venerdì 15 dicembre 2023

A tu per tu (1984)

 di Sergio Corbucci

Sergio Corbucci (Roma, 1927 - 1990), dirige un numero incalcolabile di pellicole, spaziando tra i generi più popolari del cinema italiano, ma soffermandosi sulla commedia, rendendo scostumata la commedia di costume e portandovi la parolaccia a ruota libera e il riso di grana grossa (Enrico Giacovelli). Troppo azzeccata la definizione per non riportarla integralmente.

A tu per tu (1984) non è tra i suoi lavori memorabili, tant’è vero che da anni non la vedevamo passare sul piccolo schermo. Benemerita Cine 34 che ha colmato una lacuna, mettendola in programmazione a dicembre 2023, in seconda serata. A tu per tu è farsa poliziesca, girata in un periodo di decadenza cinematografica, interpretata da Johnny Dorelli, Paolo Villaggio, Adriano Pappalardo, Marisa Laurito, Marilda Donà e Moana Pozzi (piccolo ruolo da comparsa sexy, prima del passaggio al porno). Dorelli è un finanziere in bancarotta che coinvolge nei suoi intrallazzi un ingenuo tassista come Villaggio. Una pochade fuori tempo massimo a base di equivoci, travestimenti, scambi di persona che strappa timidi sorrisi fino al rocambolesco finale. I personaggi sono cuciti sugli interpreti, perché Dorelli è l’arrogante quanto fascinoso imprenditore che non ammette repliche al suo volere, mentre Viallaggio è un tassista imbranato con una personalità remissiva a metà strada tra Fantozzi e Fracchia. Marisa Laurito viene imbruttita parecchio per recitare il ruolo da moglie del tassista che si prende come amante il muscoloso Adriano Papalardo. Moana Pozzi s’intravede nel letto di Dorelli (poi di Villaggio) come amante a bordo dello yacht, accanto alla sodale Tracy Spencer (pure lei un futuro nel porno), notevole bellezza di colore. Piccolo ruolo anche per Marilda Donà - starlet della commedia sexy -,  come amante di Dorelli, che s’ingegna a far toccare le cosce dure come il marmo di Carrara al timido tassista. Franco Russell recita come notaio del magnate ed è l’ultima interpretazione in carriera perché muore due mesi dopo la fine delle riprese. Pellicola on the road, strutturata come una commedia gialla, a base di inseguimenti polizieschi e mafiosi, cacce all’uomo e spericolate piroette in elicottero e in automobile. A tu per tu è ambientato tra Liguria (Sanremo, con la finzione che sia Rapallo o Genova), Lazio (Roma), il varesotto, la Francia (Mentone) e la Svizzera (Lugano). A livello di curiosità riconosciamo un appartamento già usato nel cinema italiano, per la precisione da Verdone nel film Borotalco, qui abitazione del finanziere in fuga.


La critica non è mai stata tenera con Sergio Corbucci, considerato un regista popolare che si lascia prendere la mano da volgarità e turpiloquio. Roberto Poppi è inflessibile: “In molte occasioni dimostra troppa accondiscendenza ai gusti di un certo pubblico e certi produttori, calcando il pedale su volgarità e turpiloquio del tutto gratuiti, che contribuiscono allo scadimento della commedia italiana e, in generale, del cinema cosiddetto medio. Gianni Canova è meno caustico: “Sergio Corbucci è regista di consumato mestiere dotato di felice intuito per imbastire storie popolari di sicura presa nei confronti del pubblico. Siano film con Totò, spaghetti-western, fortunate commedie, polizieschi partenopei, sono quasi sempre successi . Porta al successo attori come Adriano Celentano, Johnny Dorelli, Renato Pozzetto, Paolo Vilaggio ed Enrico Montesano”. Sergio Corbucci dice di se stesso: “Sono uno che supplisce con la quantità alla mancanza di qualità”. A parere di chi scrive non è così vero, perché la sua commedia semplice e spontanea, anche se sboccata, conserva il pregio della spontaneità.

Malignant (2021)

 di James Wan

Non è facile trovare un horror originale di questi tempi, anche perché nel campo della narrativa e cinematografia dell’orrore è stato già detto tutto, ma a volte basta raccontare identiche storie con stile diverso, adattare situazioni al mutare dei tempi. Il malese (naturalizzato australiano) James Wan - autore di saghe di successo come Saw, Insidious, The Conjuring, Aquaman … - gira una storia inquietante scritta con Akela Cooper (sceneggiatrice) e Ingrid Bisu, un horror psicologico e soprannaturale, molto violento, che si merita il divieto ai minori di anni 14. Il Covid limita le potenzialità di visione nei cinema, ma il film (uscito in ritardo) in compenso viene passato su diverse piattaforme; noi l’abbiamo visto in Prima Tv su Rai 4, il canale digitale Rai dedicato a horror e thriller. La storia narra una simbiosi assassina tra due gemelli siamesi (Madison e Gabriel) uniti in uno stesso corpo e l’improvviso risveglio dell’entità maschile racchiusa nel cranio della ragazza, dopo un’operazione non del tutto riuscita. Per anni si era creduto che Gabriel fosse l’amico immaginario di Annabelle e che la ragazza soffrisse di disturbi psichici, invece si trattava del gemello  infernale, che chiedeva vendetta verso la madre, colpevole di averlo abbandonato. Non possiamo raccontare altre per non rovinare il gusto di vedere un film che gode di buoni effetti speciali e che - come ai tempi dello splatter - è un trionfo di sangue e omicidi, compiuti grazie a un pugnale dalla lama affilata. Fotografia scura, cupa e angosciosa, come merita il tema della pellicola, musica inquietante, montaggio sincopato, da thriller orrorifico che non concede scampo, con sequenze ad alta tensione. Ottime le parti oniriche, quando Annabelle pare sospesa in un mondo irreale, perché il gemello infernale la obbliga a colpire servendosi di un corpo in comune. Azzeccato l’uso del flashback e della dissolvenza, così come il regista non rinuncia al piacere di narrare una storia, costruendo una sceneggiatura degna di questo nome all’interno di una cornice horror. Una tantum non solo effetti speciali e una catena di omicidi fine a se stessa, tutto è legato dal collante solido dell’amore fraterno e filiale, dalla tragedia di dover combattere contro noi stessi, in questo caso il peggior nemico. Da vedere, se amate il genere. Reperibile su RaiPlay.

Regia: James Wan. Soggetto: James Wan, Ingrid Bisu, Akela Cooper. Sceneggiatura: Akela Cooper. Fotografia: Michael Burgess. Montaggio: Kirk Mori. Musiche: Joseph Bishara. Scenografia: Desma Murphy. Costumi: Lisa Norcia. Produttori: Michael Clear, James Wan. Produttori Esecutivi: Ingrid Bisu, Han Lei, Peter Luo, Eric Mc Leod, Judson Scott. Case di Produzione: Atomic Monster, Boom Entertainment, Boom Studios. Interpreti: Annabelle Wallis (Madison Mitchell), George Young (Kekoa Shaw), Jacqueline McKenzie (Florence Weaver), Ray Chase (Gabriel, voce), Maddie Hasson (Sydney Lake), Michole BrianaWhite (Regina Moss), Jake Abel (Derek Mitchell).

mercoledì 13 dicembre 2023

Cinquant'anni di Amarcord

 L’autobiografia lirica di Amarcord

Amarcord (1974) è un’autobiografia lirica, il film più poetico di Fellini, un punto di arrivo difficile da eguagliare e impossibile da superare. La pellicola rappresenta il quarto Oscar ottenuto dal regista, racconta la Rimini dell’adolescenza, il periodo del liceo e soprattutto l’Italia degli anni Trenta. Protagonista di Amarcord  è una città intera, trasfigurata dal ricordo, il quartiere San Giuliano di Rimini ricostruito a Cinecittà, i suoi grotteschi abitanti, le feste patronali, le adunate fasciste, la scuola, le donne facili, i giovani del paese, gli ambulanti, le prostitute e i matti. Il personaggio di Titta Biondi e la sua famiglia servono a Fellini per ricordare il passato e ricostruire gli anni della sua adolescenza, per scrivere un romanzo di formazione su pellicola che è la storia dell’incontro con la vita. Il tono della narrazione è amichevole, colloquiale, ma poetico, come se il regista raccontasse il periodo dell’adolescenza seduto a cena con vecchi amici. Il film è ambientato in una dimensione fantastica, tra mani che annunciano la primavera e nevicate che simboleggiano il grande freddo, immerso in ricordi lontani, rumori di auto che sfrecciano per le Mille Miglia, il passaggio del Rex e l’improvvisa apparizione di un pavone. Fellini racconta - come Proust - il tempo perduto ed è la cosa che sa fare meglio, sospendendo i ricordi in un’atmosfera sognante. Fellini è autore che sente più congeniale l’analisi poetica dell’intimo, del piccolo mondo antico, rispetto alla critica sociale. I suoi lavori indimenticabili si realizzano quando trova la forza di guardare al passato con malinconica nostalgia, mettendo su pellicola i sogni a occhi aperti, le ansie e i dubbi. Tra le parti migliori di Amarcord segnaliamo le scene ambientate nelle aule del liceo, una raccolta di assurde tipologie di insegnanti e di alunni, esempio da imitare per i registi che frequenteranno il sottogenere scolastico - più o meno alto - negli anni Settanta - Ottanta.  Alcuni personaggi sono indimenticabili: l’Aldina (Donatella Gambini) che fa innamorare i ragazzi, la madre di Titta (Pupella Maggio, doppiata in romagnolo da Ave Ninchi) che muore in ospedale e lascia il figlio disperato, il padre anarchico (Armando Brancia), la bella Gradisca (Magali Noël), la tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi) che Sergio Martino citerà alcuni anni dopo in un film con Gigi e Andrea (Acapulco prima spiaggia a sinistra), Teo lo zio matto (Ciccio Ingrassia) che si mette su un albero, grida: “Voglio una donna!” e scende solo quando arrivano le infermiere.

Il cinema Fulgor e le pellicole in bianco e nero degli anni Trenta sono un altro protagonista del film, rappresentano l’adolescenza del regista segnata dall’amore per il grande schermo. Le confessioni al prete, i ragazzini che si toccano pensando alla tabaccaia, alla Gradisca o alla compagna di scuola, le suggestioni del cinema e delle prime visioni femminili, i turbamenti davanti alla vita che cambia. Fellini descrive le adunate fasciste, i discorsi retorici, le bastonate ai dissidenti e le canzoni patriottiche. Il Grand Hotel di Rimini è un altro protagonista, nei racconti impossibili della voce narrante che ricorda una notte d’amore di Gradisca con un principe e un emiro con trenta concubine.

Non dimentichiamo il mare d’estate che cambia il volto di Rimini, i tramonti rosso fuoco, i ragazzi che si trasferiscono sulle spiagge e sognano incontri con ragazze. “Tu e il babbo come avete fatto a conoscervi? E il primo bacio?”, domanda Titta prima di concludere disperato che lui non combina niente. La malattia della madre di Titta è un momento di grande poesia girato ricorrendo a silenzi e a inquadrature di spalle, senza mostrare volti sofferenti. Il regista sottolinea il grande vuoto nel cuore del marito e del figlio, anche se in vita i litigi erano all’ordine del giorno. Il funerale a piedi, la tristezza del padre, la casa vuota, tutto è costruito ad arte per rappresentare il dolore. La pellicola alterna momenti leggeri a episodi drammatici, ma sa restare in equilibrio senza cadere nella farsa o nel patetico. Il matrimonio di Gradisca nel casolare di campagna è un altro momento intenso che si conclude con la corsa dei ragazzini dietro l’auto di un simbolo erotico che li abbandona. Senza Gradisca si sentiranno un poco più soli e rimpiangeranno le sfide con le palle di neve che avevano per bersaglio un invitante fondoschiena.

Fellini scrive Amarcord con la collaborazione di Tonino Guerra. Il film miscela bene amore, odio e nostalgia, rilegge il passato fascista, mostra la mediocrità del regime ma anche del popolo che l’ha accettato. Vediamo i fascisti con l’olio di ricino, ma anche i maschi che insidiano donne, inventano balle e fanno scherzi stupidi. Tutto è vissuto attraverso la storia dell’adolescenza di Titta  (Bruno Zanin) in una cittadina romagnola degli anni Trenta. Il film è girato completamente a Cinecittà, persino le sequenze del passaggio notturno del transatlantico Rex.

Le musiche di Nino Rota e la fotografia di Giuseppe Rotunno perfezionano una pellicola che si guadagna l’Oscar come miglior film straniero. Amarcord non manca di suscitare polemiche da parte dei perbenisti che lo giudicano zeppo di parolacce e di situazioni spiacevoli. Le femministe criticano il personaggio interpretato da Magalì Noël (Gradisca) senza storicizzarlo, mentre i cattolici si scandalizzano per il seno florido di Maria Antonietta Beluzzi. Segnaliamo una grande interpretazione drammatica di Ciccio Ingrassia nei panni del matto e il volto stralunato di Alvaro Vitali tra i compagni di liceo. Amarcord sbanca il botteghino e fa record di incassi anche negli Stati Uniti.