di Marco Ferreri
Regia:
Marco Ferreri. Soggetto: Marco Ferreri. Sceneggiatura: Marco Ferreri, Liliana
Betti. Collaboratori alla Sceneggiatura: Massimo Bucchi, Paolo Costella. Fotografia:
Ennio Guarnieri. Colore: Technicolor. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Scenografia:
Sergio Canevari. Costumi: Nicoletta Ercole. Trucco: Luigi Rocchetti. Aiuto
Regista: Paolo Costella. Direttore di Produzione: Maria Grazia Dabalà. Fonico
in Presa Diretta: Jean Pierre Ruu. Produttore:
Giuseppe Auriemma. Organizzatore Generale: Valentino Signoretti. Casa di
Produzione: M.M.D.. Durata: 90’. Genere: Erotico, Grottesco. Interpreti: Sergio
Castellitto, Francesca Dellera, Philippe Léotard, Farid Chopel, Petra
Reinhardt, Gudrun Gundlach, Nicoletta Boris, Massimo Bucchi, Sonia Topazio,
Pino Tosca, Eleonora Cecere, Matteo Ripaldi, Clelia Piscitello, Elena Wiedermann,
Fulvio Falzarano, Daniele Fralassi, Salvatore Esposito.
Marco
Ferreri (Milano, 1928 - Parigi, 1997) è un regista colto e raffinato, più amato
in Francia che nel suo paese, dimenticato dopo la sua morte. Si avvicina al
cinema dopo aver fatto il rappresentante di liquori, comincia dalla pubblicità
e dalla produzione (con Zavattini), conosce il giovane umorista Rafael Azcona e
dà un svolta alla sua carriera. I suoi tre film di esordio - El pisito, Los chicos, El cochecito
(1958 - 60) - sono realizzati in Spagna con la collaborazione di Azcona e
segnano i tratti fondamentali della sua vena autoriale: il sarcasmo e il
grottesco. In Italia segnaliamo, in piena sintonia con l’esordio iberico: L’ape regina (1962) , La donna scimmia (1963), Il professore (in Controsesso) (1964). Ferreri realizza le cose migliori quando usa
sarcasmo, metafora e paradosso, gira film dissacranti basati sul pessimismo nei
confronti di uomo e società, polemizza contro le istituzioni e attacca un
sistema che non condivide. Tra i suoi film memorabili citiamo: La cagna (1971), L’udienza (1971) - in corso di restauro -, La grande abbuffata (1973), Non
toccare la donna bianca (1974), L’ultima
donna (1975), Dillinger è morto
(1968), Ciao maschio (1977), Storie di ordinaria follia (1981), Storia di Piera (1982), Il futuro è donna (1986), Come sono buoni i bianchi (1986), La carne (1991). Trenta film in
carriera, l’ultimo - mai visto - Nitrato
d’argento (1995), lavoro - testamento dedicato a un cinema che non esiste
più.
Abbiamo rivisto La carne, una
delle sue ultime cose, tra le più dissacranti ma anche tra le meno riuscite, che
tenta di far recitare persino una Francesca Dellera, davvero negata per il
cinema impegnato, ma che gode di un Castellitto in gran forma, perfetto per un’interpretazione
sopra le righe. La carne ha come tema
di fondo l’incomunicabilità tra uomo e donna, la distanza abissale che separa
due mondi, due modi diametralmente opposti di intendere la vita. Protagonista
di un film pervaso di umorismo grottesco è Paolo (Castellitto), impiegato
comunale e cantante di piano bar, separato da una moglie che non vuol più
vedere, con due figli e un cane (la sola presenza che rimpiange). Un bel giorno
incontra Francesca (Dellera) - la scelta dei nomi rappresenta bene la dose di
ironia - e per lei abbandona tutto, dal lavoro agli amici, ritirandosi a vivere
nella sua casa sulla spiaggia di Anzio, tra eccessi di sesso e di cibo.
Il film
è pervaso di metafore, dialoghi e situazioni surreali, dal rapporto madre -
figlio, che il protagonista subisce anche dopo la morte, fino all’impossibilità
di sostenere un dialogo con la donna e con gli stessi figli. “Una prima
comunione non si nega a nessuno”, è il leitmotiv
iniziale, quando viene a sapere che la moglie non vuol comunicare i figli e lui
ricorda la madre nel giorno di un sacramento celebrato di nascosto dal padre.
Ma abbiamo anche il solito contrasto con la società dei consumi rappresentato dalla
ingombrante presenza della Coca Cola, così come il rifiuto di pronunciare la
parola osceno, che Ferreri sentiva
spesso ripetere riferita ai suoi film. Molta musica d’autore interpretata da
Castellitto, da Bartali (Conte), a Gesù Bambino (Dalla), passando per Buonanotte fiorellino (De Gregori), Una spiaggia solitaria (Battiato) e Se ti tagliassero a pezzetti (De Andrè),
ma anche qualche bolero sudamericano, Innuendo
dei Queen e qualche pezzo di flamenco rendono interessante la colonna sonora.
Molte
le metafore che oggi rivediamo nei film di Sorrentino, come la donna incinta
che allatta e le cicogne che compaiono nel finale per significare un desiderio represso
di maternità. Infine giunge il solo modo
che ha l’uomo per tenere la donna con sé, per non perderla, assecondare il
desiderio cannibale degli amanti, trasformarla in carne e mangiarla, visto che
è impossibile capirla. La carne è un
film intriso di erotismo viscerale, ben fotografato da Guarnieri, tra poetici
tramonti e albe suggestive sul mare, molto teatrale, girato quasi tutto in
interni. Un lavoro criptico e complesso, che si comprende più oggi che al tempo
della sua uscita in sala, quando i critici erano attenti soprattutto allo
scandalo, mentre il pubblico affollava le sale solo per vedere Francesca
Dellera.
La prorompente attrice di Latina - lanciata da Tinto Brass con Capriccio (1988) - raggiunge il successo
internazionale proprio con La carne,
ma subito dopo comincia la sua fase calante. Ferreri la definisce la pelle più bella del cinema italiano e
lo stesso Fellini la vorrebbe nel suo Pinocchio
- mai realizzato a causa della morte del regista - come Fata turchina. Tullio Kezich afferma entusiasta che quando è vestita sembra nuda e quando è nuda
sembra vestita. Tutti eccessi anni Ottanta, adesso molto stemperati.
Ricordiamo solo che La carne è uno
dei pochi film in cui la sentiamo recitare con la propria voce e non è il
massimo. Per il ruolo di Paolo, Ferreri avrebbe voluto Villaggio, ma in
definitiva Castellitto è perfetto per la parte. Presentato in concorso - con poco
successo - al 44° Festival di Cannes. Non è il miglior Ferreri.
Il mio cinema è su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/dossier/cineteca
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