venerdì 20 dicembre 2013

Giallo a Venezia (1979)



di Mario Landi
 
 
Regia: Mario Landi. Soggetto e Sceneggiatura: Aldo Serio. Musica: Berto Pisano. Montaggio: Mario Salvatori. Operatore: Giacomo Testa. Assistente: Giovanni Marras. Fotografia: Franco Villa. Scenografie: Nunzio De Angelis. Trucco: Mauro Gavazzi. Aiuto Regista: Roberto Silvestrini. Fotografo di scena. Giuseppe Botteghi. Fonico: Umberto Picistrelli. Microfonista: Silvio Spingi. Ispettore di Produzione: Marcello Spingi. Segretario di Produzione: Gianfranco Fornari. Costumi: Itala Giardina. Produttore: Gabriele Crisanti per Elea Cinematografica. Distribuzione: Stefano Film. Teatri di posa: Incir De Paolis. Colore: Telecolor. Titoli: Studio: Mafera.
 
 
Interpreti: Leonora Fani (Flavia), Jeff Blynn (Commissario De Pol), Gianni Dei (Fabio), Mariangela Giordano (Marzia – accreditata come Maria Angela Giordan), Vassili Karamesinis (Bruno), Eolo Capritti, Giancarlo Del Duca, Michele Renzullo, Maria Mancini.


Mario Landi (Messina, 1920 - Roma, 1992) comincia come regista teatrale, debutta al cinema con Canzoni per le strade (1949) - film musicale con Luciano Tajoli -, si afferma in televisione dirigendo le serie con protagonisti il Commissario Maigret (Gino Cervi) e l’Ispettore Sheridan (Ubaldo Lai) e molti sceneggiati di ottima fattura, dal 1955 al 1979 (Cime tempestose, Canne al vento, Nessuno deve sapere, Accadde ad Ankara). Tutte cose politicamente corrette, oltre che curate e girate con grande professionalità. Mario Landi porta al cinema il suo Maigret, nel 1966, con Maigret a Pigalle, ma è il solo titolo in sintonia con la produzione televisiva. Roberto Poppi non si spiega come mai Landi abbia girato una manciata di film non proprio eccezionali, alcuni dei quali si ricordano solo per gli eccessi e per il gusto della trasgressione. Tra i titoli peggiori: Le impiegate stradali (Batton Story) (1967), Il viziaccio (1977), Supersexymarket (1979). Gli ultimi due rappresentano il canto del cigno di una gloria dell’erotico casereccio come Femi Benussi, presente anche nel primo titolo, volgare ma ricercato proprio per la sua essenza trash. Si salvano - con un giudizio di sufficienza espresso dal noto critico bolognese - solo il thriller erotico Giallo a Venezia e l’horror Patrick vive ancora (1980).
 

Giallo a Venezia è il lavoro migliore del Landi cinematografico, ma non è facile vederlo in versione integrale, visto che risultano due edizioni, una tagliata di circa dieci minuti, per non parlare di una fantomatica edizione arricchita di inserti porno. La durata del film varia dai 90 (cut) ai 100 minuti (uncut), secondo il tipo di versione impressa su pellicola. Si tratta di un giallo molto sopra le righe, da molti definito “un horror-thriller-splatter-erotico in cui la storia è un pretesto per mostrare scene ai limiti dell’hard e uccisioni violentissime”. 
 
 
Edito in Home Video da Star Video, considerato uno dei film più violenti del cinema italiano, per anni bandito in Germania. Abbiamo un insolito commissario mangiatore di uova - molto americano - interpretato da un diligente Jeff Blynn che indaga su un duplice omicidio. Si parte con la scoperta nella laguna di Venezia di due corpi, un uomo massacrato da colpi di forbici inferti con violenza e una donna annegata dopo un amplesso, ma trascinata a riva nel tentativo di salvarla. Leonora Fani (Flavia) è la protagonista, come al solito torbida e perversa, ma questa volta davvero ai limiti dell’hard. Mariangela Giordano è l’amica che racconta per lunghi flashback le vicissitudini di un amore tormentato tra la ragazza e il suo uomo (Fabio), un perverso e sadico esibizionista. Il giallo si trasforma in un dramma erotico e le parti migliori della pellicola sono proprio i ricordi della Giordano che illustrano con dovizia di particolari un amore malato. 
 

Fabio fa l’amore per strada con la sua donna, ama essere spiato dai passanti, si droga, si abbandona a eccessi sadici, mentre il regista mostra molti rapporti sessuali particolareggiati, a rischio censura. Leonora Fani ci concede la masturbazione femminile più lunga della storia del cinema soft. I tempi sono da giallo televisivo, il vero mestiere del regista, che fotografa bene una Venezia luminosa e decadente, quindi cita se stesso - con ironia - facendo chiamare il suo ispettore da un medico legale: “Caro Maigret”. Un eccesso splatter e gore è l’eccidio di una prostituta da parte di un killer psicopatico che la squarta a forbiciate partendo dall’organo sessuale. La sequenza è molto realistica. Il killer è un innamorato respinto della Giordano ed entra a far parte del mistero. 
 
 
Continuano i flashback sulle perversioni dei due amanti: sodomizzazioni, voyeurismo, sequenze al cinema dove l’uomo fa toccare la compagna da uno spettatore che si masturba (si vede persino il pene eretto), una masturbazione (mimata) di un garzone da parte di Leonora Fani mentre il marito guarda... Tutte le convenzioni del giallo erotico italiano sono spinte al massimo grado, il regista eccede in particolari truculenti ed erotici. Molto truce è l’omicidio della Giordano da parte del killer che prima la lega al tavolo, quindi le sega una gamba e infine la rinchiude in frigorifero divisa in pezzi. 
 
 
Schizzi di sangue e frattaglie varie ricordano lo stile di Lucio Fulci, ma soprattutto di Joe D’Amato, anche se siamo molto più vicini (come risultati) ad Andrea e Mario Bianchi. Il killer non è il colpevole del duplice omicidio iniziale, ma si scopre soltanto nelle rapide scene finali, quando il regista mostra l’ultimo eccesso che il compagno pretende dalla sua donna: farsi scopare come una prostituta da due portuali della Giudecca. Pure questa scena di amplesso è ai limiti dell’hard ed è molto torbida la situazione voyeuristica. La soluzione del mistero arriva nelle ultime dure sequenze: è stata la donna a uccidere il perverso compagno colpendolo con ripetute forbiciate, quindi è annegata e niente ha potuto fare un suo ex innamorato per salvarla. 
 
Giallo a Venezia è un film che si può apprezzare solo in versione integrale, per gli eccessi erotici e splatter, ma che risulta inutile se mutilato delle parti non politicamente corrette. Il giallo è in definitiva interessante, anche se i tempi sono lenti e compassati, ma la sorpresa finale ripaga l’attesa. Leonora Fani e Mariangela Giordano sono molto nude e disinibite, soprattutto la prima non l’avevamo mai vista così disponibile davanti alla macchina da presa. Musiche suggestive di Berto Pisano, secondo Marco Giusti non originali, ma tratte da Interrabang con un tema prelevato da Nude per l’assassino. Distribuzione internazionale. In Brasile come Pesadelo em Veneza. In Spagna come Crimen sin huella
 

Rassegna critica. Marco Giusti apprezza, perché il film è davvero Stracult: “Thriller veneziano diretto da un maestro televisivo, veramente molto spinto, ai limiti dell’hard con una Leonora Fani fantastica che scopa e si masturba per tutto il tempo. È lei che è affiorata dalle acque della laguna morta, dando così il via alle ricerche del commissario Jeff Blynn, che scopre, pezzo dopo pezzo, tutta la storia non proprio edificante sua e del marito Gianni Dei, ucciso proprio dalla moglie prima di annegarsi. Assolutamente da vedere per i fan della Fani. Le scene di tortura a Mariangela Giordano e l’omicidio di una prostituta sono in verità violentissime. E la Fani è sempre nuda. Quando l’ho visto a Trieste mi ha fatto veramente colpo”. Delirium scrive: “Il film più disgustoso mai fatto”. Gomarasca e Pulici su 99 Donne: “Una grandguignolesca pellicola tanto violenta quanto idiota”. 
 
 
Paolo Mereghetti (una stella) stronca di brutto, come era lecito attendersi: “Un poliziotto che mangia sempre uova (Blynn) indaga sull’omicidio di una coppia (Dei - Fani) che aveva esagerato in giochi sadomaso. Merita di essere ricordato (o forse non lo merita) come uno dei thriller italiani più cretini mai realizzati, collage di sequenze porno-soft e di squartamenti di rara efferatezza che cascano nel vuoto, nel puerile tentativo di stupire”. Pino Farinotti porta a due le stelle ma senza motivare. A nostro parere merita una visione storica - con occhio critico - per apprezzare quel che poteva fare il cinema italiano con pochi mezzi, tanta inventiva e uno spirito trasgressivo.




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