mercoledì 21 agosto 2013

I fichissimi (1981)



di Carlo Vanzina


Abatantuono e Calà miti giovanili anni Ottanta
(tratto dal mio libro inedito: Gli eredi della commedia all'italiana - Il cinema dei Vanzina)

 

Regia di Carlo Vanzina. Soggetto e sceneggiatura: Carlo ed Enrico Vanzina. Fotografia: Alessandro D’Eva. Montaggio: Raimondo Crociani e Lidia Pascolini. Musica: Detto Mariano. Scenografia: Giuseppe Mangano ed Emita Frigato. Costumi: Marina Straziota. Interpreti: Jerry Calà, Diego Abatantuono, Simona Mariani, Mauro Di Francesco, Ugo Bologna, Loris Zanchi, Renato Cecchetto, Carmine Franco, Annabella Schiavone, Jimmy il Fenomeno, Barbara Herrera e Fabio Grossi.  



La trama non è certo la cosa più importante di questo quinto film dei Vanzina che decreta il successo cinematografico di Diego Abatantuono e Jerry Calà. Alla fine resta solo un patrimonio di battute, mimica e trovate assurde interpretate da due attori che condizioneranno i comportamenti giovanili dei primi anni Ottanta. Jerry Calà (Romeo) è un milanese purosangue che fa il posteggiatore di auto, mentre Diego Abatantuono (Felice) è un immigrato pugliese (ma afferma di essere milanese ciento pe’ ciento) che sbarca il lunario trasportando frutta. Romeo e Felice sono a capo di due bande rivali che sin dalle prime scene girate in metropolitana si sbeffeggiano a colpi di battute razziste. In questa situazione si inserisce un complesso rapporto amoroso tra la sorella di Felice (Simona Mariani) e Romeo, che il fratello osteggia con tutte le sue forze. Romeo finisce addirittura in galera per aver tentato una rapina al Banco dei Pegni e resta a consolarlo solo l’amico Mauro Di Francesco, collega posteggiatore con la fissa degli States. Romeo scrive lettere su lettere alla sua bella, ma Felice non gliele fa leggere e convince Giulietta a sposare un ricco pretendente. Risolve la situazione il brillante avvocato Colombo (Ugo Bologna), vecchio cliente di Romeo, che con una brillante arringa fa assolvere il ragazzo. Il finale strappa gli applausi al pubblico femminile, perché il sogno d’amore viene coronato. Romeo irrompe in chiesa con un comico ralenti, rapisce la sposa, finge di disonorarla e obbliga Felice ad acconsentire a un matrimonio riparatore. 



Il modello colto di riferimento è lo shakespeariano Giulietta e Romeo, anche se la trama resta un modesto racconto confezionato a uso e consumo dei giovani anni Ottanta. I Vanzina imitano i modelli statunitensi, inseriscono una spruzzata di rock e di disco-music, puntano sull’antagonismo tra settentrionali e meridionali, ma soprattutto inventano uno slang giovanilistico che fa furore.

Marco Giusti su Stracult parla di “evidenti echi dei Guerrieri della notte”, ma obiettivamente non sembra che il film di Walter Hill (1979) venga citato più di tanto, se non in forma molto farsesca. I fichissimi lancia il primo Abatantuono e dimostra che Jery Calà può far cinema popolare da solo, senza l’ingombrante presenza de I Gatti di Vicolo dei Miracoli che lo costringevano a interpretare un cabaret più colto. Rivisto oggi è un film che si segue con interesse, diverte e soprattutto rappresenta un quadro veritiero di un mondo giovanile anni Ottanta. Sono evidenti tutti i limiti semplificatori del cinema vanziniano, ma questo è un difetto di base con il quale dobbiamo convivere. Le pretese non sono alte e gli scopi di regista e sceneggiatore vengono ampiamente raggiunti. 



Il tema conduttore della pellicola resta l’esclamazione viuuulenz!, una sorta di tormentone del primo Abatantuono, presente in quasi tutti i suoi film. Jerry Calà non è da meno quando tira fuori dal cilindro i suoi allucinati: Ciao!, Libidine! Doppia libidine! e Mi acchiappa un casino… 



Sono molte le battute da citare e i dialoghi assurdi, frutto di una collaborazione intensa tra regista sceneggiatore e protagonisti.

Abatantuono giganteggia dall’inizio alla fine, il suo slang è incontenibile, non c’è giovane che non lo conosca e che non provi a imitarlo, a scuola o con gli amici. Tutto questo è indice di successo.



Citiamo alcune espressioni dove la comicità viene fuori da un’operazione di trasformismo e di storpiamento della frase originale: “Siamo nel deserto di Goblin, quello di Dario Argento”, “Non svegliare il babbo che dorme!”, “Io vedo tutto, sento tutto, c’ho gli occhi dappertutto, pure dietro la testa, come i camaleonti. Anzi, come i Dik Dik!”,  “Ma che c’hai dentro al cervello? Gorgonzola rancido?”, “Tu t’illudi! Illusionista…” (che ricorda la comicità di Totò). Notevole quando si rivolge a mamma e sorella per criticare il pranzo: “Mmmh, che profumino! Che avete cucinato oggi, polpette di mmedda?”. Indimenticabile la canzone di Riccardo Cocciante, modificata in “Io rinascerò, cervo di muntagna/ oppure micrerò come un maiale micratore/ come un purcello da scogliera!/ il peperone non si bagna…”. “So’ milanese al ciento pe’ ciento!” è l’immancabile intercalare accompagnato dalla giustificazione che usa il dialetto perché va di moda, perché acchiappa… 

Diego Abatantuono interpreta una sorta di fratello-padrone originario di Bisceglie, che dopo la morte del babbo e in assenza della madre - in visita alla famiglia in Puglia - si occupa dei fratelli minori. Fabio Grossi presta il volto al fratello gay, vittima delle considerazioni acide di Diego Abatantuono, davanti alla foto del padre defunto. Si ricorda la sequenza dei preparativi per la discoteca. Abatantuono: “Io sono pronto! Ma tu come ti sei conciato? E che è, un vestito di Luigi 113 questo?!”. Grossi: “Perché?”. Abatantuono: “Non andiamo mica a ballare il minuetto, andiamo in discoteca. Guarda che così le galline non ti cacano neanche”. Grossi: “Ah, ma guarda che le galline non mi interessano mica, sai!” Abatantuono: “Maronna babbo, guarda: non è venuto né carne né pesce, né maschio né femmina. È ibrido! C’è il babbo che si sta ribaltando dentro la tompa!”. Felice chiamerà il fratello gay sempre con l’appellativo ibrido e questa è una delle trovate più originali di Enrico Vanzina. Felice è tutto preso dal ruolo paterno, crede di dover proteggere il fratello minore dalla droga (ma poi fuma lui la canna), spedisce la sorella al suo piccolo mondo antico (la cucina), perché le donne non hanno diritto di parola, e sorveglia ogni mossa casalinga come un simpatico despota. A una festa in maschera nella discoteca difende la sorella vestito da moschettiere, a colpi di finta spada in un duello improvvisato con un Romeo - Zorro. “Romeo! Già il nome mi sta’ su e balle… e pesantemente!” esclama. 


Jerry Calà esagera come sempre, balla in metropolitana, si agita, strabuzza gli occhi, recita con una mimica sopra le righe, ma riveste un ruolo efficace. Definisce il posteggiatore come un clown triste, perché vede auto di lusso ma non può comprarle. Sono ottimi anche gli scontri generazionali padre - figlio che tentano di far capire l’incomunicabilità generazionale, pur senza scendere in profondità. Romeo va in discoteca vestito di rosso con un cappello stile far west e il babbo non approva. “Ma come parli? Sembri il babbo di Pertini!” dice Calà al padre. In discoteca vediamo Jerry Calà apostrofare Abatantuono (vestito con un giubbotto di pelle con la scritta Toro Scatenato) con epiteti ironico - razzisti: “Giubbotto ripieno di Puglie! Ti faccio un culo come il promontorio del Gargano!”. L’incontro tra Jerry Calà e Simona Mariani è segnato da una battuta storica. Mariani: “Non ci siamo ancora presentati.


 Giulietta, come Giulietta Masina”. Jerry, di rimando: “Piacere, Romeo: come Romeo Benetti”. L’allusione è al popolare calciatore milanista degli anni Ottanta. Una sequenza da ricordare vede i due comici protagonisti di uno scambio di battute. Calà imita lo slang di Abatantuono in maniera molto efficace e quest’ultimo lo definisce “Gigi Sabani dei poveri”. 


Mauro Di Francesco non ricopre un ruolo di grande rilievo, come collega di parcheggio di Romeo, ma è bravo e interpretare un milanese in preda al sogno americano che si sforza di parlare inglese anche se non conosce una parola. Simona Mariani (Giulietta) è bella ed espressiva, peccato che nel cinema italiano sia stata poco utilizzata. Ricordiamo film come Segni particolari: bellissimo (1983) di Castellano e Pipolo, Al lupo al lupo (1992) di Carlo Verdone, Ti amo Maria (1997) di Carlo Delle Piane e Pazzo d’amore (1999) di Luciano Cadore. Ugo Bologna (l’avvocato Colombo) è un buon caratterista milanese che incontriamo spesso nei film dei Vanzina. Sapore di mare (1983) è il suo film più interessante, ma recita un ruolo di rilievo anche in Yuppies - I giovani di successo (1986). Bologna è morto nel 1998, all’età di ottant’anni.

I Vanzina realizzano un buon affresco di come ci si divertiva negli anni Ottanta, salvaguardando la memoria storica della discoteca, luogo di ritrovo e di sonore scazzottate tra bande rivali. Come sempre nei loro film, anche ne I fichissimi non mancano le citazioni cinematografiche, anche se sono soltanto di maniera e vengono inserite all’interno di battute. Rocco e i suoi fratelli, pellicola di Luchino Visconti (1960) in parte ricorda la situazione della famiglia di Felice, anche se molto estremizzata in farsa. In una breve sequenza si cita L’uccello dalle piume di cristallo (1970) di Dario Argento, ma con finalità comiche. I fichissimi resta uno dei film migliori del primo periodo vanziniano, contribuisce a creare due icone comiche come Abatantuono e Calà, fotografa il mondo giovanile di un periodo storico e regala una serie di modi di dire che costituiranno l’ossatura dello slang giovanilistico in voga negli anni Ottanta.  


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
(tutti i diritti riservati)

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