domenica 27 dicembre 2015

Libertà parla del mio libro


Da LIBERTA' (Piacenza) del 27 dicembre 2015 - il mio libro in Cultura - Massimo Borghi


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martedì 22 dicembre 2015

Casta e pura (1981)

di Salvatore Samperi 


Regia: Salvatore Samperi. Soggetto: Bruno Di Geronimo, Ottavio Jemma. Sceneggiatura: Bruno Di Geronimo, Ottavio Jemma, J. L. Martinez Molla. Fotografia: Alberto Spagnoli. Colore: Telecolor. Montaggio: Sergio Montanari. Scenografia: Ezio Altieri. Costumi: Cristiana Lafayette. Organizzatore Generale e Direttore di Produzione: Piero Innocenzi. Direttore di Produzione: José Salcedo. Realizzazione: Maurizio e Sandro Amati. Musiche: Alfonso Santisteban. Edizioni Musicali: Cam (Roma). Canzone Titoli di Coda: Rosa e l'amore (A. Santisteban - G. Williams) cantata da Massimo Ranieri. Aiuto Regista: Giorgio Basile, Rudy Eleroy. Operatore alla Macchina: Roberto Brega. Trucco Laura Antonelli: Gilberto Provenghi. Negativi: Kodak Eastmancolor. Sviluppo e Stampa: Telecolor (Roma). Titoli e Truke: Studio 4. Sincronizzazione: CDS. Mixage: Danilo Moroni. Interni: Elios R.P.A. (Roma). Case di Produzione: International Apollo Films (Roma), Les Films Princesse (Paris), José Frade P. C. (Madrid). Interpreti: Laura Antonelli, Fernando Rey, Christian De Sica, Massimo Ranieri, Enzo Cannavale, Gabrielle Lazure, Jean Marc Bory, Vincenzo Crocitti, Valeria Fabrizi, Elsa Vazzoler, Riccardo Billi, Diego Cappuccio, Adriana Giuffré, Sergio Di Pinto, Graziella Polosinanti, Martino Satriano, Luis Ciges, Tony Scarf, Bruno Rosa, Carmen Bernardos, Luciana Frazzetto, Mirella Farina, Jacques Stany, Edoardo Mac Gregor, Antonio Orengo, David Montero, Cristina Torres.


Salvatore Samperi incontra di nuovo Laura Antonelli, sette anni dopo Peccato veniale, per tentare di replicare il successo di Malizia con una commedia erotica che ricorda molte tematiche del film capostipite di tutti gli scandali in famiglia e di un sottogenere sexy. Produzione ricca (francese, spagnola e italiana), ottima ricostruzione di ambienti, scenografia suggestiva e un buon cast, ma il prodotto non raggiunge i livelli del passato, per colpa di una sceneggiatura abbastanza irrisolta. Commedia di ambientazione borghese, per l'occasione veneta e non sicula, scritta da Di Geronimo e Jemma (Martinez Molla firma l'edizione spagnola) per criticare i vizi privati e le pubbliche virtù dei proprietari terrieri, l'egoismo dei possidenti, l'attaccamento alla roba di pirandelliana memoria. Vediamo in sintesi la trama. Il film si apre con un prologo. Antonio (Rey) teme di restare senza proprietà alla morte della moglie, perché il suocero ha nominato unica erede la figlia Rosa, quindi pretende un voto di castità che la bambina s'impegna a mantenere davanti al capezzale della madre. Non si potrà sposare fino alla morte del padre e dovrà accudirlo come una moglie casta e pura. Salto temporale di vent'anni. Rosa è una donna, timorata d Dio, che rispetta il voto di castità, pensa al padre e lavora come una serva in casa propria, accudendo persino uno sciocco fratello (Bory) e la sua donna. Rosa confessa al parroco (Cannavale) i suoi sogni e i turbamenti, più intensi quando conosce il cugino Fernando (Ranieri) e comincia provare passione per lui. Vorrebbe farsi suora e dare le sue proprietà in beneficienza, ma il perfido padre decide di impedirglielo organizzando una festa di iniziazione sessuale ai suoi danni, facendola deflorare sia dal cugino che dagli amici. La turpe macchinazione - di fatto una violenza carnale di gruppo, perpetrata in famiglia - si ritorce contro il padre, perché Rosa apre gli occhi, si vendica degli aguzzini e decide di andarsene lasciando alle spalle una famiglia che non la merita e la tratta come una serva. Il film termina sulle note di una sin troppo romantica Rosa e l'amore, intonata dalla voce suadente di Massimo Ranieri, mentre i titoli di coda scorrono sul conturbante primo piano di Laura Antonelli che guida la sua auto diretta verso un incerto domani, che comunque sarà il suo futuro.


Samperi mette in scena una commedia erotica dai contorni neri, ricca di personaggi negativi, tra i quali primeggia il padre (Rey), ma non sono da meno il cugino Fernando (Ranieri), il figlio del notaio (De Sica) e una congrega di amici e parenti interessata soltanto a sesso e denaro. Billi è un vecchio rincoglionito, De Pinto il figlio adottivo amante di una matrigna (Fabrizi) piuttosto porca, Crocitti un sessuomane incallito che vive pagando prestazioni sessuali. Unico personaggio positivo il parroco, interpretato da Enzo Cannavale, figura dai notevoli contorni umani, il solo comprensivo nei confronti di Rosa. Gli attori sono molto bravi, a parte gli scadenti francesi Gabrielle Lazure e Jean Marc Bory (presenti per motivi di coproduzione), soprattutto Rey e Ranieri, veri mattatori nei rispettivi ruoli da perfidi antagonisti. Laura Antonelli è una perfetta vittima sacrificale, ingenua e sopraffatta dai suo aguzzini (padre e cugino in testa) per buona parte del film, quindi ribelle e vendicativa, decisa a cambiare vita una volta comprese le macchinazioni ai suoi danni. Il suo personaggio ricorda molto la Angela di Malizia, sia nel versante erotico - questa volta più spinto - che nel cambiamento caratteriale. Molta malizia e sensualità, tanti nudi, strip provocanti, foto rubate in un gioco del si vede non si vede portato alle estreme conseguenze.


Molta parte della critica oggi ritiene Samperi un regista sopravvalutato, in parte condividiamo, perché la sua tematica è monocorde e non si distacca dall'erotismo, ma dobbiamo ammettere che l'autore padovano riesce a realizzare un cinema che fa della tensione erotica una vera e propria cifra stilistica. Laura Antonelli è al massimo del successo, ancora una volta si guadagna il primo posto nei titoli di testa, prima del regista, di Fernando Rey (attore di Bunuel) e di Massimo Ranieri. Il pubblica affolla le sale soltanto per vederla nuda non appena le riviste specializzate cominciano a favoleggiare sul ruolo più erotico e intenso del solito. Ricordiamo anche Valeria Fabrizi alle prese con alcune sequenze spinte, soprattutto con gli slip trasparenti tra le mani di De Pinto che esplora il lato posteriore. De Sica è molto giovane, il ruolo da imbranato rispecchia quel che gli veniva chiesto in quel periodo storico, mentre Billi è alle prese con una delle ultime apparizioni (morirà un anno dopo), anche se lo vedremo ancora in un Pierino (come padre di Vitali) e in W la foca!.


Commedia grottesca (sin troppo), con eccessi caricaturali dei personaggi, al punto che spesso ricorda una farsa sguaiata scritta da Milizia e girata da Tarantini. Molte (troppe) sequenze erotico - comiche sono eccessive, basti pensare al parapiglia in chiesa durante il matrimonio e la festa successiva, ma anche ai frequenti rapporti tra il fratello e la futura moglie e ai personaggi sessuomani che frequentano la casa padronale. La parte del rito pagano con successiva deflorazione di Rosa è a rischio censura per quanto risulta esplicita e costa al film il divieto ai minori di anni 18. Molto buone le parti oniriche e tutto quel che giustifica le pulsioni sessuali di Rosa, ottima l'ambientazione campestre, curate le scenografie d'epoca, colonna sonora suadente, a base di musica popolare, ricca di sonorità ispaniche e tradizionali, che diventa intensa in fase di rapporti erotici. Molte le citazioni da Malizia, soprattutto il tono e l'ambientazione, oltre a un diffuso erotismo malsano. Samperi tenta maldestramente di rifare se stesso, anche se resta notevole la tensione erotica, che di fatto salva il film, assieme a una comicità sguaiata e da commedia sexy che può convincere gli appassionati del genere ad avvicinarsi al film.

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lunedì 21 dicembre 2015

Ma tu di che segno 6?

di Neri Parenti (2014) 

 



Regia: Neri Parenti. Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Vanzina, Enrico Vanzina, Neri Parenti. Fotografia: Gino Sgreva. Montaggio: Luca Montanari. Costumi: Alfonsina Lettieri. Produzione: Maria Grazia Cucinotta, Giovanna Emidi, Silvia Natili. Case di Produzione: Italian Dream Factory, International Video 80. Distribuzione: Keyfilms. Interpreti: Massimo Boldi, Gigi Proietti, Vincenzo Salemme, Ricky Memphis, Denise Tantucci, Vanessa Hessler, Amedeo Grieco, Pio D'Antoni, Angelo Pintus, Mariana Rodriguez, Rodolfo Laganà, Gianni Franco, Luis Molteni, Cecilia D'Amico, Valeria Graci, Pierluigi Misasi, Andrea Buscemi, Paolo Fox.
 
 
 


Ma tu di che segno 6? è un cinepanettone 2014 che imperversa sul circuito Sky per allietare (si fa per dire) il Natale televisivo degli italiani. Molti talenti sprecati per un film inutile e del tutto privo di idee, anche se la sceneggiatura porta la firma dei fratelli Vanzina e del regista Parenti. Un terzetto specialista in commedia all'italiana che questa volta non centra l'obiettivo ma imbastisce la fiera del luogo comune, del prevedibile e del già visto sul tema degli oroscopi. Cinque storie senza punti di contatto, vecchia regola vanziniana del film a episodi mascherato: Boldi è un imprenditore ipocondriaco, Salemme un maggiore dei carabinieri geloso patologico della figlia, Memphis un commesso perseguitato dalle donne ariete, Proietti un avvocato smemorato e i terribili Pio e Amedeo conquistatori mancati di una venezuelana. Vanessa Hessler è una bella presenza vanziniana, nel senso che proviene da vecchie idee dei loro film anni Ottanta, ma nel 2014 non basta inserire una bellona inespressiva per portare la gente al cinema. Interpreta la conquista mancata di Ricky Memphis, che si deve accontentare di una notte d'amore con una brutta collega, figlia del principale, futura moglie in un matrimonio riparatore dal sapore d'altri tempi. Tutto molto brutto, ai limiti dell'irritante, soprattutto la fastidiosa pubblicità Euronics, davvero invasiva, ma efficace in periodo natalizio. Persino Proietti e Salemme - attori straordinari - risultano sprecati e impacciati in due gag scontate, ripetitive e fondamentalmente insipide. Spalla di Salemme è un inguardabile Pintus, idoneo solo a Zelig come imitatore televisivo. Boldi è alla frutta, la storia dell'imprenditore ipocondriaco che picchia il cardinale e finisce in galera è così sciocca da risultare fastidiosa. La comicità pugliese di Pio e Amedeo è fuori dalle nostre corde, forse troppo giovanilistica per interessarci, ma chi delude sono soprattutto i Vanzina, mai così a corto d'idee, per il soggetto di un cinepanettone che non viene premiato (fortunatamente) neppure dal pubblico. Evitatelo, se potete.
 
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giovedì 17 dicembre 2015

Il turno (1981)

di Tonino Cervi

 
Regia: Tonino Cervi. Soggetto: Luigi Pirandello (liberamente ispirato al romanzo Il turno, 1902). Sceneggiatura: Nicola Badalucco, Tonino Cervi, Gianni Manganelli. Fotografia: Enrico Guarnieri (Technicolor). Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Vince Tempera. Edizioni Musicali: April Music srl. Architetto Scenografo: Giancarlo Bartolini Salimbeni. Costumi: Lucia Mirisola. Costumista: Enrico Luzzi. Coreografia: Umberto Pergola. Aiuto Regista: Serena Canevari. Operatore alla Macchina: Renato Ranieri. Fonico: Roy Rocco Mangani. Trucco Laura Antonelli: Gilberto Provenghi. Fotografo di Scena: Enrico Appetito. Sonorizzazione: Cinefonico Palatino. Mixage: Alberto Doni. Effetti Sonori: Roberto Arcangeli. Teatri di Posa: Cinestudi Dear (Roma). Pellicola: Kodak. Titoli e Truke: Studio 4. Organizzatore Generale/ Direttore di Produzione: Michele Marsala. Produttore: Piero La Mantia. Casa di Produzione: Mars Film Produzione spa. Canzoni: Il turno (Casadei - Tempera), canta Raoul Casadei; Marmellata albicoque e Sirena nera (Albertelli - Tempera), canta Bruno D'Andrea; Papaveri e papere (Panzeri - Rastelli - Mascheroni), canta Fabio Concato. Interpreti: Laura Antonelli, Paolo Villaggio, Vittorio Gassman, Bernard Blier, Gianni Cavina, Turi Ferro, Milena Vukotic, Giuliana Calandra, Luigi Lodoli, Giovanna Mainardi, Tiberio Murgia, Colette Shammah, Victoria Zinny, Lila Kedrova, Antonella Antinori, Arfenone Belsana, Umberto Amambrini, Tonino Aschi, Franco Beltrame, Salvatore Billa, Salvatore Campochiaro, Emma De Luca, Bernardino Emanuelli, Giovanni Febbraro, Gabrio Gabrani, Gregorio Gandolfo, Donilde Humphreys, Margherita Horowitz, valerio Isidori, Marco Loddo, Antonio Maimone, Renato Malavasi, Cesare Nizzica, Ferdinando Paone, Anna Maria Pescatori, Maurizio Russo, Francesco Torrisi, Alessandra Vazzoler.
 
 
La trama de Il turno deriva da un romanzo poco noto di Luigi Pirandello, scritto nel 1902, dopo L'esclusa e prima de Il fu Mattia Pascal, liberamente ispirato soltanto nei toni e nel finale, perché la storia è rispattata nei minimi particolari dagli sceneggiatori Cervi, Badalucco e Manganelli. Don Ravì (Blier) vuol far sposare la giovane e bella figlia Stellina (Antonelli) al vecchio e ricchissimo Don Diego Alcozer (Ferro), quattro volte vedovo, ormai inattivo da un punto di vista sessuale. La figlia spera che il vecchio muoia presto, lasciandola ricca e in grado di sposare lo sciocco barone spiantato Pepè Alletto (Villaggio), che ama con tutta se stessa. Don Diego non muore neppure dopo un brutto infortunio, ma è il cognato avvocato Ciro Coppa (Gassman) a trovare il rimedio dell'annullamento davanti alla Sacra Rota per vizio del consenso. Il turno di Pepè non arriva ancora perché Stellina sposa l'avvocato, che muore durante la prima notte di nozze, lasciando libero il campo. Ultimo ostacolo alle nozze è un mafioso (Cavina), di cui Pepè - in un inatteso moto di coraggio - riesce a liberarsi. Poche davvero le diifferenze con il romanzo: Don Diego si ammala di polmonite e non subisce un infortunio giocando a Mosca Cieca; l'avvocato muore durante una lite in tribunale con il procuratore del re e non d'infarto la prima notte di nozze; la figura del mafioso - interpretato da Cavina - è una mera aggiunta di sceneggiatura.
 
 
Il tono del film, invece, è ben diverso dalla classica commedia teatrale pirandelliana: siamo dalle parti della farsa, ai limiti del trash, tra la commedia sexy e quel che resta della commedia all'italiana. Il film è lungo, il montaggio poco serrato, la sceneggiatura risente di punti morti ed è di una prevedibilità sconcertante, ma gli interpreti sono eccellenti. Gassman è perfetto nel ruolo da sbruffone arrogante che si approfitta di un ingenuo Villaggio, a suo agio come succube imbranato. Turi Ferro ritrova Laura Antonelli dopo Malizia ed è bravo come vecchio rincoglionito che si fa cantare Tua dalla donna di turno, visto che è impotente. Giani Cavina è un convincente mafioso, meno pericoloso di quel che vuol far sembrare, anche se schiaccia le noci con le mani. Bernard Blier è un padre diligente, interessato al denaro e non alla felicità della figlia. Milena Vukotic e Tiberio Murgia, sono cameriera innamorata del barone spiantato e maggiordomo fedele del ricco Don Diego.
 
 
Laura Antonelli è al massimo della forma, non si vede mai nuda, ma recita indossando abiti trasparenti che fanno intravedere tutto, soprattutto quando entra per la prima volta nel letto di Don Diego. Una parte da pura commedia sexy vede Villaggio spiare con un binocolo Laura Antonelli mentre si spoglia lentamente, quindi indossa reggicalze e giarrettiere. Paolo Villaggio pare poco adatto alla parte, anche se interpreta ottimi duetti farseschi con Gassman, ma il tentativo di portare il personaggio di Fantozzi (ne aveva già interpretati tre) in una commedia pirandelliana naufraga miseramente e trasforma un progetto ambizioso in una farsa poco incisiva.
 
 
Tonino Cervi ritrova Laura Antonelli dopo Il malato immaginario e la guiderà di nuovo con Sordi ne L'avaro, altro testo di matrice teatrale. Molti interni girati alla Dear ed esterni siculi ben fotografati da Guarnieri (senza eccessi né virtuosismi), uso dello zoom senza sosta, eccesso di primi piani, campi e controcampi. Finale atteso: "Avete visto? E' arrivato anche il mio turno...", afferma il barone mentre prende possesso della bramata Stellina. Musica dal taglio pop di Vince Tempera, che scrive la sigla dei titoli di coda (Il turno), cantata dall'orchestra di Raoul Casadei, oltre a Marmellata albicoque e Sirena nera, interpretate da Bruno D'Andrea. Nella colonna sonora anche Papaveri e papere oltre a un accenno di Tua, intonata da Laura Antonelli. La critica. Morando Morandini: "Un Pirandello (poco noto) rimpicciolito nel formato di una commedia all'italiana di serie B. Turi Ferro spicca in una compagnia di attori fuori posto".

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mercoledì 16 dicembre 2015

mercoledì 2 dicembre 2015

L’assistente sociale tutto pepe (1981)

di Nando Cicero


Regia: Nado Cicero. Soggetto e Sceneggiatura: Stefano Canzio, Alessandro Canzio, Marino Onorati. Fotografia: Eugenio Bentivoglio. Montaggio: Franco Letti. Musica: Andrea Lo Vecchio. Scenografia e Costumi: Toni Rossati. Assistente Regia: Massimo Manasse. Interpreti: Nadia Cassini, Renzo Montagnani, Yorgo Voayagis, Irene Papas, Fiorenzo Fiorentini, Nino Terzo, Gigi Ballista, Giovanni Vannini, Elvira Cortese, Sergio Di Pinto. Durata: 86’. Genere: Commedia Sexy. Teatri di Posa: De Paolis.

 
Tarda commedia sexy, non molto erotica, ma basata di fatto sulle virtù posteriori di Nadia Cassini, protagonista di alcune sequenze ravvicinate in vasca da bagno, durante una prolungata doccia dal taglio originale e ginecologico. Principale leitmotiv della pellicola, il sedere della bella americana, esibito in bicicletta, in parti oniriche ambientate in piscina e in una sequenza notturna sulla spiaggia di Ostia. Cicero confeziona una pellicola dignitosa, utilizza Nadia Cassini con l’accento americano, nei panni di un’improbabile assistente sociale impiegata per aiutare gli abitanti d’una periferia degradata. Il budget è modesto, quasi irrisorio, ma la bravura di Renzo Montagnani, Nino Terzo e Fiorenzo Fiorentini supplisce ai troppi buchi di sceneggiatura e a tante certe situazioni davvero prive di senso logico.


Nadia Cassini cerca di redimere quattro ladruncoli dal cuore tenero, ma nel frattempo sogna di diventare una famosa showgirl (un film nel film è basato su spezzoni di spettacoli mal fotografati della bella soubrette) e di farsi sposare da un ricco americano. Molte sequenze surreali in puro stile Cicero e parecchia comicità slapstick che ricordano il cinema muto e la poetica dell’assurdo. Nadia Cassini sogna addirittura di essere la moglie di Jimmy Carter e parla con l’immagine del Presidente che si sporge da un quadro. Nino Terzo si fa notare per la caratteristica tartagliata e per i consueti ragionamenti del sedere, visto che produce scorregge a comando di inaudita violenza. Terzo si guadagna da vivere piangendo a pagamento ai funerali de nel sogno è addirittura il figlio di Carter. Renzo Montagnani è il sindaco -capoccia del gruppo di ladruncoli ispirato a I soliti ignoti e vorrebbe tanto far fuori una nonna invadente.


Fiorenzo Fiorentini è un finto prete che insegna ai bambini l’arte dello scippo; Yorgo Voyagis è Bel Amì, il bello della situazione che fa innamorare la Cassini e alla fine convola a giuste nozze. Irene Papas è una presenza surreale, una sorta di fata buona che arriva dal mare a bordo di una canoa e decide di aiutare il popolo dei diseredati. Cicero preme l’acceleratore sul grottesco per nascondere carenze produttive e mancanza di denaro. Non fa certo cinema raffinato, come sempre, ma corporale e viscerale, lasciando liberi gli attori di realizzare rumori di scena. Ambientazione quasi pasoliniana, sul lungomare cadente di Ostia, tra baracche, casette di pescatori e spiagge abbandonate.


Ultimo film di Gigi Ballista, attore quasi sempre calato nel ruolo del cummenda milanese, per l’occasione alto prelato in cerca di una preziosa reliquia. La pellicola è stata poco vista per colpa di una pessima distribuzione ma passa spesso sui canali del circuito satellitare Sky e sul digitale AB Channel. Non così male come dice la critica alta, tutto sommato divertente, imperdibile per i fan di Cicero e della Cassini.

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giovedì 26 novembre 2015

Gran Bollito (1977)

di Mauro Bolognini


Regia: Mauro Bologni. Casa di Produzione: P.A.C. - Produzioni Atlas Consorziate. Produttore: Sandra Riccardi Infascelli. Soggetto: Luciano Vincenzoni, Nicola Badalucco. Sceneggiatura e Dialoghi: Nicolaa Badalucco. Dialoghi Aggiuntivi: Angelo Della Giacoma. Scenografia, Costumi, Arredamneto: Danilo Donati. Fotografia: Armando Nannuzzi. Musiche e Canzoni: Enzo Jannacci. Edizioni MUsicali: Impala. Canzone: "Vita vita" (canta Mina). Montaggio: Nino Baragli. Organizzazione Generale: Fernando Franchi. Direttore di Produzione: Massimo Alberini. Architetto: Giovanni Natalucci. Aiuto REgista: Antonio Gabrielli. Operatori alla Macchina: Michele Cristiani, Daniele Nannuzzi, Alfredo Senzacqua. Fonico: Piero Fondi. Fotografo di Scena: Mario Mazzone. Sviluppo e Stampa: Technospes spa. Negativi: Eastmancolor, Kodak. Teatri di Posa: Dear International. Doppiaggio e Sincronizzazione: Fono Roma. Adattamento Dialoghi: Alberto Piferi. Doppiaggio: C.V.D. (diretta da Fede Arnaud). Interpreti: Shelley Winters (doppiata da Regina Bianchi), Max Von Sydow, REnato Pozzetto, Alberto Lionello, Laura Antonelli, Mario Scacia, Milena Vukotic, Adriana Asti, Rita Tushingham. Liù Bosisio, FRanco Branciaroli, Antonio Marsina, Maria Monti, Marco Modugno, Alberto Squillante, Giancarlo Badessi, Franco Balducci.




Gran Bollito inizia con una comprensibile bugia, per difendersi da eventuali azioni legali da parte della famiglia Cianciulli, scomparsa nel 1970, dopo aver trascorso anni in manicomio criminale. Una lunga scritta bianca su sfondo nero chiarisce che i fatti non sono ispirati alla vita di una determinata persona ma alla follia umana in generale e che ogni riferimento alla realtà è soltanto casuale. In realtà Bolognini, Vincenzoni e Badalucco sceneggiano le gesta reali di Leonarda Cianciulli, detta la saponificatrice di Correggio, modificando solo poche cose e aggiungendo alcune giustificazioni cinematografiche agli eccidi compiuti da una delle serial killer più feroci del primo Novecento. Joe D'Amato, nel 1979, con Buio omega, compie una simile operazione, in veste splatter. Massaccesi ha ben presente la storia della saponificatrice quando realizza terribili sequenze che vedono in primo piano cadaveri sezionati che i protagonisti fanno sciogliere in una vasca colma di acido. La realtà si trasfonde nel cinema e come sempre ispira e supera la fantasia, la sola differenza è che il folle protagonista del film si limita a occultare il cadavere e non produce sapone.


Gran bollito, invece, è direttamente ispirato alle gesta della Cianciulli, anche se il nome della protagonista viene cambiato in Lea; Shelley Winters interpreta il suo sguardo allucinato e carico di odio con la bravura e la professionalità che la contraddistinguono, finendo per oscurare la presenza degli altri attori. Gran bollito è una black comedy molto inglese, teatrale, grottesca che narra le gesta di una donna meridionale trasferita al Nord insieme al marito (Scaccia) che gestisce un botteghino del lotto. La donna ha fatto una vita di stenti, ha perduto dodici figli - tra aborti e morti in culla - ed è morbosamente legata a Michele (Marsina), unico figlio superstite. Il marito rimane paralizzato, lei prende il suo posto al botteghino e - da esperta di magia quale dice di essere - si crea un piccolo gruppo di clienti - amiche. Terrorizzata dalla paura di perdere il solo figlio che le è rimasto, decide di offrire tre vite umane alla morte con la quale ritiene di aver stretto un patto. Lea uccide donne che ritiene inutili, perché non possono avere figli e solo lei sa quanto siano importanti. La strega spacca la testa alle tre amiche (Lionello, Von Sydow, Pozzetto), in rapida sequenza, e le mette a bollire in un pentolone ricavandone sapone e squisite torte al sangue composte di polvere ossea pestata in un mortaio. Il film termina con la polizia che arresta la donna mentre sta per uccidere con la scure la fidanzata del figlio (Antonelli).


La vera Leonarda Cianciulli godeva di minori motivazioni psicologiche - a parte la follia - e non aveva un solo figlio ma quattro, inoltre il marito non era paralizzato, ma la coppia si era separata. Bolognini miscela con sapienza elementi macabri e humour nero, senza rinunciare alla suspense ma al tempo stesso senza scadere nello splatter e nell'orrore viscerale, stemperando le parti macabre. Shelley Winters è straordinaria nella parte di Lea, ma sono molto bravi in vesti femminili Alberto Lionello, Max Von Sydov e Renato Pozzetto, nei panni delle tre vittime: la romantica Berta, la repressa Lisa e la cantante Stella. Da notare che i tre attori ricoprono anche ruoli maschili come maresciallo (Von Sydow), bancario (Lionello) e carabiniere (Pozzetto). L'idea di far recitare tre uomini in parti femminili ricorda il teatro antico e - visto il tono grottesco della commedia - conferisce originalità e interesse a un film ben sceneggiato, strutturato con dialoghi rapidi e realistici. Milena Vukotic è la serva sciocca, succube della padrona, Alberto Lionello è una donna perfetta contesa tra la voglia di scappare in America per ritrovare il marito e la paura dell'ignoto, mentre il peggiore di tutti è l'inespressivo Antonio Marsina nei panni del figlio. Tecnica di regia classica, uso del grandangolo, piani sequenza, primi piani, taglio molto teatrale e dialoghi ridotti all'essenziale.


Il film è girato quasi completamente in interni con poche sequenze esterne ambientate a Parma, gode di buona ambientazione d'epoca e arredamento curato che ci portano alla fine degli anni Trenta, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, che la protagonista prevede in un allucinato finale. Fotografia ocra, anticata, soffusa; montaggio da thriller, senza tempi morti, colonna sonora di Jannacci che ci fa compiere un nostalgfico tuffo nella musica popolare meneghina. Renato Pozzetto si doppia in un buffo accento tedesco e canta alcune canzoni del suo repertorio, scritte da Jannacci, mentre Vita vita è interpretata da Mina. Laura Antonelli si ritaglia una partecipazione straordinaria, ma appare abbastanza fuori parte nei panni della fidanzata del figlio di Lea, che scampa alla mattanza in un concitato finale e soprattutto recita poche battute, limitandosi a sguardi ed espressioni allucinate. Il suo ruolo è irrilevante nell'economia di un film che si ricorda come intenso thriller psicologico caratterizzato dall'onnipresente immagine di Shelley Winters nei panni del mostro sanguinario. Il finale è ispirato quasi del tutto alla vera Cianciulli, quando dopo l'arresto viene chiamata Mostro e lei risponde alla folla con un sorriso di sfida. I soli rapidi nudi sono di Milena Vukotic (grottesco) e di Antonio Marsina (maschile), ma per Laura è il film più casto della carriera.

 
Mauro Bolognini (Pistoia, 1922 - Roma, 2001), architetto diplomato scenografo al Centro Sperimentale di Roma, aiuto di Luigi Zampa, Yves Allegrét e Jean Delannoy, regista in proprio dal 1953 (Ci troviamo in galleria), si avvicina a un tardo neorealismo con Gli innamorati (1955) e Giovani mariti (1957). I suoi film migliori sono frutto di sceneggiature pasoliniane: La notte brava (1959, tratto da Una vita violenta), Il bell'Antonio (1960, con la collaborazione di Vitaliano Brancati), La giornata balorda (1961); regista colto, interessato a soggetti letterari (Senilità, Agostino, Bubù, Per le antiche scale, L'eredità Ferramonti...) e romanzi importanti (Metello), lo ricordiamo per la direzione di alcune opere liriche. A Pistoia - sua città natale - c'è un teatro intestato a suo nome. Tra i suoi film più interessanti e meno celebrati ricordiamo Le bambole (1965), Capriccio all'italiana (1968), La venexiana (1986) - dove ritrova Laura Antonelli, questa volta da protagonista, la miniserie televisiva Gli indifferenti (1988) - ancora con Laura Antonelli - e La villa del venerdì (1991), ultimo lavoro per il cinema. La famiglia Ricordi (1995) è il suo ultimo impegno televisivo.

E' USCITO NELLA COLLANA LA CINETECA DI CAINO:

 
 
Gloria Guida, il sogno biondo di una generazione - pag. 250 - Euro 15
Collana La Cineteca di Caino - Edizioni Il Foglio
Autore: Gordiano Lupi. Filmografia e Presentazione: Roberto Poppi.
Introduzione: Gloria Guida. Un articolo di Davide Pulici (Da Nocturno Cinema).
Distribuzione: LIBROCO ITALIA srl - San Casciano VP (FI) - alessandro@libroco.it

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mercoledì 18 novembre 2015

L'innocente (1976)

di Luchino Visconti

 
Regia: Luchino Visconti. Soggetto: Gabriele D'Annunzio (libera riduzione del romanzo omonimo). Sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Enrico Medioli, Luchino Visconti. Fotografia: Pasqualino De Santis (Techincolor). Montaggio: Ruggero Mastroianni. Aiuto Regista: Albino Cocco. Assistente alla Regia: Giorgio Treves. Coordinamento Edizione Italiana: Mario Maldesi. Direttore della Scenografia: Mario Garbuglia. Arredamento: Carlo Gervasi. Costumi: Piero Tosi. Assistente ai Costumi: Alberto Verso. Musiche: Franco Mannino (dirette dall'autore). Dischi: Cinevox Record. Direttore di Produzione: Lucio Trentini. Produttore: Giovanni Bertolucci per la Rizzoli Film spa. Maestro d'Armi: Enzo Musumeci Greco. Operatori alla Macchina: Mario Cimini, Giuseppe Berardini. Fotografo di scena: Mario Tursi. Fonico: Mario Dallimonti. Tecnico del Colore: Ernesto Novelli. Girato in Technovision (Ece). Mixage: Federico Savina. Doppiaggio: Cine Video Doppiatori. Edizioni Musicalli: Rizzoli Film, Bixio, Cemsa. Orchestra Stabile della Gestione Autonoma dei Concerti Accademia Nazionale Santa Cecilia. Brani Musicali: Berceuse, Walzer (Chopin), Marcia turca (Mozart), Giochi d'acqua a Villa d'Este (Liszt), interpretati al piano da Franco Mannino; Che farò senza Euridice (Gluck, eseguito dal mezzo soprano Benedetta Pecchioli, al piano Franco Mannino. Teatri di Posa: Dear International spa. Residenze: Villa Bellosguardo e Villa Lilla (Pieve Santo Stefano, Lucca), Villa Arnolfini "La Badiola" (San Pancrazio, Lucca). Co Produzione Italia/Francia: Rizzoli Film (Roma), Les Films Jacques Leitienne (Parigi), Societé Imp. Ex. Cl. (Nizza), Francoritz Production sa (Parigi).


Interpreti: Giancarlo Giannini, Laura Antonelli, Rina Morelli, Massimo Girotti, Didier Haudepin, Marie Dubois, Roberta Paladini, Claude Mann, Marc Porel, Jennifer O' Neill (doppiata da Valeria Moriconi), Philippe Hersent, Elvira Cortese, Siria Betti, Enzo Musumeci Greco, Alessandra Vazzoler, Marina Pierro, Vittorio Zarfati, Alessandro Consorti, Filippo Perego, Margherita Horowitz, Riccardo Satta.


L'innocente è l'ultimo film di Luchino Visconti, opera incompiuta, perché il regista riesce soltanto a girare la pellicola e a realizzare una prima bozza di montaggio, che reputa poco soddisfacente. Incompiuta e non del tutto riuscita, anche se dal punto di vista stilistico - scenografico l'approccio alle tematiche decadenti di Gabriele D'Annunzio (rivisitate con intelligenza e garbo) è di notevole interesse. Vediamo in breve la trama, solo un libero adattamento del romanzo, visto che la sceneggiatura - scritta con Suso Cecchi D'Amico ed Enrico Medioli - conferisce importanza a personaggi minori, modifica situazioni e opta per un duplice tragico finale. Tullio Hermil (Giannini) non ha più rapporti con la moglie Giuliana (Antonelli), che dice di stimare e tratta come una sorella - confidente. Il marito non solo non nasconde la relazione con la contessa Teresa Raffo (O'Neill), ma ne parla alla moglie e chiede consiglio, mentre Giuliana sembra accettare il fatto compiuto.


Giuliana conosce un giovane scrittore, Filippo d'Arborio (Porel), vive con lui una breve ma intensa relazione e rimane incinta. Tullio diventa geloso, pare innamorarsi di nuovo della moglie in un impeto di passione, ma quando viene a sapere che aspetta un figlio da Filippo vorrebbe farla abortire. Giuliana rifiuta, Tullio deve accettare la gravidanza ma decide di uccidere il figlio della colpa (l'innocente del titolo) esponendolo a una fredda nevicata durante la notte di Natale. Il bimbo muore, tutti pensano per cause naturali, ma Giuliana intuisce l'orribile gesto e grida tutto il suo odio al marito. Tullio scappa da Teresa che non lo comprende ma è sconvolta dai fatti e decide di lasciarlo. Tullio - abbandonato da tutti - decide di suicidarsi con un colpo di pistola. La scena memorabile del film è il finale che vede Jennifer O'Neill lasciarsi alle spalle la villa e il suo passato, oltre a delitti e suicidi, percorrendo un viale nebbioso.

 
L'innocente fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 1976, due mesi dopo la morte di Visconti, che diresse il film malato, seduto in carrozzella, aiutato dai fidi collaboratori. Il regista morì a primavera, per una grave forma di trombosi, ma aveva già visionato una bozza di montaggio di cui non era convinto. Suso Cecchi D'Amico apportò poche modifiche che scaturirono da un confronto dopo la visione, ma nella sostanza il lavoro uscì nella forma incompleta realizzata da Visconti, quindi non può dirsi opera conclusa. L'innocente è un film profondamente decadente e dannunziano, anche se alcuni critici negano e ritengono che Visconti abbia affrontato con spirito critico il testo del poeta di Pescara. Il protagonista è un superuomo, ateo, libertino, anticonformista, ricalcato in parte sul carattere di D'Annunzio; così come l'impianto della storia è un melodramma romantico, crepuscolare, a tinte fosche, che descrive i rapporti erotici e matrimoniali nell'Italia umbertina. Il romanzo di D'Annunzio è preso solo come base per un adattamento moderno, in senso cinematografico: il protagonista non narra in prima persona, la moglie è molto meno remissiva, la contessa amante acquista un'importanza che nella storia non possiede, la coppia del romanzo ha due figli e non desidera il terzo, il suicidio di Tullio è un'aggiunta di sceneggiatura.


L'innocente di Visconti è un film che serve a scatenare un profondo dibattito su aborto ed emancipazione femminile, perché i personaggi delle due donne sono molto indipendenti - soprattutto l'amante - e moderni, affrontano la vita da sole e prendono decisioni che contrastano con la volontà dei compagni. Il film ottiene un buon successo di pubblico, ottavo posto della stagione, incasso di 1.246.472.000 lire, dovuto anche alla presenza dei due attori protagonisti, soprattutto a Laura Antonelli, anche se Visconti avrebbe voluto Delon e la Schneider. Il regista morì prima di assaporare la gioia di uno dei suoi maggiori successi commerciali ai quali da tempo non era abituato, anche se le testimonianze dei collaboratori confermano che non era soddisfatto, forse credeva di non essere stato abbastanza chiaro nel separare D'Annunzio dal suo stile letterario e cinematografico. Il regista chiama sul set due attori feticcio: Massimo Girotti - protagonista di Ossessione -, nel piccolo ruolo del conte che vuol concupire la contessa, e Rina Morelli - compagna di Paolo Stoppa -, sempre presente nei film di Visconti, da Senso in poi, qui nei panni della madre di Tullio.


Laura Antonelli è bravissima, forse nel ruolo della sua vita a livello di interpretazione drammatica, anche se deve recitare nuda in un paio di sequenze, per esigenze produttive, visto che Visconti non amava spogliare le attrici. In compenso abbiamo il classico nudo maschile, spesso presente in Visconti, questa volta tocca a Marc Porel, nei panni di Filippo D’Arborio, lo scrittore (in parte simile a D'Annunzio) amante di Giuliana. Porel è un bello e maledetto anche nella vita reale, lavora molto in Italia, soprattutto nel cinema minore, muore a soli 34 anni per overdose. Ottimo Giancarlo Giannini come perfido marito infanticida, ateo, razionale, privo di sentimenti, con uno sguardo che sprizza scintille di odio per buona parte del film. Jennifer O'Neill è una valida co-protagonista, che ricopre un ruolo fondamentale, inesistente nel testo letterario. Il film gode di una regia formale ed equilibrata, caratterizzata da ottima direzione di attori e tecnica di ripresa dal taglio classico, con un parco uso dello zoom.


La messa in scena è sontuosa, scenografie imponenti - curate da Garbuglia e Gervasi - ricreate negli Studi Dear e in alcune ville lucchesi, costumi perfetti curati da Piero Tosi. La colonna sonora è una gioia per gli orecchi, Franco Mannino merita il David di Donatello, interpretando alcuni pezzi classici al pianoforte (Chopin, Mozart, Liszt...), come bonus abbiamo un brano lirico cantato dal mezzo soprano Benedetta Pecchioli. Fotografia anticata, nitida, morbida, dai toni ocra e pastello, spesso nebbiosa, da romanzo crepuscolare. Un film molto teatrale - come stile di Visconti - girato in interni ben arredati, che denota una cura per i particolari ai massimi livelli, con attori che vestono sfarzosi abiti d'epoca. Il tono è romantico - sentimentale, con misurati accenni erotici sui quali Visconti non calca mai la mano, visto che non è il suo campo.


L'innocente è un romanzone ottocentesco un po' datato, riscattato da accenni di modernità quando affronta il tema femminista e il problema dell'aborto. Un lavoro letterario, un melodramma in costume a tinte fosche, con echi dannunziani che si fanno più ridondanti nell'imprevisto finale. Visconti s'inventa l'uscita di scena del superuomo, la sconfitta del libertino razionale, criticando in parte le idee di D'Annunzio che nel romanzo decide di far sopravvivere il protagonista alla sua terribile colpa.

Rubrica bisettimanale di cinema di Gordiano Lupi su Futuro Europa:
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