di Luchino Visconti
Regia:
Luchino Visconti. Soggetto: Enrico Medioli. Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico,
Enrico Medioli, Luchino Visconti. Fotografia: Pasqualino De Santis. Montaggio:
Ruggero Mastroianni. Aiuto Regista. Albino Cocco. Versione Italiana: Mario
Maldesi. Direttore della Produzione: Lucio Trentini. Produttore. Giovanni
Bertolucci. Case di Produzione: Rusconi Film spa (Roma), Gaumont International
sarl (Parigi). Ispettore di Produzione: Federico Tocci. Segretario di
Produzione: Federico Starace. Assistenti Regia: Giorgio Treves, Louise Vincent,
Alessio Girotti. Segretaria di edizione: Renata Franceschi. Assistenti
Montaggio: Lea Mazzocchi, Alfredo Menchini. Operatori alla Macchina: Nino
Cristiani, Mario Cimini. Assistenti Operatori: Marcello Mastrogirolamo, Gianni
Maddaleni, Adolfo Bartoli. Fotografo di Scena: Mario Tursi. Fonico: Claudio
Maielli. Microfonista: Decio Trani. Aiuti Scenografi: Ferdinando Giovannoni, Nazareno
Piana. Arredatore: Carlo Gervasi. Trucco: Alberto De Rossi, Eligio Trani.
Parrucchieri: Maria Teresa Corridoni, Aldo Signoretti. Sarte: Maria Fanetti,
Giuseppina Delli Carpini. Dati Tecnici: Technicolor - Girato in Todd-Ao.
Esclusività E.C.E. Roma. Teatri di Posa: Dear spa, De Paolis srl.
Registrazioni: International Recording spa. Voci: Cine Video Doppiatori.
Edizioni Musicali: Curci (Milano) Brani Musicali di Wolfang Amadeus Mozart: Vorrei spiegarvi, oh Dio! - soprano
Emilia Ravaglia; Sinfonia Concertante K
364 - violino Josef Suk, viola Josef Kodousek, Orchestra da camera di
Praga. Scenografia. Mario Garbuglia. Arredamento: Dario Simoni. Costumi: Vera
Marzot. Musiche: Franco Mannino (dirette dall’autore). Abiti: Yves Saint
Laurent (Berger); Fendi (sartoria) e Piero Tosi (idea) (Mangano); Sartoria
Tirelli (altri attori). Effetti Speciali: E. e G. Bacciucchi. Paesi di
Produzione: Italia, Francia. Interpreti: Burt Lancaster, Helmut Berger, Silvana
Mangano, Claudia Marsano, Stefano Patrizi, Elvira Cortese, Philippe Hersent,
Guy Trejant, Jean Pierre Zola, Umberto Raho, Enzo Fiermonte, Romolo Valli,
George Clatot, Valentino Macchi, Vittorio Fanfoni, Lorenzo Piani, Margherita
Horowitz.
La
trama di Gruppo di famiglia in un interno
- penultimo film di Visconti - si riassume in poche righe e non è certo la cosa
più importante. Un maturo professore statunitense (Lancaster) decide di
isolarsi dal mondo nella sua casa romana, ereditata dalla madre italiana,
dedicandosi ai libri, alla musica classica e alla sua collezione di
dipinti. A un certo punto il monotono
incedere della sua vita viene turbato, persino sconvolto, dalla comparsa della
ricca quanto volgare marchesa Bianca Brumonti
(Mangano), che convince il professore ad affittare l’appartamento al piano superiore
per farci vivere Konrad (Berger), il suo giovane amante. Gli eventi successivi
complicano l’esistenza del professore, dai lavori per modificare la casa che
danneggiano il piano inferiore, fino al singolare rapporto erotico che riguarda
Lietta (Marsano), la figlia della marchesa, il compagno Stefano (Dionisi) e
Konrad.
Un atipico gruppo di famiglia in
un interno, dal quale il professore sarebbe escluso per motivi anagrafici e
culturali, nonostante provi un mix indefinibile di attrazione e repulsione
verso i suoi giovani componenti. Il professore grazie al nuovo che irrompe torna
ad apprezzare la vita, dopo un esilio volontario dovuto alla scomparsa degli
affetti più cari (madre e moglie compaiono in rapidi flashback onirici), anche grazie agli eccessi che non condivide. Una
vita che nonostante tutto sta per finire, come il suicidio di Konrad (resta il
dubbio di un omicidio politico) si sforza di sottolineare, mentre la macchina
da presa insiste sul professore che dal letto ascolta i metaforici passi di un terribile
inquilino (la morte) al piano superiore.
Luchino Visconti gira il suo ultimo film personale - due anni
prima di morire e poco prima del convenzionale L’innocente - scrivendo e sceneggiando un soggetto di Medioli,
insieme a Suso Cecchi D’Amico, che si confronta con il mondo contemporaneo, i
problemi politici, il rapporto tra generazioni, la droga, il sesso e la
difficoltà di capire il tempo che passa modificando valori e ideologie. Grande
interpretazione di Burt Lancaster (il personaggio scritto da Visconti è
ispirato a Mario Praz ma è pure autobiografico), che - ben doppiato da Massimo
Foschi - vince un meritato David di Donatello come miglior attore straniero. Helmut
Berger è straordinario come controparte, perfetto per dare un volto e un
carattere a un giovane bellissimo, quanto amorale e privo di scrupoli. Silvana
Mangano si cala bene nei panni della contessa arricchita, volgare e burina, che
conduce una vita dissoluta. Non è un ruolo facile, se si pensa che Audrey
Hepburn aveva rifiutato la parte ritenendola negativa per la sua carriera.
Diligenti
ma non perfetti i giovani Stefano Dionisi e Claudia Marsano (Nastro d’argento
come miglior attrice debuttante), mentre si ricordano i rapidi camei - sotto
forma di flashback - di Dominique
Sanda e Claudia Cardinale. Luchino Visconti gira da maestro un film teatrale,
ben fotografato da De Santis e montato a dovere da Mastroianni, ambientato negli
interni Dear e De Paolis, arricchito da una notevole costruzione scenografica e
una cura certosina per gli arredamenti. Vince un David di Donatello e un Nastro
d’Argento come miglior film, ma vengono premiate anche scenografia e costumi,
che seguono la grande lezione de Il gattopardo.
Pellicola girata in inglese e doppiata in italiano, per l’edizione di Mario Maldesi, che si avvale di una
straordinaria colonna sonora composta e diretta da Franco Mannino, un gradevole
mix di momenti classici (Mozart) e suggestioni pop con brani cantati da Caterina
Caselli (Desiderare, Momenti sì momenti no) e Iva Zanicchi (Testarda io).
Gruppo di famiglia in
un interno a tratti ricorda le suggestioni di Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini,
ma la parte politica e antiborghese è la più datata, quello che non va perduto
sono le considerazioni poetiche come i vecchi
amano il ricordo del mare e la solitudine anche se chi sta solo e cade
non avrà nessuno a sollevarlo. Il carattere del professore viene fuori a
poco a poco per immagini e rapide considerazioni, gli eventi della sua vita sono
narrati a piccole dosi, come brevi ricordi, dalla guerra mondiale alla rinuncia
al lavoro di scienziato, passando per la scomparsa di madre e moglie. Il
messaggio, indenne al tempo che passa, mette in primo piano il rapporto
generazionale, il dialogo tra vecchi e giovani, la voglia di un uomo maturo di
avere un figlio al quale poter insegnare le poche cose che ha imparato.
Il
regista descrive il rapporto complesso tra il professore e Konrad - quel figlio
che avrebbe potuto avere - e tutte le contraddizioni che legano due uomini così
distanti eppure così uniti da un identico afflato culturale. “I vecchi
diventano strani animali, intolleranti, solitari …”, dice il professore al suo singolare
gruppo di famiglia prima di un violento attacco contro la società capitalistica
e borghese, dopo aver espresso tutto il suo disprezzo per la società
consumistica. “Tutto è stato molto peggio di quanto potevo immaginare, ma in
ogni caso voi potevate essere la mia famiglia”, conclude. La parte più intensa
del film vede Burt Lancaster impegnato in un monologo letterario su come una
parvenza di famiglia e la speranza di un figlio sia riuscita a risvegliarlo da
un lungo sonno, allontanando per poco timori e paure. Ma nel finale tutto torna
come prima, anzi, i passi della morte che vaga per le stanze del piano
superiore diventano più intensi e si fanno più vicini. Un film che è invecchiato
molto bene. Da rivedere.
Per vedere il film:
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