Massimo
Dallamano (1917 - 1976) comincia come
operatore di documentari e direttore della fotografia, prima di dedicarsi alla
regia con una decina di pellicole abbastanza popolari. Ricordiamo l’erotico Le malizie
di Venere (1969) con Laura Antonelli, il thriller Cosa avete fatto a Solange? (1972), il sexy Innocenza e turbamento
(1974) e il poliziottesco La polizia chiede aiuto (1974). In questo pezzo parliamo di due pellicole ricche di riferimenti horror come Il Dio chiamato Dorian (1970) e Il
medaglione insanguinato – Perché?
(1975).
Il Dio
chiamato Dorian (1970)
Regia: Massimo Dallamano. Soggetto: Il ritratto di Dorian Gray (1890) di
Oscar Wilde. Sceneggiatura: Marcello Coscia, Massimo Dallamano, Günter Ebert.
Fotografia: Otello Spilla. Musica: Peppino De Luca, Carlos Pes. Montaggio: Leo
Jahn, Nicholas Wentworth. Produzione: Samuel Z.
Arkoff, Harry Alan Towers (Italia/ Germania/ Gran
Bretagna). Interpreti: Helmut Berger, Herbert Lom, Richard Todd, Marie
Liljedahl, Beryl Cunnigham, Margaret Lee, Isa Miranda, Eleonora Rossi Drago,
Renato Romano, Stewart Black, Francesco Tens, Stefano Oppedisano, Renzo
Marignano.
Trama: Dorian, un bel giovane ricco e narcisista, ama
Sybil, aspirante attrice. Il ragazzo posa per un ritratto che gli sta facendo
il suo amico pittore Basil. Quando il ritratto finisce Dorian si rende
conto che lui dovrà invecchiare mentre
il quadro resterà immutato nel tempo, ritraendo la sua bellezza. La notte
stessa litiga con Sybil e la scaccia. Il mattino successivo scopre che la sua
immagina nel ritratto appare leggermente stanca, come invecchiata. Dorian
decide di nascondere il quadro e continua la sua vita viziosa, senza
risparmiarsi. Invecchierà soltanto la sua immagine…
La pellicola racconta la storia di Dorian Gray
(Berger), ossessionato dalla possibilità di perdere la giovinezza e innamorato
del suo ritratto, fino a vendere l’anima al diavolo per far invecchiare al suo
posto il dipinto dall’amico pittore Basil (Todd). Dorian è un grande seduttore
di uomini e donne, spinge al suicidio il suo unico vero amore che abbandona per
un sogno di eterna giovinezza, commette omicidi e alla fine si suicida di
fronte al ritratto divenuto mostruoso. Dallamano e Marcello Coscia realizzano
la sceneggiatura di un film cupo e morboso, rielaborando Il ritratto di Dorian Gray (1890) di Oscar Wilde, ma in versione
più ambigua e aggiornata rispetto al precedente lavoro di Albert Lewin (1945).
Il cast è notevole, punta su un bello e maledetto come Helmut Berger, un vero e
proprio angelo del male, ma anche su tante bellezze femminili come Marie
Liljedahl, Margaret Lee, Beryl Cunningham e Maria Rohm. Non sono da
sottovalutare le interpretazioni di Eleonora Rossi Drago e Isa Miranda.
Ricordiamo misteriose soggettive iniziali e una suggestiva fotografia londinese,
oltre a un’inquietante atmosfera onirica. Margaret Lee è un’affascinante e
viziosa nobile che si invaghisce di Dorian, ma nella versione televisiva le
concessioni erotiche sono minime, restano a livello di suggestione. Pellicola
distrutta dalla censura - come accade al precedente Le malizie di Venere - per il tono cupo e l’erotismo malsano di cui
è permeata. Helmut Berger è molto bravo nei panni di un mefistofelico amante
assassino che concupisce le prede per poi liberarsene con efferati omicidi.
L’attore austriaco è al suo quinto film italiano, dopo aver interpretato Le streghe (1967) e La caduta degli Dei (1970) di Luchino
Visconti, ma anche i meno famosi I
giovani tigri (1968) di Antonio Leonviola e Sai cosa faceva Stalin alle donne? (1968) di Maurizio Liverani. Il
lancio definitivo era stato merito di Visconti e anche per questo motivo i
giornali parlavano di una sua presunta ambiguità. Il suo personaggio è quello
di un uomo perverso e affascinante, ma a un certo punto la sua vita diventa un
incubo e viene assalito dal rimorso di aver perso l’unico vero amore. Il lato
horror - misterioso viene sacrificato a vantaggio di una maggior attenzione al
versante erotico. L’atmosfera è suggestiva, sia per la musica psichedelica anni
Settanta, che per una commistione di temi che vanno dal fantastico - colto a
una curata attenzione verso il mondo hippie e borghese del periodo storico.
Fotografia anticata e nitida di Otello Spilla. Molto suggestivo l’incipit: “due
mani tremanti, sporche di sangue, l’acqua che scorre da un rubinetto e cancella
le tracce di un omicidio”. L’operazione estetica di Dallamano è difficile, se
non impossibile. Il suo Dorian Gray non ha niente di innocente e di ingenuo, ma
è un perverso Helmut Berger che si muove a suo agio nei night londinesi,
subisce il fascino di uomini e donne, si lascia trasportare in una spirale di
sesso e decadenza senza limiti. Molte le citazioni prese dall’opera di Oscar
Wilde che impreziosiscono soggetto e sceneggiatura. Pare che il regista
originario avrebbe dovuto essere Jesús Franco, per un film sicuramente nelle
sue corde, soprattutto per le molte concessioni all’eros spinto, anche in
versione omosessuale. incompiuto.
Il Dio
chiamato Dorian è una pellicola
sulla solitudine umana, esistenziale, psichedelica, che indaga sui fantasmi del
passato e sulle colpe di un uomo che si è macchiato di delitti imperdonabili.
La versione integrale del film è reperibile soltanto sul mercato tedesco. In
Italia esistono diverse versioni, tutte più o meno tagliate, ma la più completa
è uscita in dvd per Raro Video. Nel 2008 è uscita una produzione Minerva Video,
facilmente reperibile. Nel 2012 è stata messa in commercio anche la colonna
sonora del film, composta da Peppino De Luca e Carlos Pes, distribuita da CAM.
Il film presenta una location molto sfruttata del cinema italiano: Villa Giovannelli a
Roma, un vero e proprio luogo comune del nostro cinema. Il Dio chiamato Dorian è il primo film girato in loco, ne
seguiranno molti altri, da In nome del
popolo italiano (1971) a Ti amo in
tutte le lingue del mondo (2005). Molte location
esterne sono londinesi, rappresentano la parte più interessante del film che
sfrutta al meglio l’ambientazione inglese. Per approfondire si consiglia di
consultare il Davinotti on line.
Rassegna critica. Rudy Salvagnini (Dizionario dei film horror): “Curiosa
versione de Il ritratto di Dorian Gray
di Oscar Wilde che punta, non senza fondamento, sull’erotismo e sulle
depravazioni più che sull’orrore, restando quindi abbastanza in linea con gli
intenti del romanzo. L’ambientazione contemporanea e la presenza del bello e
maledetto per antonomasia - un Helmut Berger che sembra fatto apposta per il
ruolo - rendono il film interessante, anche se l’andamento sin troppo
prevedibile non aiuta” (due stelle e mezzo). Paolo Mereghetti: “I tempi non
sono ancora maturi per un’operazione di aggiornamento del Dorian Gray classico,
il risultato pare affrettato, superficiale, anche se non manca il divertimento
pop, specie nell’uso delle attrici più attempate” (una stella e mezzo). Pino
Farinotti concede due stelle ma non motiva. Filmscoop: “Il cast fa in pieno il
suo dovere, il film è gradevole, si lascia guardare, ma non va oltre il mero
esercizio di stile. Colpa di una trama risaputa che si discosta solo per un
finale leggermente modificato”. Un film elegante, girato con cura, che concede
molto all’exploitation e alla cultura
psichedelica del periodo storico, ma non rinuncia a cercare la sua strada come
pellicola d’autore.
Il medaglione insanguinato – Perché? (1975) è interpretato da Richard Johnson, Joanna
Cassidy, Nicoletta Elmi, Ida Galli, Edmund Purdom, Riccardo Garrone, Dana Ghia
e Lila Kedrova. La storia narra le vicende di un regista inglese vedovo
(Johnson) che sta girando un documentario sull’arte demoniaca, mentre la figlia
(Elmi) viene catturata dalle forze maligne sprigionate da una pittura
maledetta. La chiave del mistero sembra nascosta in un medaglione che il
regista aveva regalato alla moglie e che adesso la bambina tiene con sé. La
pellicola è ben diretta, ambientata nelle campagne umbre con gusto e
suggestioni da horror edipico - satanico che rimandano con frequenza a L’esorcista (1973) di William
Friedckin. Gli sceneggiatori sono Franco Marotta e Laura Toscano, oggi valenti
autori di fiction televisiva. La
fotografia è di Franco Delli Colli, mentre le ottime musiche sono di Stelvio
Cipriani. Il film gode di una ben precisa originalità ed è caratterizzato da
pregevoli parti oniriche che vedono protagonista Nicoletta Elmi (Emily). La
piccola attrice è molto brava a tratteggiare il personaggio di una ragazzina
innamorata del padre al punto di arrivare a uccidere tutte le compagne della
sua vita. La pellicola si svolge tra Londra e Spoleto, ma è la cittadina umbra
il luogo dell’orrore, tra vicoli stretti, antiche chiese cadenti e campagne
nebbiose. La madre di Emily è morta bruciata, ma solo nel finale la bambina si
rende conto che è stata lei a ucciderla, spinta dall’amore morboso per il
padre. Il terribile abbraccio terminale tra Emily e il padre viene suggellato
dalle parole: “Solo così potremo stare sempre insieme”. Una spada trafigge i
due cuori in una stretta mortale. Un horror edipico in piena regola, cupo e
disperato, inquietante e malinconico, che la stupenda colonna sonora di Stelvio
Cipriani rende ancora più suggestivo.
Il mio cinema, due volte a settimana, su Futuro Europa:
http://www.futuro-europa.it/dossier/cineteca
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