mercoledì 7 agosto 2013

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)



di Elio Petri




Regia: Elio Petri. Soggetto e Sceneggiatura: Elio Petri, Ugo Pirro. Fotografia (technicolor): Luigi Kuveiller. Musica: Ennio Morricone. Direttore Musica: Bruno Nicolai. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Scenografia: Carlo Egidi. Costumi: Angela Sammaciccia. Produttori: Marina Cicogna, Daniele Senatore. Distribuzione: Euro International Film. Durata: 115’. Prima proiezione: 9 febbraio 1970. Incasso: 1.928.248.000. Interpreti: Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Salvo Randone, Arturo Dominici, Aldo Rendine, Vittorio Duse. 




Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è stato restaurato nel 2012 dal Laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Sony Columbia.Un capolavoro del cinema italiano salvato da oblio e distruzione per essere di nuovo proiettato nelle sale francesi il 16 marzo 2011. La pellicola ha fatto discutere molto e ancora divide i critici, ma ha vinto premi prestigiosi: Premio della Giuria a Cannes (1970), Fipresci (1970), Globo d’oro stampa estera (1970), David di Donatello e Grolla d’Oro (1970) a Gian Maria Volonté come migliore attore protagonista, Oscar (1971) come miglior film straniero, Nomination Oscar (1971) per la migliore sceneggiatura, Nastro d’Argento (1971) per migliore attore protagonista (Volonté), Special Award Edgar Allan Pope (1971) per la migliore sceneggiatura mistery. 



Elio Petri gioca con gli strumenti della narrativa di genere per confezionare un film civile, politico, di denuncia sociale. 



La trama. Il capo della squadra omicidi di Roma (“Il Dottore” - Volonté) uccide l’amante - Augusta Terzi (Bolkan) - tagliandole la gola con una lametta durante un rapporto sessuale. Nello stesso giorno è promosso responsabile dell’Ufficio Politico e il suo potere aumenta a dismisura. Proprio per dimostrare a tutti che è un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Il Dottore tempesta di tracce la scena del crimine, elaborando alibi che vogliono solo mettere in crisi il testimone. Lo studente anarchico Antonio Pace (Tramonti) - arrestato nel corso delle indagini per un attentato alla questura - è l’unico che gli tiene testa e lo riconosce come assassino, ma proprio per questo motivo viene rilasciato. 


Il Dottore va in crisi, ma il suo delirio di onnipotenza è talmente grande da spingerlo a confessare l’omicidio ai colleghi, ma nonostante tutto resta impunito. Almeno così pare, in un grottesco doppio finale che vede l’uomo sognare una riunione con i suoi capi mentre gli impongono di provare la sua colpevolezza, quindi lo assolvono. Il secondo finale resta in sospeso, con la citazione di Kafka: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano”. Una lettura superficiale del film potrebbe farlo classificare una detective story, tra l’altro narrata al contrario, perché sin dalle prime sequenze si conosce il nome dell’assassino. Al regista e allo sceneggiatore Ugo Pirro, invece, interessa denunciare l’arroganza del potere, utilizzando gli strumenti di giallo, commedia e grottesco in maniera funzionale a un discorso civile. 




Il testo è fortemente politico, ben calato negli anni Settanta, con la polizia braccio forte di uno Stato che mette sullo stesso piano delinquenza comune, protesta sociale e lotte giovanili condotte dalla sinistra extraparlamentare. Non è certo un film di destra - come hanno detto alcuni critici poco accorti - ma è una pellicola che vuole stigmatizzare i metodi di certa polizia che arresta, picchia, estorce confessioni e non comprende i motivi del malcontento sociale. Il film è strutturato per flashback: il commissario e l’amante che giocano a ricostruire sequenze di delitti, il gioco erotico del poliziotto che interroga la sua donna, la sequenza delle telefonate sexy tra i due amanti, la sfida sul piano erotico, le metafore della morte, le trasgressioni del protagonista, il sadomasochismo, il voyeurismo, la gelosia… I flashback descrivono la personalità del reo, aiutano a comprendere il suo bisogno assoluto di potere, i vizi privati che contrastano con le ipocrite pubbliche virtù, ma anche il rapporto morboso che lega i due amanti, fino all’inevitabile autodistruzione. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un film grottesco e psicanalitico che raggiunge il culmine nel surreale finale onirico che assolve il protagonista e gli impone di confessare la sua innocenza


Film civile e realistico ma dotato di una forte componente fantastica e surreale, caratterizzato da una colonna sonora indimenticabile composta da Ennio Morricone, girato con carrelli, zoom, soggettive (numerose), piani sequenza (mai ingiustificati e dosati con parsimonia) ed eleganti movimenti di macchina. Film raffinato, esteticamente perfetto, fotografato da Kuveiller con grande perizia e montato a ritmi giusti da Mastroianni. Gli attori sono ottimi. Una spanna su tutti il grande Gian Maria Volonté, con una recitazione sempre sopra le righe, perfetta per il personaggio. Florinda Bolkan è fotografata in tutta la sua bellezza, mai rassicurante, ben calata nella parte della perversa divoratrice di uomini, sensuale, depravata, morbosa. Orazio Orlando è uno stralunato poliziotto, Salvo Randone un credibile stagnaro, intimorito dal potere, Sergio Tramonti un discreto studente che sfida il potere, Massimo Foschi un omosessuale troppo di maniera. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un film che mette in primo piano l’Italia post sessantottina, reazionaria e bigotta, incapace di capire le istanze che provengono dal basso. Un film ibrido, a metà strada tra il giallo, la commedia grottesca e la pellicola d’autore.  



Elio Petri regala un cammeo hitchcockiano: è il poliziotto che dorme mentre Volonté fa il discorso di insediamento come capo dell’Ufficio Politico (“La repressione è il nostro vaccino. Repressione è civiltà!”). Il giornalista Patané - protetto dal Dottore - è il futuro giornalista televisivo Fulvio Grimaldi. 



Rassegna critica. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): “Thriller psicanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere che analizza in chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi. Il film attribuisce ai rappresentanti del potere un’eccessiva coscienza (ancorché negativa) del proprio ruolo e della propria funzione e così quello che alla sua uscita sembrò a molti un pregio appare oggi un limite. Resta invece molto convincente, anche per merito della perfetta interpretazione di Volonté, la descrizione di un piccolo personaggio della piccola borghesia meridionale che ha la possibilità di acceso a un potere diverso da quello burocratico e che sfoga nell’autorità le sue repressioni sessuali e di classe (Goffredo Fofi). Capostipite di una serie di film degli anni Settanta basati su funzionari corrotti e patologie da manuale”. 



Morando Morandini (quattro stelle per critica e pubblico): “Invenzione alla Borges per il primo film italiano sulla polizia con uno straordinario Gian Maria Volonté. Calibrata costruzione all’americana del racconto in cui si fondono le due anime, realistica ed espressionistica, di Elio Petri”. Pino Farinotti conferma le quattro stelle, che condividiamo, ma senza compiere alcuna analisi critica. Un libro importante per capire il cinema di Elio Petri è L’ultima trovata - Trent’anni di cinema senza Elio Petri, a cura di Diego Mondella (Pendragon, 2012). Vito Zagarrio si occupa di spiegare in chiave psicanalitica il film di cui abbiamo parlato e lo fa con grande dovizia di particolari. Fabio Zanello, nello stesso volume scrive il saggio Il giallo politico secondo Petri, per giustificare il cinema di Petri come pirandelliana commedia di maschere. “Questo poliziotto è figura tragica, vista l’impostazione caricaturale e l’inadeguatezza dell’uomo di fronte alla maschera del capo e insieme grottesca in virtù della sua incapacità voluta e della goffaggine di insabbiare le prove del suo delitto” (Zanello). 



Il potere non processa se stesso, ma si assolve sempre, trincerandosi dietro alibi surreali. Questa la morale di un film ancora oggi godibile, se storicizzato, ma soprattutto utile per comprendere gli anni di piombo. 


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