sabato 9 giugno 2012

Il mio amico Benito (1962)

di Giorgio Bianchi


Regia: Giorgio Bianchi. Produzione: Mario Mariani per la Cinex spa. Soggetto: Amleto Nobili (idea originale). Sceneggiatura: Luigi Magni, Stefano Strucchi, Oreste Biancoli, Giorgio Bianchi. Montaggio: Daniele Alabiso. Fotografia: Tino Santoni. Musiche: Armando Trovajoli. Direttore di Produzione: Walter Benelli. Collaboratore alla Regia: Michele Lupo. Scenografie: Luciano Ricciari. Arredamento: Riccardo Domenici. Costumista: Lucia Mirisola. Ispettore di Produzione: Mario Milani. Girato: Incir De Paolis. Interpreti: Peppino De Filippo, Mario Carotenuto, Didi Perego, Mac Ronay, Luigi Pavese, Franco Giacobini, Luigi De Filippo, Giuseppe Porelli, Carlo Pisacane (Capannelle), Riccardo Billi, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Tiberio Murgia, Andrea Checchi, Emma Gramatica.


Il mio amico Benito è l’ottavo film interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ma si tratta solo di una comparsata da generici, nel ruolo di due attentatori alla vita di Mussolini, che dura lo spazio di una breve sequenza. Il film di Giorgio Bianchi è una commedia garbata e impegnata, ben ambientata nel periodo fascista, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, che vede mattatore un grande Peppino De Filippo, nei panni di un modesto impiegato con il sogno di fare carriera. Tutto è perfetto sin dalle prime sequenze che inquadrano Peppino De Filippo (l’impiegato Di Gennaro) mentre sale una lunga scalinata per andare a lavoro, con una musica comica in sottofondo sulle note di All’armi siam fascisti. In ufficio non si può dare del lei ma è obbligatorio il voi, come da regola del nuovo regime, e alcune scene dopo vedremo addirittura gli impiegati in divisa militare. De Filippo è una mezza manica derisa da tutti, soprattutto dai perfidi colleghi Luigi Pavese (diligente come sempre) e Luigi De Filippo (il figlio del grande attore napoletano), mentre il solo amico su cui può contare è l’imbranato Mac Ronay (straordinaria maschera lunare).

Peppino De Filippo e Mac Ronay

Lo scherzo più feroce è quello della finta promozione, proprio mentre si sta insediando il vero capo ufficio, il fascistissimo Mario Carotenuto. Il nostro eroe si rende conto che per fare carriera deve prendere moglie, perché non ha fatto la Marcia su Roma, si è iscritto al partito quando è diventato obbligatorio, deve contribuire ai bisogni della patria almeno con i  figli. Altre parti comiche sul tema matrimoniale sono i colleghi che mandano De Filippo in una casa di tolleranza, fissando un appuntamento con una prostituta, e l’incontro con un omosessuale che aveva pubblicato un annuncio sul giornale. Carotenuto è bravissimo come inflessibile capo ufficio, che sospetta di omosessualità De Filippo e finisce per presentargli la sorella Didi Perego (dal patriottico nome Italia) combinando il matrimonio. Ottima l’ambientazione d’epoca, sottolineata dalla canzone Quando canta Rabagliati fa così, musica d’atmosfera e una sala da ballo vecchia maniera. Alberto Rabagliati canta la canzone dal vivo e conferisce un tocco di swing a una spumeggiante colonna sonora composta da Luciano Tajoli. La svolta comica arriva quando il nostro impiegato scopre di aver combattuto la Prima Guerra Mondiale a fianco di Benito Mussolini, perché trova una foto che li ritrae insieme in trincera. La famiglia insiste perché si faccia avanti e chieda un appuntamento al duce per ottenere una promozione e favori per il resto del gruppo. Tra l’altro Carotenuto si è messo nei guai per aver raccontato una barzelletta sul fascismo a un federale ed è stato licenziato dal lavoro. Pretende di riavere il posto grazie all’amicizia di De Filippo con il duce e nel frattempo si insedia a casa sua, ospite non gradito.

Alcune sequenze del film: Carotenuto, De Filippo, Ronay, Franco e Ciccio

La lettera al duce scritta da De Filippo ricorda analoga situazione di Totò, Peppino e la malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque, anche se la vis comica è minore. Alcune battute giocano su facili qui pro quo: “Un’amicizia in trincea nata sul Carso”, dice De Filippo, ripetendo due volte la parola Carso. Tiberio Murgia è un siciliano impiegato nella polizia politica (Ovra) che indaga su De Filippo, insospettito dall’ossessiva ricerca del duce. Riccardo Billi è un credibile gerarca fascista, ma anche la sua parte, al pari di Franco e Ciccio, è rapida e poco incisiva. De Filippo tenta in ogni modo di farsi ricevere da “lui”, ma non ci riesce, inventa un appuntamento a Villa Torlonia e finge di salutare il duce dal cancello per imbrogliare il cognato. I servizi segreti lo individuano e lo mettono in galera per due giorni, ma i familiari pensano che sia stato invitato a casa del suo amico Benito. Insieme al fido collega Roney mette in scena un salvataggio sul Tevere, ma la medaglia la valore gli viene consegnata da un gerarca che recita un discorso intriso di retorica fascista da manuale. Giorgio Bianchi si supera quando inserisce sequenze d’epoca con la folla festante che corre ad ascoltare il discorso del duce sotto le finestre di Palazzo Venezia e le monta sapientemente con la scena in cui De Filippo riesce a entrare nell’ufficio di Mussolini. Il finale è toccante, De Filippo si rende conto che il duce ha deciso di entrare in guerra, vede sulla scrivania la foto in cui sono ritratti insieme e cancella il suo volto con l’inchiostro. Fantastica la mimica dell’attore che con un rapido gesto e una smorfia del volto tratteggia tutto il suo disappunto, che contrasta con le scene di giubilo della folla inconsapevole. “Siamo proprio diventati matti…”, ripete sconsolato a un poliziotto che lo rimprovera, ma non sta seguendo il suo ragionamento, sta pensando alla follia di una nuova guerra. Ettore Scola ne Una giornata particolare (1977) riprende una simile atmosfera raccontando la visita di Hitler al duce e l’incontro tra un uomo e una donna.


Il mio amico Benito è un ottimo film, a metà strada tra neorealismo rosa e pellicola di impegno civile, ma Giorgio Bianchi mixa elementi di commedia di costume a parti di vita quotidiana con sapiente mestiere da artigiano. Giorgio Bianchi (1904 - 1967) non è un regista tipico dei Franco & Ciccio movies, infatti dirige la coppia comica solo nel divertente Sedotti e bidonati (1965) e firma il soggetto de I due vigili (1968) di Giuseppe Orlandini, ma è un autore di tutto rispetto che si ricorda per molte commedie e film comici interpretati da Totò, Tognazzi, Fabrizi e De Filippo.

Carotenuto e De Filippo

Tra i comprimari merita un cenno Mac Ronay, alias Germain Sauvard (1913 - 2004), attore e acrobata francese amato da intere generazioni di bambini per le apparizioni televisive nei panni di un bislacco prestigiatore. Ricordiamo Ronay nella trasmissione Studio Uno e come controparte di Silvan in Sin Salabim. In questo film interpreta il collega imbranato e addormentato di Peppino De Filippo, il solo che prova affetto per lui. Un altro caratterista interessante è il napoletano Carlo Pisacane (1891 - 1974), noto come Capannelle, che proviene dalla filodrammatica napoletana, ma tra gli anni Trenta e Settanta recita in oltre settanta film, interpretando ruoli da caratterista comico. Ne Il mio amico Benito interpreta un falso gerarca fascista che millanta amicizie importanti per concupire la madre di De Filippo (Emma Gramatica).

Mac Ronay

Paolo Mereghetti concede due stelle: “Farsa facile ma non da buttare via con De Filippo al suo meglio in quel suon involontario e quasi goffo distacco dalla mistica fascista (Lancia)”. Morando Morandini conferma due stelle, ma indica tre stelle come giudizio del pubblico: “Una delle tante commedie che negli anni Sessanta cercarono di sfruttare i temi dell’antifascismo e della Resistenza”. Tre stelle per Pino Farinotti, che è il più generoso, ma non esprime giudizi critici e si limita a raccontare la trama. 

Carlo Pisacane, in arte Capannelle

Alberto Rabagliati canta ne Il mio amico Benito: http://www.youtube.com/watch?v=VxYnAQHrE7M

Gordiano Lupi

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