di Stefano Simone
Regia: Stefano Simone. Musiche: Luca Auriemma.
Post-produzione: Stefano Simone. Genere: Documentario. Origine: Italia. Anno:
2016. Formato: 1.77:1. Audio: Stereo PCM. Produzione:
Indiemovie. Durata: 76’. Interpreti: Peppe Zullo, Marco Di Baru, Ciro
Famiglietti, Caterina Melillo, Matteo Perillo (v.o.).
“Non puoi pensare bene, non puoi amare bene, non puoi
dormire bene… se non mangi bene!”, dice Virginia Woolf. Stefano Simone mette la
frase in apertura, quasi a sottolineare che dopo tanto cinema a soggetto e
qualche videoclip musicale, cambia genere e passa al documentario classico. Non
per cavalcare la moda della cucina, argomento molto presente sia nei palinsesti
televisivi che in libreria, debordante persino nella pura fiction cinematografica. Simone si dedica al racconto culinario di Peppe
Zullo perché ha radici profonde con la cultura della sua terra e diventa quasi
la storia di un uomo che ha coronato un sogno grazie a passione e impegno.
Il documentario
ha un taglio classico che interessa e avvince. Lo stratagemma tecnico è far
parlare il protagonista - un vero affabulatore - intervistato da due ragazzi,
alternandolo con i commenti dei due intervistatori con una ragazza che non ha
conosciuto il cuoco. Completa il quadro una voce fuori campo, teatrale ma non
troppo impostata, mai fastidiosa né invadente. Immagini e parole costruiscono la
storia di un uomo che ha cominciato facendo il benzinaio, ha girato il mondo
aprendo ristoranti negli Stati Uniti e in Messico, quindi ha deciso di tornare
a casa per aprire un vero angolo di
Paradiso a Orsara. Un posto delle
fragole culinario, in definitiva, perché il protagonista costruisce il suo
regno nei luoghi dove è stato bambino, servendo in tavola prodotti del suo orto dei miracoli, pesce di fiume e vini
della sua terra. Un documentario ben girato, fotografia limpida, esterni
suggestivi tra la proprietà Zullo e il paesino foggiano, montaggio sincopato,
musica sintetica che ben accompagna le immagini. Abbiamo avvicinato il regista
per avere la sua interpretazione autentica.
Perché
questo repentino passaggio alla non fiction?
Volevo
affrontare per la prima volta un genere che non conoscevo molto, diciamo quasi
per niente. Nonostante avessi visto pochissimi documentari, credevo fosse
interessante affrontare questo formato, anche perché il mio stile è in partenza
molto realistico. L’argomento culinario mi sembrava una cosa del tutto nuova da
affrontare, anche se la mia intenzione era anche e soprattutto raccontare il rapporto
dell’uomo con ciò che la natura offre. Per cui, non potevo non chiamare che
Peppe Zullo, un'autorità nel campo; parliamo del cuoco che ha rappresentato la
Puglia a Expo 2015. Quando l’ho contattato si è dichiarato subito entusiasta e
in poco tempo abbiamo realizzato questo film.
Pensi di
ripetere esperienze di non fiction?
Certo! Ho già in cantiere un altro docufilm che tratta le problematiche dei ragazzi disabili. Inizialmente avevo previsto di girarlo a gennaio, ma la post-produzione de Il mio amico Peppe Zullo ha richiesto più tempo del previsto, per cui ho dovuto far slittare l’inizio delle riprese. Devo valutare quando girare in base ai miei impegni. Alcune riprese di repertorio sono già pronte.
Per un regista è più appagante la fiction o il documentario?
Entrambi.
Sono due formati diversi che richiedono un approccio diverso alla narrazione,
alle riprese e ovviamente al montaggio.
Cosa bolle
in pentola?
Oltre al docufilm
sopracitato, a settembre girerò un lavoro di finzione sul tema del bullismo
scolastico, anche se lo stile sarà estremamente realistico. E poi c’è un altro
bel progetto che m’interessa molto, ma al momento non posso dir nulla. Infine videoclip
e alcuni corti per le scuole.
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