Regia:
Roberto Bianchi Montero. Soggetto e Sceneggiatura: Mario Amendola. Montaggio:
Ettore Salvi. Fotografia: Sergio Pesce. Effetti Speciali: Galiano & Ricci.
Musiche: Maestro C. Louvre. La canzone Colorado
Joe è cantata da Roberto Altamura (National Music/ RCA). Direttore di
Produzione: Attilio Tosato. Organizzazione: Guido Paolucci. Segretaria di
Edizione: Nellita Zampieri. Operatore: Elio Polacchi. Assistenti Operatore:
Emidio Cirillo, Vitaliano Natalucci. Ispettore di Produzione: Enrico Bologna.
Segretario di Produzione: Riccardo Contigliani. Aiuto Regista: Alfonso Brescia.
Architetto: Ivo Battelli. Arredatore: Camillo Del Signore. Interni: Studi
Cinecittà SPA. Sviluppo e Stampa: Staco - Film, Roma. Pellicole: Ferrania PCT.
Girato: Dialiscope. Dopiaggio: CDC – Cooperativa Doppiatori Cinematografici.
DVD: Istituto Luce.
Interpreti:
Tina Pica, Ugo Tognazzi, Tina De Mola, Tom Fellegi, Livio Lorenzon, Carletto
Sposito, Annie Alberti, Tino Scotti, Alberto Sorrentino, Fanfulla, Anita
Todesco, Leonardo Severini, Carlo Pisacane, Benito Stefanelli, Philip Kay,
Stelio Candelli, Gino Marturano, Nino Musco, Bruno Carotenuto, Paolo Gozlino,
Rhea Capparelli.
La
trama non è la cosa più importante di un film che viene considerato il primo
spaghetti western all’italiana, ma che è soprattutto l’iniziatore di un
sottogenere da commedia western
foriero di successi. Vediamo la sinossi. Gli abitanti di un paesino del west
subiscono le angherie di una banda di fuorilegge capeggiata dal proprietario
del saloon, Donovan. La vedova dello sceriffo, emigrante napoletana, decide di
prendere il posto del marito, vuole difendere la legalità e far rispettare i
diritti dei cittadini negli insoliti panni di sceriffa. Si trova a contrastare la brama di vendetta del pistolero
Colorado Joe e deve badare a uno
sciocco nipote, che nel finale si riscatta, sconfigge il malfattore di turno,
sposa la sua bella ed eredita il posto di sceriffo. La sceriffa, una volta ristabilita la legalità fa ritorno nella sua
amata Napoli.
Roberto
Bianchi Montero, con la collaborazione di Mario Amendola, gira una commedia
western che rispetta tutte le convenzioni del genere, volgendole in satira,
fino a sconfinare nella farsa. La
sceriffa anticipa lo spaghetti-western
ma soprattutto funge da apripista alle pellicole comiche in salsa western
interpretate da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e al futuro western comico di
Barboni (Trinità) e alle farse con protagonista Tomas Milian (Provvidenza).
Tina Pica - attrice che ricordiamo interprete di capolavori come Filumena Marturano (1951), Totò e Carolina (1953), L’oro di Napoli (1954) - è la vera
mattatrice, nei panni di una comica sceriffa
che spara più veloce della sua ombra ed è forte come Nonna Abelarda. Molte
battute comiche citano modi di dire (Chi
si firma è perduto!) e stravolgono titoli di pellicole famose (Sarà Mezzogiorno di fuoco, tu finirai nella Cassa del Mezzogiorno, andiamo Via col vinto!). Tina Pica è una sceriffa che cucina pasta italiana, per
la precisione maccheroni, balla la tarantella, sfida i malfattori e nel tempo
libero sogna Napoli. Il suo scopo principale è quello di pacificare il west non
tanto con le pistole, ma usando canzoni, vino e maccheroni.
Ugo Tognazzi è un
divertente Colorado Joe, in una partecipazione speciale molto sopra le righe,
di stampo farsesco e lontana dalle sue cose migliori degli anni Sessanta e
Settanta (Porcile, Il vizietto, I mostri…). Tognazzi è un bandito in cerca di vendetta che dà vita
a comiche sparatorie, viene arrestato e infine ucciso dal fuorilegge Donovan,
padrone del paese. Memorabile la scena in cui si toglie uno stivale in prigione
per sentirsi a piede libero. Tino
Scotti è un giudice burbero e ubriacone, ruolo che si adatta bene alla sua voce
roca e alla tipica comicità teatrale. Carletto Sposito è il nipote imbranato,
doppiato come Jerry Lewis e Pinotto, con una voce effeminata e dai toni acuti,
eccessivo ma divertente. “Cucù, coscine di pollo!”, è la battuta cult,
pronunciata ogni volta che vuole evitare un pericolo, portando il pollice al
naso e muovendo il resto delle dita come una banderuola al vento. Ritroveremo
un maturo Sposito interprete di ruoli farseschi da professore rimbambito nella
commedia sexy. Alberto Sorrentino è un cuoco indiano quasi muto che diverte
solo per la sua espressione perennemente imbambolata. Ci sono anche Carlo
Pisacane - immancabile vecchietto del west - e Fanfulla, mentre la presenza
femminile è limitata a Annie Alberti e Anita Todesco, in parti di contorno
rispetto alla mattatrice Tina Pica. Livio Lorenzon è molto scolastico
interpretando il cattivissimo Donovan.
La sceriffa è quasi completamente girato nei teatri di posa
di Cinecittà, mentre per gli esterni siamo nella zona delle campagne laziali,
resa credibile da un grande lavoro scenografico. Un intero villaggio western
viene ricostruito in studio e serve da scenario per una riuscita commedia, ben
fotografata in bianco e nero, girata con i tempi giusti da Roberto Montero, che
si avvale di un aiuto come Alfonso Brescia. La farsa è nelle corde di Mario
Amendola che utilizza in funzione comica tutti i cliché western: saloon,
scazzottate, sparatorie, banditi, sceriffi, indiani, avventori ubriachi,
duelli, sfide all’OK Corral… In certi casi, regista e sceneggiatore modificano
il copione in momenti da commedia musicale, inserendo alcuni pezzi di
tarantella napoletana (Funicolì, funicolà…).
Tra le cose migliori ricordiamo una sfida alla roulette russa tra la sceriffa e un bandito, gli indiani che
amoreggiano a suon di Augh!, la sceriffa
che convince il giudice a diventare onesto promettendo di cucinare ogni giorno
maccheroni, il nipote idiota che vuole sposare la bella Conny - pretesa anche
da Donovan - e che per difenderla ne combina di tutti i colori.
Rassegna critica. Pino Farinotti
(tre stelle): “Una napoletana vedova di uno sceriffo ucciso dai banditi, ne
raccoglie la stella e sgomina i malvagi con la pistola e gli spaghetti”. Sono
maccheroni, ma fa lo stesso, assolviamo il critico. Manolo Morandini non ne
parla, come se non fosse mai stato girato. Paolo Mereghetti stronca senza concedere
possibilità d’appello (una stella): “Farsa in abiti western, non si capisce se
più improbabile o più squinternata”.
Roberto Bianchi Montero (1907 -
1986) - che ricordiamo discreto autore di lavori commerciali come Sono io l’assassino (1947), La bravata (1977), Tecnica per un massacro (1971) - è un artigiano che proviene dal
teatro, prima attore di cinema, quindi regista di molte pellicole nel periodo
1946 - 1982. Il western è tra i generi che più frequenta, ma ricordiamo
soprattutto i sexy movies, lo
spionistico e la commedia erotica. Firma molti lavori su commissione e film davvero
brutti come Calore in provincia (1975), Il pomicione (1976) e La sorprendente
eredità del tonto di mamma (1976). In
questo lavoro - forse tra le sue cose migliori - utilizza la suspense da western classico e la
tecnica di un genere che mostra di conoscere a fondo, correggendo la trama con
toni farseschi accentuati. Il modello sono le commedie americane interpretate
da Gianni e Pinotto, che Mario Amendola frequenta da entusiasta ammiratore. Il
finale è di taglio eroico - avventuroso, ma il nipote scemo che prende coraggio
e salva la sceriffa dal malvagio
Donovan è talmente sopra le righe da riportarci subito ai toni comici. Per non
farci dimenticare che abbiamo assistito a una commedia, si finisce con una
comica tarantella, idonea per sancire la partenza di Tina Pica alla volta della
sua Napoli. Da rivedere.
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