giovedì 19 dicembre 2013

La sceriffa (1959)

di Roberto Bianchi Montero 
 
 

Regia: Roberto Bianchi Montero. Soggetto e Sceneggiatura: Mario Amendola. Montaggio: Ettore Salvi. Fotografia: Sergio Pesce. Effetti Speciali: Galiano & Ricci. Musiche: Maestro C. Louvre. La canzone Colorado Joe è cantata da Roberto Altamura (National Music/ RCA). Direttore di Produzione: Attilio Tosato. Organizzazione: Guido Paolucci. Segretaria di Edizione: Nellita Zampieri. Operatore: Elio Polacchi. Assistenti Operatore: Emidio Cirillo, Vitaliano Natalucci. Ispettore di Produzione: Enrico Bologna. Segretario di Produzione: Riccardo Contigliani. Aiuto Regista: Alfonso Brescia. Architetto: Ivo Battelli. Arredatore: Camillo Del Signore. Interni: Studi Cinecittà SPA. Sviluppo e Stampa: Staco - Film, Roma. Pellicole: Ferrania PCT. Girato: Dialiscope. Dopiaggio: CDC – Cooperativa Doppiatori Cinematografici. DVD: Istituto Luce. 
 

Interpreti: Tina Pica, Ugo Tognazzi, Tina De Mola, Tom Fellegi, Livio Lorenzon, Carletto Sposito, Annie Alberti, Tino Scotti, Alberto Sorrentino, Fanfulla, Anita Todesco, Leonardo Severini, Carlo Pisacane, Benito Stefanelli, Philip Kay, Stelio Candelli, Gino Marturano, Nino Musco, Bruno Carotenuto, Paolo Gozlino, Rhea Capparelli.
 
 
La trama non è la cosa più importante di un film che viene considerato il primo spaghetti western all’italiana, ma che è soprattutto l’iniziatore di un sottogenere da commedia western foriero di successi. Vediamo la sinossi. Gli abitanti di un paesino del west subiscono le angherie di una banda di fuorilegge capeggiata dal proprietario del saloon, Donovan. La vedova dello sceriffo, emigrante napoletana, decide di prendere il posto del marito, vuole difendere la legalità e far rispettare i diritti dei cittadini negli insoliti panni di sceriffa. Si trova a contrastare la brama di vendetta del pistolero Colorado Joe e deve badare a uno sciocco nipote, che nel finale si riscatta, sconfigge il malfattore di turno, sposa la sua bella ed eredita il posto di sceriffo. La sceriffa, una volta ristabilita la legalità fa ritorno nella sua amata Napoli. 


Roberto Bianchi Montero, con la collaborazione di Mario Amendola, gira una commedia western che rispetta tutte le convenzioni del genere, volgendole in satira, fino a sconfinare nella farsa. La sceriffa anticipa lo spaghetti-western ma soprattutto funge da apripista alle pellicole comiche in salsa western interpretate da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e al futuro western comico di Barboni (Trinità) e alle farse con protagonista Tomas Milian (Provvidenza). Tina Pica - attrice che ricordiamo interprete di capolavori come Filumena Marturano (1951), Totò e Carolina (1953), L’oro di Napoli (1954) - è la vera mattatrice, nei panni di una comica sceriffa che spara più veloce della sua ombra ed è forte come Nonna Abelarda. Molte battute comiche citano modi di dire (Chi si firma è perduto!) e stravolgono titoli di pellicole famose (Sarà Mezzogiorno di fuoco, tu finirai nella Cassa del Mezzogiorno, andiamo Via col vinto!). Tina Pica è una sceriffa che cucina pasta italiana, per la precisione maccheroni, balla la tarantella, sfida i malfattori e nel tempo libero sogna Napoli. Il suo scopo principale è quello di pacificare il west non tanto con le pistole, ma usando canzoni, vino e maccheroni. 
 
 
Ugo Tognazzi è un divertente Colorado Joe, in una partecipazione speciale molto sopra le righe, di stampo farsesco e lontana dalle sue cose migliori degli anni Sessanta e Settanta (Porcile, Il vizietto, I mostri…). Tognazzi è un bandito in cerca di vendetta che dà vita a comiche sparatorie, viene arrestato e infine ucciso dal fuorilegge Donovan, padrone del paese. Memorabile la scena in cui si toglie uno stivale in prigione per sentirsi a piede libero. Tino Scotti è un giudice burbero e ubriacone, ruolo che si adatta bene alla sua voce roca e alla tipica comicità teatrale. Carletto Sposito è il nipote imbranato, doppiato come Jerry Lewis e Pinotto, con una voce effeminata e dai toni acuti, eccessivo ma divertente. “Cucù, coscine di pollo!”, è la battuta cult, pronunciata ogni volta che vuole evitare un pericolo, portando il pollice al naso e muovendo il resto delle dita come una banderuola al vento. Ritroveremo un maturo Sposito interprete di ruoli farseschi da professore rimbambito nella commedia sexy. Alberto Sorrentino è un cuoco indiano quasi muto che diverte solo per la sua espressione perennemente imbambolata. Ci sono anche Carlo Pisacane - immancabile vecchietto del west - e Fanfulla, mentre la presenza femminile è limitata a Annie Alberti e Anita Todesco, in parti di contorno rispetto alla mattatrice Tina Pica. Livio Lorenzon è molto scolastico interpretando il cattivissimo Donovan.
 

La sceriffa è quasi completamente girato nei teatri di posa di Cinecittà, mentre per gli esterni siamo nella zona delle campagne laziali, resa credibile da un grande lavoro scenografico. Un intero villaggio western viene ricostruito in studio e serve da scenario per una riuscita commedia, ben fotografata in bianco e nero, girata con i tempi giusti da Roberto Montero, che si avvale di un aiuto come Alfonso Brescia. La farsa è nelle corde di Mario Amendola che utilizza in funzione comica tutti i cliché western: saloon, scazzottate, sparatorie, banditi, sceriffi, indiani, avventori ubriachi, duelli, sfide all’OK Corral… In certi casi, regista e sceneggiatore modificano il copione in momenti da commedia musicale, inserendo alcuni pezzi di tarantella napoletana (Funicolì, funicolà…). Tra le cose migliori ricordiamo una sfida alla roulette russa tra la sceriffa e un bandito, gli indiani che amoreggiano a suon di Augh!, la sceriffa che convince il giudice a diventare onesto promettendo di cucinare ogni giorno maccheroni, il nipote idiota che vuole sposare la bella Conny - pretesa anche da Donovan - e che per difenderla ne combina di tutti i colori.
 

Rassegna critica. Pino Farinotti (tre stelle): “Una napoletana vedova di uno sceriffo ucciso dai banditi, ne raccoglie la stella e sgomina i malvagi con la pistola e gli spaghetti”. Sono maccheroni, ma fa lo stesso, assolviamo il critico. Manolo Morandini non ne parla, come se non fosse mai stato girato. Paolo Mereghetti stronca senza concedere possibilità d’appello (una stella): “Farsa in abiti western, non si capisce se più improbabile o più squinternata”. 


Roberto Bianchi Montero (1907 - 1986) - che ricordiamo discreto autore di lavori commerciali come Sono io l’assassino (1947), La bravata (1977), Tecnica per un massacro (1971) - è un artigiano che proviene dal teatro, prima attore di cinema, quindi regista di molte pellicole nel periodo 1946 - 1982. Il western è tra i generi che più frequenta, ma ricordiamo soprattutto i sexy movies, lo spionistico e la commedia erotica. Firma molti lavori su commissione e film davvero brutti come Calore in provincia (1975), Il pomicione (1976) e La sorprendente eredità del tonto di mamma (1976).  In questo lavoro - forse tra le sue cose migliori - utilizza la suspense da western classico e la tecnica di un genere che mostra di conoscere a fondo, correggendo la trama con toni farseschi accentuati. Il modello sono le commedie americane interpretate da Gianni e Pinotto, che Mario Amendola frequenta da entusiasta ammiratore. Il finale è di taglio eroico - avventuroso, ma il nipote scemo che prende coraggio e salva la sceriffa dal malvagio Donovan è talmente sopra le righe da riportarci subito ai toni comici. Per non farci dimenticare che abbiamo assistito a una commedia, si finisce con una comica tarantella, idonea per sancire la partenza di Tina Pica alla volta della sua Napoli. Da rivedere.

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