domenica 31 gennaio 2016

La cena (1998)

di Ettore Scola



Regia: Ettore Scola. Soggetto: Ettore Scola. Sceneggiatura. Ettore Scola, Furio Scarpelli, Giacomo Scarpelli, Silvia Scola. Costumi: Odette Nicoletti. Scenografia: Luciano Ricceri. Musiche: Armando Trovajoli. Montaggio: Raimondo Crociani. Fotografia: Franco Di Giacomo. Fonici di Presa Diretta: Remo Ugolinelli, Corrado Volpicelli. Aiuto Regia: Giani Arduini. Arredatore: Ezio Di Monte. Operatore ala Macchina: Roberto Marsigli. Fotografo di Scena. Gianfranco Salis. Produttore: Franco Committeri. Produzione: Massifilm srl e Medusa Film (Italia), Les Films Alain Sarde e Filmtel (Francia). Distribuzione: Medusa. Pezzi musicali: Concerto per arpa e flauto di Mozart, La donna cannone di Francesco De Gregori. Mixage: Alberto Doni. Genere: Commedia. Durata: 126’. Interpreti: Fanny Ardant, Antonio Catania, Francesco d’Aloja, Riccardo Garrone, Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Marie Gillain, Aniello Mascia, Adalberto Maria Merli, Corrado Olmi, Eros Pagni, Daniela Poggi, Rolando Ravello, Stefania Sandrelli, Stefano Antonucci, Andrea Cambi, Nadia Carlomagno, Giorgio Colangeli, Carla Carpi, Eleonora Danco, Giuseppe Gandini, Ettore Garofolo, Lea Gramsdorff, Adriana Innocenti, Margherita Javarone, Hanja Kochansky, Valter Lupo, Paolo Merloni, Gordana Miletic, Carlo Molfese, Milvia Mostardi, Sergio Nicolai, Mario Patanè, Vittoria Piancastelli, Pier Francesco Poggi, Francesca Rettondini, Giovanna Senesi, Francesco Siciliano, Chang Song Kuk, Giorgio Tirabassi, Venantino Venantini, Barbara De Falco, Elena D’Ippolito, Anna Brigitte Fernandez, Luca Folletto, Fabio Munari, Alessia Patacconi, Ramona Pistacchi, Roberto Ruggeri, Riccardo Scontrini, Massimiliano Sodini, Angelica Celeghin, Giuliana De Donno, Daniel Christophe Djedjed, Silvano De Rinaldis, Mario De Santis, Massimiliano Franciosa, Andrea Wehrl.



La cena (1998) è uno degli ultimi grandi film di Ettore Scola, girato in un’unità di tempo e di luogo per raccontare diverse esistenze prese a simbolo della realtà contemporanea. Siamo nei locali del Ristorante Arturo al Portico dove i molti avventori, i proprietari e il personale del locale danno vita a un film corale, teatrale, intenso e leggero, che racconta disagi, vite, storie, in una parola il quotidiano di ogni personaggio. Zavattini sarebbe stato felice di vedere una simile pellicola, la sceneggiatura sembra rendere omaggio alla sua teoria del pedinamento, anche se gli interpreti sono veri attori che recitano una parte. In sintesi alcune storie che presentano lievi punti di contatto, unite soltanto dal luogo dove si svolgono e dalla presenza del cameriere, di tanto in tanto collegate, come in un film a episodi che scorre senza soluzione di continuità, a fasi alterne. Una figlia confida a una madre sconvolta quanto superficiale ed egocentrica (Sandrelli) l’intenzione di farsi suora. Un professore di filosofia (Giannini) si finge diverso da come lo crede la giovane amante per evitare che distrugga il suo matrimonio spedendo una lettera alla moglie. 



Due attori da strapazzo decidono di mettere in scena una commedia dove soltanto uno reciterà, mentre l’altro dovrà limitarsi a osservare per poi dare un bacio al collega. Un gruppo di ragazzi festeggia il compleanno di una compagna, nipote della padrona del locale, di cui la madre si è del tutto dimenticata. Un padre incontra a cena la figlia con cui non ha un buon rapporto e il figlio che vive in comunità di recupero. Una bella donna in carriera (Poggi) mette in crisi un uomo e lo strapazza nel bagno dopo averlo illuso con sorrisi, infine diventa amica dell’ex tossicodipendente. Una coppia parla del futuro della propria relazione dopo che la donna è rimasta incinta. Una donna sposata invita a cena i suoi quattro amanti per chiarire la loro posizione, ma alla fine torna a casa con il marito rozzo e violento. 



Un timido cliente incontra un ciarlatano che si dice mago (Catania) e insieme sembrano costituire una coppia dai veri poteri magici. Eros Pagni è uno straordinario cuoco comunista in crisi per la caduta degli ideali, Riccardo Garrone un cameriere innamorato della padrona, Fanny Ardant una proprietaria malinconica che per non sconvolgere la sua vita rinuncia all’amore. Ma su tutti aleggia la presenza di Vittorio Gassman, in una delle sue ultime interpretazioni, professore in pensione, cliente abituale, vero e proprio deus ex machina di un testo teatrale. 



Una carrellata di personaggi e di piccole storie, una serie di rapidi bozzetti che illustrano caratteri e idiosincrasie della nostra società fine anni Novanta. Scola mette in scena lo scontro generazionale, contrappone i vecchi ai giovani, racconta la caduta degli ideali politici, i ricchi cafoni con telefonino e amante, i piccoli tradimenti, le bugie della vita quotidiana, affronta il tema dell’inesistenza dell’amore, sviscera i rapporti familiari e la crisi della borghesia, sempre più sola nella difesa di tradizioni perdute. Ottima colonna sonora del maestro Trovajoli che comprende uno stupendo pezzo di Mozart inserito in un poetico piano sequenza che ricomprende tutti i protagonisti della cena. Il finale cita Miracolo a Milano, con un bambino giapponese che vede il mago e il suo amico volare in cielo a cavallo di una scopa, ma tutto scorre come in un magico videogame. 



Attori bravissimi, su tutti una straordinaria Fanny Ardant, bella e solare, inquieta padrona del locale, sposata con un marito che non ama più (Olmi), innamorata di un uomo che non può seguire. Non da meno Gassman, Giannini, Sandrelli, Poggi, Garrone, Pagni, ma anche tutti gli altri, diretti con stile sobrio da Scola, che miscela brani di realismo con un pizzico di grottesco e un finale surreale. Paolo Mereghetti scrive un commento che non oso riportare perché fuorviante, cattivo e ingiusto nei confronti di un Maestro che dispensa pennellate di poesia ironizzando sui nostri difetti, su quel che è diventata la società italiana di fine anni Novanta. 



Scola critica la vecchia borghesia che ha sbagliato tutto e la generazione dei quarantenni che non sa che pesci prendere, sembra lasciare aperta la porta ai giovani, perché alla fine del tunnel soffia un flebile vento di speranza. Film ingiustamente maltrattato dalla critica, che trova nel minimalismo poetico, nel tono decadente e crepuscolare che pervade ogni sequenza la sua più profonda ragion d’essere. 

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domenica 17 gennaio 2016

L'estate (1966)

di Paolo Spinola

 
Regia: Paolo Spinola. Soggetto: Paolo Spinola. Sceneggiatura: Raffaele Ascona (Rafael Azcona), Paolo Spinola. Fotografia: Marcello Gatti. Montaggio: Nino Baragli. Ambientazione e Costumi: Piero Gherardi. Aiuto Regista. Federico Chentres. Ispettore di Produzione: Sergio Nasca. Fonico: Fernando Pescetelli. Costumi: Brunetta Parmesan. Operatore alla Macchina: Alvaro Lanzoni. Organizzazione della Produzione: Vittorio Musy Glori. Produzione: Antonio Spinola per la 5 Ottobre Cinematografica spa. Colore: Technicolor. Musiche: Gianni Boncompagni (eseguite da The Pipers). Canzoni: Per quanto io ci provi (Rossi - Robifer, cantano The Motows), La mia Inghilterra (Nistri - Arden, cantano Mike Liddel e gli Atom), Che mondo strano (Migliacci, Modugno, Shapiro, cantano The Rokes), È la pioggia che va (Mogol, Lind, cantano The Rokes). Edizioni Musicali: RCA Italiana, Dischi Arc (The Rokes). Stabilimenti di Posa e Mezzi Tecnici: A.T.C.. Esterni: Porto Rotondo (Sardegna), Stabilimenti Società Terni. Registrazione e Sincronizzazione: Cinefonico Palatino. Mixage: Mario Morigi. Laboratorio e Sviluppo Stampa: Studio Cine (Roma). Interpreti: Enrico Maria Salerno, Najda Tiller, Mita Medici (per la prima volta sullo schermo) Carlo Hinterman, Mita Cattaneo, Dino Zamboni, Mirella Pamphili, Gordon Mitchell (nella parte di se stesso).


L’estate (1966) è un film caratterizzato da certe idee critiche del periodo storico, un’ambientazione alto borghese  e un sottofondo di musica beat (curato da Gianni Boncompagni) che per il tema torbido e controcorrente non è facile dimenticare. L’antecedente letterario è Lolita di Nabokov, romanzo del 1955 portato sul grande schermo da Kubrick nel 1962, ma L’estate è più scabroso e meno rassicurante. Il tema portante è il triangolo amoroso, la passione di un uomo di mezza età per una ragazzina, complicata dal fatto che l’adolescente è la figliastra, considerata come una vera e proprio figlia. In breve la trama. Sergio (Salerno), un industriale annoiato, raggiunge la compagna Adriana (Tiller) a Porto Rotondo, in Sardegna, subito ci accorgiamo che le cose tra loro non vanno come un tempo, al punto che l’uomo medita di separarsi. Lisa (Medici) è la ragazzina che irrompe nella relazione pericolante, seduce il patrigno, con lui perde la verginità, salvando il suo futuro e quello della madre, impedendo la fine del rapporto. Tema torbido in tutti i sensi, prima di tutto perché la figliastra ha sedici anni, poi perché non è l’uomo a sedurre la ragazzina ma il contrario (tema tipico della lolita) e soprattutto perché Lisa non agisce per amore o per passione, ma per freddo calcolo, per interesse, per salvare economicamente il suo futuro. 



Il film racconta la crisi della famiglia borghese, già evidente nel 1966, con un protagonista separato che vive insieme a una compagna ma finisce a letto con la figliastra. Sottofondo di musica beat con pezzi dei Rokes, degli Atom e dei Pipers (eseguono la colonna sonora), con raffigurazione della netta separazione tra il mondo dei giovani e quello degli adulti. Sta arrivando il Sessantotto, il film lo anticipa con molte idee di contestazione al matrimonio e alle convenzioni sociali. Il personaggio interpretato magistralmente da Enrico Maria Salerno esprime la scarsa fiducia nel lavoro, la voglia di libertà, il bisogno di evadere, ma anche la crisi del quarantenne di fronte alla noia sartriana dell’esistenza. 



Mita Medici è giovanissima, per la prima volta sullo schermo, direttamente dal Piper - locale alla moda romano -, ha sedici anni come la protagonista che interpreta, per questo non viene mai inquadrata nuda e il regista stempera i momenti erotici più torridi. Lolita straordinaria che Spinola sfrutta al meglio delle sue possibilità per un volto da ragazzina ingenua su un corpo che sprizza sensualità e malizia da tutti i pori. Forse la sequenza più erotica è quella del riccio di mare che punge il piede della ragazzina con l’uomo intento a succhiare il sangue della ferita. Brava anche l’austriaca Najda Tiller, molto attiva nel cinema italiano, ben calata nella parte della borghese altezzosa, amante tradita dalla figlia, che in un sordido finale accetta il nuovo status quo, per mero interesse.



Il regista documenta il cambiamento di un’epoca e narra la disillusione dell’Italia dopo il boom, immortala la Fiat 500, descrive l’entusiasmo per una fotocopiatrice, racconta la scoperta del sesso da parte degli adolescenti. Stigmatizza il tabù della verginità, l’altezzosità della ricca borghesia, i difficili rapporti tra coniugi, l’egoismo degli uomini, i discorsi vuoti e inconcludenti dei ricchi imprenditori. Vizi privati e pubbliche virtù, attacco all’ipocrisia borghese, incomunicabilità generazionale e nella coppia, sono temi importanti di un piccolo film da riscoprire. Tecnica di regia classica, panoramiche e primi piani, ambientazione e recitazione di impronta teatrale. Esterni girati in una Sardegna selvaggia, prima della speculazione edilizia e dello sfruttamento turistico, a bordo di uno yacht, tra le scogliere di Porto Rotondo e il mare incontaminato. Straordinaria la fotografia di Marcello Gatti, realizzata in un arcaico technicolor. 



Ottima la ricostruzione di ambienti curata da Piero Gherardi. Lo sceneggiatore spagnolo Rafael Azcona - mentore di Marco Ferreri - viene italianizzato nei titoli in Raffaele Ascona. Gordon Mitchell compare in un breve cameo nella parte di se stesso. Troppo duro il giudizio di Paolo Mereghetti (una stella): “Dramma del sentimento di una coppia anomala, ma il film nonostante il torbido soggetto non lascia traccia”. Pino Farinotti assegna due stelle, puntando sul mondo borghese capace di scendere a patti con la morale pur di non perdere privilegi. Fernando di Leo deve molto alle suggestioni di questo film quando gira La seduzione (1972) con Jenny Tamburi, anche se la sua sceneggiatura proviene da un romanzo di Ercole Patti.



Piero Spinola (Genova, 1929) lavora nel cinema dal 1952 come aiuto di Gianni Franciolini (fino al 1958 sarà anche soggettista e sceneggiatore). Non gira molte pellicole da regista, ma cura sempre il soggetto e può dirsi un autore: La fuga (1964), L’estate (1966), La donna invisibile (1969), Un giorno alla fine d’ottobre (1977). Fanno parte dei temi portanti del suo cinema la descrizione critica dell’alta borghesia e un’attenta analisi di singolari figure femminili. 

Una canzone del film
 
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giovedì 7 gennaio 2016

Amori, letti e tradimenti (1976)

di Alfonso Brescia



Regia: Alfonso Brescia. Soggetto e Sceneggiatura: Mauro Righi. Produttore: Mauro Righi. Fotografia: Giuseppe Aquari. Montaggio: Vincenzo Vanni. Musiche. Sante Maria Romitelli. Casa di Produzione: Alexandra Cinematografica Internazionale. Scenografia: Elena De Cupis. Interpreti: Don Backy, Ugo Bologna, Marisa Mell, Sonia Viviani, Paola Maiolini, Riccardo Parisio Perrotti, Enzo Spitaleri, Aristide Caporale, Paola D’Egidio.


Una notte insonne mi porta a rivedere Amori, letti e tradimenti (1976), film non certo epocale, farsa erotico - campagnola, molto burina, girata da Alfonso Brescia, uno che nel cinema di genere ha fatto di tutto e con poche lire. Benemerita (per noi appassionati del vecchio trash) Ab Channel, che in qualche modo ha preso il posto di Happy Channel. Vediamo la trama.


Un industriale lombardo di nome Mordacchia (Bologna) vuol comprare un terreno agricolo, ma il contadino Baldo (Don Backy) non vuole assolutamente venderlo. Mordacchia prova con ogni mezzo, persino spedendo al casolare alcune prostitute, che sconvolgono sia Baldo che l’amico Bastiano (Caporale), ma non lo convincono a cedere la terra. Prende in mano la situazione Greta (Mell), la procace moglie di Mordacchia, che invita in villa il contadino per sedurlo. Non ci riescono, né lei (Baldo si addormenta durante un suo strip), né la figliastra Paola (Viviani), nonostante una sexy danza del ventre. Baldo s’innamora della cameriera Carla (Longo), che soltanto nel finale mostra un seno rigoglioso. Non solo, vince un sacco di soldi e diverse proprietà al commendatore, grazie a una lunga partita a scopa. Il risultato è che Baldo diventa socio d’affari di Mordacchia, dividendo con lui tutto, persino le grazie della disponibile segretaria (Maiolini).


Alfonso Brescia gira un soggetto del produttore Mauro Righi (pure sceneggiatore) in due luoghi storici del cinema italiano: il casolare di via delle Pietrische, a Manziana, e la villa di Casale Lumbroso, a Roma, numero 167. Due location molto gettonate che hanno visto produzioni di pellicole più o meno importanti e che si prestano come set di una tarda commediaccia in salsa burina. Qualcuno ha visto nel film una parodia de La stangata (1973) di George Roy Hill - con Robert Redford e Paul Newman - in salsa erotica. Forse la partita a scopa avrebbe tale ambizione, ma tutto il film è soprattutto una farsa scollacciata con mattatore un Don Backy pastore ciociaro e un Ugo Bologna insolito coprotagonista. 


Commedia sexy che gode di un esaltante cast femminile: Marisa Mell improvvisa uno spogliarello e si lascia frugare tra i seni da Don Backy che cerca di uno stecchino da denti; Sonia Viviani mette in scena una perversa danza del ventre; Malisa Longo in una rapida sequenza mostra un seno prosperoso; Paola Maiolini è una segretaria molto sporcacciona. In definitiva il film è più casto di quel che si potrebbe pensare, fa intuire molto ma mostra davvero poco, anche se la tensione erotica è palpabile. La trama è basata sul detto “contadino, scarpe grosse e cervello fino”, con la borghesia imprenditoriale rappresentata da Ugo Bologna, uno specialista nei panni del cummenda milanese. 


Brescia e Righi non si fanno mancare una blanda critica verso i figli dei ricchi che recitano un ruolo comodo da comunisti contestatori, ma viaggiano in Ferrari e con le tasche piene. Paola (Viviani) e lo sciocco fidanzato recitano due patetici dialoghi pensati per dare una giustificazione politica - di cui non si sentiva il bisogno - alla pellicola. Il film vale ancora la visione per le numerose gag comiche, per un Don Backy travolgente e per la bellezza del cast femminile.  


Mereghetti e Morandini nemmeno citano l’esistenza della pellicola; Farinotti - di solito il più largo di maniche - assegna una sola stella; Giusti lo definisce un film di scarso culto interessante solo per un Don Backy versione pastore ciociaro alla Celentano e interpretato da un cast femminile ultratrash.


Approfittiamo per ripassare la figura di Alfonso Brescia (Roma 1930 - 2001), con l’aiuto dell’indispensabile manuale di Roberto Poppi. Figlio d’arte, il padre è il produttore Edoardo, lavora con Amendola e Caiano, debutta con Il magnifico gladiatore (1964) e si specializza nel puro cinema commerciale. Se c’è una cosa che Brescia non possiede è la vocazione autoriale, gira prodotti di ogni genere, a basso costo: western, peplum, bellico, avventuroso, giallo, erotico. Alcuni lavori portano la firma di Al Bradley, pseudonimo anglofono usato per seguire una moda del tempo. Il suo tratto distintivo va ricercato nella fantascienza (cinque film in contemporanea) e nelle sceneggiate di successo interpretate da Mario Merola. La sua carriera declina dopo il 1985, si stempera blandamente assecondando la fine del cinema di genere. Ultimo film: Club vacanze (1996), ancora inedito. Roberto Poppi dice di Brescia: “Regista tra i più prolifici del nostro cinema, la sua produzione si contraddistingue per un certo decoro formale e un grande mestiere, spesso sviliti da soggetti mediocri e budget inadeguati”. 





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martedì 5 gennaio 2016

La gabbia (1985)

di Giuseppe Patroni Griffi 
 
 
Regia: Giuseppe Patroni Griffi. Soggetto: Francesco Barilli. Sceneggiatura. Alberto Silvestri, Concha Hombria, Lucio Fulci. Foptografia: Juan Amoros, Hans Burmann. Montaggio: Sergio Montanari. Art Director: Ezio Altieri. Scenografia: Luis Vazquez. Regista Seconda Unità: Aldo Terlizzi. Fotografia Seconda Unità: Claudio Morabito. Operatore alla Macchina: Carlo Tafani. Fonico: Roberto Petrozzi. Fotografi di Scena: Enrico Appetito, José Salvator. Effetti Speciali: Paolo Ricci. Effetti Speciali Sonori: Luciano e Massimo Anzellotti. Mixage: Danilo Moroni. Doppiaggio: Gruppo Trenta. Direttore del Doppiaggio: Pino Colizzi. Direttore di Produzione: Sergio Borelli. Musiche: Ennio Morricone (composte e dirette). Edizioni Musicali: General Music (Roma), Interdemos Music (Milano). Organizzatore Generale: Sandro Mattei. Produttore: Ettore Spagnuolo. Case di Produzione: Visione Cinematografica SRL (Roma), Bridas SA (Madrid). Direttore di Produzione (riprese Spagna): Carlos Ramon. Teatri di Posa: Incir - De Paolis (Roma). Negativo: Kodak Eastmancolor. Sviluppo e Stampa: Telecolor spa, Fotofilm (Madrid). Titoli e Truke: Penta Studio. Interpreti: Tony Musante, Laura Antonelli, Florinda Bolkan, Laura Troschel, Blanca Marsillach, Cristina Marsillach, Achille Brunini, Mercedes Duval, José Maria Bastus, Manuel Tienda. 
 
 
La gabbia di Giuseppe Patroni Griffi (1985) è un film scritto da Francesco Barilli e sceneggiato da Alberto Silvestri e Lucio Fulci che realizzerà una sua versione da regista ne Il miele del diavolo (1986) con Corinne Clery. Si tratta di un insolito thriller erotico, quasi un pezzo unico nei film interpretati da Laura Antonelli che recita una parte morbosa e viene ripresa in molte scene audaci. Si tratta di un buon soft d’autore che però ha il limite di risultare poco incisivo e molto frenato proprio nei frangenti che dovrebbe spingere sull’acceleratore. Tony Musante è l’interprete maschile, tra le donne ci sono Florinda Bolkan, Cristina Marsillach, Bianca Marsillach e Laura Troschel. Se lo avesse girato Fulci, come avrebbe dovuto, invece di un regista classico e teatrale come Patroni Griffi, forse sarebbe venuto fuori un prodotto migliore, soprattutto meno castigato. Resta un film interessante, per una colonna sonora intensa composta da Ennio Morricone, per il clima morboso e angosciante e per l’erotismo malsano e perverso che pervade la pellicola. Hélène (Florinda Bolkan) e Michael (Tony Musante) sono amanti e sembrano innamorati, ma per Natale la donna lascia solo il suo uomo perché deve occuparsi del figlio. Musante ritrova Marie (Laura Antonelli oggi e Bianca Marsillach nelle scene da giovane), una vecchia fiamma di vent’anni prima. Musante aveva fatto l’amore con quella donna in un capanno di legno su una spiaggia deserta e poi l’aveva abbandonata senza lasciare tracce. In un primo tempo tra i due sembra rinascere il vecchio amore ma è solo finzione di una donna folle che ricorda i giorni della grande delusione. Marie Michael e lo lega per i polsi alla spalliera del letto, simulando un gioco erotico, ma di fatto imprigionandolo.
 
 
L’uomo se ne rende conto quando la donna gli impedisce di abbandonare l’appartamento che si trasforma in una vera e propria gabbia. La figlia Jacqueline (Cristina Marsillach) s’invaghisce in modo perverso di Michael e sfida la madre in un perfido gioco che la fa sembrare più folle di lei. Durante la prigionia dell’uomo assistiamo a molte scene di sesso torbido, sia nei ricordi di gioventù che in presa diretta. Nel ricordo Musante amoreggia con Bianca Marsillach su un’altalena mentre la ragazza è legata per i polsi, abbiamo una fellatio appena intuita e un rapido approccio in ascensore. Protagonista delle scene erotiche più piccanti è la bella e convincente Bianca Marsillach, attrice che purtroppo è stata (come la sorella Cristina) poco più che una meteora. Quando la scena si svolge al presente abbiamo Musante e la Antonelli che scopano sul tavolo di sala in una sequenza molto intensa, lui toglie con delicatezza gli slip di lei fino a mostrare le parti più intime della bella attrice. Molto perverse le scene che vedono Musante legato al letto con Laura Antonelli in uno strip sensuale che la fa restare in mutandine e calze nere, dopo essersi sfilata una vestaglia di seta. Lo strip si conclude con la donna che lega l’uomo per i polsi usando le calze di seta. Laura Antonelli non è più giovanissima ma è sempre bella e sprizza sensualità da tutti i pori.
 
 
Stupenda quando si veste si veste di rosso per la cena, perfida e folle durante la colluttazione, quando l’uomo si ribella e lei ricopre il suo corpo di uova di rosso caviale. Cristina Marsillach mostra le sue acerbe grazie mentre pulisce Musante dalla pietanza che lo ricopre. L’erotismo malsano e perverso raggiunge il culmine nella scena in cui Laura Antonelli si alza la veste e si masturba davanti a Musante, mentre la figlia spia la scena dalla porta socchiusa e compie identica masturbazione. Sono sequenze ad alto tasso erotico che ricordano alcuni lavori erotici di Joe D’Amato e di Salvatore Samperi, permeati di atmosfere nere e violente tipiche dei film di sesso e vendetta. Un riferimento che viene salta subito agli occhi è Emanuelle e Françoise - Le sorelline (1975) di Massaccesi e Mattei, dove un uomo veniva recluso in casa per vendetta da una donna in preda a una follia erotica dopo la tragica fine della sorella. Tra l’altro remake di un film greco da noi inedito: La calda vendetta del sesso (1968). Il film di Patroni Griffi è molto più soft e non si lascia prendere la mano da eccessi di nessun tipo, anche se la sequenza della coltellata al petto inferta da Marie a Michael è molto cruda, al punto che sono in primo piano il sangue e la profonda ferita. Le due donne, sempre più complici ma al tempo stesso rivali, decidono di curarlo da sole e di non chiamare un medico. Musante è legato al letto con una catena, amoreggia con la figlia per cercare di farsi liberare, ma ottiene solo di far peggiorare i rapporti tra le due donne, folli di gelosia reciproca. Madre e figlia si picchiano selvaggiamente, la figlia ha la meglio, lega al letto anche la madre e tiene entrambi prigionieri, mentre suona la pianola come un’invasata. Risolve la situazione il provvidenziale ritorno a casa di Hélène, preoccupata del fatto che il compagno era irreperibile, ma soprattutto il figlio, quando entra nella casa - gabbia e trova la patente di Michael. La pellicola ha un finale aperto, oserei dire sospeso, con la Bolkan che riconosce un braccialetto al polso della ragazza e suona con insistenza il campanello della casa dove è imprigionato il compagno. Poca tensione caratterizza le sequenze finali, lo spettatore intuisce che la storia avrà un lieto fine, ma la conclusione mozza lascia l’amaro in bocca ed è forse la cosa peggiore di un lavoro che non può dirsi del tutto risolto.
 
 
Rivediamo Tony Musante - il televisivo ispettore Toma - insieme a Florinda Bolkan quindici anni dopo Anonimo veneziano (1970) ed è l’attore statunitense ad aprire i titoli di testa, mentre Laura Antonelli deve accontentarsi della seconda posizione, prima della bella attrice brasiliana. Tra gli attori di secondo Piano ricordiamo Laura Troschel, moglie di Pippo Franco, nei panni della decorativa segretaria di Michael. La pellicola è girata tra Parigi e la Spagna, con una buona ambientazione natalizia, ma sono molti gli interni alla De Paolis, tali da farne un film teatrale, solo per questo motivo nelle corde di Patroni Griffi. Ottimi i flashback erotici di ambientazione marina, la cavalcata sulla spiaggia, lungo il bagnasciuga e la fotografia degli esterni. Bene anche l’uso del ralenti nelle prime sequenze del rapporto, quando tutto ancora sembra una normale storia d’amore. Un thriller erotico, perverso e claustrofobico, cupo e angosciante, ai limiti del cinema horror, ricco di frasi a effetto che anticipano il precipitare degli eventi: “Forse nella vita ci si perde per ritrovarsi migliori di prima” (Musante); “Un regalo dal quale non potrò mai separarmi” (Antonelli), “Non ti permetterò di dimenticarmi” (Antonelli).

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lunedì 4 gennaio 2016

Gloria Guida. Il sogno biondo di una generazione - Gordiano Lupi, recensione

Gloria Guida. Il sogno biondo di una generazione - Gordiano Lupi, recensione

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Sentieri Selvaggi parla del libro su Gloria Guida




 
Gloria Guida. Il sogno biondo di una generazione
Gordiano Lupi


È il 28 febbraio 1974 quando, per la prima volta, compare sugli schermi italiani Gloria Guida. Nessuno la conosce, a parte qualche appassionato di canzonette. È bellissima, giovanissima e tutti si innamorano di lei. La critica non si entusiasma più di tanto per quel suo film diretto da un quasi esordiente Mario Imperoli e le commissioni di censura capiscono che da lì in poi dovranno fare gli straordinari. Per la ragazza di Merano comincia un tour de force che la vedrà protagonista di ben ventisette pellicole in soli otto anni. Minorenne, in blue jeans, novizia, liceale, ragazza alla pari, affittacamere e infermiera di notte. Ma anche meravigliosa e matura commediante in film di Steno, Capitani, Corbucci e Risi. Poi ci penserà Johnny Dorelli a portarcela via, anche se non del tutto. Fra quelli che s’innamorano di lei c’è un ragazzino: Gordiano Lupi da Piombino che oggi, più di quarant’anni dopo, quasi per un debito di riconoscenza decide di farle un regalo per il suo compleanno, un metaforico mazzo di rose i cui delicati petali sono fogli di carta. Per lei, Gloria Guida. Che è sogno e poesia (perché gli occhi di Gloria e non solo quelli, sono sogno e poesia). Rimpianti di un tempo che non tornerà più, amore cinefilo incondizionato e amore tout court. Questo libro è un omaggio alla divina dallo sguardo dolce e assassino, con il viso stupendo di un angelo tentatore e il corpo che è perfezione d’artista.
[Edizioni Il foglio letterario – pp. 260 € 15,00]
 

venerdì 1 gennaio 2016

Nerone (1976)

di Castellacci e Pingitore


Regia: Castellacci e Pingitore. Soggetto e Sceneggiatura: Castellacci e Pingitore. Fotografia: Sergio Martinelli. Montaggio: Alberto Gallitti. Produttore: Mario Cecchi Gori. Casa di Produzione: Capital Film. Aiuto Regista: Romanzo Scandariato. Musiche: Flavio Bocci. Scenografia e Costumi: Enrico Rufini, Maurizio Tognalini. Distribuzione: Gold. Durata: 105’. Genere: Parodia, Commedia Musicale. Interpreti: Pippo Franco (Nerone), Maria Grazia Buccella (Poppea), Paola Tedesco (Licia), Enrico Montesano (Petronio), Oreste Lionello (Seneca), Paola Borboni (Agrippina), Gianfranco D’Angelo (Tigellino), Paolo Stoppa (Pietro), Aldo Fabrizi (Galba), Bombolo (Roscio), Piero Santi (Vinicio), Gino Staiano (Sporo), Marina Marfoglia (Atte), Laura Troschel (Locusta), Massimo Dapporto (Cristiano liberato), Attilio Dottesio (centurione), Giancarlo Magalli (Presidente del Senato), Carmen Russo (Lucilla), Valentino Simeoni, Bruno Vilar (centurione), Franco Caracciolo (travestito), Alba Maiolini (cuoca), Tony Morgan, Gino Pagnani (informatore), Massimo Vanni (pittore).


Il primo film del Bagaglino a tratti sembra riecheggiare Mio Figlio Nerone (1956) di Steno, interpretato da Alberto Sordi, anche per il trucco usato da Pippo Franco nel prestare il volto alla maschera dell’imperatore romano più calunniato della storia. In realtà Nerone è una critica all’impostazione accettata dalla vecchia pellicola, che seguiva la ricostruzione cristiana di una follia imperiale e di un assurdo incendio di Roma. Castellacci e Pingitore mettono in scena una commedia musicale divertente e provocatoria che sfida la censura per le tesi anticristiane, al tempo minoritarie e adesso ritenute valide da molti storici. Nerone era un imperatore atipico, aveva il pallino per la musica, il teatro e le arti, ma i veri colpevoli dell’incendio di Roma furono proprio i cristiani. Non solo: ai danni di Nerone, la madre Agrippina, il luogotenente Tigellino e la moglie Poppea ordirono una vera e propria congiura, con la collaborazione di Senato e Seneca. Certo, in Nerone tutto è messo in burletta, stile Bagaglino, a base di anacronismi, battute zeppe di luoghi comuni e populismo a buon mercato per stigmatizzare (all’acqua di rose) la politica italiana di fine anni Settanta. La forza del prodotto cinematografico - che si gusta ancora in televisione - sono gli attori. 


Pippo Franco è uno straordinario Nerone con il vizio dell’arte; Aldo Fabrizi un Galba vecchio e pieno di acciacchi che non vorrebbe fare il colpo di Stato (ricorda il golpe Borghese); Oreste Lionello è un Seneca che parla con accento meridionale e filosofeggia in maniera comica; Enrico Montesano è uno straordinario Petronio, vero e proprio dandy che si circonda di froci e di viveuer, ma lui stesso è il simbolo di una cultura decadente. Paolo Stoppa è un diligente Pietro che si atteggia a rivoluzionario e cospira contro Nerone, come se fosse un segretario del Partito Comunista Italiano. Gianfranco D’Angelo è un comico Tigellino dal pugno di ferro, che ricorda la macchietta pubblicitaria dell’Amaro Petrus. 


Troviamo persino Giancarlo Magalli a dirigere le adunanze di un ridicolo Senato, rappresentato per criticare la litigiosità del nostro Parlamento. Bombolo si esprime con la consueta veracità romanesca ed è perfetto in un ruolo sboccato e volgare. Paola Borboni (una perfida Agrippina) mostra il seno nonostante l’età, ma la sequenza è una citazione storica, perché fu l’artefice del primo scandalo teatrale per colpa di un seno nudo (Alga Marina, 1925). Paola Tedesco si mostra come mamma l’ha fatta, stupenda venticinquenne in carriera, in due rapide sequenze, prima in cella, quindi mentre arringa gli uomini di Petronio e si converte al paganesimo. 


Maria Grazia Buccella è una svampita Poppea - pure lei molto disinibita -  che fa il bagno nel latte e sogna di recitare il ruolo di Elena al fianco di Nerone. Laura Troschel è la maga che vende finti veleni per tenere buona la clientela e non perdere cospicui guadagni; Carmen Russo in una rapida apparizione ha il tempo di mostrare un fulgido seno nudo, così come si nota appena Marina Marfoglia. Bagaglino d’eccezione con partecipazioni speciali oltre a volti noti in gran forma, per una sceneggiatura pungente e graffiante, piena di doppi sensi, che non mostra mai la corda. Notevoli gli intermezzi musicali e coreografici.


Mario Castellacci (Reggio Calabria, 1924 - Todi, 2002) e Francesco Pingitore (Catanzaro, 1934) sono due importanti autori teatrali di matrice umoristica, noti per aver fondato il mitico locale romano del Bagaglino, in via Panico (1965). Scrivono testi e sceneggiature comiche, portano il Bagaglino in televisione per molti anni (Salone Margherita) e al cinema con due regie cinematografiche: Remo e Romolo (Storia di due figli di una lupa) (1975) e Nerone (1976). Scrivono molti film comici. Francesco Pingitore da solo firma più regie, molte per film interpretati da Pippo Franco (popolarissimo dal 1975 al 1983) e alcune sceneggiate insieme a Castellacci: Dipingi di giallo il tuo poliziotto (1970), Scherzi da prete (1977), L’imbranato (1979), Ciao marziano (1979), Tutti a squola (1979),  Il casinista (1980), Gian Burrasca (1982), Attenti a quei…P2 (1982), Il tifoso, l’arbitro, il calciatore (1982), Sfrattato cerca casa equo canone (1983), Gole ruggenti (1992). Seguono diversi lavori televisivi dal 1997 al 2008, per il cambiamento di gusti da parte del pubblico, che un autore commerciale - e ancora attivo - come Pingitore non può non assecondare. Vince nel 2013 il Premio Acqui Storia con il libro Memorie del Bagaglino.

La mia rubrica Cinema su Futuro Europa:
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