di Alberto Bevilacqua
Regia: Alberto Bevilacqua. Soggetto e Sceneggiatura:
Alberto Bevilacqua. Fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Sergio Montanari.
Musiche: Ennio Morricone. Scenografia: Giantito Burchiellaro. Costumi: Luciana
Marinucci. Produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori. Casa di Produzione. Fair
Film. Distribuzione: Titanus. Genere: Drammatico. Durata: 99’. Interpreti: Romy Schneider
(doppiata da Rita Savagnone), Ugo Tognazzi, Marina Berti, Roberto Bisacco, Gigi
Ballista, Guido Alberti, massimo Serato, Franco Ressel, Massimo Farinelli,
Giancarlo Prete, Stefano Satta Flores, Gigo Reder, Gianni Rizzo, Nerina
Montagnani, Eva Brun, Luigi Casellato, Enzo Fiermonte.
La califfa è il primo film di Alberto Bevilacqua, tratto dal suo
terzo libro, edito nel 1964, un successo di vendite importante che anticipa la
vittoria del Premio Campiello del 1966 con Questa
specie d’amore. Romy Schneider è la sensuale interprete, che presta volto e
corpo a Irene Corsini, la Califfa, vedova
di un operaio ucciso dalla polizia, presentata con un intenso piano sequenza
che tornerà nel drammatico finale. Ugo Tognazzi è l’imprenditore dal volto
umano, stregato dalla proletaria contestatrice, che per amore va incontro agli
operai e cerca di risolvere i problemi della fabbrica.
La califfa è ambientato a Parma, città natale di Bevilacqua, immortalata
dall’autore in racconti, romanzi poesie e lungometraggi. Irene Corsini è la donna
fortificata dal dolore, che si pone a capo di una protesta scoppiata
all’interno della fabbrica di Doberdò (Tognazzi), ma finisce per innamorarsi dell’industriale.
Accanto a lei il magnate scopre una nuova realtà, capisce che esiste un modo più
umano di fare impresa. Non riesce a convincere i colleghi, che lo uccidono in
un drammatico finale e gettano il suo cadavere accanto al muro della fabbrica. Sangue
che scorre tra le mani di Irene, una nuova ferita della vita.
La califfa non gode di un grande budget, motivo per cui
Bevilacqua sceneggia soltanto la seconda parte del romanzo e utilizza più volte
le stesse scene per alcune sequenze oniriche. Non solo, certi personaggi
vengono del tutto omessi, incentrando l’attenzione soltanto sui protagonisti
principali. Mancano molti dialoghi, importanti per capire la relazione tra
Doberdò e Irene, persino il finale è diverso, più cinematografico, perché il
romanzo si conclude con la morte dell’imprenditore per cause naturali. Le location della pellicola sono Parma,
Spoleto, Terni, Colleferro e Cesano di Roma. Stupenda la colonna sonora di
Ennio Morricone, a tratti dotata di sonorità western, che accompagna situazioni
riconducibili ai duelli e alle rese dei conti tipiche del cinema di genere. Ottima
la fotografia di Roberto Gerardi, soffusa e dai toni pastello. Bevilacqua è
alla prima regia, mostra di saperci fare con i piani sequenza, usa troppo lo
zoom (un male del periodo storico), sceneggia con tono poetico le situazioni
iperrealistiche di un film metaforico e didascalico.
Gli attori sono
straordinari. Ugo Tognazzi è un perfetto imprenditore figlio di contadini che,
grazie all’amore, passa dal pragmatismo alla sfida romantica nei confronti del
potere. Tognazzi non è nuovo a interpretare parti da imprenditore e da ricco
borghese, ma Bevilacqua lo pone a confronto con un testo poetico. “Oggi il
potere non ha più bisogno di eroi né di leoni. Oggi ha bisogno di poeti”, dirà
l’imprenditore. E riferendosi a un passato da povero: “Me ne sono andato per
non vedere più quella macchia di umidità sopra la mia testa”. Romy Schneider è
di una bellezza sconvolgente, fotografata in stupendi primi piani, tra le
cariche della polizia e il sangue che scorre. Un personaggio adatto alle sue
caratteristiche femminili, una donna forte e innamorata, disposta a mettersi in
gioco. Bevilacqua è molto bravo a raccontare l’animo femminile e a comporre
insoliti ritratti di donne sopra le righe.
Tra i caratteristi Gigi Ballista è a
suo agio come imprenditore, ruolo che ripeterà all’infinito nella commedia
sexy, Stefano Satta Flores è un operaio che si vede lo spazio di una sequenza, Gigi
Reder (il Fillini di Fantozzi) è un servile cameriere, Giancarlo Prete (il
culturista dei postatomici) è l’amante sfruttato dalla califfa, Massimo Serato è l’industriale fallito che si suicida. Bevilacqua
racconta la società italiana di fine anni Sessanta con gli imprenditori
d’assalto, le fabbriche che chiudono, gli operai che occupano e chiedono
rispetto per il lavoro. Vediamo le cariche della polizia, gli imprenditori
suicidi dopo il fallimento, le proteste di piazza. Il quadro sociale è
accompagnato da un’analisi spietata dei rapporti borghesi tra moglie e marito,
la passione che si stempera, il tradimento, ma pure il contrasto generazionale padre
- figlio non sfugge alla critica. “Se padre e figlio scappassero insieme per
raggiungere non si sa quale meta, probabilmente non accadrebbe niente”, dice
Tognazzi. Intensi, anche se retorici e ridondanti, i discorsi del padrone agli
operai, così come le immagini della lotta di classe risultano a tratti troppo
stilizzate. Notevole l’immagine della fabbrica come un dio pagano dove gli
operai si recano ogni giorno per rendere omaggio davanti all’altare della
produzione. Ricordiamo alcune sequenze oniriche: il fiore che blocca gli
ingranaggi dell’azienda, la califfa
che rinchiude il padrone in una stanza per farlo morire tra i miliardi…
Le
scene erotiche sono molto soft ma ben recitate dai due interpreti, credibili e
convincenti; la Schneider buca lo schermo in alcune sequenze che la vedono esibire
plastici nudi a figura intera. Un difetto della pellicola è l’eccesso di
ideologia sessantottina, ma resta un prodotto del suo tempo che va storicizzato.
L’operaia ribelle e l’imprenditore hanno in comune il coraggio, le origini
umili, la voglia di credere in un progetto e l’illusione di cambiare il mondo.
Ma sarà la cruda realtà a vincere sui loro sogni.
Rassegna critica. Morando Morandini (tre stelle di
critica e di pubblico): “La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un
Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore
straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia
Romy Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da
Parma”.
Una recensione non condivisibile, a partire dalla conclusione, passando
per i dubbi sulla Schneider, per finire con la definizione di commedia assegnata a un film drammatico
e iperrealista. Paolo Mereghetti stronca senza pietà (una stella): “L’esordio
di Bevilacqua, dal suo romanzo omonimo, è un ritratto femminile che si perde
tra generici (e gratuiti) riferimenti alle tensioni sociali del periodo”. Pino
Farinotti torna a concedere tre stelle, senza un giudizio critico, ma fornendo
una valutazione condivisibile.
Gordiano Lupi
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