di Dario
Argento
Regia: Dario Argento. Soggetto: Dario Argento, Franco
Ferrini. Sceneggiatura. Dario Argento, Franco Ferrini, Carlo Lucarelli.
Montaggio: Anna Rosa Napoli. Fotografia: Ronnie Taylor. Effetti Speciali:
Sergio Stivaletti. Musiche: Goblin. Scenografie: Massimo Antonello Geleng.
Costumi: Susy Mattolini. Trucco: Alfredo Marazzi, Graziella Tosti. Produzione:
Dario Argento, Claudio Argento (Produttore Esecutivo). Case di Produzione:
Medusa, Opera Film, in collaborazione con Tele Più. Durata: 112’. Genere: Thriller.
Interpreti: Max Von Sydow (doppiato da WalterMaestosi), Stefano Dionisi, Chiara
Caselli, Roberto Zibetti, Paolo Maria Scalondro, Gabriele Lavia (doppiato da
Rodolfo Bianchi), Roberto Accornero, Rossella Falk, Barbara Lerici, Guido
Morbello, Massimo Sarchielli, Diego Casale, Alessandra Comerio, Elena
Marchesini, Aldo Massasso, Barbara Mautino, Linda Giumento, Elisabetta
Rocchetti, Conchita Puglisi, Brian Ayres, Daniele Angius, Robert Camerio,
Claudio Coreno, Luca Fagioli, Daniela Fazzolari, Aldo Delaude, John Pedeferri,
Francesco Benedetto, Renato Liprandi, Antonio Sarasso, Piero Marcelli, Rossella
Lucà, Giuseppe Minutillo, Giancarlo Colia, Francesca Vettori, Antonio Rec.
Stefano Dionisi e Chiara Caselli
Nonhosonno è un ottimo thriller orrorifico a tinte forti, ricco
di effetti speciali, ambientato a in una Torino cupa e notturna, che a tratti
ricorda (volutamente) Profondo rosso
(1975).
Max Von Sidov
Raccontiamo la trama. La prima scena ci porta a
Torino, nel 1983. Vediamo il commissario Moretti (Von Sydow) accanto a Giacomo,
che ha assistito inerme alla barbara uccisione della madre da parte di un
sadico killer, ma non l’ha visto in volto. Eccessivo l’omicidio, in puro stile
Argento - Stivaletti: un corno inglese usato per sfondare la trachea della
donna. Salto temporale di diciassette anni. Il killer - chiamato il nano
assassino - non è morto come si pensava, ma torna a colpire, uccidendo due
prostitute. Il vecchio commissario Moretti è in pensione ma si occupa del caso
insieme a Giacomo (Dionisi), che torna a Torino per capire chi ha ucciso sua
madre. Riprendono gli omicidi, tutti bizzarri, e il commissario si rende conto
che seguono le strofe di una vecchia filastrocca, ripresa da La fattoria degli animali e contenuta
nel libro scritto dal presunto killer (La
fattoria della morte), che era un autore di gialli. Il colpevole, come
regola, è il meno prevedibile, dopo che il regista ci ha fatto sospettare di
tutti, persino del fantasma del vecchio killer (il nano Vincenzo), un fantoccio
esposto dal barbone Leone (Sarchielli) alla finestra. Muoiono il commissario per
un attacco cardiaco, la madre di Vincenzo, dopo aver confessato che il figlio
non si era suicidato ma era stata lei a ucciderlo per liberarlo, infine
l’avvocato Betti (Lavia), il padre di Lorenzo (Zibetti), che era il più
indiziato. Il killer psicopatico è proprio Lorenzo, amico d’infanzia di
Giacomo, non era un nano a uccidere ma un ragazzino schizofrenico, protetto dal
padre, che per non farlo scoprire l’aveva mandato all’estero per diciassette
anni. Lorenzo aveva sfruttato il nano Vincenzo, incolpandolo dei suoi delitti,
utilizzando le idee che il primo scriveva sui libri.
Nonhosonno presenta molte analogie con Profondo Rosso. Gabriele Lavia (avvocato Betti, padre di Lorenzo) è
ancora una volta il presunto colpevole e recita identica battuta, nel solito
modo (“È tutta colpa tua!”). Lavia, in Profondo
rosso era il figlio che proteggeva la madre assassina, qui è il padre che
protegge il figlio serial killer. Argento gira di nuovo una lunga scena al
Teatro Carignano: l’omicidio della ballerina che interpreta il canto del cigno.
Unica eccezione con la restante opera di Argento, al punto che era diventata
una sorta di stile, una firma d’autore: non è lui a guidare l’assassino, non
indossa i guanti, non sono sue le mani che uccidono. In compenso presta la sua
voce in falsetto all’assassino quando da sotto le coperte dice: “Ne ho
ammazzate tante… tante… tante…”.
il disco dei Goblin
Nonhosonno ha il limite di essere la
solita storia sul killer psicopatico che uccide, ma presenta molti elementi di
originalità e alcune sequenze girate in maniera perfetta. La tensione è sempre
ai massimi livelli e non ci sono cali di suspense.
La lunga scena a bordo del treno con il massacro delle due prostitute è da
antologia del brivido, una delle migliori cosse girate nel campo del cinema
thriller. Soggettive della vittima e dell’assassino si alternano in un
crescendo angoscioso e claustrofobico. Il terrore della donna è palpabile e
conduce a un’inevitabile finale gore
con il taglio del dito e l’efferata uccisione. Molto eccessivo anche il delitto
della prostituta in attesa del treno, trucidata nella sua auto, sotto gli occhi
di un ubriacone. Le soggettive si
sprecano, ma non sono mai inutili, anzi, servono a costruire un clima di
terrore e di tensione narrativa.
Altro delitto ben costruito vede una donna
affogata nell’acqua con il taglio delle unghie dopo morta. Non sono da meno il
delitto in ascensore con la testa schiacciata alla parete e i denti che
schizzano fuori dalle gengive. Una ballerina viene decapitata e muore come un
cigno durante le prove per il balletto, in una sequenza stupenda che vede i
piedi rialzati da terra in un terminale gesto danzante. Gli ultimi omicidi sono
efferati ma più ordinari, a parte una trapanazione del cranio con una penna stilografica.
Il killer muore cadendo dal finestrone proprio mentre arriva la polizia, che
scopre i reperti dei vecchi delitti e i corpi trucidati del padre e di Leone. Originali
i titoli di coda che scorrono mentre il regista imposta le sequenze finali. Alcuni
flashback riportano al passato, il
ragazzo ricorda la morte della madre con tutte le orribili sequenze della morte.
Le parti con il nano fantasma sono
ottime, ricordano Profondo rosso e i
pupazzi animati di cui Argento ama circondarsi. Non mancano i giochi dei
bambini, il suono di un carillon, le filastrocche, la musica intensa dei
Goblin, che cercano di citare il loro capolavoro. Ottimi gli attori, cosa
insolita in un film di Argento. Max Von Sydow (1929) è il migliore, nei panni
di un compassato commissario perseguitato da insonnia e vuoti di memoria. Tutti
ricordano lo svedese come attore feticcio di Ingmar Bergman e per la sua grande
interpretazione ne L’esorcista
(1973) di William Friedckin. Rossella Falk (1926 - 2013), recentemente
scomparsa, è una perfetta madre del presunto assassino, angosciata e
preoccupata per la sorte del ragazzo deforme. Gabriele Lavia (1942) è intenso attore
teatrale e regista di alcuni interessanti film erotici interpretati dalla
compagna Monica Guerritore. La sua presenza è un elemento di continuità con Profondo rosso (1975) e con Inferno (1980). Non si vede molto, ma
recita la sua parte con efficacia. Stefano Dionisi e Chiara Caselli sono
diligenti, belli a vedersi, ma non entusiasmano, anche se interpretano una
credibile scena erotica prima della sequenza decisiva. Il peggiore del cast è
Roberto Zibetti, un killer troppo impostato; la colpa non è tutta sua, ma anche
delle banalità che la sceneggiatura gli impone di pronunciare in una scena
finale che non è indenne da pecche.
Altri pregi del film: un’intensa fotografia
(Ronnie Taylor) - soprattutto notturna - di Torino, ripresa sotto la pioggia,
in stazioni deserte e quartieri periferici, con la Mole Antonelliana sempre
sullo sfondo. Terzo film di Argento con Ronnie Taylor, uno dei più importanti
esponenti della fotografia inglese, che risolve il problema più grande: girare
quasi venti minuti a bordo di un treno. Ottime le scenografie di Antonello
Geleng, ma non sono da meno trucco ed effetti gore a cura di Sergio Stivaletti. I Goblin, guidati da Claudio
Simonetti, ci regalano alcuni pezzi interessanti. Il complesso è composto anche
da massimo morante, Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo. Nelle sequenze
musicali del film vediamo impegnato anche il gruppo torinese dei Miu - Miu. Asia
Argento scrive la filastrocca (originale) che ispira l’omicida.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e
mezzo): “Argento sembra aver dato ascolto ai suoi fan, tornando al genere che
gli è riuscito meglio: il thriller con colpi di scena e tanti ammazzamenti. Di
fatto gira una specie di remake di Profondo rosso,con qualche citazione di
Tenebre nelle tecniche degli omicidi
(gore ma non troppo grazie agli
effetti di Sergio Stivaletti), confermando una mancanza d’ispirazione che mette
malinconia. Oggi, poi, non c’è neanche più la tecnica (malgrado la fotografia
di Ronnie Taylor); le musiche dei Goblin sono fiacche e risultano più che mai
evidenti le inverosimiglianze della sceneggiatura, il ridicolo involontario dei
dialoghi, la mancanza di una direzione degli attori”. Non concordo su niente,
ma riporto il giudizio dell’illustre critico per dovere informativo. Morando
Morandini (due stelle per la critica, tre stelle per il pubblico): “Sceneggiatura
sghemba per tornare agli inizi con un thriller a enigma, pur non rinunciando
all’abituale eccedenza di ammazzamenti (una dozzina abbondante), tutti mostrati
con la solita efferatezza di particolari gore.
È un film di paura che ha l’imperdonabile torto di far ridere per i dialoghi
maldestri, la logica latitante. All’attivo almeno due sequenze e la cornice di
Torino. Ingombrante la musica dei Goblin”. Valutazione più accettabile, ma non
condivisibile. Pino Farinotti conferma le due stelle: “Storia complicatissima,
con il rito della morte troppo frequente. Certo, funziona, ma un po’ a buon
mercato”.
I critici “alti” rimproverano a Dario Argento un eccesso di
ammazzamenti, chi conta dodici, chi quindici omicidi, affermano che si tratta
di un rituale furbo, tradizionale, eterno,
senza rendersi conto che è soltanto uno stile. Un film di Argento si riconosce
anche da questo, per il confine labile tra thriller e horror, per gli eccessi splatter e gore, con buona pace degli esteti e dei critici con l’idiosincrasia
per gli italiani che fanno horror. Dario Argento dà il giudizio più obiettivo:
“Il film ha una partenza sprint che dura tantissimo. I primi venti minuti sono
fortissimi, quasi insostenibili. Mi pento di non aver fatto un finale
altrettanto forte. Credo che quella partenza avrei dovuto sfruttarla per il finale”.
(Dario Argento - Libro intervista a
cura di Fabio Maiello, Alacran). La scelta di Torino: “Conosco Torino come se
fosse la mia città. Non mi servivano soltanto gli appartamenti belli ed
eleganti, ma anche posti periferici abitati da povera gente. Per esempio la
zona residenziale degli ex operai della Fiat. Per trovare la villa ho dovuto
girare parecchio. In studio ho girato pochissime scene, tra cui quella finale”.
Nonhosonno vale tre stelle, non fosse altro per un inizio
sfolgorante, intenso, insostenibile. I primi due delitti e l’inseguimento sul
treno valgono da soli il prezzo del biglietto.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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