venerdì 27 dicembre 2013

Luci lontane (1987)


di Aurelio Chiesa
 

Regia: Aurelio Chiesa. Soggetto: Giuseppe Pederiali (romanzo Venivano dalle stelle). Sceneggiatura: Aurelio Chiesa, Roberto Lerici, Roberto Leoni. Fotografia: Renato Tafuri. Montaggio: Anna Napoli. Musica: Angelo Branduardi (edizioni Musicali Bixio). Aiuto Regista: Beatrice Banfi. Direttore di Produzione: Fernando Franchi. Produttore: Claudio Argento. Produttore Associato: Giuseppe Valeri. Casa di Produzione: Produzioni Intersound Roma e Rete Italia. Scenografia: Andrea Crisanti. Costumi: Beatrice Bordone. Interpreti: Tomas Milian, Laura Morante, William Berger, Giacomo Piperno, Susanna Martinkova, Mirella Falco, David Filosi, Alberto Capone, Isabelle Illiers, Ani Cerreto, Bettina Ciampolini, Clara Colosimo, Alvaro Gradella, Salvatore Iacono, Franco Pistoni, Loredana Romito, Gina Stag.

 
Luci lontane è la dimostrazione di come si possa girare un buon film di fantascienza anche in Italia, senza disporre grandi mezzi ma soltanto di una storia originale, tratta da un romanzo di Giuseppe Pederiali (Venivano dalle stelle), sceneggiato dal regista con la collaborazione di Roberto Lerici e Roberto Leoni. Aurelio Chiesa (Cesena, 1947) è un regista laureato in filosofia dalla filmografia ridotta, come insegna Roberto Poppi ne I Registi del Cinema Italiano, che apprende il mestiere facendo l’assistente volontario presso le illustri botteghe di Pasolini e Jancsó. Il suo primo film è Bim bum bam (1980) - autore anche del soggetto, la storia di tre amici che nei primi anni Sessanta vogliono diventare calciatori - seguito soltanto da Luci lontane, un fantahorror metafisico sulla scia del cinema di Pupi Avati (Poppi) ambientato in un paesino della Romagna. Ricordiamo Chiesa nelle vesti di attore, come interprete di Flipper (1983) di Andrea Barzini, come soggettista di Una botta di vita (1988) di Enrico Oldoini e come sceneggiatore della fiction Rai Traffico d’armi nel golfo (1977), girata da Leonardo Cortese.   
 
 
Luci lontane è l’opera migliore di Chiesa, ma esce in un momento difficile per il cinema italiano, riscuotendo scarso successo di pubblico e poca attenzione critica. Cerchiamo di ristabilire i meriti. Tomas Milian è Bernardo Bernardi, padre di Giuliano, un bambino rimasto orfano di madre da pochi giorni, ma il soprannaturale entra subito in scena con il piccolo che vede la mamma “nel parco, dove ci sono gli alberi grandi”. Il bambino gioca con lei, ci parla, dimentica di andare a scuola e finisce per addormentarsi in una grotta. Bernardo e l’insegnante di Giuliano - Renata, interpretata da un’acerba Laura Morante - si danno da fare per ritrovarlo, insieme alla polizia. Si scopre presto che la madre non è resuscitata e non è neppure una zombi; infatti accadono altri fatti incredibili, dovuti a una pacifica invasione extraterrestre. Gli alieni sono luci che vengono dallo spazio, individui pacifici che cercano soltanto corpi dove poter vivere. Una di queste luci lontane prende possesso del corpo di Renata, morta in un incidente stradale, e decide di provare a vivere da umana insieme al padre di Giuliano con cui mette al mondo un figlio. La polizia comincia a sospettare di troppi eventi fantastici e delle improvvise guarigioni in punto di morte. Gli alieni - ormai scoperti e monitorati - vengono segregati in una struttura di reclusione e per questo motivo decidono di lasciare la Terra. Il padre di Giuliano è abbandonato dalla nuova compagna e deve far crescere da solo il bambino. Finale melodrammatico con il figlio del commissario che muore in un incidente stradale mentre suo padre supplica Bernardo di far tornare gli alieni. Vorrebbe rivederlo correre e giocare. “Se ne sono andati per sempre. Non torneranno”, dice Bernardo. A casa, però, l’attende una sorpresa. È tornata la sua donna, per stare accanto al piccolo, prendendo possesso del corpo di una ragazza morta da alcune ore. Basta uno scambio di sguardi per riconoscersi.  


Sceneggiatura senza pecche, storia originale, musica suggestiva di Angelo Branduardi, fotografia dai toni scuri di Renato Tafuri, interpretazione perfetta da parte di Tomas Milian e Laura Morante. I tempi sono televisivi, da fiction girata in digitale, ma le due cose non stonano, non vanno considerate difetti, perché è pur sempre un lavoro sopra la media rispetto alla odierna produzione per il piccolo schermo. La pellicola comincia come un giallo fantastico ma evolve in un fantascientifico puro, a tratti persino fantahorror, visto che si parla di morti che tornano in vita, sia pure grazie a un’essenza extraterrestre. Ricordiamo un nudo integrale della bella Morante e un’intensa parte erotica che la vede impegnata insieme a Tomas Milian. Effetti speciali modesti, quanto basta per far capire la presenza degli alieni inquadrando un fascio di luce azzurra. Tomas Milian è bravo, anche se doppiato, e consegna alla storia del cinema una delle sue ultime interpretazioni italiane. Critica abbastanza concorde nello stroncare un film che - a nostro parere - meritava maggior fortuna. Farinotti concede due stelle, Motrandini soltanto una, aggiungendone un’altra per il pubblico. 
 
  
Mereghetti è troppo duro (una stella e mezzo): “Un curioso film fantastico - padano che richiama certe cose di Pupi Avati: efficace nella prima mezz’ora, dai toni inquietanti e quasi orrorifici, rimane indeciso su quale strada prendere, tra irrisolte ambizioni metafisiche, momenti alla Incontri ravvicinati del terzo tipo dei poveri e una discutibile parentesi sentimentale tra Milian e la Morante (che concede un nudo integrale). Belle musiche di Angelo Branduardi”. La parentesi sentimentale tra Milian e la Morante non è per niente discutibile ma è un momento fondamentale della storia, importante per far capire che la nuova compagna di Bernardo è un’aliena che non sa niente di come si comportano gli uomini. Un film da rivedere senza troppi pregiudizi. 

 

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