di Ingmar Bergman
Titolo Originale: Herbstsonate/ Höstsonaten (Sonate d’autunno).
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman.
Fotografia: Sven Nykvist. Montaggio: Sylvia Ingemarsson. Scenografia: Anna
Asp. Costumi: Inger Pehrsson. Trucco: Cecilia Drott. Musica: brani
da Preludium n. 2 in
A minore di Fredrik Chopin eseguita da Käbi Laretei, Suite
n. 4 in E
maggiore di Joahnn Sebastian Bach eseguita da Claude Genetay, Sonata
in F maggiore Opus 1 di G. F. Händel eseguita da Frans Bruggen,
Gustav Leonardt, Anne Bylsmå. Suono: Owe Svensson. Produzione. Ingmar
Bergman (non accreditato) per Svenski
Filmindustri, Katinka Faragó per Personafilm. Distribuzione italiana:
Difilm. Riprese: 20 settembre - 30 ottobre 1977. Locationes: Molde,
Norvegia, Norsk Film Studios, Oslo). Prima proiezione: 8 ottobre 1978
(Spegeln, Stoccolma). Durata: 93'. Origine: Germania - Svezia, 1978.
Interpreti: Ingrid Bergman (Charlotte), Liv Ullmann (Eva),
Lena Nyman (Helena), Halvar Björk (Viktor), Arne Bang-Hansen
(zio Otto), Gunnar Björnstrand (Paul), Erland Josephson
(Josef), George Løkkeberg (Leonardo), Linn Ullmann (Eva
bambina), Knut Wigert, Eva von Hanno, Marianne Aminoff (segretaria di
Charlotte), Mimi Pollak (insegnante di piano).
Ingmar Bergman scrive Sinfonia d'autunno pensando
a un film che metta in primo piano una madre e una figlia, senza una
sceneggiatura, con la sola idea di tre luci diverse all'interno delle quali si muovono
le protagoniste: giorno, notte e mattino. Doveva essere un film onirico, in tre
movimenti come in una sonata, senza una storia vera e propria, senza
spiegazioni. In realtà il risultato è ben diverso - Bergman non ne è mai stato
molto soddisfatto - perché si tratta di un film dotato di una solida base
narrativa che analizza nei minimi particolari il rapporto madre - figlia. “Sono
andato contro la mia primitiva intuizione, forse perché in un film c’è bisogno
di una base molto solida”, ha confessato il regista a Olivier Assayas (Conversazione
con Ingmar Bergman, Lindau, Torino, 1994). La narrazione diventa
tradizionale, anche se dotata di molti elementi originali. Eva si è sposata in
seconde nozze con il pastore Viktor, vive in una canonica di campagna che si
affaccia sul lago, il marito presenta il personaggio femminile al pubblico parlando
davanti alla macchina da presa, ricordando il passato e spiegando il loro
amore. Eva e Viktor portano in cuore il tremendo dolore della perdita del figlio
di quattro anni, affogato nel lago, la cameretta del bambino è conservata come
un tempo perché la madre crede di poter comunicare con il suo mondo
parallelo.
Eva si occupa della sorella Helena, vittima di una malattia
degenerativa di origine nervosa, che le procura gravi difficoltà nel parlare e quasi
totale impossibilità di movimento. In questa problematica familiare arriva la
madre Charlotte, una donna determinata, pianista in carriera, che ha sempre
tenuto le figlie in una situazione di sottomissione, addirittura abbandonando
Helena, perché malata. Una breve visita di pochi giorni fa scoppiare tutti i
contrasti repressi tra Eva e Charlotte, che finiscono per rinfacciarsi le
mancanze d’una vita intera, dalle assenze familiari fino al primo figlio
abortito, passando per un rapporto d’amore inesistente. Bergman utilizza il flashback e la dissolvenza per narrare
il passato, lo fa con crudezza, senza sentimentalismi, approfondendo i
caratteri delle protagoniste. Ingrid Bergman, malata e dotata di un carattere
poco malleabile, litiga molto con il regista, ma è bravissima, al punto che lo
stesso Ingmar riconosce: “Ingrid è sposata con la telecamera e la
telecamera ama Ingrid”. Il suo ruolo non è facile, deve prestare volto e anima
a una madre padrona, egoista, intollerante, frenetica, presa soltanto da se
stessa, una madre fallita ma una pianista di successo.
Liv Ullmann non è
meno brava nei panni della figlia Eva, succube e sottomessa, ma decisa a
gettare in faccia alla madre la sua verità. Un film molto teatrale, quasi tutto
girato in interni, con poche scene sul lago e alcuni esterni ripresi tra Finlandia
(Molde) e Norvegia (Oslo). Il tono è poetico - drammatico, “un film alla
Bergman”, come dicevano i critici e come il regista non voleva sentirsi dire,
perché odiava “fare i film alla Bergman”. Molti temi che riscontriamo in tutta
la sua opera tornano con prepotenza ma non sono in primo piano: l’incomunicabilità
tra moglie e marito, più in generale tra uomo e donna, la difficoltà di far
capire il bene che proviamo per una persona, il rapporto di coppia, persino la
religione, perché il marito - tanto per cambiare - è un pastore dotato di poca
fede. La malattia è un altro tema che fa capolino grazie alla figura del compagno
della madre, Leonardo, agonizzante in un letto d’ospedale, ma anche con la
sorella Helena, vittima d’una malattia degenerativa. Sono bravi sia
Georg Lokkeberg che Lena Nyman a interpretare due non facili ruoli. Perfetto
anche Halvar Björk nei panni del marito, anche se in secondo piano, ma
credibile quando si rivolge al pubblico e funge da voce narrante. Alla base
della pellicola resta, comunque, il rapporto madre - figlia: “non si finisce
mai d’essere una madre e una figlia”, “è assolutamente necessario imparare a
vivere”, sono alcune delle frasi che restano impresse di un testo altamente
poetico, ma anche gli sguardi e le espressioni delle protagoniste dipingono
un quadro straordinario.
La madre logorroica ed ebbra di egoismo, al tempo
stesso tormentata da dubbi e dolore comunica sentimenti con gli occhi, grazie
alla bravura di Ingrid Bergman. La figlia remissiva ha l’espressione affranta e
gli occhi azzurri di una fantastica Liv Ullmann, calata in una delle sue
migliori interpretazioni. “Volevo essere come tu mi volevi”, dice alla madre nel
corso del litigio notturno, ma non serviva provarci, aveva davanti un esempio
irraggiungibile, persino nello studio del pianoforte. Il rapporto genitore - figlia è
molto freudiano, da fine anni
Settanta, quando andava un po’ di moda spiegare tutto con il vissuto
adolescenziale. Bergman dipinge bene il ritratto di una madre che ha sempre
deciso per la figlia, persino plagiandola, anche se ha vissuto solo per
la sua realizzazione personale. “Le delusioni della madre ricadono tutte
sulla figlia”, “Sconfiggere la figlia è il piacere segreto della madre”, dice la
remissiva Eva, affranta dal dolore. La madre è colpevole di aver distrutto
psicologicamente la figlia Helena, innamorata non corrisposta del suo compagno,
quel Leonardo accudito in fin di vita, che ha lasciato a Charlotte un ingente patrimonio.
Bergman costruisce un dramma familiare basato su due personaggi
complessi e ben tratteggiati, che danno vita a un breve scontro dialettico, una
parentesi della durata di pochi giorni, per poi tornare alle vecchie esistenze.
Bella la citazione bergmaniana
che vede Liv Ullmann leggere una lettera alla madre davanti alla macchina
da presa, come aveva fatto in Luci d’inverno.
La madre rientra nel suo mondo e pensa ai concerti, mentre la figlia resta in
riva al lago, davanti alla tomba del figlio e sussurra: “Volerci bene, solo
questo conta. Non può essere troppo tardi”. Ingmar Bergman conclude la
pellicola alternando la macchina da presa sui tre volti protagonisti, inserendo
un marito innamorato che tenta di rendere più dolce il presente di Eva. Il
titolo italiano Sinfonia d’autunno fu voluto dal distributore,
che modificò il più consono - ma meno efficace - Sonata d’autunno. Un film che Ingmar Bergman considerava minore e
irrisolto, ma che - visto con occhi da spettatore entusiasta - risulta uno dei più
espliciti ed efficaci del Maestro svedese. Non fosse altro per la presenza
insolita di Ingrid Bergman, una vera e propria star estranea al solito giro di
attori, alla factory bergmaniana. Ogni volta che Bergman
inserisce un attore che non ha niente a che fare con il suo mondo finisce per
litigarci e per restare poco soddisfatto del risultato finale, come ne L’adultera (1971) - con Elliott Gould - e ne L’uovo del serpente (1977), con David Carradine. In ogni caso la
stima tra i due Bergman è profonda, anche se l’attrice vorrebbe modificare la sceneggiatura e rendere il film meno triste e noioso. Ingmar Bergman non
permetterà a nessuno di mettere le mani sulla sua opera, a costo di furiosi
litigi. Ingrid Bergman è molto malata, afflitta da problemi personali, ma
recita con professionalità il penultimo ruolo della sua carriera.
Sinfonia d’autunno non soddisfa in pieno Morando Morandini che
concede soltanto due stelle e mezzo: “Sonata non sinfonica, ma incompiuta.
Nonostante la bravura delle due interpreti, intorno allo straziante nucleo
centrale il contesto è approssimativo e lacunoso. C’è forse più astuzia
drammatica che vera ispirazione, con il sospetto di un manierismo d’alta
scuola”. Non condivisibile il fatto che la figlia sia affetta dal complesso di Elettra, a nostro parere si
tratta di un rapporto difficile tra una madre assente e una figlia sensibile.
Pino Farinotti, al contrario, concede quattro stelle con lode, ma non motiva la
scelta. Paolo Mereghetti conferma le due stelle e mezzo, dicendo che si è
trovato davanti a un Bergman poco ispirato e troppo programmatico. Non
condividiamo. Quando guardiamo un film del Maestro svedese è sempre il caso di
gridare al capolavoro.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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