente bistrattato”. Il soggetto è di Antonio Leonviola, la sceneggiatura dello stesso Tognazzi,  i dialoghi di Enzo Jannacci e di Beppe Viola (che interpreta il commissario). Cast: Ugo Tognazzi, Edwige Fenech, Massimo Serato, Luc Merenda, Paolo Bonacelli, Orazio Orlando, Piero Mazzarella, Veruschka, Mircha Craven, Mara Venier e Ricky Tognazzi. 


Un film erotico puro piuttosto ben fatto, niente a che vedere con il giallo e con la commedia sexy, lo abbiamo visto con piacere diverse volte nel corso di questi anni. Per chi vuole apprezzare Edwige Fenech in una delle interpretazioni più “calde” della sua carriera è un film imperdibile. Nuda così non l’avevano mai vista e soprattutto in situazioni piuttosto scabrose, quasi sempre immaginate nel corso di parti oniriche da un Tognazzi che interpreta un marito convinto di essere cornuto. La Fenech regge tutto il film con la sua conturbante presenza di moglie stupenda e fedele che il marito immagina puttana e fedifraga. L’avvocato Mario Marani (Tognazzi) non parte da Malpensa per colpa della nebbia e quando torna a casa vede due piedi nudi maschili nell’armadio di casa. Crede che la moglie nasconda un amante e per vendetta decide di chiuderlo nell’armadio, di sprangare casa e di partire per una battuta di caccia insieme ad alcuni amici. 


Durante la giornata il marito immagina una serie di situazioni scabrose con protagonista la moglie e i presunti amanti. La Fenech è molto bella, vestita da borghese elegante, con una mise sensuale, il viso angelico e provocante. Tra le parti oniriche ricordiamo una scena molto spinta tra Edwige Fenech e Luc Merenda (donnaiolo venezuelano) che scopano sopra un tavolo e poi si lanciano sul letto a rallentatore. Un altro rapporto immaginario mostra la Fenech insieme a Mircha Carven (attore porno), maestro di sci di Madonna di Campiglio che come un novello Sandokan delle nevi uccide un orso e poi fa l’amore con lei pieno di graffi sulla pelle. I sogni di Tognazzi si alternano a scenate di gelosia e umiliazioni come quando in un albergo di Torino fa sollevare la gonna alla moglie e dice: “Fammi vedere le cosce. Tirati su la sottana. Quanti te l’hanno infilato lì dentro?”. 


Lei pare disinteressata e reagisce svogliata. Un altro sogno mostra la Fenech nuda in piscina circondata da uomini con enormi peni eretti finti. Molto eccitante la parte onirica con il socio di Tognazzi (Orazio Orlando) che insieme alla Fenech osserva due cavalli fare l’amore. Un richiamo esplicito a La bestia di Walerian Borowczyk (1975), film erotico che un anno prima aveva fatto scalpore.  In ogni caso la parte che più si ricorda ritrae la Fenech mentre si getta nel fieno e si mette a novanta gradi, “preparandosi animalescamente” al rapporto. Infine a bordo di un aereo privato di un amico industriale la Fenech cita Emmanuelle di Just Jaeckin (1973) e “la scopatina in volo” di Sylvia Kristel. Subito dopo Tognazzi immagina un rapporto sessuale tra lei e il fratello (Paolo Bonacelli), noto playboy. 


Interessante pure questa sequenza che vede la Fenech vestita da dark lady con stivaloni a tacco alto e gonna corta mentre si denuda lentamente e si fa fotografare con disinvoltura prima un seno e poi le natiche. “Bel puttanone, fammi vedere il tuo seno”, dice Bonacelli arrapato mentre la fotografa. Tognazzi immagina anche la moglie in un rapporto saffico mentre concede un bacio appassionato alla bionda Yanti Somer. Queste scene sono il punto forte del film, la Fenech ne esce fuori alla grande interpretando sequenze molto spinte e a tratti quasi surreali. Ricordiamo Tognazzi nudo che spinge la Fenech priva di veli sopra un carrello domestico con le parti intime sapientemente nascoste da un gioco di inquadrature. Alla fine il marito scopre di aver chiuso nell’armadio soltanto il figlio del portiere (Piero Mazzarella), un rivoluzionario da quattro soldi che era entrato in casa per rubare dei  fucili da caccia. 


La polizia salva il ragazzo, vivo per miracolo e grazie all’intervento del fratello di Tognazzi. Un doppio finale ci fa capire che il marito geloso manda avanti da tempo un rapporto con la bella Veruschka. Tognazzi parte in aereo con l’amante, ma immagina ancora la Fenech mentre fa l’amore sul prato dello stadio di San Siro a Milano insieme al figlio del portiere. E pensare che la moglie è insensibile al sesso, rifiuta la corte del fratello e dice che deve ancora innamorarsi per poter andare a letto con un uomo.


Possiamo recepire un velato discorso femminista, mentre il maschio borghese vecchio stampo interpretato da Tognazzi non ci fa una bella figura. Presenze atipiche del film sono una giovane Mara Venier e i divi del porno Veruschka e Mircha Carven, non molto utilizzati. Ricordiamo un giovanissimo Ricky Tognazzi aiuto regista e in una breve apparizione da giovanotto antiborghese. Marco Giusti su Stracult parla di Carmen Russo ma non l’abbiamo vista… pure lui aggiunge un punto interrogativo. 

Per leggere mie recensioni di cinema:http://www.futuro-europa.it/

sabato 4 aprile 2015

Le porno killers (1980)

di Roberto Mauri

Regia: Roberto Mauri. Soggetto e Sceneggiatura: Roberto Mauri. Direttore di Produzione: Roberto Tagliavia. Segretaria di Edizione: Sandra Puglisi. Maestro d’Armi: Gilberto Galimberti. Operatore alla Macchina: Luigi Conversi. Produzione: Lemar Film Company. Pellicola: Kodak. Colore: Telecolor. Direttore del Doppiaggio: Lorenzo Artale. Doppiaggio: Società Doppiaggio Internazionale. Durata: 82’. Genere. Giallo erotico. Interpreti: Carmen Bizet (Carmen Russo), Mario Cutini, Vassili Karis, Cinzia Lodetti, Bruno Minniti, Rinaldo DeWitt, Angelo Arquilla, Maurizio Anastasi, Patrizio Trochei, Manlio Cersosimo.


Roberto Mauri (Castelvetrano, 1924) è lo pseudonimo del regista, attore e sceneggiatore trapanese Giuseppe Tagliavia, noto solo agli amanti del cinema bis per aver diretto una serie di non capolavori, un po’ come i non compleanni del Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie. Recita nel cinema degli anni Cinquanta, volto fiero da melodramma di Matarazzo e Callegari, partecipando a pochi film dal 1944 al 1957. Debutta alla regia nel 1958, “firmando almeno venticinque pellicole, tutte di genere e tutte di non grande interesse” (Roberto Poppi, I Registi Italiani). Tra queste citiamo l’esordio con Vite perdute - la legge del mitra (1958), regia insieme a Bianchi, anche interprete, passando all’horror La strage dei vampiri (1962), al peplum Gli invincibili fratelli Maciste (1964), al western - con lo pseudonimo di Robert Johnson - con un Sartana apocrifo e alcune pellicole dedicate alla saga di Spirito Santo, per finire con la commedia erotica (Un toro da monta, 1976) e il thriller erotico (Le porno killers, 1980).


Le porno killers è il suo ultimo (perdibile) film, sceneggiato e persino prodotto, girato in pellicola con una fotografia sciatta e anonima, montato con tempi dilatati e scritto così male da rasentare l’insulto all’arte della sceneggiatura. Frase di lancio che è tutta un programma: Le porno killers… Attaccavano a colpi di… Si difendevano a colpi di…Le porno killers (1980) è un film discusso nella carriera di Carmen Russo, che per l’occasione si fa chiamare Carmen Bizet. “Io me lo immaginavo come sarebbe andata a finire e volevo tutelarmi con uno pseudonimo”, confessa Carmen a Gomarasca e Pulici che la intervistano per 99  Donne


La bella attrice ligure afferma che in fase di montaggio la produzione aggiunse scene hard, secondo una consuetudine del periodo. In pratica quello che doveva essere un semplice film erotico fu trasformato in un porno utilizzando controfigure e girando parti aggiuntive. Abbiamo visto la pellicola soft, ma dobbiamo dire che Carmen Russo recita quasi sempre nuda accanto a Cinzia Lodetti, due affascinanti quanto spietate killer incaricate di eliminare un gangster da un’organizzazione tedesca. La trama thriller, quasi una spy story, è solo una scusa per mettere in scena diverse situazioni erotiche. Ricordiamo la Russo impegnata in una grande scena lesbo con la Lodetti, prima sul letto e poi in un vano doccia di dimensioni ristrette, ma anche in rapporti etero molto credibili con Cersosimo e Minniti. 


Pare che grazie a questo film Manlio Cersosimo scoprì di essere portato per il cinema hard a causa di un’erezione notevole davanti alla bella Carmen. Fu così che due settimane dopo partì per Santo Domingo dove girò i primi storici hard sotto la guida di Aristide Massaccesi. Tutte cose che riferisce l’attore in una serie di storiche interviste, l’ultima delle quali televisiva, da Marco Giusti, conduttore di Stracult


Secondo Carmen Russo il film doveva intitolarsi Le deliziose killer, ma quando uscì fu ribattezzato dalla produzione con un titolo più volgare dopo averlo gonfiato con scene hard girate con altre attrici. Bruno Minniti, partner erotico della Russo, ricorda di aver girato solo una scena molto casta nella doccia e confessa: “Si vedeva il mio volto e poi il pisellone di qualcun altro che entrava in azione. Ovviamente noi attori non ne sapevamo niente e so che Carmen inoltrò anche una causa”. Carmen non ricorda Le porno killers, dice di aver rimosso il film nella maniera più assoluta, come una brutta esperienza giovanile, soprattutto non rammenta l’erezione improvvisa di Manlio Cersosimo. Il film si vede solo per la curiosità di sbirciare situazioni erotiche ai limiti dell’hard che vedono impegnate le due belle attrici, soprattutto un rapporto a tre molto credibile. Non altro, davvero. La musica è pessima, comincia come una partitura sintetica da thriller e si trasforma in una pessima sonorità romantica nei momenti di sesso sfrenato. 


La morale del film pare essere che le due donne trattano gli uomini come oggetti, li usano per scopare e poi se ne liberano, ma stanno bene anche da sole, forse meglio. Due donne che hanno preso il posto degli uomini, in definitiva, in un malinteso femminismo d’accatto. Da un punto di vista fotografico il regista immortala luoghi storici di Roma come via Veneto - la Russo cita persino Fellini e La dolce vita - e Piazza Navona, ma anche le campagne laziali; vediamo un bagno nature di Russo e Lodetti presso le famose cascate del fiume Treja di Monte Gelato, nel comune di Mazzano Romano, luogo storico del cinema bis


Tutto è molto sciatto, girato in maniera dilettantesca con la macchina a mano, con immagini che sembrano rubate, tra lunghe passeggiate, improbabili scazzottate e dialoghi risibili. Ci dobbiamo sorbire persino una filippica femminista con le due porno killers impegnate a mettere in ridicolo uomini che fanno discorsi assurdi sul ruolo della donna. Da ricordare Lorenzo Artale, il direttore del doppiaggio, forse la persona professionalmente più impegnata a dare una voce a un gruppo di attori che non sarebbe mai riuscito a recitare una battuta credibile. Sembra che la versione con inserti hard sia intitolata Le Porno Salamandre, nella quale le due attrici sono sostituite da controfigure per le scene esplicite.