di Daniel
Díaz Torres
Regia: Daniel Díaz Torres. Soggetto: Tamara Morales. Sceneggiatura:
Eduardo Del Llano, Daniel Díaz Torres. Fotografia. Raúl Pérez Ureta. Montaggio:
Manuel Iglesias. Musica: Lucía Huergo. Suono: Esteban Vázquez, Osmany Olivare. Scenografia: Aramís Balebona. Costumi: Alicia Arteaga. Trucco: Magdalena Alvarez. Effetti Speciali: Reynier
Cepero Perez. Produzione: Daniel Díaz Ravelo per ICAIC (Cuba). Altri
produttori: SK Films, Jaguar Films S.A., Ibermedia. Distribuzione: ICAIC (Cuba). Durata: 100’. Genere: Commedia. Interpreti:
Laura de la Uz, Yuliet Cruz, Tomás Cao, Michel Ostrowski, Tobias Langhoff, Blanca
Rosa Blanco, Paula Ali, Yerlin Perez, Rodolfo Faxas, Enrique Molina. Premi:
Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano 2012: Miglior
Interpretazione Femminile, Miglior Sceneggiatura, Miglior Distribuzione in
Latinoamerica, Premio del Circolo di Cultura della UPEC.
Ana (Laura de la Uz) è un’attrice di scarso successo e
di modeste possibilità economiche che si adatta a lavorare per modeste
produzioni televisive. Per un caso del destino si presenta l’opportunità non
solo di recitare la parte di una jinetera
(prostituta per turisti, una sorta di escort
cubana) in un documentario tedesco, ma anche di girare buona parte del lavoro
all’interno del povero quartiere in cui vive.
Ana filma un vero e proprio
reportage all’interno del mondo della prostituzione, scavando sulle motivazioni
profonde, mettendo in luce mancanze e ristrettezze del periodo speciale. Si
scopre grande attrice, al punto di affermare che la parte della jinetera è il miglior ruolo della sua
vita, ma anche ottima regista, superando il marito che sogna il successo
girando cinema surreale. Il film di Ana è realistico e crudo, mette in primo piano
la vita quotidiana di una Cuba in ginocchio per colpa di embargo, restrizioni e
scelte sbagliate del governo. La storia assume aspetti melodrammatici e
sentimentali, quando vediamo l’amore del regista tedesco per Ana e la rabbia
del produttore raggirato dalla furba cubana che non ha filmato cinema verità,
ma si è limitata a far recitare amici e conoscenti.
Daniel Díaz Torres, scomparso il 16 settembre 2013, ci
lascia il suo testamento spirituale, girando forse il suo primo film
realistico, ispirato alla lezione della miglior commedia latinoamericana ma
anche al neorealismo italiano di Zavattini e De Sica. La pelicula
de Ana è cinema nel cinema, i
protagonisti sono una coppia che vive nel mondo della celluloide: la moglie è
attrice, il marito un regista in crisi di ispirazione. Operazione di metacinema in più parti, quando la
troupe tedesca filma l’intervista alla finta jinetera interpretata da Ana, istruita da un’amica che fa la vita,
ma anche quando il regista indugia su sequenze di telenovelas e riprende una sala montaggio improvvisata in un
appartamento.
Il realismo delle situazioni è sottolineato da un
scelta linguistica ben precisa: i protagonisti cubani non parlano castigliano,
ma avanero de barrio, uno slang poco
comprensibile per un orecchio non allenato. Laura de la Uz è interprete
straordinaria che raffigura l’orgoglio della donna cubana, indomita e
battagliera, disposta a tutto pur di risolvere le situazioni difficili. Non ha
bisogno di un uomo, che comunque è al suo fianco, sa fare senza di lui, è
un’attrice che s’improvvisa regista e risulta migliore del maestro. La vita
quotidiana è sempre in primo piano: storie di liti tra vicini, parenti che
vivono all’estero e tornano in patria a fare gli spacconi, ragazzine che fanno
la vita per campare, giovani donne sposate con stranieri brutti e vecchi pur di
fuggire. Vediamo un’amica jinetera
che vive in un quartiere poverissimo, ma la sua casa è ben arredata ed è zeppa di
souvenir europei perché è stata sposata con un tedesco. Al contrario, Ana, attrice
in televisione, con il misero stipendio non riesce neppure a comprare un
frigorifero. Sono le incredibili contraddizioni della società cubana.
Daniel Díaz Torres e lo sceneggiatore Eduardo del
Llano compongono un affresco veritiero della Cuba quotidiana, senza dare giudizi
moralistici, senza prendere posizione, ma solo facendo parlare le immagini,
documentando la realtà. Il film è un coacervo di generi, la commedia si lascia contaminare
dal realismo drammatico, dal sentimentalismo, da un pizzico di erotismo e dal
crudo documentario. Il regista riprende con dovizia di particolari la vita di
un quartiere della capitale: il ballo all’aperto, la caldosa (un minestrone saporito) cucinata per le feste del CDR (Comitato di Difesa della Rivoluzione), i
palazzi cadenti, lo spettacolo del lungomare che lascia debordare le acque
sulla lunga carreggiata. Un poetico finale suggella una pellicola che
rappresenta bene la poetica di un regista scomparso troppo presto. Fotografia
anticata, luce ocra color pastello, una macchina corre sul Malecón, qualcuno
grida frasi sconvenienti ad Ana, che prima alza il dito indice della mano
sinistra, poi piega il pollice come a indicare libertà, quindi fa il solito
gesto con la mano destra e compone una macchina da presa surreale con la quale
sogna di filmare la scena. Ana ha deciso il suo futuro, mentre alle sue spalle compare
la bandiera cubana e si vedono due bambini, speranza per un futuro migliore.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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