giovedì 30 ottobre 2014

Il sospetto (2012)

di Thomas Vinterberg

 
Regia: Thomas Vinterberg. Sceneggiatura: Tobias Lindholm, Thomas Vinterberg. Fotografia: Charlotte Bruus Christensen. Montaggio: Janus Billeskov Jansen, Anne Osterud. Interpreti: Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Susse Wold, Annika Wedderkopp, Lasse Fogelstrom, Anne Louise Hassing, Lars Ranthe, Alexandra Rapaport. Produzione: Mette Host Hansen, Sisse Graum Jorgensen, Martin Kaufmann, Thomas Vinterberg, Jessica Ask.

 
Thomas Vinterberg (1969) è un ottimo regista danese, esponente del movimento Dogma 95, seguace di Lars Von Trier, candidato Premio Oscar 2015 per il miglior film straniero, Palma d’Oro a Cannes 2014, con Il sospetto, per l’interpretazione magistrale di Mads Mikkelsen. Il progetto teorico di Vinterberg prevede “un cinema purificato e senza artifici, che deve rispettare le unità aristoteliche di tempo, spazio e azione”. Thomas Bo Larsen è il suo attore feticcio, che non manca anche in questa pellicola, nei panni dell’amico del protagonista. Ingmar Bergman, il teatro di Ibsen e di Strindberg, sono i riferimenti culturali. Festen (1998) segna il fulminante esordio, antiborghese e feroce, che convince il Festival di Cannes al punto di vincere la Palma d’oro come miglior pellicola. Il successo modifica in negativo la poetica di Vinterberg che gira a Hollywood il modesto fantascientifico Le forze del destino (2003), interpretato da Sean Penn. Torna in Europa, per ricominciare alla grande con Dear Wendy, sceneggiato da Lars Von Trier, e proseguire con due ottimi drammi familiari come Riunione di famiglia (2007) e Il sospetto (2012).


Lucas (Mikkelsen) è un maestro d’asilo divorziato, che vive con il cane Funny, una nuova compagna e il figlio Marcus, appassionato cacciatore di cervi insieme a un gruppo di vecchi amici. I bambini lo amano, soprattutto Klara, figlia del suo migliore amico, che un giorno gli regala un bacio e cuore fatto con i chiodini, che viene rifiutato dal maestro. Klara racconta una bugia alla direttrice, forse per vendicarsi, dice di aver subito molestie sessuali da parte di Lucas, e da quel giorno la vita del maestro non sarà più la stessa. Si scatena una caccia al mostro, Lucas è subito licenziato, isolato, abbandonato da tutti, subisce un processo, viene picchiato ed emarginato dai quasi tutti i compaesani. Per fortuna il figlio Marcus resta al suo fianco, insieme a un piccolo gruppo di amici che crede in lui, ma non è facile controbattere le accuse popolari che hanno già espresso un giudizio di colpevolezza.


Lucas affronta il calvario con dignità, sprofondando sempre più in un vortice di tristezza e solitudine, subirà percosse, attentati, persino l’uccisione del cane, ma alla fine uscirà vincitore. Mads Mikkelsen interpreta in modo magistrale la parte di un maestro mite, appassionato del suo lavoro, amato dai bambini, che subisce la reazione violenta di un’intera comunità. La sua maschera tragica durante la scena madre in chiesa, quando affronta il padre della bambina, ma anche il volto rigato da sangue e ferite dopo le percosse subite da un macellaio che lo allontana dal negozio, sono le immagini delle pellicola che restano impresse in maniera indelebile.


Il messaggio di questo film drammatico, ma al tempo stesso realistico e ideologico, è profondamente antiborghese, intriso di un cupo pessimismo nei confronti della natura umana e dei rapporti sociali. Una pellicola girata con maestria, fotografata con immagini solari di un autunno - inverno nordico, tra foglie morte, cervi al pascolo, boschi e laghi di montagna. Il giallo ocra è il colore dominante, così come gli intensi primi piani, le soggettive frenetiche e il frequente uso della macchina a mano sono un chiaro indice di stile. Gli occhi del protagonista vengono ripresi in primo piano come in un film di Sergio Leone o in un dramma di Ingmar Bergman, sono gli occhi di un uomo che ha perso se stesso, sconvolto da una menzogna, evitato come un appestato. Ottima la colonna sonora, classicheggiante, che conferisce una tonalità ancora più cupa a una storia intensa, sconvolgente, che raggiunge il suo acme narrativo nella magistrale sequenza della sepoltura del cane sotto la pioggia battente.


Straordinario il finale, che stempera in dissolvenza la riappacificazione tra Lukas e l’amico di sempre, dopo lo scontro in chiesa, durante la messa di Natale. Un anno dopo gli amici sono di nuovo riuniti, Marcus è diventato un uomo e può avere un suo fucile da caccia, ma l’animo di Lucas è segnato da un’esperienza sconvolgente. Un colpo di fucile sparato per errore nella sua direzione fa tornare alla memoria i tempi in cui si sentiva come un animale braccato. Il film finisce così, con una soggettiva silenziosa, che scava nella psiche del protagonista più di mille dialoghi, tra paura, suspense hitchcockiana e tremendi ricordi. Un piccolo gioiello da scoprire.

venerdì 24 ottobre 2014

Mery per sempre (1989)

di Marco Risi



Regia: Marco Risi. Soggetto: Aurelio Grimaldi (dal romanzo Meri per sempre, Editore La Luna, ripubblicato nel 2013 come Malaspina). Sceneggiatura e Dialoghi: Sandro Petraglia, Stefano Rulli. Fotografia: Mauro Marchetti. Montaggio: Claudio Di Mauro. Operatore Macchina: Fabio Zamarion. Fotografo di Scena: Bruno Bruni. Scenografia: Massimo Spano. Costumi: Roberta Di Bagno Guidi. Fonico di Presa Diretta: Tommaso Quattrini. Aiuto Regista: Giovanni Ricci. Organizzatore Generale: Alberto Passone. Musiche: Giancarlo Bigazzi. Arrangiamenti: Dado Parisini. Edizioni Musicali: Abon Group srl. Direttore di Produzione: Massimo Ferrero. Produzione: Claudio e Aurelio Bonivento, Pietro Valsecchi (consulente). Casa di Produzione: Numero Uno International srl. Esterni: Palermo. Doppiaggio: C.D.C. Consulente Dialetto Siciliano: Tony Sperandeo. Effetti Sonori: Italo Cameracanna. Negativo: Kodak spa. Colore: Telecolor spa. Interpreti: Michele Placido, Claudio Amendola, Francesco Benigno, Alessandro Di Sanzo, Tony Sperandeo, Roberto Mariano, Maurizio Prollo, Filippo Genzardi, Giovanni Alamia, Alfredo Li Bassi, Salvatore Termini, Gianluca Favilla, Giuseppe Giarraffa, Michela Cusano, Matteo Mondello, Maria Cristina Mastrangeli, Calogero Buttà, Luigi Maria Burruano, Ninni Picone, Aurora Quattrocchi.


Marco Risi (1951) è figlio d’arte del grande Dino e nipote di un buon artigiano come Nelo, con cui debutta nelle vesti di aiuto regista (Una stagione all’inferno, 1971). Esordisce alla regia nel documentario, si dedica alla commedia - sulle orme paterne - per cambiare genere e lasciare il segno con opere interessanti: Soldati - 365 all’alba (1988), Mery per sempre (1989), Ragazzi fuori (1990), Il muro di gomma (1991). Torna alla commedia, ma si perde in lavori poco incisivi, tra i quali spiccano in negativo L’ultimo capodanno (1998) e un film su Maradona (2007).


Mery per sempre è una pellicola realistica che si inserisce nella tradizione del poliziottesco, contaminandolo con il mafia-movie e il prison-movie, calato in una perfetta ambientazione palermitana e carceraria. Risi è debitore del noir di Fernando di Leo ma anche delle pellicole tra le sbarre dirette da Brunello Rondi (Prigione di donne, 1974) e Bruno Mattei (Violenza in un carcere femminile, 1982). Il regista adatta un soggetto di Aurelio Grimaldi per raccontare con immagini crude e graffianti il mondo della microcriminalità giovanile siciliana, più o meno legata ai traffici mafiosi. Il film racconta con stile pasoliniano la vita tra le sbarre di alcuni personaggi marginali, ragazzi di vita, ladruncoli, transessuali, picciotti che a casa lasciano compagne incinte, rudi secondini, poliziotti violenti. Michele Placido è il protagonista principale, il professore con una donna da dimenticare che accetta un trasferimento in Sicilia, in una scuola carceraria. Il suo rapporto con i ragazzi diventerà sempre più complesso, poco a poco riuscirà a conquistare la loro fiducia, entrerà a far parte del loro mondo, consigliandoli e proteggendoli. La sua classe è composta da piccoli delinquenti, spacciatori, persino un omicida, un piccolo boss rispettato da tutti. Claudio Amendola (Pietro Giancone) è l’allievo prediletto, un ragazzo solo, problematico, che dopo aver tentato la fuga morirà in un letto d’ospedale, ferito in un conflitto a fuoco, stringendo la mano del professore. Tony Sperandeo (consulente per il dialetto siciliano) è il secondino ottuso, consumato da una vita a contatto con i giovani delinquenti, inflessibile e implacabile. In carcere accadono episodi di bullismo ai danni di un ragazzino, tentativi di violenza carnale, ribellioni, momenti di emarginazione, in un clima di fondo molto realistico. Importante la parte che vede protagonista il transessuale Mario, la Mery per sempre del titolo, donna dentro, che rifiuta un corpo da uomo. Il suo amore per il professore - non corrisposto, nonostante un bacio - è uno dei momenti topici della pellicola. “Per capirmi dovresti essere come me”, afferma. Notevole anche il discorso del professore contro la mafia mentre il giovane boss lo sbeffeggia e prima aveva incitato i compagni a inneggiare alla mafia. Un momento lieto di un film molto crudo è rappresentato dalla nascita del bambino a un giovane carcerato che si reca a vederlo insieme al professore. Si ricorda una scena madre teatrale con Placido che arringa i carcerati dopo la morte di Pietro, li invita a non commettere i suoi errori. Ottimo il finale, anche se scontato e in parte retorico, con Placido che sceglie di restare in carcere con i suoi ragazzi invece di accettare il trasferimento in un liceo di Palermo. Un nuovo alunno, Alessandro, mostra atteggiamenti asociali tipici di Pietro, al punto che gli fa ricordare l’allievo prediletto. 


Mery per sempre è un film girato con grande perizia tecnica, mirabile mix di musica e immagini, notevoli inseguimenti cittadini, riuscite sequenze ai mercati generali e ottime carrellate per le strade di Palermo. Citazioni del Nino D’Angelo - movie durante un approccio tra Pietro e la fidanzata in un cinema del centro, dove passano Lo studente (1982) di Ninì Grassia, una pellicola del popolare cantante melodico napoletano. Risi cita Antonioni in una scena rimasta emblematica: i ragazzi in carcere, durante l’ora d’aria, vengono privati del pallone dal rude secondino Sperandio, ma continuano a giocare fingendo di passarsi una sfera inesistente. Gli attori provengono quasi tutti dalla strada, molti recitano la parte di loro stessi, una lezione di realismo che contagerà gli emuli di Risi del Duemila, chiamati a dirigere serie televisive di argomento mafioso e film di successo (Gomorra). A proposito di Mery per sempre (che nel romanzo autobiografico di Grimaldi si scrive Meri) qualcuno ha parlato di neo - neorealismo, per l’uso stretto del dialetto e per la recitazione spontanea, priva di forzature teatrali. A nostro avviso, Marco Risi contamina il realismo con il melodramma e persino con brevi sequenze da lacrima-movie, quando Placido raccoglie l’ultimo respiro di Amendola in ospedale. Alcune ambiguità nel rapporto tra il professore e il transessuale sembrano volute, così come la relazione tra l’insegnante e Pietro, allievo preferito, non è immune da dubbi di velata omosessualità. Una pietra miliare degli anni Novanta, con un sequel: Ragazzi fuori (1990).



martedì 21 ottobre 2014

Ricordando Lilli Carati



Lilli Carati all’anagrafe è registrata come Ileana Caravati, un nome molto meno sensuale di quello d’arte, ma in ogni caso resta una delle donne più belle e affascinanti di tutto il cinema degli anni Settanta. Lilli inizia come modella e si pone all’attenzione del pubblico dopo aver vinto in Calabria Miss Eleganza e soprattutto classificandosi seconda a Miss Italia del 1974. È proprio qui che viene scelta per il cast del film Di che segno sei? di Sergio Corbucci (1975), una pellicola a episodi di impianto tradizionale nel solco della pura commedia all’italiana. Lilli Carati recita una piccola parte nell’episodio Aria che vede veri mattatori gli ottimi Adriano Celentano e Mariangela Melato impegnati in una estenuante gara di ballo. I cartelloni della pellicola la chiamano ancora Ileana Carati, ma presto la bella lombarda cambierà nome. Questo film vede il debutto anche di Carmen Russo, un’altra bellezza nostrana di cui parleremo più avanti. Lei interpreta insieme a Paolo Villaggio e alla presenza ultrakitsch di Lello Bersani l’episodio Acqua. Continuando in tema di segno zodiacali gli altri due episodi non potevano intitolarsi che Terra (con Renato Pozzetto, Giovanna Ralli e il grande Luciano Salce) e Fuoco (con Alberto Sordi e Marilda Donà). Sceneggiatori del film sono gli ottimi Castellano e Pipolo, Alberto Sordi, Rodolfo Sonego, Mario Amendola, Sabatino Ciuffini, Bruno Corbucci e Massimo Franciosa. Insomma, un debutto come si deve per la bella Ileana Carati che si trova nel cast di un film comico di una certa importanza e ha pure la fortuna di recitare in uno dei due episodi più riusciti, Il suo ruolo è quello della ballerina Chewingum (nel film mastica chewing-gum a ripetizione) che si esibisce insieme a Enea Giacomazzi detto Bolero, il funambolico Jack La Cayenne. Indossa prima un vestito verde, poi quando ballano il rock ha un paio di calze nere e durante una pausa della gara entra nel camerino di Celentano (Alfredo detto Fred Astaire) per sedurlo, ma la Melato (Claquette) la caccia via. Inutile dire che il film si ricorda soprattutto per Fuoco con Alberto Sordi, addirittura un sequel di Un americano a Roma di Steno (1954), visto che l’attore romano interpreta di nuovo il personaggio di Nando Moriconi.
   Lilli Carati però ha una carica erotica così travolgente che subito comincia a essere utilizzata nella commedia sexy e nell’erotico puro, con ottimi risultati. Il fascino che emana dal suo sguardo sensuale e perverso è notevole e Lilli sarebbe potuta diventare un’ottima alternativa alle lanciatissime Gloria Guida e Edwige Fenech se la sua vita privata non l’avesse pesantemente condizionata.         
   La professoressa di scienze naturali di Michele Massimo Tarantini è del 1976 ed è il classico film che avrebbe potuto interpretare Edwige Fenech. Una bellissima e provocante insegnante (si noti bene l’allusione) di scienze naturali arriva in una classe per sconvolgere ed eccitare ragazzini alle prime esperienze. Soggetto e sceneggiatura sono del geniale e prolifico Francesco Milizia, una colonna della commedia sexy, ma pure il regista, Marino Onorati e Franco Mercuri danno una mano. Tarantini è bravo a realizzare una pochade scolastica sullo stile de La liceale, pure se questa volta il mondo degli studenti è visto con gli occhi di un’intrigante professoressa. Per lui è la prima esperienza con un’insegnante, visto che si era specializzato in poliziotte e tassiste con la Fenech. In un film come questo non possono mancare le presenze simbolo di Alvaro Vitali, Gianfranco D’Angelo, Giacomo Rizzo, Gastone Pescucci e Mario Carotenuto. Manca solo Lino Banfi per essere al completo. C’è anche Michele Gammino nei panni del dottor Fifì che fa la corte a Lilli Carati e se la contende con il giovane studente Marco Gelardini. Per Lilli Carati è la prima esperienza nella commedia sexy e si fa notare per le immancabili scene con gli studenti guardoni che le studiano tutte pur di vederla nuda. La bella insegnante prende in affitto una stanza a casa di uno dei ragazzi e quest’ultimo si ingegna con ogni mezzo per spiarla: fori nella parete, tubi calati dalla finestra e mo’ di cannocchiale e inevitabili docce nel bagno rubate dal buco della serratura. Ricordiamo anche una notevole parte erotica subacquea che ha per protagonista la stupenda Lilli. Ria De Simone è un’altra buona presenza erotica e ci mostra le sue grazie nei panni di una moglie insoddisfatta che vorrebbe tradire il marito. Lilli Carati però ne viene fuori davvero alla grande e si propone come nuova presenza sexy nel panorama del cinema scorreggione. L’erotismo si fonde bene con la comicità che si affida alle gag di un irresistibile Vitali studente e di un D’Angelo in gran forma, ma pure a scene esilaranti come la partita di calcio tra ragazzi e ragazze. La scena finale con Lilli Carati che si sposa e tutti le tastano il sedere e fanno le corna è la giusta consacrazione di una pochade ben riuscita. 
   Nello stesso anno Lilli Carati è nel cast di Squadra antifurto di Bruno Corbucci (1976), un Nico Giraldi movies con Tomas Milian, e prende il posto di Maria Rosaria Omaggio per come bellezza femminile di notevole spessore, ma si spoglia poco. La caratteristica dei film di Milian è che sono casti nelle scene erotiche per quanto sono sguaiati e volgari, il massimo che si può vedere è un bacio, poi la scena sfuma e lascia solo immaginare. C’è solo un breve rapporto tra la bella attrice e Nico ma l’unico a sfoggiare un paio di slip rossi è Tomas Milian. Da segnalare anche una scena iniziale durante la quale la Carati viene scippata dell’auto e finisce a gambe levate. Nelle ultime sequenze del film invece la bella attrice indossa solo slip e reggiseno per prendere il sole sulla terrazza di casa. Troppo poco. Peccato perché Lilli Carati, al tempo in pieno successo da insegnante di scienze naturali e sexy supplente, è una presenza notevole che poteva essere sfruttata meglio. Sergio Corbucci sfrutterà anche meno la bellezza di Lilli nel divertente Squadra antimafia (1978) che ricordiamo soprattutto per la bravura di Tomas Milian e Bombolo. Queste due pellicole sono state da me abbondantemente trattate su Tomas Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004) al quale rimando per approfondimenti.
   Un film che invece ci interessa di più per la decisa tematica erotico-scolastica che aveva fatto la fortuna di Gloria Guida è La compagna di banco di Mariano Laurenti (1977). Credo di non sbagliare se sostengo che Lilli Carati per i tratti del volto e la perfezione del corpo può essere considerata una Gloria Guida al negativo. I suoi occhi neri sono intensi e maliziosi, i capelli castano scuro le scendono sulle spalle intriganti, le misure sono 60 - 90 - 60 e soprattutto naturali. Non sono ancora i tempi delle bambolone rifatte e le donne del cinema di questo periodo mostrano una bellezza fresca e sincera. Gloria Guida era bionda e sensuale, Lilli Carati è mora e maliziosa, sono due attrici che innamorano la platea e che si completano a vicenda. Non per niente Fernando Di Leo le sceglierà come protagoniste dello sconvolgente Avere vent’anni (1978) di cui ho parlato a lungo su Le Dive Nude - volume 1 (Profondo Rosso, 2005). La scena lesbica che le vede protagoniste e che è conservata per intero nella nuova edizione del dvd ora in commercio merita da sola la visione del film. Ma torniamo a La compagna di banco, scritto dall’infaticabile Francesco Milizia che lo sceneggia insieme a Laurenti e Mercuri. Il film ha il difetto non da poco di far spogliare quasi per niente la bellissima Lilli che spesso si fa rubare la scena da un’anonima Niki Gentile. Il cast dei comici è di prim’ordine: Gianfranco D’Angelo, Lino Banfi, Alvaro Vitali, Francesca Romana Coluzzi e Gigi Ballista sono le presenze più significative. Inutile dire che la Fenech e la Guida sono superiori a Lilli Carati in questo genere di pellicole. Lilli si impegna molto in questo ruolo di intrigante compagna di banco che arriva in un liceo e semina lo scompiglio tra ragazzi e professori mostrando le cosce e sorridendo maliziosa. La Loredana di Gloria Guida de La liceale ha però tutt’altra forza erotico-maliziosa e ha pure il pregio dell’originalità. La rivista di cinema Il patalogo lo definì “un film pornografico per famiglie” e l’articolo di Giovani Buttafava parlava di un’opera importante, omogenea proprio per la sua disgregazione narrativa…”. Ci pare un po’ eccessivo, soprattutto perché ne La compagna di banco di pornografico c’è davvero poco,. Le uniche scene vagamente erotiche vedono impegnati Lilli Carati e il compagno di scuola Antonio Melidoni (attore da fotoromanzi piuttosto imbranato). Come curiosità c’è da dire che il film è girato a Trani (a casa di Lino Banfi, ma si giravano quasi tutte in Puglia queste pellicole…) proprio come La liceale ed ambientato nello stesso liceo classico sul lungomare.
   Lilli Carati si segnala anche per alcune apparizioni nel poliziottesco, non solo in quello comico alla Corbucci, ma pure in  Poliziotto sprint di Stelvio Massi (1977) e L’avvocato della mala di Alberto Marras (1977). Nel film di Massi (il suo preferito) c’è per la prima volta Maurizio Merli, un’icona del poliziottesco, che d’ora in poi diventerà una costante nei suoi lavori. L’avvocato della mala invece è l’unico film di Alberto Marras che di solito troviamo impegnato come segretario e direttore di produzione di commedie e poliziotteschi. Si pensi che il titolo doveva essere L’avvocaticchio, che peccato non sia piaciuto alla produzione, sarebbe stato un mito del trash. Lilli Carati interpreta Paola Carati ma la parte del leone la fanno Ray Lovelock nei panni dell’avvocato e Mel Ferrer in quella del boss mafioso. Ormai lo sappiamo che nei polizieschi all’italiana le donne hanno solo una funzione di contorno e la bella Lilli si limita a far questo.
   Nel 1978 la bella Lilli viene notata da Lina Wertmüller che la vuole nel film comico d’autore La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia. Le pellicole della Wertmüller si ricordano per una comicità garbata ed elegante ma soprattutto per i titoli interminabili. La trama si inserisce in un decennio travagliato e racconta il rapporto in crisi tra un italiano e un’americana ed è una scusa per parlare di sessantotto, eurocomunismo, guerra del Vietnam, maschilismo mediterraneo e sessualità femminile. Non è uno dei migliori film della Wertmüller pure se la fotografia di Rotunno, le scene di Job e le musiche di De Simone sono ottime. Candice Bergen è un attore affascinante, Giancarlo Gianni è istrionico ma, come dice Morandini, “tutto questo non basta a salvare una commedia artificiosa e velleitaria”. Lilli Carati si vede poco o niente e soprattutto è vestita. Non sono questi i suoi film che ci interessano di più.
   Le evase – storia di sesso e violenza di Giovanni Brusatori che per destare interesse firma il suo unico film da regista come Conrad Brueghel. Brusatori lo conosciamo soprattutto come aiuto regista e quando tenta la strada della direzione in proprio lo fa con un film drammatico oggi presenta il solo interesse di vedere insieme due bellezze come Lilli Carati e Zora Kerova (Zora Ulla Keslerowa). Il cast femminile è comunque di altissimo livello erotico ed è completato dalla pasoliniana Ines Pellegrini, dalla damatiana Dirce Funari e dalla meno nota Marina D’Aunia. Il film lo scrive Bruno Fontana, uno degli ideatori di una via italiana al genere erotico-carecerario. Lilli Carati è la spietata brigatista Monica Habler a capo di un gruppo di detenute che fuggono dal carcere, prendono come ostaggi alcune tenniste, si barricano in casa di un giudice e alla fine sfogano su di loro tutta la violenza repressa. L’ho visto che avevo poco più che vent’anni in una tivù privata che lo passava a ripetizione a notte fonda, RTV38 o Canale 48, non ricordo bene, è passato troppo tempo. Lo rammento come un film erotico e violento, pieno di scene di sesso saffico nelle quali si notano Dirce Funari, Zora Kerowa e Lilli Carati. Ma può darsi pure che sia il ricordo sfuocato a ingigantire molte cose, capita spesso. 
   Candido erotico di Claudio De Molinis, il cui vero nome è Claudio Giorgiutti, è del 1978 e si segnala come prima incursione di Lilli Carati verso un erotico spinto che rasenta il porno. Ne abbiamo già parlato nel capitolo dedicato alla bionda Maria Baxa.
   Lilli Carati è bella e sensuale, di una bellezza selvaggia e per niente tranquillizzante, una donna fuori da ogni cliché che irretisce con lo sguardo da gatta e il magnetismo animale. Lilli Carati però non è soltanto bella, è una che sa pure recitare e di questo si accorge un ottimo regista come Pasquale Festa Campanile che la vuole sul set de Il corpo della ragassa (1979) e di Qua la mano (1980). Il corpo della ragassa è tratto da un bel romanzo di Gianni Brera, un colto giornalista sportivo che ha lasciato un bel ricordo per i commenti calcistici infarciti di citazioni latine e di cultura classica. Completano il lavoro la brillante sceneggiatura di Enrico Oldoini e di un esperto dell’erotismo raffinato come Alberto Lattuada. Per non parlare delle musiche, intense e coinvolgenti, che sono del geniale Riz Ortolani. Questo è di sicuro il film più bello interpretato dall’affascinante attrice lombarda che tra l’altro si mostra completamente nuda in tutta la sua sfolgorante bellezza in una scena accanto a Enrico Maria Salerno. Renzo Montagnani completa il terzetto di ottimi attori in una parte per lui poco consueta da padre della ragassa e soprattutto all’interno di un film interessante e molto letterario. Lilli Carati è la protagonista indiscussa della pellicola ed è proprio lei “il corpo della ragassa” esibito da Enrico Maria Salerno per vantarsi con gli amici. Non solo. Salerno da buon medico erotomane visita la Carati fissandola a lungo tra le gambe ed esponendola agli sguardi allupati del pubblico dei guardoni presenti in sala. Lilli Carati è un’ex prostituta svezzata in un casino che pare una ragazza ingenua nelle mani del suo anfitrione, però alla fine porta a morire Salerno durante un rapporto sessuale e diventa una ricca maîtresse. La frase di lancio è tutta un programma: “Con due esse? Sì, come sesso”.
   Qua la mano (1980) è ai nostri fini meno interessante perché ha poco a che vedere con l’erotismo. Si tratta di un film composto di due episodi  e la bella Lilli è impegnata solo ne Il prete ballerino con Adriano Celentano. Pare una sorta di ritorno ai tempi del primo film Di che segno sei?, l’argomento è simile, si parla di ballo e di un prete che se la cava meglio in pista che a dir messa, ancora una volta c’è Celentano che vince una gara di ballo, però manca la Melato e in cambio abbiamo Renzo Montagnani ed Enzo Robutti. Il secondo episodio (Sto col Papa) vede protagonista Enrico Montesano nei panni di un vetturino che conosce il Papa. Completano il cast: Philippe Leroy, Adriana Russo e Mario Carotenuto. Il film non è un capolavoro, battute scontate e ritmo fiacco, pure se l’episodio con la Carati è il migliore.
   Senza buccia di Marcello Aliprandi (1979) è una coproduzione italo - spagnola che vede riunite nella stessa pellicola tre bellezze del calibro di Lilli Carati, Ilona Staller (non ancora passata al porno) e Olga Karlatos. L’unica presenza maschile di rilievo è costituita dall’inespressivo Maurizio Interlandi, classico attore da fotoromanzo. Il film è scritto da Ugo Liberatore che compone un inno all’amore libero e naturale sulla falsariga del suo vecchio Bora Bora (1965). L’azione però non si svolge su un’incontaminata isola tropicale ma tra una villa e le spiagge deserte dell’isola di Vulcano. Qui facciamo la conoscenza di un gruppo di giovani ricconi della borghesia  milanese che si dedica al nudismo e agli scambi di coppia. Ilona Staller e Lilli Carati si mostrano in numerosi nudi integrali anticipando la scelta del porno, loro futura strada, obbligata per una Staller che pare negata per la recitazione, un vero peccato per la Carati che nel cinema poteva fare di meglio. Olga Karlatos fa la parte di Adriana, esperta trentenne che sblocca l’imbranato  Daniele (lo spagnolo Juan Carlos Naya). Lilli Carati è la fidanzata di Juan Carlos Naya e si dedica al nudismo seguendo l’esempio di Ilona Staller e del suo fidanzato Miki Vouk. La sfida tra le due attrici a chi si spoglia di più rappresenta una delle cose migliori del film che ancora oggi si lascia vedere con interesse. “Nudi, belli e innamorati”, recita la frase di lancio e il titolo spagnolo Vacaciones al desnudo calca l’accento sul fatto che il film che parlava di nudisti ed è più indicato del pessimo Senza buccia.
   Un’altra produzione italo - spagnola è il pessimo film di Claudio Giorgiutti (che si firma De Molinis) C’è un fantasma nel mio letto ed è la seconda volta che Lilli Carati viene diretta da questo regista. Il suo ruolo è abbastanza insolito, visto che lei è Adelaide, la moglie vergine di Vincenzo Crocitti, industriale della Bassa bergamasca. Ci sono anche Renzo Montagnani, Vanessa Hidalgo e Luciana Turina.
   Il marito in vacanza di Maurizio Lucidi (1981) è una pochade sexy con protagonista Lilli Carati nel solito ruolo simil Fenech, infatti il film nasce come uno erotico-scolastico intitolato Il preside, i professori… con una storia un po’ diversa e poi viene riadattato a una storia stile La moglie in vacanza l’amante in città girata da Luciano Martino nel 1980. Per la parte comica ci sono gli ottimi Bombolo e Cannavale che spaziano senza troppi problemi dai Tomas Milian movies alle sexy commedie scorreggione. Lo sceneggiatore è Romano Scandariato che si sente un po’ tradito dalla fretta con cui è girato il film, pure se anche lui non è che avesse scritto un capolavoro. Il film è una pura commedia erotica costruita sulla falsariga di molte altre dal contenuto simile e manca del tutto di originalità. Lilli Carati dopo aver insegnato scienze naturali nel suo secondo film torna a (s)vestire i panni di una professoressa che si trova in ritiro in un pessimo albergo con alcuni colleghi. La cosa buffa è che da questa riunione di insegnanti deve uscire il nome del nuovo preside, come se il ruolo di preside fosse una carica elettiva. Lucidi se ne infischia della realtà storica e dà la stura a una serie di baggianate scopiazzate un po’ da un film e un po’ da un altro. Per fortuna che Bombolo e Cannavale ogni tanto ci tirano su di morale e che la Carati nuda resta sempre un bel vedere. Questa è l’ultima commedia scorreggiona dove recita Lilli Carati, dopo per lei si aprono le porte del cinema erotico e successivamente pure del porno.
   Magic Moments di Luciano Odorisio (1984) è un altro passo falso di Lilli Carati che recita in una pellicola che voleva essere d’autore ma che alla prova dei fatti si rivela uno stratosferico fallimento. Odorisio aveva cominciato bene la sua carriera con film interessanti come Sciopèn (1983) ma qui mette insieme una serie di banalità sul mondo del cinema davvero senza pari. Siamo nella Roma degli anni Sessanta e conosciamo un provinciale che vuol fare del cinema e nel frattempo si innamora di una regista televisiva. I due stanno insieme un po’ di tempo e quando lei ha un bambino, lui si illude che sia suo. Il giudizio di Morandini è categorico ma onesto: “Il film è sempre incerto tra satira di costume e melodramma e ostenta ambizioni che sono velleità”. Il ricco cast vede impegnati addirittura Stefania Sandrelli e Sergio Castellitto e pare proprio uno spreco di fronte a tanta pochezza. Lilli Carati si spoglia e ci mostra un bel nudo integrale in una scena dove il regista cerca di prendere in giro Fellini. Stefania Sandrelli viene dal successo erotico de La chiave di Tinto Brass (1983) e si spoglia dopo tre scene, ma non basta. Il film delude ed è un disastro totale.
   Lilli Carati prima di passare al porno nella scuderia di Riccardo Schicchi, per la quale ha fatto alcuni film che non è neppure il caso di citare, è l’ottima interprete di quattro erotici raffinati girati da Aristide Massaccesi. Si tratta de L’alcova (1985), Il piacere (1985), Lussuria (1986) e Voglia di guardare (1986), girati dal regista romano con l’abituale pseudonimo di Joe D’Amato. Di questi film ho parlato a lungo nel libro Erotismo, orrore e pornografia secondo Joe D’Amato (Profondo Rosso, 2004) e a quel testo rimando per un opportuno approfondimento. Di seguito mi limito a parlare del ruolo che ha avuto nelle pellicole la bella attrice lombarda. 
   L’alcova (1985) è un lavoro che sta a metà strada tra il porno e l’eros ed è un prodotto costruito a imitazione del cinema di Tinto Brass, anche se ha una sua originalità. D’Amato fotografa e gira con pochi mezzi (non ha certo la produzione di Brass dietro le spalle...) una storia di Ugo Moretti sempre indecisa su quale strada prendere. La storia vede il gerarca fascista Elio De Silvestris  (Al Cliver) di ritorno dal fronte abissino in compagnia di Zerbal (Laura Gemser), una bella principessa negra. Alessandra (Lilli Carati), la giovane seconda moglie di Elio, e Wirna (Annie Belle), la sua segretaria nonché amante segreta di Alessandra, scatenano le loro gelosie e morbosità attorno alla nuova arrivata. Lilli Carati sta passando al porno e si muove bene nelle scene più spinte, Annie Belle (all’epoca fidanzata con Al Cliver) è ancora bella e si dà da fare nelle scene lesbiche, Laura Gemser recita senza essere doppiata (una delle poche volte) e il suo buffo italiano la rende una credibile principessa africana. Il suo fascino esotico domina tutti. Lei è la schiava del gerarca fascista che conduce la danza erotica e diventa padrona della situazione. Finisce in ogni caso bruciata viva in un finale da incubo. Al Cliver lo ricordiamo più a suo agio nelle vesti dell’indomito gladiatorie del futuro che in certe situazioni di erotismo spinto. Lui stesso confessa di sentirsi un attore da film d’avventura. Nello Pazzafini, il giardiniere Peppe, invece viene dall’hard e recita senza problemi (sfoderando anche una notevole erezione) la scena della violenza carnale a Wirna. Laura Gemser viene trattata come una bestia, definita una scimmia, un essere senza anima né volontà. Subito dopo però tutti ne subiscono il fascino perverso, soprattutto Alessandra che ama le donne più degli uomini. Un cambiamento di prospettiva che lascia un po’ sconcertati. Le scene erotiche sono molte e piuttosto esplicite, voyeurismo e rapporti saffici si sprecano, ma pure sequenze sadiche e violente non mancano.
   Il piacere (1985) è realizzato da Joe D’Amato sulla base dell’opera di Restif de la Bretonne su sceneggiatura di Franco Valobra (Homerus S. Zweitag) e Claudio Fragasso (Clyde Anderson). Interpreti: Isabelle Andrea Guzon (Leonora), Steve Wyler (Gerard Antoniani), Marco Mattioli (Edmud), Laura Gemser (Haunani), Lilli Carati (Fiorella), Dagmar Lassander e Vincenzo Gallo (gerarca). La trama del film è piuttosto debole e scontata. Leonora e Gerard si amavano alla follia, ma il loro era uno strano rapporto. Gerard infatti registrava su di un magnetofono tutte le loro esperienze sessuali. Adesso che Leanor è morta c’è la figlia Ursula (in tutto e per tutto identica alla madre) che vuole prenderne il posto e la sua principale ambizione è quella di farsi sverginare dal patrigno. Pare evidente anche qui l’ispirazione da La chiave di Tinto Brass: al posto del diario abbiamo il magnetofono e poi c’è una bella ambientazione veneziana in periodo fascista. Ursula si veste e si trucca come la madre ed eccita Gerard, poi ascolta al magnetofono i ricordi dei rapporti sessuali tra i due amanti e interpreta le medesime situazioni. Da ricordare la scena al cinema, quando Ursula si diverte a farsi toccare da uno spettatore sconosciuto e a provocare Gerard. Insieme a Ursula c’è anche Edmond, il figliastro epilettico che non approvava la relazione della mamma con Gerard e tanto meno condivide il comportamento della sorella. Ursula finisce pure nella casa di appuntamenti che frequentava la madre e viene messa all’asta tra alcuni clienti particolari. Alla fine Ursula e Gerard si innamorano davvero e la figlia prende il posto della madre nel cuore di Gerard. L’ultima sequenza del film vede i due recitare la scena del primo incontro come se l’antico amore fosse tornato. In questa trama davvero esile trovano posto numerose scene di rapporti sessuali, voyeurismo, masturbazioni femminili e scene saffiche  a non finire (soprattutto interpretate da Laura Gemser e Lilli Carati). D’Amato cavalca il successo di pubblico de L’Alcova e lo supera incassando tre miliardi con un film girato in economia. La pellicola è al solito un erotico raffinato molto trattenuto nelle scene di sesso e si avvale soprattutto di tre attrici belle, brave e ben dirette. La scenografia è molto curata, la fotografia pure, però è la lentezza il suo difetto maggiore. Si fa fatica ad arrivare alla fine soprattutto per la mancanza di una vera storia. Nel film ci sono sequenze hard che uno spettatore attento può vedere sullo sfondo di un rapporto soft.
   Lussuria (1986) è una logica conseguenza del successo dei due primi lavori. La finzione è ancora che sia stato tratto da un romanzo: un non meglio identificato Luxure della solita Judith Wexley. La sceneggiatura è di René Rivet, per il resto fa quasi tutto Massaccesi che lo gira come Joe D’Amato. Protagonisti: Lilli Carati, Noemie Chelkoff, Al Cliver, Martin Philips, e Ursula Foti. Non date retta a Marco Giusti che su Stracult pare aver visto un altro film (parla addirittura di un’inesistente sorella uccisa…) e magari fatevi un’idea da soli di quel che può essere Lussuria. Film dignitoso, erotico patinato, ben ambientato in un’Italia del periodo fascista e ben diretto da Massaccesi che lo fotografa con perizia tecnica. La storia è quella del giovane Alessio (Martin Philips), traumatizzato per la perdita della madre e affetto da una malattia psicologica che lo porta a chiudersi in un mutismo esasperante. Il padre (Al Cliver) si è risposato con una ex prostituta (Noemie Chelkoff) e pare che entrambi vogliano aiutare il ragazzo a guarire. Collabora nell’impresa anche la zia Marta (Lilli Carati) che lo ospita nella sua bella villa di campagna. Qui incontriamo pure Caterina (Ursula Foti), una bella restauratrice ingaggiata per sistemare gli affreschi del palazzo. La pellicola ci fa capire, scena dopo scena, che la malattia del figlio è dovuta ai vizi della famiglia borghese che l’ha allevato. Il padre infatti è un depravato egoista che non perde occasione per farsela con altre donne e non si è mai occupato di lui. Quando Alessio era piccolo ha violentato la zia e il ragazzo ha assistito alla scena. Alessio vive una realtà fatta di sogni e incubi, dove immagina di fare l’amore con la matrigna, con la zia e infine con Caterina. Spia le tre donne che vivono nella casa dalle porte socchiuse ed è ossessionato dal sesso. Quando il padre e la matrigna vanno dalla zia Marta per sapere come va la salute del figlio, scopriamo che il padre gode nel vedere la moglie fare l’amore con altre donne (non ultima la zia Marta). Alla fine si porta a letto persino Caterina con la collaborazione della moglie e della zia in un triangolo che sarà la sua ultima prodezza erotica prima del suicidio del figlio. Alessio infatti nell’ultima scena si toglie la vita davanti a Caterina. Questa parte è un piccolo gioiello di tensione: nessuno penserebbe alla morte del ragazzo che pareva aver finto di essere malato perché disgustato da tutto quel che vedeva intorno. Tra gli attori è ben calata nella parte Lilli Carati che pare fatta apposta per ruoli maliziosi e perversi. Da ricordare su tutte la sequenza del rapporto erotico sul tavolo di cucina con un giardiniere. Pure Ursula Foti non è male come sexy restauratrice e interpreta un paio di scene degne della miglior Malizia (calze nere su scala e mutandine di pizzo). Meno ispirata la Chelkoff che resta comunque su standard sufficienti. Da dimenticare Al Cliver (Pier Luigi Conti), molto più a suo agio nei film di avventura che in questa parte da erotomane senza morale. Non rende credibili battute come: “La vita è un gioco e l’incesto fa parte di questo gioco”. Su Martin Philips poco da dire: sta quasi sempre zitto e ha la stessa espressione per tutto il film. La parte era quella. Il film è un erotico soft ma molto spinto. Ci sono lunghe scene di rapporti saffici tra Lilli Carati e Noemie Chelkoff, altre di malizia esasperata e di voyeurismo con masturbazioni prolungate sul letto. Nel film è presente una sorta di accusa alla famiglia borghese convenzionale (parafrasando Miklós Jancsó) piena di vizi privati nascosti dall’apparenza delle pubbliche virtù. Oltre tutto Lilli Carati, in una delle ultime scene, lancia pure un atto d’accusa rivolto ai genitori che non sanno crescere e che dovrebbero pensarci bene prima di mettere al mondo dei figli.
   Voglia di guardare (1986) è un erotico soft di scarso peso scritto da Elena Dreani e sceneggiato da Aristide Massaccesi, Donatella Donati e Italo Focacci. Per il resto fa tutto Massaccesi che come suo costume lo fotografa, lo monta e lo dirige firmandosi Joe D’Amato. Interpreti: Jenny Tamburi, Lilli Carati, Laura Gemser, Marino Masè, Sebastiano Somma e Aldina Martano. La storia vede un poco convincente Marino Masè nei panni del marito voyeur e una Jenny Tamburi che recita svogliatamente il suo ultimo film erotico. Assistiamo a una serie di avventure libidinose, ben interpretate dalla sola Lilli Carati che di lì a poco passerà al cinema hard.  Tutto il resto è da dimenticare. Gli attori sono la cosa peggiore del film. Marino Masè recita così impostato la parte del marito medico che gode nel vedere la moglie far l’amore con gli altri da sembrare surreale. Jenny Tamburi è la moglie del voyeur e ha un fisico che forse vorrebbe copiare la Stefania Sandrelli de La Chiave  tanto è ingrassata e così poco sexy (ma la Sandrelli aveva ben altra forza sensuale). Sebastiano Somma è il finto paziente che se la fa con Jenny Tamburi per denaro ma poi finisce con l’innamorarsene e anche lui, a parte la bellezza da attore di fotoromanzi, ci mette davvero poco del suo. Da salvare Lilli Carati, bella e sensuale come sempre, che interpreta la ragazza di Somma, tenutaria di una casa di appuntamenti. Laura Gemser fa una piccola parte da amante lesbica di Jenny Tamburi, si nota che gli anni sono passati ma il fisico è sempre quello di Emanuelle. Anche la storia non è il massimo e ricorda molto La Chiave, solo che qui la depravazione del marito non sta nell’eccitarsi pensando di essere tradito ma nel vedere la moglie all’opera nascosto dietro uno specchio. Il film si trascina stancamente così sino alla fine ripetendo gli stessi concetti e identiche situazioni. Alla fine la moglie viene a sapere tutta la storia dalla donna del suo amante e si convince che suo marito le vuole davvero bene (perché poi?) e si innamora ancor più di lui. Jenny Tamburi scarica Sebastiano Somma e il gioco continua con un nuovo arrivato. Un film voyeurista che Laura Gemser teorizza in una frase: “Il voyeurismo è insito in ognuno di noi”. E per chiarire meglio il concetto si lascia andare a un rapporto lesbico con un’amica e chiede a Jenny Tamburi di osservarla. Possiamo dire che la pellicola ci presenta una coppia di ricchi depravati e così facendo cerca di mettere i vizi borghesi alla berlina. Ma è l’atmosfera che manca, la musica è soporifera, l’ambientazione in periodo fascista è carente (pochi mezzi), le scene erotiche poco credibili e (almeno dalla Tamburi) mal recitate. Jenny Tamburi a proposito di questo film ha detto: “Con Aristide avevamo un rapporto bellissimo… come se fosse mio padre. Quando facevamo quel film mi diceva sempre di essere più eccitante, più maliziosa. Io ci pensavo un po’, poi lo facevo con molta serenità. Aristide era una persona meravigliosa, gentilissimo, poi era del sagittario come me e quindi legavamo molto. Nel film c’erano molte scene di nudo e anche alcune imbarazzanti sequenze con Lilli Carati. Ma eravamo allenate…”.
   Lilli Carati era un’attrice molto bella e secondo noi pure di buona professionalità. Di carattere introverso e umorale, abbandonata a se stessa, Lilli Carati si perse nei meandri della Roma tentacolare di fine anni Settanta e cadde in certe spirali perverse. La sua vita privata prese una brutta piega e condizionò le scelte professionali, che seguirono la strada di un’avvilente carriera nel cinema porno. Lilli Carati conobbe umilianti traversie giudiziarie che non è il caso di stare a ricordare, anche perché ne venne fuori e lavorò in una comunità di recupero. E' stato realizzato per un canale satellitare un documentario che contiene una lunga video intervista. Apparve in TV nel quiz pomeridiano La verità condotto da Marco Balestri su Canale Cinque dal primo luglio 1991, in sostituzione del Gioco dei nove. Si presentò come concorrente utilizzando il suo vero nome. Negli anni duemila torna alla ribalta rendendo noti i suoi problemi personali e la voglia di tornare sulle scene. Stracult di Marco Giusti, nel 2008, diffonde una sua lunga intervista. Nel 2011, dopo 24 anni di assenza, si rende disponibile a interpretare La fiaba di Dorian, un thriller di Luigi Pastore, ma deve rinunciare per gravi problemi di salute. Muore il 21 ottobre del 2014 per un tumore al cervello. Questo post senza foto serve a ricordare in sintesi la sua carriera.

FILMOGRAFIA DI LILLI CARATI

Di che segno sei? di Sergio Corbucci (1975)
La professoressa di scienze naturali di Michele Massimo Tarantini (1976)
Squadra antifurto di Bruno Corbucci (1976)
La compagna di banco di Mariano Laurenti (1977)
Poliziotto sprint di Stelvio Massi (1977)
L’avvocato della mala di Alberto Marras (1977)
Squadra antimafia di Bruno Corbucci (1978)
Avere vent’anni di Fernando Di Leo (1978)
La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia di Lina Wertmüller (1978)
Le evase – storia di sesso e violenza di Giovanni Brusatori (1978)
Candido erotico di Claudio De Molinis (1978)
Il corpo della ragassa di Pasquale Festa Campanile (1979) 
Qua la mano di Pasquale Festa Campanile (1980)
Senza buccia di Marcello Aliprandi (1979)
C’è un fantasma nel mio letto di Claudio De Molinis (1981)
Il marito in vacanza di Maurizio Lucidi (1981)
Magic Moments di Luciano Odorisio (1984)
L’alcova di Joe D’Amato (1985)
Il piacere di Joe D’Amato (1985)
Lussuria di Joe D’Amato (1986)
Voglia di guardare di Joe D’Amato (1986)
Una ragazza molto viziosa di G. Grand (1987)
Una moglie molto infedele di G. Grand (1987)
Il vizio preferito di mia moglie di G. Grand (1988)

lunedì 13 ottobre 2014

Il mondo porno di due sorelle (1979)

di Franco Rossetti


Regia: Fred Gardner (Franco Rossetti) Soggetto e Sceneggiatura: Franco Rossetti. Fotografia: Pier Luigi Santi. Montaggio: Mauro Bonanni. Scenografia: Claudio Cinini. Musiche: Enzo Petti. Aiuto Regista: Roberto Tatti. Produzione: Anaconda Film. Trucco: Franco Di Girolamo. Colore: La Microstampa. Negativi: Fujicolor. Titolo estero: Emauelle and Joanna. Interni: Incir - De Paolis. Interpreti: Sherry Buchanan, Paola Montenero, Marina Frajese (Hedman), Brunello Chiodetti, Daniele Dublino, Catherin Zago, Ann Janette La Vorgna, Goetz Groh, Mauro Frittella.


Franco Rossetti (Siena, 1930) credo che sia un regista storicizzato soltanto dall’infaticabile Roberto Poppi nel suo I Registi del Cinema Italiano edito - purtroppo - da Gremese, progetto rimasto incompiuto per una serie di circostanze. Approfittiamo della sua scheda esaustiva per ricordare che Rossetti si laurea in legge, frequenta il Centro Sperimentale, lavora come critico cinematografico (Cinema, Bianco e Nero…), assistente regista, aiuto fino al 1961 (il debutto con Marino Girolami, La canzone del destino, 1957). Sceneggiatore di western diretti da Sergio Corbucci (Django, 1965 - Johnny Oro, 1966), Ferdinando Baldi (Preparati la bara, 1967) ed Enzo Barboni (Ciakmull, 1969). Non dirige molti film come regista, pochi lavori commerciali e senza pretese artistiche, partendo da un western (El desperado, 1967), per cimentarsi in prodotti di genere giallo, erotico, film televisivi, tra i quali spiccano Delitto al circolo del tennis (1969), Una cavalla tutta nuda (1971, il primo decamerotico girato sull’onda del successo pasoliniano), Nipoti miei diletti (1973, una via di mezzo tra commedia sexy e dramma erotico), Quel movimento che mi piace tanto (1975, commedia sexy classica scritta da Francesco Milizia), mentre nel 1976 scrive e produce Un amore targato Forlì, girato dal giovane Riccardo Sesani. Il mondo porno di due sorelle è del 1979, non è un porno - come molti credono - ma solo un dramma erotico. Difficile lavoro di donna (1980) è un film inchiesta, seguito dal televisivo Il lebbroso (1981). Il suo ultimo film è Al limite, cioè, non glielo dico (1984).  


Scrive Poppi: “Rossetti rappresenta quel cinema medio di cui sempre più si sente la mancanza, confezionato con artigianale precisione tecnica”. Condividiamo. Il mondo porno di due sorelle è uno dei suoi migliori lavori, perché il regista tenta di approfondire un discorso sociale e psicologico, sviscerando il rapporto tra due sorelle gemelle che rappresentano il bene e il male. Sherry Buchanan è Emanuelle (nome pensato per sfruttare un filone di successo), bionda, brava, quasi masochista per la sua estrema bontà, sposata con uno strafottente e menefreghista palazzinaro romano. Paola Montenero è la sorella gemella Joanna, bruna, perfida e corrotta, che gestisce una casa di tolleranza per ricconi e cerca di corrompere la sorella buona, fino a farla stuprare da un gruppo di giovinastri. 


In questo quadro di perversione spicca la madre delle sorelle, vedova del marito, che si consola con un cameriere disponibile a compiere ogni tipo di servizio. Il marito di Emanuelle (nel film chiamata Emanuela, per problemi di copyright) è la quintessenza della volgarità, ricco per quanto è spaccone e stupido, giunge persino a dimenticare la festa dell’anniversario di matrimonio, ma quando rientra pretende di scopare la moglie nel modo più egoista e sadico.  


Rossetti - autore della storia - compie una critica sociale alla borghesia arricchita romana utilizzando lo strumento del cinema erotico. Emanuelle è la moglie borghese, rassegnata a vivere una grigia esistenza all’ombra del ricco marito che sogna l’amore della sua vita, ormai scomparso. Joanna è la libertina che vive alla ricerca del piacere, in modo estremo, ma in fin dei conti naturale, senza sottostare a convenzioni sociali. Perfida con la sorella quando combina l’incontro con un ragazzo molto simile al suo amore perduto. Emanuelle è innamorata ma lui finisce per rivelarsi un farabutto pagato per violentarla insieme alla sua banda. Joanna è - per dirla con Nietsche - “al di là del bene e del male”, ma finisce per portare dalla sua parte la sorella, dimostrando che il loro legame è più forte di ogni cosa, che in fondo sono complementari, unite nel vizio. Ottima la sequenza conclusiva che vede le sorelle strette in un caldo abbraccio lesbico: “Ecco, adesso siamo di nuovo insieme, come nel ventre materno. Per sempre”, dice Joanna.


Il film è stato distribuito in home video anche con i titoli Le due sorelle e Il mondo di due sorelle, all’estero si conosce come Emanuelle and Joanna. Riporto l’opinione di Roberto Cozzuol espressa all’interno di un interessante gruppo Facebook Italia Film 1960 – 1990 (https://www.facebook.com/groups/560081527383095/permalink/780399625351283/): “Particolare dramma-erotico. La pellicola presenta vette trash notevoli: il catalogo di depravazioni sessuali del bordello, Marina Lotar in tenuta sadomaso, Ripamonti vicino di casa guardone omosessuale e per chiudere Chiodetti doppiato in romanesco. Tuttavia abbiamo però come accompagnamento una splendida musica e un interessante finale morboso; inoltre, nonostante tutto, si segue con interesse. Uno di quegli esperimenti filmici per cui la nostra cinematografia di genere non va dimenticata. Rossetti coniuga bene e male in un contesto alquanto morboso. Per appassionati e non...”. 


Condividiamo gran parte delle considerazioni. La classificazione di dramma erotico è calzante, aggiungerei di taglio psicologico - sociale che approfondisce il tema trattato. Sherry Buchanan è perfetta nella parte di Emanuelle, il suo volto angelico e la bellezza tranquillizzante, da brava ragazza, la rendono bersaglio esemplare del sadismo di marito e sorella. Peccato che la Buchanan - attrice di origini inglesi - non abbia lavorato molto nel nostro cinema e che questa interpretazioni resti il contributo più importante. Ricordiamo il suo volto affascinante in Tentacoli (1977) di Ovidio G. Assonitis, ma anche ne La via della droga (1972) di Enzo G. Castellari, Zombi Holocaust di Marino Girolami (1980), Occhi dalle stelle (1978) di Mario Gariazzo (1978) e Giochi erotici nella terza galassia (1981) di Bitto Albertini. Volto storico dei fotoromanzi per bellezza fotogenica, la ricordiamo protagonista in diverse storie di Grand Hotel


Molto brava anche Paola Montenero, attrice cara ad Alberto Cavallone, in un ruolo da perfida tenutaria di bordello e da donna trasgressiva che vive per il solo piacere. Marina Frajese recita un ruolo estremo ma non porno, molto trash quando compare in tenuta sadomaso. Si favoleggia che del film esista una versione porno, ma se anche fosse vero non l’abbiamo vista. Uscito in Belgio e Francia come Deux super sensuelles e in Germania come Intime beichte einer frau. Marco Giusti definisce Il mondo porno di due sorelle “il primo porno di Paola Montenero, già apparsa nuda sulla pagine di Playboy nel gennaio del 1978”.  Non è un porno, ma un erotico spinto, pure io sono caduto nell’errore in una vecchia pubblicazione, prima di aver visto il film. Stracult è un libro piacevole e divertente ma quel che c’è scritto non va preso come oro colato. Persino Paolo Mereghetti (una stella) concede al film qualche pregio figurativo. A nostro parere sono molto valide le parti oniriche, i lunghi flashback, la musica suadente al pianoforte, la fotografia curata e il messaggio antiborghese. Un film interessante, che per apprezzarlo a fondo va storicizzato.


giovedì 9 ottobre 2014

Pezzotta mi ringrazia...

 
 
Alberto Pezzotta mi cita nei ringraziamenti del suo ultimo libro dedicato a Paolo Cavara, perché ha ricevuto dalla mia casa editrice il libro di Fogliato su Cavara, quelo di Loparco su Jacopetti e ha utilizzato un vecchio numero del Foglio Letterario dove Franco Grattarola tracciava una breve biografia di Gualtiero Jacopetti.

giovedì 2 ottobre 2014

La ciociara (1960)

di Vittorio De Sica

 
Regia: Vittorio De Sica. Soggetto: Alberto Moravia (romanzo omonimo). Sceneggiatura: Cesare Zavattini. Musica: Armando Trovajoli, Eduardo Di Capua, Giovanni Capurro. Fotografia: Gabor Pogany. Montaggio: Adriana Novelli. Scenografia: Gastone Medin. Costumi: Elio Costanzi, Giulia Mafai. Effetti Speciali: Philippe Arthuys. Assistenti alla Regia: Checco Rissone, Lusia Alessandri, Giovanni Fago. Produzione: Carlo Ponti. Interpreti: Sophia Loren, Jean-Paul Belmondo, Eleonora Brown, Andrea Checchi, Pupella Maggio, Emma Baron, Raf Vallone, Renato Salvatori, Carlo Ninchi, Franco Balducci, Vincenzo Musolino, Luciano Pigozzi, Ettore Mattia, Bruna Cealti, Antonella Della Porta, Mario Frera, Luciana Cortellesi, Curt Lowens, Tony Calio, Remo Galavotti.


La ciociara è un grande film, tratto da un romanzo coinvolgente e intenso di Alberto Moravia, scritto in prima persona, facendo parlare Cesira, una popolana vedova, madre di Rosetta, figlia adolescente, che dopo il 1943 decide di scappare da Roma e di rifugiarsi in Ciociaria, tra le montagne di Sant’Eufemia, al paese d’origine. Conosce Michele, un intellettuale comunista, se ne innamora, ma la storia non può avere un lieto fine, sia per lei che per il ragazzo. Le due donne vengono violentate in una chiesa da un gruppo di soldati marocchini, mentre Michele viene ucciso dai tedeschi.


Sophia Loren interpreta il ruolo della vita - che trent’anni dopo interpreterà di nuovo in un modesto film televisivo, guidata da Dino Risi - anche se Ponti avrebbe voluto Anna Magnani come madre e lei nei panni della figlia. Fu merito di Vittorio De Sica - una volta evidente che la Magnani non avrebbe fatto parte del cast -  aver pensato di invecchiare Sophia Loren e utilizzare una dodicenne come Eleonora Brown nel ruolo della figlia. Fu un’idea vincente, perché quel che si ricorda de La ciociara cinematografica è soprattutto il ritratto da straordinaria mater dolorosa della Loren dopo la violenza carnale, affranta per il destino della figlia. Sophia vince un Oscar come miglior attrice protagonista e conferisce alla pellicola un elemento di assoluta genuinità che fa ricordare le migliori pagine del romanzo, narrate da una popolana ignorante, priva di ideali, che non si occupa di politica, ma cerca di fuggire la follia della guerra.


Eleonora Brown non è il massimo, ma in definitiva interpreta il ruolo romanzesco assegnato da Moravia alla figlia: una santa che dopo la violenza si trasforma in puttana, una ragazzina che non aveva ancora conosciuto uomo, devota, timorata di Dio, trasformata dagli eventi e dalla guerra. Jean-Paul Belmondo è un intellettuale innamorato, anche se nel romanzo le cose non stanno proprio così e il suo personaggio subisce alcune modifiche dettate da esigenze cinematografiche. Il film trascura molte cose che Moravia mette in primo piano: l’egoismo dei contadini, l’ignoranza della povera gente, l’ignavia degli italiani poco interessati al vincitore ma soltanto alla fine della guerra, le condizioni di vita dei poveri, la carestia, il mercato nero… In compenso abbiamo il melodramma lirico, una sceneggiatura che fonde realtà romanzesca e neorealismo, alcuni momenti sentimentali e soprattutto una forte connotazione femminile costituita dal rapporto madre - figlia. Il titolo delle versioni spagnole e inglesi - Dos mujeres/ Two Women - non è per niente fuorviante. Tutt’altro.


Resta il messaggio di rabbia popolare nei confronti di chi trascina la gente in eventi bellici indesiderati, come è evidente la voglia di vivere in un popolo che deve ricostruire e ripartire da zero. De Sica e Zavattini utilizzano il soggetto di Moravia per denunciare le atrocità della guerra, per mettere in evidenza come l’uomo in simili frangenti possa cambiare, compiendo atrocità inimmaginabili in una situazione normale. Fascisti, tedeschi, disertori, inglesi, contadini, sfollati, fanno tutti parte di un’umanità dolente che si vede soggiogare e violentare da eventi troppo grandi per essere arginati. Stupenda fotografia in bianco e nero di Gabor Pogany, scenografie e ambienti ricostruiti con dovizia di particolari tra le montagne della Ciociaria. Musica intensa di Trovajoli e montaggio serrato di Novelli. 

Inutile dire che la sequenza epocale resta quella della violenza carnale all’interno della Chiesa, ricca di suspense e di orrore fotografato negli occhi delle due donne. Un’altra scena prelevata integralmente dal romanzo vede una donna resa folle dalla guerra aggirarsi tra le macerie nell’atto di offrire il seno con cui avrebbe dovuto allattare un bambino morto. Moravia e De Sica, passando per Zavattini, mettono il dito sulla piaga, affermando che gli italiani non sono più padroni di niente, a parte il latte prodotto dai seni delle loro donne. La ciociara racconta un triste passato che nel 1960 sono ancora in molti a voler dimenticare, ma i tempi sono maturi per digerire una storia cruda, piena di realismo e priva di leziosità stilistiche. Il film è più lirico del romanzo, ma resta uno spaccato intenso che fotografia la perduta speranza di un’Italia allo sbando, dopo l’armistizio del 1943, sconvolta dalla guerra civile e dai bombardamenti. Non si sentiva nessun bisogno di un deludente remake televisivo giunto trent’anni dopo, davvero fuori tempo massimo.