mercoledì 31 luglio 2013

Un turco napoletano (1953)


di Mario Mattòli
 
Regia: Mario Mattòli. Soggetto: da Nu turco napulitano (1888) di Eduardo Scarpetta. Sceneggiatura. Sandro Continenza, Italo Di Tuddo, Ruggero Maccari, Mario Monicelli. Produttore: Alfredo De Laurentiis. Fotografia: Riccardo Pallottini, Karl Strauss. Montaggio: Roberto Cinquini. Musiche. Pippo Barzizza. Costumi: Dario Cecchi, Gaia Romanini. Genere: Commedia. Durata: 86’. Colore. Interpreti: Totò, Aldo Giuffré, Carlo Campanini, Isa Barzizza, Primarosa Battistella, Vinicio Sofia, Mario Castellani, Amedeo Girard, Franca Faldini, Enzo Turco, Anna Campori, Nicola Maldacea junior, Guglielmo Inglese, Ugo D’Alessio, Giacomo Furia. 


 
Totò interpreta da par suo la farsa parodistica Nu turco napulitano (1888) di Eduardo Scarpetta, sceneggiata con bravura da Continenza, Maccari, Monicelli, Di Tuddo e girata con diligenza da Mattòli. Il lavoro è molto teatrale, girato in interni, per i pochi esterni a San Felice Circeo, fingendo che sia Sorrento, iniziato come se fosse una commedia recitata a Napoli e concluso con la riverenza al pubblico come un lavoro teatrale che si rispetti. Un turco napoletano è la prima opera di Scarpetta portata al cinema da Mattòli con Totò protagonista nei panni del furbo mariuolo Felice Sciosciammocca, ma seguiranno le altrettanto riuscite Miseria e nobiltà (1954) e Il medico dei pazzi (1954). Eduardo De Filippo e il figlio Luca, in tempi recenti, hanno riportato in teatro il personaggio di Felice Sciosciammocca e le migliori commedie di Scarpetta. 
 

In breve la trama. Felice (Totò) e Faina (Giuffré) sono due furfanti da quattro soldi che si sono conosciuti in carcere, il primo è fortissimo, al punto di evadere piegando le sbarre della cella. Quando i due amici escono di galera, stordiscono e derubano un turco (Sofia), Felice si presenta a Sorrento con i documenti del forestiero e assume il suo impiego. Don Pasquale (Campanini), un ricco commerciante geloso della moglie Giulietta (Barzizza) e della figlia Lisetta (Battistella), ha promesso di assumere il turco raccomandato dall’onorevole Cocchetelli (Castellani). 
 

La lettera del politico parla di un turco eunuco, Don Pasquale è tranquillo, impiega il nuovo arrivato come uomo di compagnia per moglie e figlia. Felice non si fa pregare e accetta volentieri la compagnia i tante donne, senza disdegnare quella di Angelica (Faldini), moglie di Don Ignazio (Girard), amico di Don Pasquale, e della cameriera Concetta (Campori). Don Carluccio, detto l’Uomo di Ferro (Turco), è il promesso sposo di Lisetta, ma durante la cerimonia di fidanzamento, Felice seduce Giulietta e Angelica. Arriva l’onorevole Cocchetelli in compagnia della moglie, in realtà è l’amante francese, Felice la riconosce perché l’ha vista ballare in teatro. 
 

Battuta storica: “Questo viso non mi è nuovo!”, dice Totò mentre guarda il sedere alla donna. Tra le molte battute indimenticabili: “La donna è mobile! E io mi sento mobiliere!”. La pochade tira le fila e finisce in bagarre. Felice viene scoperto, sta per essere cacciato in malo modo, ma riesce a farsi perdonare rompendo il fidanzamento tra Lisetta e Carluccio. La ragazza sposa il suo vero innamorato e il prepotente Uomo di Ferro viene buttato fuori a pedate dall’intraprendente Felice. 
 

Una farsa molto divertente, interpretata da attori in gran forma, gestita con perizia da Mattòli e condotta da un Totò mattatore, coadiuvato da spalle importanti come Aldo Giuffré, Carlo Campanini, Mario Castellani e da bellezze come Isa Barzizza, Anna Campori e Franca Faldini. Piccola parte per Valeria Moriconi nel ruolo di una delle bagnanti. Totò in mezzo alle donne anticipa la commedia erotica in alcune sequenze calde che lo vedono abbracciato a corpi muliebri mentre si tolgono i vestiti. La sequenza al mare con le ragazze che mostrano le gambe ai maschi allibiti precorre i tempi della commedia sexy. Molto buona la musica di Pippo Barzizza, notevole la canzone - scritta da Totò - Carmè… Carmè..., interpretata da Nicola Maldacea junior. Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle): “Pur utilizzando un testo teatrale forte, Mattòli riesce perfettamente a inserire le divagazioni linguistico - surreali di Totò, impagabili chicche di comicità sensuale e popolaresca. Sfolgorante fotografia ferraniacolor di Karl Strauss, reduce dal successo chapliniano de Le luci della ribalta”. 


Morando Morandini (tre stelle per la critica, quattro stelle per il pubblico): “Memorabile scena in carcere dove, condannato a morte senza saperlo, Totò scambia il becchino per un sarto. Commedia dell’arte a 18 carati. Regia, scene e costumi omogenei senza gravi cadute di gusto”. Tre stelle anche per Pino Farinotti, che non motiva ma si limita a sintetizzare la trama. La bravura di Totò e degli attori napoletani che fanno da contorno ci spingono a pensarla come il pubblico e a concedere quattro stelle. 



Gordiano Lupi

Tex e il Signore degli Abissi (1985)

di Duccio Tessari  
 

Regia: Duccio Tessari. Soggetto: Gianluigi Bonelli (numeri 101 - 102 - 103 Tex). Sceneggiatura: Giorgio Bonelli, Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari. Montaggio: Mirella Mencio, Lidia Bordi. Fotografia: Pietro Morbidelli. Musica: Gianni Ferrio. Costumi: Walter Patriarca. Scenografia: Antonello Geleng, Walter Patriarca. Effetti Speciali: Paolo Ricci. Stunt Director: Nazareno Zamperla. Operatore di Macchina: Franco Proto. Aiuto Regista. Martin Sacristan, Gabriella Carosio. Assistente alla Regia: Giorgio Bonelli. Consulenza Dialoghi: Selma Dell’Olio, Gianni Galassi. Organizzazione: Gioacchino Marano, José M. Rodriguez, Paolo Bistolfi. Produttore Esecutivo: Enzo Porcelli. Delegati di Produzione: Gabriella Carosio, Pino Ferrarini. Produzione: Rai Tv 3, Cinecittà. Distribuzione: Sacis. Durata. 104’. Genere: Western. Interpreti: Giuliano Gemma, William Berger, Carlo Mucari, Isabel Russinova, Flavio Bucci, Peter Berling, Aldo Sambrell, José Luis De Villalonga, Riccardo Petrazzi, Pietro Torrisi. Esterni: Spagna. Interni: Teatri di Posa Cinecittà. 
 

Tex e il signore degli abissi (1985) è un film che Tessari non avrebbe dovuto fare, anche se è un prodotto meno scarso di quanto si voglia far credere. La produzione tenta di rilanciare lo spaghetti-western e al tempo stesso vuol rendere omaggio al popolare eroe dei fumetti ideato da Gianluigi Bonelli. Giuliano Gemma è il protagonista, ma il cinema western è ormai fuori tempo massimo e il pubblico non premia il coraggio del regista.
 
Tex e il signore degli abissi (1985) rappresenta un’occasione perduta ma forse nessuno avrebbe potuto coglierla, perché gli anni non passano invano. Torna Giuliano Gemma, icona del Tessari-movie, nei panni di Tex, coadiuvato da William Berger (Kit Carson), Carlo Mucari (Tiger Jack), Isabel Russinova (Tulac, la principessa indiana), Peter Berling, Flavio Bucci (capo indiano), Gian Luigi Bonelli (il papà del fumetto nei panni di uno stregone indiano), José Luis de Villalonga (il dottor Warton). 
 

Il film è tratto da una delle storie più belle di Tex, dal taglio fantasy avventuroso, uscita nel 1948 sui fascicoli 101, 102 e 103 del fumetto, scritta da Gianluigi Bonelli e illustrata dal grande Aurelio Galleppini. Il film è sceneggiato da Gianfranco Clerici, Marcello Coscia, Duccio Tessari e Giorgio Bonelli. Il problema sta tutto qui: un film non è un fumetto, certi dialoghi e determinate situazioni credibili in una storia disegnata non vanno bene al cinema. Invece gli sceneggiatori prendono il fumetto e lo riversano su pellicola costringendo Tessari a girare dialoghi improbabili e didascalici. Tex Willer, aiutato da Kit Carson e Tiger Jack, indaga su un traffico d’armi al confine tra Stati Uniti e Messico. Il ranger mezzosangue, chiamato dagli indiani Aquila Nera, sgomina una banda di rapinatori e trafficanti, che assale i trasporti d’armi dell’esercito per rivenderle a una bellicosa tribù indiana. Sono gli indiani Yaquis, capeggiati dal malvagio Signore degli Abissi, che progettano una rivolta contro i bianchi. Gli indiani possiedono una pietra fantastica quanto letale che mummifica istantaneamente i corpi. Tex risolve tutto, come da logica fumettistica, ma i colpi di scena non mancano. 
 

La parte soprannaturale che spesso leggiamo nelle avventure di Tex è salva, ma non la suggestione del personaggio che nella trasposizione filmica perde parte del suo fascino. Giuliano Gemma non si cala a dovere nella parte e Tessari non è consapevole del compito storico di portare al cinema un’icona del fumetto italiano. Il film è un esperimento pilota di una serie che muore sul nascere. Nonostante tutto Tex e il Signore degli Abissi non è così brutto come lo dipinge la critica più autorevole. Dialoghi e sceneggiatura sono fumettistici, il montaggio è lento, ma la colonna sonora di Gianni Ferrio è ottima, gli effetti speciali di taglio horror sono  interessanti, le scene acrobatiche ben fatte, la fotografia è perfetta. 
 

Duccio Tessari gira molto bene gli esterni in un altopiano spagnolo che si presta a ricostruire l’Ovest nordamericano e il confine con il Messico. Sono curate le citazioni e non mancano i riferimenti allo spaghetti western: polvere, vento, sporcizia, case malandate, deserto, fichi d’india compongono un’eccellente apparato scenografico. Particolari gore non stonano nel contesto, la ricostruzione dei villaggi western e indiani è ottima, gli inseguimenti sono ben realizzati. La parte in cui entra in scena il Signore degli Abissi sembra isopirata alle scenografie di Bava e Ferroni, ricostruite in studio con un intenso colore rosso fuoco che fa da sfondo. Gli attori sono bravi. Giuliano Gemma è un po’ troppo impostato come Tex Willer, soprattutto quando prende a cazzotti gli avversari. William Berger è un convincente Kit Carson, Carlo Mucari è un discreto Tiger Jack, Aldo Sambrell è nato come cattivo da western, Flavio Bucci è insolito nei panni di un indiano, mentre Isabel Russinova è bellissima come principessa.
 

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Catastrofica versione cinematografica di una delle più belle avventure di Gian Luigi Bonelli. Giuliano Gemma nei panni di Tex è poco convincente e Tessari inadeguato a rendere lo spirito più genuino del fumetto. Il più famoso e amato eroe italiano del West meritava qualcosa di meglio”. Morando Morandini (una stella e mezzo per la critica, due stelle per il pubblico): “Un fantasy avventuroso migliore nella prima parte, grazie anche alla divertente e pittoresca fraseologia bonelliana. Gli effetti speciali della seconda parte non reggono il confronto con gli americani. Ottimo il Carson di Berger, discreto il Tiger Jack di Mucari, poco convincente il Tex di Gemma”. 
 

Pino Farinotti (due stelle). “La realizzazione è modesta sotto ogni aspetto e Giuliano Gemma si rivela del tutto inadeguato”. Marco Giusti su Stracult rivaluta il film dopo una visione televisiva: “Rivisto oggi è divertente. Funziona anche bene come audience in tv”. Galleppini si rifiutò di disegnarne il manifesto. Il film viene presentato a Venezia come la risposta italiana a Indiana Jones. Stroncato da tutti come un fumetto noioso, povero e pedante, rivisto oggi vale i soldi del dvd e il tempo della visione.

Una sequenza horror: http://www.youtube.com/watch?v=vvtUkjMBtcY

Gordiano Lupi 
www.infol.it/lupi

lunedì 29 luglio 2013

Totò, Peppino e le fanatiche (1958)



di Mario Mattòli



Regia: Mario Mattòli. Soggetto e Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Stefano Vanzina (Steno), Furio Scarpelli, Agenore Incrocci (Age). Fotografia: Anchise Brizzi. Montaggio: Gisa Radicchi Levi. Scenografia: Alberto Boccianti. Costumi: Giuliano Papi. Produttori: Isidoro Broggi, Renato Libassi. Musiche: Michele Cozzoli, Johnny Dorelli, Renato Carosone. Durata. 86’. Comico. Bianco e Nero. Interpreti: Totò, Peppino De Filippo, Aroldo Tieri, Mario Riva, Johnny Dorelli, Renato Carosone, Alessandra Panaro, Diana Dei, Rosalia Maggio, Enzo Garinei, Giacomo Furia, Peppino De Martino, Yvette Masson, Fanfulla, Antonio La Raina. Doppiatori: Massimo Turci (Johnny Dorelli), Maria Pia Di Meo (Alessandra Panaro).



Antonio Vignarello (Totò) e Peppino Caprioli (De Filippo) finiscono in manicomio per colpa del logorio della vita moderna, ma soprattutto per via di familiari incontentabili, di capi ufficio indisponenti, di donne troppo disinibite e di vere e proprie manie che rendono la vita difficile. Il film è strutturato come una commedia a episodi tenuta insieme dal blando collante del racconto che Totò e Peppino fanno a un allibito direttore della clinica (Tieri). Aroldo Tieri ascolta le vicissitudini e gli equivoci che hanno distrutto la vita ai due amici, ma a un certo punto mostra come anche lui sia vittima di una mania: ama cucinare manicaretti di cui subito dopo si libera perché mangia solo un panino. Le fanatiche sarebbero le mogli dei due malcapitati, ma anche le figlie, insomma, le donne che frequentano la loro vita. Antonio e Peppino si conoscono per colpa di un incidente causato dalla loro dabbenaggine, campeggiano in un boschetto in attesa di soccorsi e non riescono a combinare niente con due turiste tedesche per colpa di una mania delle mogli: i tranquillanti americani. Niente è salvo, neppure l’onore, perché Antonio e Peppino si addormentano. 

Gli elettrodomestici sono la seconda mania che rovina la vita di Antonio, costretto a pagare esose cambiali prima di vendicarsi della moglie. Gli hobby sono la croce di Peppino, sfruttato dal capo ufficio Mario Riva come domestico, con la scusa di trovargli un passatempo divertente. Le maggiorate che lavorano nell’ufficio di Antonio sono un altro elemento di modernità che contribuisce a far passare dei brutti momenti al povero impiegato, sorpreso dalla moglie e malmenato dalla bella ragazza. Infine la beneficienza, altra mania che colpisce i nostri amici, costretti a vendere biglietti di uno spettacolo dove tutti entrano gratis e a piazzare spille per i poveri orfanelli. Il finale vede i due amici vendicarsi dei familiari e scappare dal manicomio dopo averci rinchiuso i parenti: “Un po’ per uno non fa male a nessuno!”.



Il film presenta un’interessante struttura a episodi, sceneggiata da alcuni mostri sacri del periodo (Steno, Age, Scarpelli, Maccari), ma presenta anche divagazioni da musicarello per la presenza di Johnny Dorelli (doppiato da Massimo Turci quando recita) e di Renato Carosone  che interpretano alcuni pezzi del loro repertorio (Tu vo’ fa’ l’americano, Calypso, Torero...). Un episodio anticipa la commedia sexy, anche se in maniera molto casta, perché la sceneggiatura gioca sull’equivoco tra il regalo di compleanno a sorpresa della moglie e il seno della maggiorata. Molte battute di Totò non presentano lo smalto dei film migliori ma sono efficaci e l’affiatamento con Peppino De Filippo è ad alto livello. Totò alle turiste tedesche: "” siete scapole. Noi siamo scapoli. Perché non facciamo una bella scapolata? Poi da cosa nasce cosa...”. Totò al negoziante. ?Come tratto la tratta se non so di che si tratta?”. 

Mattòli e gli sceneggiatori criticano modernità e mode, la prima pubblicità televisiva che spinge a comprare di tutto (frigorifero, forno, lavatrice, phon, rasoio elettrico...), il rudimentale consumismo fine anni Cinquanta, gli hobby, gli spettacoli di beneficienza e le passioni americane. L’episodio dell’hobby presenta un chiaro riferimento al Tom Sawyer di Mark Twain quando convince gli amici che dipingere la staccionata è un passatempo divertente. 



Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “IL film più brutto della coppia dove i due attori appaiono malinconicamente pieni di buon senso (Fofi), tutti preoccupati di assecondare le leggi e di non infrangerle con la loro comicità. Unici sprazzi di genialità, una sequenza in cui i personaggi parlano soltanto attraverso fumetti che appaiono sulla loro testa e le disavventure prefantozziane di Peppino, costretto dal suo capufficio (Riva) a fargli da imbianchino e giardiniere”. Morando Morandini (una stella e mezzo per la critica, tre stelle per il pubblico): “Una collana di barzellette, poche idee, regia incolore. Solo Totò e Peppino offrono qualche momento esilarante”. Pino Farinotti concede tre stelle, che condivido, perché anche se il film non è un capolavoro, Totò e Peppino sono come il re Mida, trasformano in oro (leggi comicità) ogni cosa che toccano. 


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

domenica 28 luglio 2013

L'insegnante va in collegio (1978)



di Mariano Laurenti
 

La commedia scolastica presenta più volte la Fenech nelle vesti di insegnante e, dopo il successo de L’insegnante (1975) di Nando Cicero, Mariano Laurenti la ripropone nel 1978 con L’insegnante va in collegio. La pellicola è scritta e sceneggiata dal regista con la collaborazione di Francesco Milizia, Franco Mercuri e Annie Albert. La fotografia è di Federico Zanni, il montaggio di Alberto Moriani e le musiche sono di Gianni Ferrio. Interpreti principali: Edwige Fenech, Renzo Montagnani, Lino Banfi, Gianfranco D’Angelo, Alvaro Vitali, Lucio Montanaro, Carlo Sposito, Leo Colonna, Niki Gentile e altri caratteristi tra cui spicca Jimmy il Fenomeno (spazzino isterico). 
 

Il film è girato in Puglia, tra Alberobello e Martinafranca, e una bella fotografia della zona ci fa ammirare i trulli e le località più caratteristiche. La Regione Puglia è uno degli sponsor, così come lo sono il negozio romano di Albanese che veste la Fenech, l’acqua Pejo, il J&B, il Crodino, lo Strega e il Punt e Mes. Come tradizione la pubblicità indiretta non manca. La pellicola non è un sequel de L’insegnante e si può ricondurre al lavoro di Cicero soltanto una comune ispirazione di natura scolastica. Montagnani è un ricco industriale che si trasferisce, insieme alla famiglia e al segretario particolare Banfi, in un paesino dell’interno della Puglia. Qui vive con il terrore di essere rapito mentre il figlio (Leo Colonna) frequenta una scuola privata, dove c’è un professore di ginnastica come Gianfranco D’Angelo e ha un compagno di classe come Alvaro Vitali. La Fenech è Monica, una stupenda professoressa di inglese come tutti vorremmo aver avuto, che mentre insegna fa innamorare gli alunni. Carlo le corre dietro invano per tutto il film e scopre che pure suo padre le sta dando il giro, anche se ha già da badare a una focosa amante (la starlet Niki Gentile). 
 

Il ragazzo è geloso del padre che per stare solo con Monica affitta pure una stanza dove farsi impartire lezioni di inglese, ma alla fine la bella insegnante si innamora dell’allievo. Un bacio appassionato di Carlo durante la rappresentazione dell’Otello alla Fenech-Desdemona fa da coronamento al loro amore. Montagnani viene tradito pure dalla moglie che scappa alle Haway con il segretario Banfi e lo lascia senza una lira (l’industria era sua). Montagnani viene sequestrato da una banda di rapitori che tanto temeva e Alvaro Vitali gli porta via l’amante Niki Gentile che ha scoperto le sue doti nascoste. Gli attori sono tutti molto bravi, a partire da un irresistibile Montagnani che con la solita verve fa una parte da industriale allupato davvero divertente. 


La sua passione per la gnocca è tale che lo fa correre da un letto sicuro come quello di Niki Gentile alla caccia della Fenech che però lo manda in bianco. D’Angelo è un professore di ginnastica nazistoide con baffetti alla Hitler e risatine nervose poco rassicuranti che gli allievi bersagliano di scherzacci. Pure lui ci prova con la Fenech ed è l’occasione per vedere la bella attrice vestita con una succinta tutina da ginnastica molto sexy. “A pettorali sta bene”, è il commento di D’Angelo che dopo uno scherzo finisce addosso alla bella insegnante. Vitali è il principale artefice dei tiri mancini scolastici ai danni di D’Angelo e di Sposito, ma ha inventato pure il trucco della doccia senza l’acqua nell’albergo del padre e lo sperimenta prima sulla Fenech e poi sulla Gentile. La seconda volta il risultato è invidiabile, visto che si porta a letto la bella amante di Montagnani che scappa con lui e molla il compagno. Da ricordare la mise insaponata della bella Niki Gentile sotto la doccia che non fa uscire acqua sino all’intervento salvifico di Vitali. La scena con la Fenech è molto più casta, Leo Colonna sbaglia i tempi tecnici e quando entra in camera lei indossa ancora l’accappatoio. 
 

Edwige Fenech è di una bellezza solare e matura, si spoglia poco, ma la sua presenza è molto sexy. La pettinatura prevede una messa in piega con capelli castani tendenti al rosso, gli abiti sono molto eleganti e quando parla inglese (pur doppiata) è di una sensualità unica. Le scene ad alta gradazione erotica sono poche. Citiamo una parte onirica dove Leo Colonna immagina uno striptease di Edwige Fenech in classe mentre insegna agli alunni il nome inglese della sua biancheria intima. Lo strip è davvero ben fatto, la Fenech si sfila le calze, poi la gonna, infine sbottona la camicetta e resta a seno nudo mentre sorride maliziosa. 
 

Un paio di docce piuttosto caste a seno nudo vedono protagoniste la Fenech e la Gentile, attrice molto sexy che ha lavorato poco nella commedia scollacciata. Ricordiamo anche la recita scolastica con un Otello da burletta recitato da D’Angelo e Alvaro Vitali nei panni di Jago. Desdemona è una bellissima Fenech che piace pure al vescovo chiamato a partecipare alla festa di fine anno. Carlo Sposito è un irresistibile professore dedito alla scorreggia libera che cerca una stanza vuota ogni volta che deve farne una, ma siccome è mezzo cieco finisce per farle tutte in sala professori. 

Il monaco di Monza (1963)




di Sergio Corbucci 




 Regia: Sergio Corbucci. Durata: 101’. Bianco e Nero. Commedia. Soggetto e Sceneggiatura: Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi. Produttore: Giovanni Addessi. Fotografia: Enzo Barboni. Musiche: Armando Trovajoli. Scenografia: Ottavio Scotti. Interpreti: Totò, Nino Taranto, Erminio Macario, Lisa Gaston, Moira Orfei, Giacomo Furia, Fiorenzo Fiorentini, Dany París, Mario Castellani, Gianni Baghino, Clara Bindi, Carlo Delle Piane, Mimmo Poli, Franco Ressel, Adriano Celentano, Don Backy, Marco Morandi, Cristiano Cucchini, Jimmy il Fenomeno, Renato Terra, Tina Gloriani, Roberto Proietti, Miranda Poggi, Maria Badmajew. Doppiatori: Gino Bramieri (Adriano Celentano), Mirella Pace (Moira Orfei). 

 Il monaco di Monza è una parodia dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, diretta da Sergio Corbucci, interessante perché mette in scena tre colossi della comicità come Totò, Nino Taranto ed Erminio Macario, ma anche perché in un breve siparietto comico cita il musicarello, sottogenere di successo che vede in prima fila il fratello Bruno (sceneggiatore del film insieme a Grimaldi). La monaca di Monza di manzoniana memoria è soltanto un pretesto per far sbizzarrire Totò nei panni di Pasquale Cicciacalda, un falso frate (Fra’ Pasquale da Casoria, il monaco di Monza, appunto!) che vaga in cerca di elemosine insieme al fido Mamozio (Macario) per mantenere i suoi 12 figli (della Provvidenza!). Mamozio è un pastore rimasto senza gregge perché si è mangiato tutte le pecore, mentre Totò è così affamato che sogna di mangiarsi il cane arrosto. A un certo punto il finto frate si trova coinvolto nel rapimento a scopo matrimonio che Don Egidio (Taranto) compie ai danni della marchesa del Grillo (Gastoni), la cognata rimasta vedova.
 

Le gag tra Totò e Nino Taranto sono esilaranti, in un film teatrale giocato sulla bravura dei protagonisti che interpretano un avanspettacolo di taglio storico - letterario. Il monaco di Monza alla fine salva dalle nozze obbligate la bella marchesa, grazie all’intervento di un gruppo di suore inferocite. Totò interpreta due personaggi: il finto frate e Don Manuel, soldato spagnolo innamorato della marchesa che nell’ultima sequenza risolve la situazione. Il film è quasi tutto girato in interni, ma una delle poche scene esterne riprende il solito castello di Balsorano, tempio del gotico italiano.  




Il monaco di Monza è una commedia, quasi una farsa, ma presenta elementi da horror comico durante la visita alla cripta dove Don Egidio ha fatto morire una serie di frati fedifraghi. Da qui la battuta di Totò: “Ma lei è criptomane!”. Il dialogo esilarante tra Taranto e Totò, in questa fase del film, è da antologia del cinema comico. Adriano Celentano (doppiato da Gino Bramieri!) e Don Backy sono due finti frati che cantano La carità, una canzone divertente per invitare gli avventori a fare l’elemosina. Carlo Delle Piane è un oste che duetta con Totò su questioni di naso, visto che entrambi gli attori sono dotati di un naso importante. La comicità è spesso surreale e giocata su anacronismi: “Io sono un monaco vero, iscritto ai sindacati”; “Sono un vero monaco: guardi sulla Guida Monaci”. Totò a Macario: “Ai confini del tonto ci sei tu…”. Ma anche: “Il morto lo veglia lui che è vegliardo”. I dialoghi tra i protagonisti sono irresistibili. Nino Taranto: “Mio padre era molto magnanimo”. Totò: “E che si magnava?”. 
 

Inutile cercare in un film come questo approfondimento psicologico dei personaggi, sceneggiatura priva di difetti, logica e persino solida struttura. Non si troveranno. Il monaco di Monza va gustato per quel che è: avanspettacolo. Ricordiamo la presenza di due bellezze, per l’occasioni in abiti molto casti, come Lisa Gastoni e Moira Orfei (doppiata da Mirella Pace), che interpreta addirittura una suora. Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Parodia abbastanza scontata, vagamente debitrice al Manzoni e sceneggiata da Bruno Corbucci e Gianni Grimaldi, ma letteralmente infarcita di giochi di parole e calembour capaci di strappare più di una risata”. 
 

Morando Morandini non si spreca in valutazioni ma conferma una stella e mezzo, aggiungendo le due stelle del pubblico, che a mio giudizio sono anche tre, se non quattro. Pino Farinotti concede due stelle ma non motiva. La critica contemporanee a distrugge il film, scrive sciocchezze simili: “Totò fa un film peggiore dell’altro e l’ultimo è sempre inferiore al precedente”. Risparmio il nome di un tale solone, sconfessato dai fatti, visto che Il monaco di Monza, rivisto a distanza di due lustri fa ancora sbellicare dalle risate. 


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

sabato 27 luglio 2013

Totò nella luna (1958)




di Steno

 
Regia: Steno. Soggetto: Lucio Fulci, Steno. Sceneggiatura: Sandro Continenza, Ettore Scola, Steno. Fotografia: Marco Scarpelli. Montaggio: Giuliana Martelli. Musiche. Alessandro Derevitsky. Scenografia: Giorgio Giovannini. Aiuto Regista: Mariano Laurenti. Produttore: Mario Cecchi Gori. Durata: 94’. Bianco e Nero. Genere: Comico - Fantascientifico. Interpreti: Totò, Ugo Tognazzi, Luciano Salce, Sandra Milo, Sylva Koscina, Agostino Salvietti, Renato Tontini, Giacomo Furia, Jim Dolen, Richard Mc Namara, Anna Maria Di Giulio, Francesco Mulè, Ignazio Leone. Doppiatori: Rosetta Calavetta (Sandra Milo), Maria Pia Di Meo (Sylva Koscina), Riccardo Mantoni e Nando Gazzolo (Voci Anellidi). 


Totò nella luna (1958) di Steno è una parodia dei film di fantascienza scritta dal regista con la collaborazione di Lucio Fulci. La pellicola è interessante sia per gli effetti speciali fantascientifici (ai nostri occhi risibili) che per numerosi elementi che anticipano la commedia sexy. Tra le interprete femminili ricordiamo l’affascinante Sylva Koscina (la figlia di Totò) e la bella Sandra Milo (una spia avvenente), mentre tra gli uomini sono memorabili le macchiette di Ugo Tognazzi e Luciano Salce (una divertente spia tedesca). Tognazzi è un fattorino scrittore di romanzi di fantascienza, innamorato della bella figlia di un editore (Totò), che dovrebbe pubblicare il suo ultimo lavoro: Il razzo nello spazio


Nel sangue del fattorino viene scoperto il glumonio, sostanza che lo rende adatto ai voli spaziali, per questo gli americani sono disposti a pagare una grossa cifra per spedirlo sulla luna. L’editore, contrario al fidanzamento tra il fattorino e la figlia, cambia atteggiamento perché pensa di poter sfruttare a suo vantaggio la dote del futuro genero. Il sale del film è la commedia degli equivoci. La trama è pensata per mettere in parodia molti film di fantascienza: Uomini sulla luna (1950), di Irving Pichel; La morte viene dallo spazio di Paolo Heusch, distribuito nel 1958, tema identico ma in chiave seria; L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, 1956. 





I nemici che vengono dallo spazio sono gli Anellidi, che clonano i nostri eroi con dei “cosoni” piuttosto stupidi e imbranati, ma finiscono per spedire nello spazio il vero editorie con una copia dello scrittore. Totò si adatta a vivere sulla luna ma solo dopo aver ottenuto  che il clone dello scrittore diventasse una bella ragazza. Le due protagoniste femminili mostrano con abbondanza le loro grazie, certo, tutto va commisurato ai tempi. Interessante notare che nei panni di aiuto regista troviamo Mariano Laurenti (L’infermiera di notte, 1979 - con Gloria Guida e molte altre commedie sexy), una collaborazione che serve ad apprendere il mestiere. Luciano Salce è giovanissimo, molto bravo nella parte della spia tedesca che vuole ibernare i due malcapitati e spedirli sulla luna. Francesco Mulè - anche lui alle prime interpretazioni - convince nei panni di un imbranato vigile urbano. Sandra Milo è un elemento sexy importante, perché la sua mise in costume prima di un tuffo in piscina e le gambe nude per farsi fotografare dall’editore sono uno spettacolo sconvolgente. 

Sylva Koscina



Totò è l’editore della rivista Subrette e anche questo elemento fornisce la scusa al regista per immortalare bellezze da copertina. Totò fa riferimento agli adolescenti e ai militari come pubblico di riferimento per mostrare donne seminude nelle pagine della rivista. Il finale è ancora una volta sexy, perché Totò si adatta a vivere sulla luna, a patto che gli extraterrestri trasformino Tognazzi in una bella ragazza in bikini. Ugo Tognazzi non è ancora l’attore di spiccata personalità che diventerà negli anni Settanta, la sua interpretazione ricorda il personaggio che recita parodie e sketch televisivi in coppia con Raimondo Vianello. In questo film compare nudo in un paio di brevi sequenze - quando il “cosone” spaziale prende il suo posto - e mostra le natiche in sella a una bicicletta. 

Sandra Milo


Lucio Fulci utilizzerà questa esperienza come sceneggiatore per girare 002 Operazione Luna (1965), una parodia bondiana scritta da Amedeo Sollazzo e Vittorio Metz. Il film è una sorta di sequel di 002 Agenti segretissimi, interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, due ladri imbranati spediti nello spazio per un incredibile sbaglio di persone. Molti elementi fanno venire a mente, a livello di citazione, la coppia Totò - Tognazzi che giganteggia in Totò nella luna. 


Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Il soggetto di Lucio Fulci e Steno sembra servire solo alle due coprotagoniste per mostrarsi un po’ discinte. Unico pezzo d’antologia la sequenza in cui Tognazzi fa una vera e propria imitazione del modo di parlare di Totò”. Morando Morandini (due stelle per la critica, tre stelle per il pubblico): “Parodia strascicata dei film di fantascienza per colpa di una sceneggiatura con battute grassocce e doppi sensi sfacciati. Si salvano gli assolo di Totò e i suoi duetti con Ugo Tognazzi che gli fa da spalla”. Fa bene il pubblico a non fidarsi della critica, perché quello che Mereghetti e Morandini considerano un limite è per me motivo di assoluto interesse.  
 

Fantafilm: “ Nella filmografia di Totò le parodie dei generi di successo sono molto frequenti. Non poteva mancare una parodia dei film di fantascienza. Il soggetto ha qualche originalità e qualche interessante annotazione di costume (i primi passi delle pubblicazioni “vietate ai minori” e il riferimento a una già diffusa stampa di fantascienza), ma, ovviamente, il film finisce col diventare veicolo per la dirompente comicità di Totò, assecondato, qui, con intelligenza da un giovane Tognazzi e da una schiera di bravi caratteristi”. Condivido in pieno le tre stelle assegnate da Pino Farinotti nel suo Dizionario, anche se il noto autore riassume la trama ma non si sforza di dare un giudizio critico. 

Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=XqBTBifyt8A

 




venerdì 26 luglio 2013

La svastica nel ventre (1977)



di Mario Caiano
Regia: Mario Caiano (William Hawkins). Soggetto e Sceneggiatura: Mario Caiano, Gianfranco Clerici. Fotografia: Sergio Martinelli. Montaggio: Gian Maria Messeri. Musiche: Francesco De Masi. Scenografie: Fiorella De Simone, Mario Sertoli. Trucco: Raul Ranieri, Nerea Rosmanit. Aiuto Regista: Eduardo Salerno. Direttore di Produzione: Carlo Bigazzi. Produzione: Filmes spa. Distribuzione: Fida Cinematografica. Durata. 93’. Eastmancolor. Interni: Stabilimenti Incir - DE Paolis. Esterni: Dobbiaco - Alto Adige. Prima Nazionale: 28 gennaio 1977. Genere: Sexploitation (Nazierotico). Interpreti: Sirpa Lane, Giancarlo Sisti, Marzia Ubaldi, Roberto Posse, Gianfilippo Carcano, Piero Lulli, Cristiana Borghi, Renata Moar, Margherita Horowitz, Gudrun Gundelach, Isabella Russo, Sarah Crespi, Gaetano Russo, Giovanni Di Benedetto, Gloria Piedimonte, Piero Caretto, Rita Moscatelli, Gianfranca Dionisi, Mike Morris. 

 

La svastica nel ventre di Mario Caiano è uno degli ultimi film del sottogenere più vituperato della storia del cinema italiano: il nazierotico, che molti chiamano naziporno, ma anche erossvastica (David Pulici), nazisploitation, nazipornosoft e chi più ne ha più ne metta. Mi limito a fornire solo poche nozioni per inquadrare il fenomeno, ché di questo si tratta, rimandando per approfondimenti al saggio di Corrado Artale (Nei campi di concentramento), contenuto in Tutte dentro! (Bloodbuster, 2013). Il cinema nazierotico rappresenta la deriva in eccesso di tre opere d’autore: Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, Salon Kitty (1975) di Tinto Brass e Salò o Le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini. Va citato come precursore anche l’originale Camp 7 - Lager femminile (Love Camp 7) di R. Lee Frost (1969), che resta un comune film di spionaggio con alcune scene sexy e momenti di blando sadismo. Non dimentichiamo l’illustre antecedente di Ilsa la belva delle SS (1974) di Don Edmonds, interpretata dalla giunonica Dyanne Thorne, che inaugura la stagione del prison movie. Tutto quello che nei tre film di Brass, Cavani e Pasolini era appena accennato e funzionale alla storia, nel filone nazierotico viene esibito senza limiti e in maniera spesso gratuita. In realtà non è così vero, perché Salò resta uno dei prodotti più disturbanti del nostro cinema, così come Salon Kitty non lesina in esibizione di torture e deformità, ma tutto viene giustificato da intenzioni alte, estetiche, persino ideologiche, in ogni caso lontane dalla filosofia della exploitation

Il piatto forte del nazierotico sono le torture all’interno dei campi di concentramento femminili, le case di tolleranza per ufficiali tedeschi, le sevizie su giovani ebree, le torture gratuite, le scene di lesbismo, i rapporti contronatura, le violenze carnali, le uccisioni barbare e i massacri. Il sottogenere dura lo spazio di tre stagioni (1975 - 1978), a parte alcuni episodi fuori tempo massimo e - in tempi recenti - un fugace ritorno di Bruno Mattei. Gli autori più rappresentativi di questo cinema di serie B sono: Bruno Mattei, Mario Caiano, Paolo Solvay (Luigi Batzella), Sergio Garrone, Rino Di Silvestro, Cesare Canevari, persino Aristide Massaccesi che si cimenta in una singolare versione porno (Salon Kiss, 1994). 
 

In questo pezzo analizzo l’unico nazierotico diretto da Mario Caiano (1933), figlio d’arte del produttore Carlo, autore del nostro cinema di genere che si destreggia tra peplum - mitologici (Ulisse contro Ercole, 1962; Goliath e la schiava ribelle, (1963), Maciste il gladiatore di Sparta, 1964…), western (Le pistole non discutono, 1964; Sette pistole per un massacro, 1967; Un treno per Durango, 1968…), decamerotico (I racconti di Viterbury, 1973 - firmata Edoardo Re) horror (Amanti d’oltretomba, 1965; Ombre roventi, 1970), poliziotteschi (A tutte le auto della polizia, 1975; Milano violenta, 1976; Napoli spara, 1977…) e in tempi recenti film televisivi (Un bambino in fuga, 1988 - 1990…). Il nazierotico rappresenta uno strappo alla regola nella sua filmografia, tant’è vero che firma La svastica nel ventre con uno dei suoi pseudonimi anglofoni: William Hawkins, in puro stile Aristide Massaccesi. Vediamo la trama di questa pellicola, che non può considerarsi tra le peggiori del sottogenere, vista la cura con cui è realizzata a livello di  immagini e di colonna sonora. 
 

La giovane ebrea Anna (Sirpa Lane) vive spensierata tra le montagne dell’Alto Adige ed è fidanzata con un militare tedesco, ma quando scoppia la guerra viene catturata dalle SS che uccidono la madre e internano il padre. Nel campo di concentramento si dipana la consueta trama da nazierotico: dottoresse che godono esplorando il sesso delle detenute, militari che violentano, kapò lesbiche, ufficiali nazisti depravati, aguzzini che torturano. Anna è molto bella, fa innamorare un colonnello nazista masochista che per proteggerla la promuove direttrice di un bordello per militari, dopo che aveva fatto la puttana per soldati nel campo di concentramento. 
 

Il fidanzato ritrova Hannah, ma lei non vuole essere salvata e lo lascia partire per il fronte, anche se in ultima analisi si pente e cerca di fermarlo. Troppo tardi, ché il treno sta partendo. Molto bello il finale, anche se irreale. Anna compie un gesto eroico, dopo aver ucciso il protettore: scende le scale del bordello intonando una canzone ebrea, spara a un generale e viene freddata da un nazista. I nazisti cantano l’inno nazionale sul corpo del generale avvolto da una bandiera mentre una serva ebrea copre il corpo della ragazza uccisa. 
 

Gli esterni del film sono girati in Alto Adige, la scena in cui la ragazza corre verso il treno del fidanzato per fermarlo è ripresa in mezzo alla neve della stazione ferroviaria di Dobbiaco. I dialoghi troppo artefatti sono il punto debole di una pellicola che gode di una solida sceneggiatura, di buone riprese in esterno e grande colonna sonora. Si potrebbe fare a meno di inutili filmati d’epoca e di sequenze belliche di repertorio, ma servono a conferire veridicità alla storia. Molto è derivativo: il bordello per nazisti è preso da Solon Kitty, mentre le sequenze nel campo di concentramento sono estrapolate dai prison movie che l’hanno preceduto. Interessante il contrasto tra le sequenze romantiche iniziali - sottolineate da una languida musica di sottofondo - con i due ragazzi che fanno l’amore in riva a un lago di montagna e la durezza di quel che accade dopo. 
 

La finlandese Sirpa Lane (1955 - 1999, alias Sirpa Salo) è piuttosto brava, la ricordiamo interprete de La bestia (1975) di Walerian Borowczyk  (Romilda inseguita dal mostro), ma anche in Papaya dei Caraibi (1978) di Joe D’Amato. Roger Vadim dice che è “la nuova Bardot”, per la somiglianza fisica con l’attrice francese, ma la sua carriera si limita a film erotici di modesto livello. Muore di Aids a Formentera nel 1999. Non male Giancarlo Sisti come ufficiale nazista sadomasochista che ama travestirsi da donna quando fa l’amore e si eccita nel vedere la sua donna truccata da soldato. Molte le scene a rischio di taglio censura, tra le più disturbanti ricordiamo lo stupro iniziale, il massacro di una prigioniera (Cristiana Borghi) a colpi di bastone, l’ispezione vaginale da parte della dottoressa del campo di concentramento e la sequenza del cane che vorrebbe familiarizzare con la detenuta. 
Rassegna critica. Corrado Artale (Tutte dentro, Bloodbuster, 2013). “Diretto con buon mestiere e fra i più quotati del filone… c’è il bordello per soldati tedeschi, ci sono le sevizie, c’è l’amore malato tra un gerarca e la detenuta di turno… i momenti gore non mancano, ma la violenza è soprattutto psicologica…”. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Anche il cinema di serie B cerca di sfruttare il filone aperto da Portiere di notte e Salon Kitty: al centro c’è la solita equazione nazismo uguale sadomasochismo, con la donna ridotta a oggetto sessuale; ma qui il voyeurismo è bilanciato da un po’ di moralismo (di grana grossa ma non spregevole), e per fortuna mancano le elucubrazioni finto intellettuali della Cavani o le giustificazioni viscontiane di Brass”. Morando Morandini e Pino Farinotti omettono l’esistenza della pellicola. Fanno male. A mio parere il film presenta una sola caduta di stile quando Anna, prima di morire, racconta la battuta sul pisello di Hitler, l’unico disoccupato di Germania
 

Marco Giusti (Stracult) è condivisibile: “Uno dei prodotti meno trash del filone porno-nazi, con un cast dignitoso, la bellissima Sirpa Lane reduce da La bestia, Cristiana Borghi alle prime armi, la guapa della tv Gloria Pindemonte, caratteristi come Piero Lulli, un buon regista come Mario Caiano”. Nocturno Cinema: “Tra le sequenze migliori lo scorticamento di Cristiana Borghi dopo essere stata legata nuda a un tavolo e massacrata col manganello e lo stupro iniziale, uno dei più crudi di tutto il filone”. Titoli esteri: Destine d’une femme (Francia, Belgio), Esvastica en el vientre (Spagna), Nazi Love Camp 27, Fraulein SS (Germania). Si consiglia la visione integrale della pellicola, perché la versione che passa in televisione (anche su Iris) risulta tagliata all’inverosimile. In rete abbiamo reperito questa: http://www.youtube.com/watch?v=Q7wXoAKGGPw.


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi