di Fausto
Brizzi
Fausto Brizzi ha inventato un genere: il television - movie, ovvero il nulla
fatto cinema, la televisione su grande schermo, lo squallore della fiction replicata all’infinito,
infarcita di finto gergo giovanilistico e di situazioni surreali ai limiti
dell’imbarazzante. Inutile perdere tempo a redigere la scheda tecnica di un
film ridicolo e dimenticabile - Com’è bello far l’amore - che si
ricorda solo per la divertente sigla di testa e per la scenetta metacinematografica dei Fratelli Lumière
intenti a girare il primo film erotico della storia. Brizzi vorrebbe ironizzare
sulla commedia sexy, sul cinema porno, sulle pellicole d’autore, sugli italiani
che smettono di avere rapporti sessuali dopo anni di matrimonio, sui giovani
che si fanno i trombamici. Riesce
solo a provocare tanta tristezza in chi guarda il suo cinema e spera di imbattersi
anche solo in una trovata degna di una pellicola cinematografica, per poi
rendersi conto che sta guardando fiction.
Brizzi è televisione allo stato puro, dai movimenti di macchina alla
recitazione, dalla fotografia sbagliata al montaggio compassato, dai dialoghi
assurdi (davvero bravo Riccardo
Cassini!), alle situazioni da fotoromanzo, con tutto il rispetto per i
fotoromanzi.
Claudia Gerini è l’unica vera attrice del film, bella e sexy,
intrigante, un lusso in un cast di zombie stile Fabio Di Luigi che sfoggia
sempre la stessa espressione imbambolata. Per non parlare del mago Forest,
Salvi, Filippo Timi (improbabile porno star), Virginia Raffaele (cameriera
spagnola), Giorgia Wurth e Alessandro Sperduti. Si salva Lillo (Pasquale
Petrolo) come divertente farmacista che spiega il funzionamento di profilattici
e anelli dell’amore a un imbranato Di Luigi. Brizzi si è fatto aiutare da
Martani, Agnello e Cassini per scrivere una sceneggiatura infarcita di luoghi
comuni e banalità, prevedibile e scontata, senza un minimo di suspense. Da notare che questo film ha goduto di sovvenzioni statali
che avrebbero potuto essere impiegati per produrre cinema invece di un pretenzioso
spot giovanilistico. Brizzi afferma che il cinema d’autore è soporifero, serve
per pomiciare, svuota le sale, fa scappare il pubblico. Il suo non cinema, invece, pare che le riempia.
Tutto questo è sconfortante e la dice lunga sullo stato della nostra cultura,
anche se un giorno - temo - ci sarà qualcuno che si prenderà la briga di
rivalutare Brizzi. Lasciatemi dire non che preferivamo Pasolini e Antonioni -
sarebbe troppo facile e pure ingiusto - ma Nando Cicero, certo non cinema
d’autore, ma intrattenimento puro, popolare, consapevole del suo ruolo, senza
arroganza e pacchiana supponenza.
Gordiano
Lupi
www.infol.it/lupi
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