domenica 29 giugno 2014

La gorilla (1982)

di Romolo Guerrieri (1982)


Regia: Romolo Guerrieri (Girolami). Soggetto: Francesco Merli. Sceneggiatura: Romolo Guerrieri, Francesco Merli, Franco Mercuri. Fotografia: Roberto Girometti. Montaggio: Enzo Meniconi. Musiche: Fabio Frizzi (Nazional Music Edizioni). Canzone: Cacamucazzo amore mio (Giorgio Bracardi). Durata. 103’. Scenografia: Carlo Gentili. Costumi: Teresa Ferrone. Effetti Speciali: Roberto Arcangeli. Operatore alla Macchina: Giovanni Brescini. Aiuto Regista: Maurizio Tanfani. Direttore di Produzione: Piero Amati. Organizzatore Generale: Francesco Merli. Produzione: Challenge Film e Television Productions srl. Colori: Staco Film. Teatri di Posa: De Paolis. Genere: Commedia Sexy. Interpreti: Lory Del Santo, Tullio Solenghi, Franco Stoppi, Renato Cecchetto, Giorgio Bracardi, Kristina Manusardi, Gianfranco D’Angelo, Elvire Audray, Mireno Scali, Maria Grazia Bon, Tony Morgan, Francesco Meli, Massimo Pittarello, Ugo Fangareggi, Paolo Alunno, Giovanni Bencivenga, Marcello Bonini Olaf, Elio Bonadonna, Gianni Bonadonna, Aldo Dell’Acqua, Barbara Errera, Roberto Gallozzi, Francesco Leitano, Massimo Levi, Roberto Puddu, Luca Rosi, Antonella Sacchetti, Massimo Vanni.





La gorilla è una tarda commedia sexy con risvolti da pochade che vede Lory Del Santo protagonista assoluta, dopo il successo del precedente W la foca! (1982) diretto da Nando Cicero. Il momento d’oro della bella Lory sta per finire, l’ultimo lavoro per il cinema arriva l’anno dopo: F.F.S.S. cioè: … che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?, diretto dal suo mentore Renzo Arbore (1983). Lory Del Santo frequenta il cinema italiano - ma più che altro la televisione (Drive In) - dal 1978 al 1983, per rientrare in tempi recenti, grazie all’Isola dei famosi e ad alcune apparizioni televisive (Don Tonino) e radiofoniche. Nel cinema Lory Del Santo è una meteora più che in televisione, la parte che interpreta è da svampita che irretisce gli uomini con ingenuità sensuale.




La gorilla è scritto da Francesco Merli che per la sceneggiatura collabora con il regista Romolo Guerrieri (Girolami) e Franco Mercuri. Lory Del Santo è la sexy guardia del corpo Ruby, nome che è tutto un programma, ma al tempo non si poteva sapere; Tullio Solenghi è l’ingenuo disegnatore innamorato con l’hobby delle foto erotiche; Giorgio Bracardi ci delizia con i personaggi lanciati da Alto Gradimento, tra il professor Marcellini e il fascista Catenacci; Gianfranco D’Angelo mantiene alto il livello di comicità nei panni del padre di Ruby, titolare dell’agenzia per guardie del corpo; Ugo Fangareggi è un simpatico caratterista che nei panni di un pappone si prende una scarica di sganassoni; Elvire Audray è una sexy francesina scomparsa a quarant’anni che interpreta la vicina di casa di Solenghi, porca quanto basta, con il compito di far ingelosire Ruby e di contribuire ai meccanismi della pochade. Lory Del Santo mostra le sue grazie in un ironico piano sequenza iniziale mentre scende dalla scalinata dell’Eur, persino i preti si voltano a guardarla, ma anche nel sexy allenamento in palestra con pose a novanta gradi che espongono i glutei all’occhio indiscreto della macchina da presa. Lory è il piatto forte di una modesta commedia che si salva per merito delle gag di Solenghi, D’Angelo e Bracardi, abbastanza all’altezza della situazione. Il più originale tra i comici è Bracardi, anche se i suoi personaggi - grotteschi, trasgressivi, surreali e sopra le righe - rendono molto di più in radio e televisione che nel contesto di una sceneggiatura cinematografica.

 



In breve la trama. L’agenzia Securitas, diretta da un tipo strano che sembra un venditore di fumo (D’Angelo), procura ai potenti della finanza “donne - gorilla” come guardie del corpo. Ruby (Del Santo) è la figlia del capo, bella e sensuale ma con doti atletiche da gorilla, che alla fine s’innamora di un disegnatore con l’hobby della fotografia erotica (Solenghi). Il lato dolce e romantico della gorilla emerge quando conosce l’amore, insieme a tutta la sua gelosia che la porta a lottare per conquistare il suo uomo.




 
Paolo Mereghetti (una stella) distrugge il film: “Ultimi rantoli della commedia sexy: Guerrieri svogliato filma con identica sciatteria i siparietti comici e i nudi di prammatica (si spoglia anche la Stoppi); e per rimediare all’insipienza della Del Santo, lascia campo libero ai comprimari: Bracardi in un doppio ruolo rifà le solite macchiette radiofoniche e canta l’ineffabile Cacamucazzo amore mio. Assurde le apparizioni di Scali, sosia di Benigni”. Morandini: “Un insulso pasticcetto comico in salsa Del Santo”. Farinotti rincara: “Storie di ordinario cattivo gusto che ruotano attorno all’agenzia Securitas e alla gorilla Ruby…”. Il film non piace neppure a Marco Giusti (Stracult) che lo salva per le trovate dei comprimari. Antonio Tentori assolve: “Guerrieri lo dirige imprimendogli il ritmo e lo stile dei fumetti, così può funzionare almeno in parte”.


 


Il film è scadente, rappresenta bene il periodo di decadenza del genere, soprattutto per la mancanza di idee e per la presenza di tristi personaggi come Mireno Scali (il sosia di Benigni) che non avrebbero mai dovuto lavorare. Lory Del Santo fa sfoggio del suo corpo e di una finta esperienza in arti marziali, lavora con Gianfranco D’Angelo e s’innamora di Solenghi, ma la pellicola naufraga miseramente. La frase di lancio di un film tra i meno visti del periodo è terribilmente stupida: “Come guardia del corpo… usate un bel corpo!!! Buona come battuta,… ma ancora più bona è lei, la Marylin fata in casa!”. Il lancio del film gioca tutte le sue possibilità sulle similitudini Del Santo - Monroe e sulla finta ingenuità costruita dell’attrice. Il personaggio è quello, a Lory Del Santo non resta che sfruttarlo. 




Ricordiamo La gorilla per qualche trovata di comicità slapstick, alcune sequenze stile cartone animato, diverse citazioni del cinema muto a base di torte in faccia e un po’ di comicità grottesca esibita da Bracardi. Niente più. Il resto è abbastanza inutile e lontano mille miglia dall’originalità di un lavoro divertente come W la foca!Romolo Guerrieri - come insegna Roberto Poppi nell’indispensabile I Registi (Gremese) - è in realtà Romolo Girolami (Roma, 1931), fratello di Marino Girolami, zio di Enio Girolami e di Enzo G. Castellari. Esordisce come collaboratore di Marino, ma firma il primo film soltanto nel 1966, come Rod Gilbert (Sette magnifiche pistole). Tra i suoi lavori si ricordano alcuni gialli interessanti (Il dolce corpo di Deborah, Un detective) e un bel film su Salvo D’Acquisto. Lavora per il piccolo schermo, per programmi culturali e fiction (A tutte le volanti, Due vite un destino…). La gorilla - questo è certo - non è il film per cui sarà ricordato.

giovedì 26 giugno 2014

La bella Antonia prima monica e poi dimonia (1972)

di Mariano Laurenti


Regia: Mariano Laurenti. Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Veo. Fotografia: Tino Santoni. Montaggio: Giuliana Attenni. Musiche: Berto Pisano. Scenografie: Giacomo Calò Carducci. Aiuto Regista: Michele Massimo Tarantini. Durata: 83’. Genere: decamerotico. Esterni: Gubbio. Interpreti: Edwige Fenech, Piero Focaccia, Dada Gallotti, Riccardo Garrone, Malisa Longo, Romano Malaspina, Luciana Turina, Umberto D’Orsi, Lucretia Love, Elio Crovetto, Fortunato Cecilia, Tiberio Murgia, Josiane Tanzilli, Sandro Dori, Carla Mancini, Gianni Pulone.

 
Edwige Fenech viene lanciata nel cinema sexy con l’antesignano della commedia scollacciata: il decamerotico. Vanno ricondotti a questo sottogenere tutti quei film che prendono le mosse dal Decameron (1971) di Pier Paolo Pasolini ma che si differenziano per una maggior attenzione ai temi erotici e farseschi. Nel 1972 Edwige Fenech ne interpreta tre di un certo interesse: La bella Antonia prima monica e poi dimonia di Mariano Laurenti, Quando le donne si chiamavano Madonne di Aldo Grimaldi e il fondamentale Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda sempre di Mariano Laurenti.

 
Il Decameron di Pasolini è il modello colto di riferimento cui si ispirano tanti registi di questo periodo che si dedicano al sottogenere, tanto che solo nel 1972 escono trentadue decamerotici. La moda si affievolisce presto, dura solo tre anni, alla fine del 1975 già non si parla più di decamerotico. Altri generi popolari come lo spaghetti-western e il poliziottesco durano molto di più, ma quel che affretta la fine del decamerotico è la nascita della commedia sexy ambientata in tempi moderni. Il primo decamerotico è Una cavalla tutta nuda (1972) di Franco Rossetti che vede all’opera il cantante Don Backy (molto attivo nel genere) e Renzo Montagnani assieme alla bellissima Barbara Bouchet. Possiamo citare gli interessanti Decameron n.2… le altre novelle del Boccaccio (1972), Gli altri racconti di Canterbury (1972) e Le favolose notti d’oriente  (1973) di Mino Guerrini, che realizza una controtrilogia pasoliniana con taglio ben più scollacciato. Interessante Boccaccio (1972), una produzione ricca girata da Bruno Corbucci e interpretata da attori noti come Enrico Montesano, Sylva Koscina, Pippo Franco e Alighiero Noschese. Citiamo altri titoli minori come: Il prode Anselmo e il suo scudiero (1972) di Bruno Corbucci, Decameron n. 3... le più belle donne del Boccaccio (1972) di Italo Alfaro, Decameron n. 4… le belle novelle del Boccaccio (1973) di Paolo Bianchini, Decamerone proibito - Le altre novelle del Boccaccio di Carlo Infascelli (valorizzato da attrici come Orchidea De Santis, Gabriella Giorgelli e Malisa Longo), Decameron proibitissimo - Boccaccio mio statte zitto (1972) di Marino Girolami, Decameroticus (1972) di Piergiorgio Ferretti, Decameron ’300 (1972) e Mamma… li turchi (1972) di Renato Savino, Decamerone nero di Piero Vivarelli (originale perché girato in Senegal, una via di mezzo tra mondo movie e decamerotico) e Le calde notti del Decameron (1974) di Gian Paolo Callegari con le stupende Orchidea De Santis e Femi Benussi.

 
Il genere decamerotico vede come starlettes fondamentali Orchidea De Santis, Gabriella Giorgelli, Femi Benussi e Rosalba Neri.


Il primo decamerotico di Mariano Laurenti con protagonista Edwige Fenech è La bella Antonia prima monica e poi dimonia (1972), un film che si ricorda soprattutto per il titolo curioso. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Carlo Veo che si ispira molto liberamente ai Ragionamenti amorosi di Pietro Aretino. Aiuto regista è il futuro specialista della commedia sexy Michele Massimo Tarantini che lavorerà molto con la Fenech nei vari filoni erotico-poliziottesco-scolastici. Le musiche sono di Berto Pisano. Si ricorda la divertente canzone La mutanda, le cui note scorrono sui titoli di testa e di coda, interpretata da Piero Focaccia, alla sua seconda e ultima prova da attore nei panni di un pittore innamorato delle bellezze muliebri.  

 
Antonia è la bella Edwige Fenech, che per l’opposizione del padre (D’Orsi) che non vuol concedere la dote non può sposare il giovane Folco, quindi decide di rinchiudersi in un convento dove non si mette certo a pregare. La parte sexy comica proprio quando il fidanzato di Antonia entra in monastero travestito da suora e passa una giornata intera a scopare con lei chiuso nella sua cella. “Mi sono fatta una cappella privata qui dentro”, dice la Fenech eccitatissima per evitare di andare a pregare insieme alle altre. Alla fine i due ragazzi si sposano ma Antonia è diventata un dimonio, perché il giorno stesso delle nozze tradisce allegramente il marito con il pittore Piero Focaccia.

 
Il film è recitato in dialetto umbro ed è meno riuscito rispetto a Quel gran pezzo dell’Ubalda…, tutto è centrato sul sesso e manca un attore espressivo come Pippo Franco per alzare il livello comico. Un piccolo appunto a Marco Giusto che su Stracult sostiene che la pellicola soffre per la mancanza di Umberto D’Orsi. Il bravo caratterista è presente nei panni del padre avaro e sessuomane di Antonia che prima di concedere la dote alla figlia accetta che vada in convento. Il diligente D’Orsi è orfano di Pippo Franco come spalla comica e perde molta vis comica.

 
Il film è scontato, lento, prevedibile, lo definirei un contenitore di luoghi comuni decamerotici con un pizzico di sesso e scarsa comicità. La parte erotica è preponderante ma si limita a qualche seno e un paio di sederi al vento, poca cosa per rendere piccante una farsa sfilacciata e poco incisiva. Si denudano molto le comprimarie: Dada Gallotti, Lucretia Love e Malisa Longo, persino Luciana Turina si esibisce come badessa infoiata. Ricordiamo nelle vesti del pittore Claudio Fornari un insolito Piero Focaccia che fa il suo vero mestiere solo quando canta La mutanda, un mito del trash: “A sentire lu padre curato è la fodera del peccato/ chi la dice una foglia di fico/ di modello un po’ meno antico/ qualcun altro invece giura/ che è una cintura…una cintura… una cintura di castità!/”. La mutanda è il leitmotiv del film in tutti i sensi perché il pittore regala biancheria intima alle donne che concupisce. Claudio Fornari favorisce l’amore tra Antonia e Folco (Romano Malaspina, doppiatore importante, voce di Actarus nello storico manga Ufo Robot), nonostante l’odio che divide i due padri, e approfitta delle grazie di tutte le donne del paese. Antonia è l’ultima conquista che capitola sotto i colpi del suo pennello proprio durante le nozze. Inutile dire che in convento tutte le monache se la fanno coi frati e nel gruppo si distingue una superiora di peso come Luciana Turina. La pellicola è una sorta di decamerotico-conventuale che vedrà molti imitatori come Confessioni segrete di un convento di clausura (1972) di Paolo Solvay (Luigi Batzella) e autori di rilievo come Domenico Paolella (Storia di una monaca di clausura del 1973). Originale perché insolita via di mezzo tra un decamerotico e un tonaca-movie, senza essere - in definitiva - né l’uno né l’altro, ma solo un’indefinibile commistione di generi. Diverse sequenze erotiche vedono protagonista Edwige Fenech anche se la prima parte è dominata dalle comprimarie, in ogni caso di lusso. Da ricordare l’incontro con il pittore a base di boccacceschi doppi sensi. Fenech: “Vi si è incantato il pennello?”. Focaccia: “Anzi, si è mosso e tiene ben duro!”. E le tocca il seno con la scusa di sfruttare meglio la luce per dipingerla. Alla fine la Fenech esorta le ancelle a verificare che “il pittore tenga duro per davvero e che non sia una millanteria pure quella”. Alcune scene di nudo mostrano la Fenech distesa sul letto, fasciata in vestiti di seta rossa e ridotta biancheria intima. Il rapporto erotico più spinto lo vediamo nella stanza del convento dove la Fenech si toglie l’abito da monaca e si lascia andare a una sequenza hot con il giovane innamorato. Edwige Fenech è affascinante, il suo volto intrigante dai tratti regolari contrasta con la veste monacale e sprizza sensualità. La scena più trasgressiva si registra il giorno delle nozze, quando Antonia si porta a letto Piero Focaccia e il marito resta insieme al frate a ubriacarsi. Qui le grazie della bella attrice franco-algerina sono esposte senza veli mentre il rapporto sessuale viene descritto nei minimi particolari.

 
La bella Antonia prima monica e poi dimonia si ricorda come la seconda commedia erotica di ambientazione medievale dopo Quando le donne si chiamavano Madonne. Incassa ben 518.000.000 di lire, un introito considerevole per i tempi. Gli esterni sono girati a Gubbio.

 
Il decamerotico è un genere che muore lentamente e si ripiega su se stesso cucinando per lo spettatore minestre sempre più scipite e riscaldate. Lavori come Fiorina la vacca (1972) di Vittorio De Sisti si ricordano per la bella presenza di una giovanissima Ornella Muti e per un mix di volgarità gratuita. E si salvò solo l’Aretino Pietro… con una mano davanti e l’altra dietro (1972) di da Silvio Amadio si menziona solo per la bellezza di Franca Gonella. Sul decamerotico non c’è molto altro da dire. Edwige Fenech interpreta solo questa trilogia in attesa che si aprano le porte della ben più longeva commedia sexy.
 
Gordiano Lupi

mercoledì 18 giugno 2014

Perverse oltre le sbarre (1984)

di Willy Regant


Regia: Willy Regant (Gianni Siragusa). Soggetto e Sceneggiatura: Sergio Garrone. Fotografia: Maurizio Centini. Montaggio: Daniele Alabiso. Trucco: Giuseppe Ferranti. Musica: Francis Taylor (alias Franco Micalizzi - Produzioni New Team Music). Fotografo di Scena: Vittorio Portelli. Produzione: Mario Alabiso per Società Nazionale Produzioni Cinematografiche srl (Roma). Interni: De Paolis. Interpreti: Ajita Wilson, Rita Silva, Linda Jones, Leo Annibali, Leda Simonetti, Aperio Bella Olivia, Alex Freyberger, Helen Johansson, Lucia Rotoloni, Clorinda Pucci, Paola Tenaglia, Enrica Saltutti.


Perverse oltre le sbarre è cinema di sottogenere. Permettetemi il neologismo. Sottogenere perché abusa e sfrutta fino all’ennesima potenza i peggiori cliché - consunti e logori - del women in prison (WIP), meglio utilizzati da Brunello Rondi (Prigione di donne, 1974), Bruno Mattei (Blade violent, 1983 - Violenza in un carcere femminile, 1982) e Giovanni Brusadori (Le evase, 1978). Mattei gira anche il discreto Anime perse nel 2006, un tardo prison-movie scritto da Antonio Tentori, formalmente ben curato. 


Non sorprende che intorno al nome del regista ci sia ancora oggi una sorta di confusione e che Sergio Garrone non voglia sentirsi attribuire la pellicola neppure come sceneggiatore. Gianni Siragusa si nasconde sotto lo pseudonimo di Willy Regant e non può andare fiero di un lavoro a base di zumate, movimenti di macchina scolastici e ripetitive sequenze erotiche. La storia è incentrata su Ajita Wilson (il transessuale di colore è il solo motivo di interesse per vedere ancora la pellicola), protagonista assoluta di una vicenda confusa, a metà strada tra il noir e il carcerario. 


Ajita finisce in prigione dopo aver ucciso chi voleva rubarle dei diamanti sottratti a un malvivente, ma alla fine verrà fatta fuori anche lei da una prigioniera in combutta con un gangster che gestisce un maneggio. In mezzo a questa trama improbabile tanti rapporti lesbici, la solita direttrice sadica, torture ai limiti del bondage, rapporti etero che sembrano usciti da un porno, relazioni tra carcerate, lotte tra donne con vestiti lacerati ad arte, docce delle prigioniere e un accenno di rivolta tra le sbarre. 


Insomma tutto quel che ci possiamo aspettare da un women in prison, che contamina anche il nazi-erotico, come sempre, visto che i due generi sono simili per tematiche e situazioni estreme. Le parti erotiche sono intense, protagonista quasi sempre la giunonica Wilson, ma anche le meno note comprimarie non lesinano esibizioni ai limiti del porno. Scene di tortura a rischio censura, alcune di una crudezza estrema e di una volgarità senza limiti. La storia collaterale di malavita che si svolge al maneggio sembra un altro film montato con poca accortezza e senza alcuna attenzione alla logica. 


La sceneggiatura è fiacca, piena zeppa di buchi, punti morti, incongruenze e dotata di poca suspense. La fotografia di Centini è ottima, riproduce il degrado della prigione con i tipici colori sporchi, da cinema verità, ai limiti del documentario. Marco Giusti su Stracult mette in dubbio che la fotografia sia di Centini e parla di Vittorio Portelli (fotografo di scena), ma lo stile del collaboratore preferito di Alberto Cavallone sembra inconfondibile. Il montaggio di Alabiso è lento e dotato di poco ritmo. I dialoghi sono da fotoromanzo, la recitazione ai minimi storici, anche se gli attori (parola grossa) sono tutti doppiati. Il clima di fondo è cupo, perverso, la colonna sonora - per contrasto - dolce e suadente. 
I personaggi sono fumetti monodimensionali, sembrano usciti da un giornalaccio pulp anni Settanta. Gli autori non hanno il minimo rispetto per l’intelligenza dello spettatore. Un film che si vede soltanto per la curiosità che sprigiona un personaggio controverso come Ajita Wilson. Per il resto - a parte la fotografia di Centini - meglio stendere un velo pietoso.


Il film viene girato contemporaneamente a Detenute violente (1983) dello stesso Siragusa (nascosto dietro lo pseudonimo di Kenneth Freeman), scritto da Garrone, interpretato da identico cast. Esce in Spagna come Infierno entre rejas (Inferno tra le sbarre) e in Inghilterra come Hell Behind the Bars. Sergio Garrone: “Ho scritto soggetto e sceneggiatura, ma non ho fatto altro. Non c’erano soldi e il progetto non manteneva le promesse iniziali, per questo me ne sono andato. Hanno usato il mio nome perché il produttore aveva firmato il contratto con me. Ajita Wilson era un marinaio americano, ma dotata di un fascino eccezionale. Una donna fantastica, aveva una voce femminile. Le mani erano da uomo, nodose e dure” (fonte: Stracult). 


In ogni caso alcuni autori sostengono che Garrone sia stato aiuto regista in Detenute violente. Roberto Poppi - nel suo prezioso Dizionario dei Registi Italiani - afferma: “Gianni Siragusa è anche autore di Detenute violente e Perverse oltre le sbarre, da sempre accreditati a Sergio Garrone”. Gianni Siragusa (Messina, 1936) è un segretario di edizione - aiuto regista che si ricorda per una manciata di modesti film di genere. I prison-movie che abbiamo analizzato sono tra i migliori. Ed è tutto dire. Sergio Garrone (Roma, 1926) - fratello dell’attore Riccardo - è un regista più interessante, specializzato in western, che dirige anche horror e nazi-erotici. L’equivoco può essere sorto anche dallo pseudonimo da lui solitamente usato: Willy S. Regan.

Gordiano Lupi

sabato 14 giugno 2014

La dottoressa ci sta col colonnello (1980)

di Michele Massimo Tarantini


Regia: Michele Massimo Tarantini. Soggetto: Francesco Milizia. Sceneggiatura: Francesco Milizia, Michele Massimo Tarantini. Fotografia: Mario Vulpiani. Montaggio: Eugenio Alabiso. Scenografie: Adriana Bellone. Costumi: Antonio Randaccio. Assistente alla Regia: Maria Pia Rocco. Musiche: Franco Campanino. Durata. 87’. Genere: Commedia Sexy. Interpreti: Lino Banfi, Nadia Cassini, Malisa Longo, Alvaro Vitali, Bruno Minniti, Lucio Montanaro, Enzo Andronico, Dino Cassio, Thomas Rudy, Valentino Simeoni, Luciano Amodio.


La carriera sexy di Nadia Cassini (Gianna Lou Müller) si sviluppa negli anni che vanno dal 1970 al 1982, da Il Dio serpente di Piero Vivarelli a Giovani, belle… probabilmente ricche di Michele Massimo Tarantini, pure troppo, viste le modeste qualità recitative della bella statunitense. Le pellicole che la vedono protagonista sono quasi tutte incentrate sull’analisi particolareggiata delle sue bellezze posteriori.


La dottoressa ci sta col colonnello (1980) di Michele Massimo Tarantini è un film che si ricorda per la parola coglionello che la dottoressa pronuncia, sbagliando, al posto del regolare colonnello. Narra la leggenda che la gag nacque spontanea da un errore di recitazione della Cassini e alla fine divenne la battuta cult del film. Tarantini scrive e sceneggia la pellicola insieme al ferroviere part-time Francesco Milizia e si avvale di un bel cast composto da Lino Banfi, Alvaro Vitali, Nadia Cassini, Malisa Longo, Enzo Andronico e diversi caratteristi. Si tratta dell’ultimo titolo di una serie di dottoresse che vede Edwige Fenech dettare il passo, seguita da Karin Schubert (La dottoressa sotto il lenzuolo, 1976) e Sabrina Siani (La dottoressa preferisce i marinai, 1981). 


La storia di Milizia punta sulla libertà concessa a Nadia Cassini di mettere in mostra il sedere per tutta la durata del film davanti agli sguardi estasiati di soldati e spettatori. Nadia Cassini è la professoressa Eva Russell, innamorata cotta di Lino Banfi (colonnello Anacleto Punzone) che chiama affettuosamente coglionello. Banfi è sposato con Malisa Longo, soffre problemi di erezione ma soprattutto è complessato per le ridotte dimensione del pene. Il colonnello deciderà di farsi trapiantare il gigantesco membro di Alvaro Vitali, ma l’operazione andrà male e finirà per cantare tra le voci bianche. Vitali avrà in dote moglie e dottoressa.
Il film diverte ancora oggi, viene passato spesso sulle reti Rai e Mediaset, persino da Iris in orari pomeridiani, chiara dimostrazione del cambiamento dei tempi. 


Michele Massimo Tarantini si conferma grande autore della commedia sexy, costruisce situazioni assurde e le rende credibili, sfruttando la vis comica di un Lino Banfi al massimo della forma. La pellicola si regge sui duetti esilaranti tra il colonnello Banfi e l’attendente Vitali che riceve in continuazione sonori scapaccioni e improperi coloriti. Lino Banfi e Alvaro Vitali mettono in scena una comicità da cabaret ispirata a Stan Laurel e Oliver Hardy per certe situazioni ripetitive riprese dalle vecchie comiche e dal cinema muto. Basti citare la sequenza della torta in faccia a Banfi dopo un rutto enorme di Vitali con il primo che risponde sputandogli una fragola in un occhio. 


Lino Banfi recita nel solito dialetto pugliese espressioni come: che bel confetto a mandolino che c’ha! (rivolto alla Cassini), sei il paziente? e allora abbi pazienza e fai il paziente con pazienza (che ricorda Totò), io resisto, ho fatto la resistenza, ho sempre fatto il coglionello, io sono un coglionello (rivolto ancora alla Cassini), a fra poco o come dicono i francesi a frappé, niente mele (per dire niente male, equivocando sulla frutta) e via di questo passo. 


Banfi è protagonista anche di una parte onirica durante la quale sogna una Cassini velata di plastica e con il sedere evidenziato da un completo intimo rosso. Il comico pugliese realizza l’immedesimazione del pubblico con il personaggio durante la classica scena della doccia. Vediamo il sedere della Cassini con la soggettiva di Banfi che guarda dal buco della chiave fino a quando un accappatoio calato ad arte non chiude la scena. Tarantini non rinuncia ai cliché della commedia sexy e una doccia con relativa spiata dalla serratura non può mancare. 


Banfi concretizza l’immedesimazione con lo spettatore costruendo la macchietta del maschio ipnotizzato dal sedere della Cassini. Non c’è una sola scena durante la quale non abbia gli occhi puntati sul suo delizioso posteriore. Nadia Cassini fa bella mostra di sé con la tipica andatura ancheggiante, vestita di rosa confetto, velata di sola plastica, fotografata in biancheria intima rossa, nuda sotto la doccia, danzando in perizoma nero, vestita rosso fuoco con vistosi spacchi, spesso a novanta gradi e con il sedere in primo piano, con le gambe in mostra e infine cantando una pessima canzone (Bang your door). Malisa Longo è la moglie di Banfi, diventa l’amante di Vitali quando ne scopre le virtù nascoste, resta delusa dopo l’operazione, ma è la Cassini che consiglia il rimedio con una cura al cortisone che fa crescere i peli. Vitali diventa una sorta di scimmione, al punto che Banfi lo presenta come nipote e quando gli chiedono: Da parte di chi? risponde Da parte di King Kong! 


La partecipazione sexy della Longo si limita a una rapida visione del seno durante un rapporto sessuale, non è più giovanissima, sono lontani i tempi del decamerotico, ma è sempre un’ottima attrice e resta una bella presenza scenica. Lucio Montanaro è un caratterista divertente nei panni di una suora muscolosa che pratica l’anestesia a colpi di karate. Valentino Simeoni è un’altra suora mascolina del distretto militare. Dino Cassio è un sergente che grida a tutto spiano, si vede poco, ma risulta efficace. Bruno Minniti è il bel tenente Lancetti, inespressivo, tipico attore da fotoromanzo, che ci prova con la Cassini, ma lei preferisce Banfi. Enzo Andronico è il generale Mangiafuoco in una rapida ma riuscita caratterizzazione. 


Michele Massimo Tarantini è un regista esperto di commedia sexy, dedica grande attenzione ai particolari e ai personaggi di contorno. Le sue pellicole non sono mai tirate via, possiedono ritmo e verve, seguono le regole della pochade, spesso risultano surreali e persino fumettistiche, ma non invecchiano con il passare degli anni. La dottoressa ci sta col colonnello è un film che si guarda con piacere, ricco di comicità genuina che ricorda il cinema muto e i cartoni animati (slapstick), ideale per far passare una serata in allegria. Alcune scene della pellicola sono girate tra Pisa (lungarni) e Livorno (Hotel Palazzo), ma la parte principale è girata a Santa Cesarea Terme.


giovedì 12 giugno 2014

La professoressa di scienze naturali (1976)

di Michele Massimo Tarantini 


Regia: Michele Massimo Tarantini. Soggetto: Francesco Milizia. Sceneggiatura: Franco Mercuri, Francesco Milizia, Marino Onorati, Michele Massimo Tarantini. Fotografia: Angelo Filippini. Montaggio: Daniele Alabiso. Musiche: Alessandro Alessandroni. Scenografia: Francesco Calabrese. Costumi: Roberta Menichelli. Casa di Produzione: Dania Film.  Distribuzione: Medusa. Durata. 90’. Genere: Commedia Sexy. Interpreti: Lilli Carati (doppiata da Vittoria Febbi), Michele Gammino, Alvaro Vitali (doppiato da Vittorio Stagni), Giacomo Rizzo, Ria De Simone, Gianfranco Barra, Marco Gelardini (doppiato da Roberto Chevalier), Gastone Pescucci, Gianfranco D’Angelo, Mario Carotenuto, Gino Pagnani, Adriana Facchetti, Serena Bennato, Angela Doria.


La professoressa di scienze naturali è il classico film che poteva vedere protagonista Edwige Fenech, ma il regista opta per lanciare una Gloria Guida mora come Lilli Carati, che nota nel precedente Di che segno sei? (1975) di Bruno Corbucci. L’attrice varesina è una bella e provocante insegnante di scienze naturali, nominata supplente in un liceo siciliano al posto di una brutta e perfida docente (Facchetti) rimasta infortunata.
 
 
Soggetto del geniale ferroviere cineasta Francesco Milizia, una colonna della commedia sexy, mentre il regista, Marino Onorati e Franco Mercuri collaborano alla sceneggiatura. Tarantini è bravo a realizzare una pochade scolastica stile La liceale (1976), ma questa volta il mondo degli studenti è visto dall’insolita prospettiva di una giovane professoressa, corteggiata da colleghi e ragazzini. Per il regista è la prima esperienza con un’insegnante, dopo aver realizzato pellicole comico - erotiche con protagoniste poliziotte e studentesse. In un film come questo non possono mancare le presenze simbolo di Alvaro Vitali (purtroppo doppiato), Gianfranco D’Angelo (uno strampalato farmacista innamorato di Ria De Simone), Giacomo Rizzo (professore imbranato), Gastone Pescucci, Gianfranco Barra (preside inflessibile) e Mario Carotenuto (prete singolare). Manca solo Lino Banfi per essere al completo.


Troviamo anche Michele Gammino nei panni del dottor Fifì che fa la corte a Lilli Carati e la contende al giovane studente Marco Gelardini (doppiato e poco espressivo). Lilli Carati è alla prima esperienza nella commedia sexy e si fa notare nelle immancabili scene a base di studenti guardoni che provano con ogni mezzo a vederla nuda. La bella insegnante prende in affitto una stanza a casa del padre di Gelardini e lui tenta di spiarla: fori nella parete, tubi calati dalla finestra come se fossero periscopi (Larraz prenderà spunto da questa sequenza per costruire il suo Malizia erotica (1979), titolo spagnolo El periscopio) e inevitabili docce nel bagno rubate dal buco della serratura. Ricordiamo una notevole parte erotica subacquea che vede protagonista la stupenda Lilli. Ria De Simone è un’altra presenza conturbante, nei panni di una moglie insoddisfatta che vorrebbe tradire il marito.


Lilli Carati si propone come nuova presenza sexy nel panorama del cinema di genere italiano, avrà modo di arrivare alla commedia di serie A con Il corpo della ragassa (1979) di Pasquale Festa Campanile, passando per un intenso dramma erotico come Avere vent’anni (1978) di Fernando di Leo. In questa commedia scolastica, l’erotismo si fonde bene con la comicità che si affida alle gag di un Vitali studente e di un D’Angelo in gran forma, ma pure a scene esilaranti come la partita di calcio tra ragazzi e ragazze, con il comico nel ruolo di un arbitro piuttosto maltrattato.



Molta comicità slapstick, da cartone animato (Rizzo schiacciato dietro una porta cade a terra come se fosse una sfoglia di cartone), parti grottesche (D’Angelo preso a botte da un frate che lo scambia per un pedofilo), sequenze surreali (D’Angelo tenta di far l’amore con Ria De Simone, cita medicinali a doppio senso erotico, spara supposte come proiettili) e un pizzico di barzelletta movie (“Sai perché quella ragazza non porta le mutande? Ha la forfora sulle scarpe”). La sequenza finale con Lilli Carati che si sposa con Gammino mentre tutti le palpano il sedere e fanno il gesto delle corna è la giusta consacrazione di una pochade ben riuscita. 


Mereghetti non ama il film, ma concede una stella e mezza: “Tentativo poco riuscito di mescolare comicità ed erotismo: la prima si riduce a qualche gag risaputa (specie nella partita a calcio tra ragazzi e ragazze), il secondo è affidato alle grazie di una Carati pre-hard (che si esibisce in un insolito amplesso subacqueo)”. Giusti su Stracult apprezza senza riserve: “Notevolissima prima commediaccia scorreggiona con Lilli Carati e unica regia di un professoressa - movie per Tarantini”.


A nostro parere una commedia ben girata, ma non in Sicilia dove per finzione è ambientata la storia, bensì alla Elios per gli interni, a Roma per la villa che funge da clinica, in un paesino della provincia di Frosinone per alcuni esterni e in parte a Ischia. Secondo il bene informato Davinotti on line, il liceo frequentato dai ragazzi si trova in Piazza Santa Maria ad Arpino (FR) e così la parrocchia diretta da Mario Carotenuto. Non vi aspettate un capolavoro, ma in ogni caso si ride molto, tra pubblicità indiretta e tanti nudi integrali delle belle protagoniste. Ria De Simone è formosa e naturale, Lilli Carati sfoggia alcuni nudi frontali e posteriori del tutto senza veli. Una prova generale per Il corpo della ragassa, dove verrà esibita come moglie dalla bellezza impossibile. Da riscoprire.

sabato 7 giugno 2014

L’infermiera di notte (1979)

di Mariano Laurenti


Regia: Mariano Laurenti. Soggetto e Sceneggiatura. Francesco Miliazia, Mariano Laurenti. Fotografia: Mario Vulpiani. Montaggio: Alberto Moriani. Musiche. Gianni Ferrio. Scenografia: Elio Micheli. Costumi: Silvio Laurenzi. Trucco: Silvana Petri.  Assistente Direttore Artistico: Pietro Innocenzi. Produzione: Luciano Martino per Dania Film. Direttore di Produzione: Paolo Innocenzi. Distribuzione: Medusa. Durata: 95’. Genere: Commedia Sexy. Interni: Safa Palatino (Roma). Esterni: Puglia (Martinafranca, Taranto, Polignano a Mare, Ceglie Massapica). Interpreti: Lino Banfi, Gloria Guida (doppiata da Serena Verdirosi), Alvaro Vitali, Francesca Romana Coluzzi, Leo Colonna, Mario Carotenuto, Paola Senatore, Anna Maria Clementi, Lucio Montanaro, Ermelinda De Felice, Vittoria de Silverio, Jimmy il Fenomeno (Luigi Origine Soffiano), Giorgio Soffritti, Nicola Walper, Vittorio Daverio, Valentino Simeoni, Nico Maretti, Francesco Narducci.


L’infermiera di notte di Mariano Laurenti - che vorrà la Guida come interprete di due pellicole sequel de La liceale - riporta l’attrice al personaggio della bella ragazza provocante, ingenua e maliziosa. L’infermiera di notte è scritto e sceneggiato dallo stesso Laurenti con la collaborazione di Francesco Milizia, il ferroviere in prestito al cinema, mentre le ottime musiche sono composte da Gianni Ferrio.


Il capostipite di questa tipologia di film erotico-infermieristici è senza dubbio L’infermiera (1975) di Nello Rossati, interpretato da un’intrigante e supersexy Ursula Andress. Una pellicola cult che tenta di criticare la famiglia italiana piccolo borghese e non si limita a mostrare provocanti strip della bella protagonista e diversi momenti erotici al capezzale del malato. La regia di Rossati non è memorabile, punta su molte sequenze sexy ispirate a Malizia, contando su un cast notevole che comprende Mario Pisu, Duilio Del Prete, Lino Toffolo, Daniele Vargas e Jack Palance. Da questa pellicola sbocciano numerosi tentativi di imitazione che compongono il sottogenere erotico-infermieristico, con il leitmotiv di un malato da accudire e una sexy infermiera che lo seduce. 


Ricordiamo qualche titolo. L’infermiera di mio padre (1975) di Mario Bianchi ricalca il film di Rossati con la variante di Daniela Giordano al posto della Andress. La clinica dell’amore (1976) di Renato Cadueri con Ria De Simone è più porno che erotico. L’infermiera nella corsia dei militari (1979), sempre di Mariano Laurenti, che mette in primo piano il mitico fondoschiena di Nadia Cassini. L’infermiera di campagna di Mario Bianchi con Laura Gemser, forse il peggiore della serie. 


L’infermiera (1975) di Nello Rossati merita qualche parola in più, visto che Ursula Andress è la stupenda capostipite di un ruolo inflazionato. Dopo di lei il diluvio di Nadie Cassini nelle corsie dei militari, infermiere di mio padre, infermiere nere e chi più ne ha più ne metta. La Andress ha un fisico perfetto, statuario, magari i tratti del volto non sono dolci come quelli di Gloria Guida, ma nel ruolo dà il meglio di sé. La trama si racconta in poche battute. Un’intera famiglia assolda la bella Andress per fare da infermiera allo zio malato di cuore. Il suo compito è quello di eccitarlo, andare a letto con lui e accelerarne la morte, per far ereditare l’azienda vinicola ai parenti superstiti. L’infermiera smaschera il complotto con l’aiuto del nipote e alla fine sposa lo zio, che dopo la prima notte di nozze muore tra le sue braccia. L’azienda vinicola viene ereditata proprio dalla bella infermiera. L’infermiera è una commedia divertente, la Andress sprizza sensualità da tutti i pori, la sua bellezza buca lo schermo. Ricordiamo alcune sequenze sexy a base di spogliarelli e diverse scene ad alta gradazione erotica sotto le lenzuola.


Mariano Laurenti imita la mise di Ursula Andress per vestire di bianco Gloria Guida, completa di giarrettiere, biancheria intima e calze velate. Possiamo dire che la Andress è un’ottima insegnante per il ruolo di infermiera ma pure la Guida se la cava bene, da diligente studentessa. L’infermiera di notte si doveva chiamare La ragazza della discoteca, ma il titolo in lavorazione fu modificato per accentuare le assonanze con la pellicola interpretata da Ursula Andress. La trama ruota attorno al dottor Nicola Pischella (Lino Banfi), dentista di successo che ha una moglie (Francesca Romana Coluzzi nella parte di Lucia) e un’amante (Paola Senatore), ma che s’invaghisce pure della bella infermiera (Gloria Guida nella parte di Angela Della Torre). Il dottor Pischella assume l’infermiera per accudire lo zio della moglie (Mario Carotenuto) che va a vivere in casa sua. Lo scopo del dottor Pischella è quello di ereditare le presunte fortune dello zio che sembra vicino a morire, ma tenta pure qualche approccio con la ragazza. 


Prende il via una gustosa commedia degli equivoci con Lino Banfi sempre scoperto sul più bello dalla moglie e frustrato nei maldestri tentativi di seduzione. A far innamorare Angela è il figlio Carlo (Leo Colonna) dopo un incontro casuale in discoteca durante una serata di libertà. Il presunto zio è un truffatore che intende recuperare un diamante nascosto nel lampadario della sala e ogni notte cerca di portare a compimento il maldestro piano. Il vero zio è morto in carcere e prima di morire ha confessato al compagno di cella di aver nascosto il diamante nel lampadario. Dopo una serie di situazioni divertenti si giunge alla scoperta dell’impostore, mentre il diamante viene recuperato da Angela e da Carlo che possono coronare la loro storia d’amore. 


Un buon film, originale quanto basta rispetto al capostipite del sottogenere, che si avvale di ottimi caratteristi della commedia sexy. Mario Carotenuto è straordinario nella parte del vecchio zio, il vero protagonista con le battute in romanesco e i commenti salaci di fronte alle forme seducenti della bella infermiera. Lino Banfi è in gran forma e i suoi tempi comici sono essenziali in una simile commedia sexy. Molte le battute storiche: “San Peppino di Canosa, come sei carnosa!”, “Facciamo il kamasutrolo”, “Questa poltrona l’ho comprata a Honkongoli” e via di questo passo. Francesca Romana Coluzzi è una perfetta moglie rompiscatole, giunonica, manesca, gelosa, in certi casi persino sexy. Alvaro Vitali (nella parte dell’assistente Peppino) è un formidabile caratterista che mette in campo comicità fisica, smorfie e battute che strappano grasse risate. Notevoli le scene in cui prende il posto del finto zio e in seguito persino della bella infermiera, permettendo al primo di uscire per andare dai complici e alla seconda di vedere Carlo in discoteca. 


Equivoci a non finire con punture prese al posto del malato e tentativi di approccio andati a vuoto da parte del dentista. Ricordiamo Linda De Felice (la cameriera incontinente) e la maschera comica di Jimmy il Fenomeno (il postino). Paola Senatore e Anna Maria Clementi sono due belle presenze femminili che contendono il campo alla giovane infermiera. Anna Maria Clementi è la moglie insoddisfatta di un pugile suonato che fa la posta al figlio del dentista ogni volta che scende le scale. Non riesce mai nell’intento di portarselo a letto, nonostante sfoderi tutte le sue grazie, anche perché sul più bello arriva sempre il marito. Paola Senatore è l’amante del dottore e compare spesso nuda sulla poltrona ribaltabile dello studio dentistico. La Clementi e la Senatore suppliscono a una Gloria Guida che in questo film compare senza veli solo per due brevi momenti. 


La bionda protagonista va ricordata per la sequenza cult del film, quando si avvicina alla finestra, sfila il camice e mostra il seno. Merito del dentista che per vederla nuda mette una stufa nella stanza e provoca un aumento di calore che fa spogliare anche la moglie. L’infermiera resta in slip bianchi e utilizza il camice come ventaglio, mentre un esterrefatto Lino Banfi schiaccia il viso sul vetro della finestra per vedere meglio. Gloria Guida torna alla sua prima passione artistica, canta La musica è di Calabrese - Ferrio in una delle scene girate in discoteca, che rallentano il film e distolgono l’attenzione dalla trama. La Guida indossa un sensuale completo rosso e balla insieme al compagno sullo stile de La febbre del sabato sera che John Travolta aveva da poco portato al successo. Nel finale abbiamo un’altra breve sequenza sexy con Angela che si lascia accarezzare il seno da Carlo e si distende sul letto del finto malato che si trova in sala per cercare il diamante. Purtroppo la sua ennesima caduta interrompe la scena.


L’infermiera di notte è girato quasi completamente in Puglia, come molte commedie sexy con protagonista Lino Banfi. Molte location sono molto riconoscibili, soprattutto Polignano a Mare,  il centro storico, ma anche il suggestivo lungomare e l’hotel ristorante Grotta Palazzese, dove Gloria Guida e Lino Banfi pranzano insieme. Altre scene sono girate a Ceglie Massapica, nella discoteca “Io Valentino”, dove Gloria Guida balla con Leo Colonna alla moda di John Travolta e canta La musica è, mentre il d.j. Lucio Montanaro annuncia la vittoria dei due ballerini. Citiamo tra le location pugliesi che ospitano la troupe anche Taranto (lungomare, porto, Park Hotel) e Martinafranca (piazza XX Settembre, via Verdi e Ospedale civile). Alcuni interni, invece sono girati negli stabilimenti Safa Palatino di Roma.


Inutile dire che a Mereghetti il film non è piaciuto per niente. Una stella basta e avanza. “Una delle innumerevoli sboccate varianti trovate per  soddisfare voyeurismo, pruriti e voglia di liberazione sessuale di quegli anni”. Per Marco Giusti è “una grandissima commediaccia dei tempo d’oro con una Gloria Guida al massimo splendore”. A nostro parere L’infermiera di notte è un’ottima commedia sexy, divertente, piacevole, con molto ritmo e grandi tempi comici. Gli attori sono ben calati nella finzione filmica, oltre a essere molto esperti di simili copioni. La Guida ha il fascino malizioso dei suoi ventitré anni ed è ripresa con mestiere da un bravo Laurenti che ne esalta la giovanile bellezza. La commedia sexy rappresenta il desiderio di liberazione sessuale di quei tempi e fotografa la società italiana in un determinato momento storico. Con buona pace dei puristi del cinema e dei bacchettoni benpensanti. Tra l’altro L’infermiera di notte è stato esportato anche in Francia, Germania Ovest, Spagna, Portogallo e Argentina, dove ha riscosso un discreto successo.


Il mio commento su Rete 4 a L'infermiera di notte

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi