Breve nota biografica (Fonte: Roberto Poppi - Dizionario dei registi italiani, Gremese): Fratello del regista Sergio e nipote di Gennaro Righelli, esordì nel cinema giovanissimo, sia come assistente (L'arte di arrangiarsi, La romana) sia, soprattutto, come soggettista e sceneggiatore (La donna più bella del mondo, La finestra sul luna park, Giovani mariti, La nipote Sabella, Carosello di canzoni, Il colosso di Rodi, Caccia all'uomo, La ragazza in vetrina, Saffo venere di Lesbo, I ragazzi dei Parioli, La scimitarra del saraceno, I pirati della costa, Il vecchio testamento, Il giustiziere dei mari, I mongoli, Duello nella Sila, Le avventure di Mary Read, La leggenda di Fra' Diavolo, Il demonio, Ursus nella terra di fuoco, L'invincibile cavaliere mascherato, La pupa, ecc.), attività che continuò a esercitare anche quando cominciò a produrre film (nel 1962). Fra questi, numerosissimi, si ricordano, oltre a tutti queli diretti dal fratello e da lui stesso: Il dolce corpo di Deborah, Tony Arzenta, L'uomo senza memoria, Zorro, L'insegnante, La poliziotta fa carriera, Roma a mano armata, Il grande attacco, Concorde affaire 79, La guerra del ferro, Fotografando Patrizia, Impiegati, Festa di laurea, Scandalosa Gilda, Le foto di Gioia e molti altri.Nel 1964 ha esordito nella regia firmando un film avventuroso in collaborazione con Mino Loy (Le spie uccidono a Beirut) e negli anni seguenti, pur privilegiando la produzione e la sceneggiatura, ha direto altri film: Furia a Marrakesh (1965), Flashman (1966), La vergine, il toro, il capricorno (1974), Nel giardino delle rose (1989) - che gode di ottima critica - e In camera mia (1992). Ha firmato i primi tre film (girati in collaborazione) con gli pseudonimi Martin Donan e J. Lee Donan. Per ricordarlo degnamente, siamo andati a rivedere Giovannona Coscialunga disonorata con onore, uno dei film da lui prodotti - e diretti dal fratello Sergio - che ha contribuito al lancio di Edwige Fenech e al successo della commedia sexy.
Edwige Fenech
Sergio Martino contribuisce al lancio della commedia
sexy perché realizza, nel 1973, una pellicola che fa da apripista al genere e
da modello per futuri film come Giovannona
Coscialunga disonorata con onore. Si tratta di uno dei ruoli più importanti
ricoperti da Edwige Fenech, attrice molto valorizzata da Martino, all’interno di una pellicola - manifesto
della commedia scollacciata. Se è diventato un cult movie parte del merito va anche a Paolo Villaggio che ne Il secondo tragico Fantozzi (1976) lo cita come film preferito e lo paragona alla Corazzata Potëmkin (1926) (definita
“una cagata pazzesca”). Edwige Fenech, dopo questo film, diventa
l’incontrastata dominatrice della commedia sexy, genere nel quale si esibirà
nelle caratterizzazioni più varie con brillanti risultati.
Giovannona Coscialunga disonorata con onore è scritto e sceneggiato
da Francesco Milizia, Carlo Veo, Tito Carpi e Franco Mercuri. La fotografia è
di Stelvio Massi, il montaggio di Attilio Vincioni, mentre aiuto regista è
Michele Massimo Tarantini. Le scenografie sono di Giovanni Natalucci e le
musiche di Guido e Maurizio De Angelis. Produce Luciano Martino. Interpreti:
Edwige Fenech, Pippo Franco, Gigi Ballista, Vittorio Caprioli, Danika La Loggia, Francesca Romana
Coluzzi, Riccardo Garrone, Adriana Facchetti e Vincenzo Crocitti. Pippo Franco
è il segretario del commendator La
Neve (Ballista) ed è sua l’idea di far passare la prostituta
Cocò (Fenech) per la moglie dell’industriale. Lo stratagemma dovrebbe servire a
intenerire l’onorevole Pedicò (Caprioli), sensibile alle bellezze femminili, e
a evitare dure sanzioni per l’inquinamento prodotto dalla industria di
formaggi. Da qui si dipana la farsa con Edwige Fenech prorompente prostituta
volgare e sguaiata che si ingegna per concupire l’onorevole. Il problema è
quando parla… Per Mereghetti si tratta di “una commedia degli equivoci
dall’umorismo greve e chiassoso dove la Fenech doppiata in marchigiano non fa vedere
quasi niente, Pippo Franco è sguaiato come al solito e la comicità si riduce ai
soliti va e vieni dalle stanze sbagliate”. Mereghetti si scandalizza pure che
il Ministero del Turismo e dello Spettacolo abbia dato un contributo a un film come questo.
A mio parere è una stroncatura eccessiva perché Giovannona
Coscialunga è una dignitosa commedia sexy, forse una delle migliori di
questo periodo. Si ride molto e lo si fa ancora oggi, a distanza di oltre
trent’anni dalla sua realizzazione. Non mi pare poco. Un nuovo pretore arriva
al piccolo paese siciliano di Roccapizzo, un fantasioso comune alle pendici
dell’Etna, ed è lui che mette nei guai l’industria del formaggio Straccolone. Nell’ufficio dell’azienda si respira
un’aria pesante e il commendator La
Noce, coinvolto nello scandalo del fiume inquinato, medita
l’espatrio. Pippo Franco è un irresistibile segretario balbuziente, che si
esprime al meglio della sua comicità romanesca ed è attratto dalle belle donne.
Le prime inquadrature lo vedono intento a scrutare le cosce all’impiegata della
ditta che indossa conturbanti minigonne. Sin da subito la pubblicità indiretta
si spreca, come costume del periodo sono frequenti le inquadrature su pacchetti
di sigarette Astor, acqua Pejo e Uliveto, J&B (immancabile) e Fernet
Branca, veri e propri sponsor del film. Pippo Franco ha l’idea di chiedere aiuto
all’onorevole Pedicò (Caprioli), classico democristiano tutto casa e chiesa che
ha per moglie la statuaria Francesca Romana Coluzzi. Il segretario scopre, con
l’aiuto di un prete in odore di omosessualità, che l’onorevole ha una passione
segreta: le belle mogli degli altri. Pippo Franco cerca una ragazza disponibile
a recitare la parte della signora La
Noce, visto che la vera moglie del commendatore è brutta e
timorata di Dio. Dopo una ricerca tramite agenzia che lo porta a contattare un
transessuale, decide di fare da solo e con la sua Fiat Cinquecento scassata
rimorchia la Fenech
nella zona dove battono le mignotte.
Pippo Franco di fronte a cotanta grazia...
La prima cosa che lo attrae è il sedere
della ragazza che lo fa inchiodare di colpo per tentare un approccio. Stupendo
il dialogo. Pippo Franco: “Co… co… come te chiami?” (è balbuziente). Fenech:
“Ma che fai sfotti? Me chiamo Cocò!”. Pippo Franco la istruisce, la veste come
finta moglie del commendatore e quando le prende le misure si accorge che sono:
98 - 98 - 110, mentre la camera inquadra il seno della Fenech dall’alto lui
esclama: “Quasi quasi mando affanculo tutto!”. Quando l’accompagna al treno per
la Sicilia si
accorge che la ragazza parla un pesante dialetto ciociaro e si esprime come una
burina. “Ma questa parla sempre così?” fa il commendatore. “No, pure peggio”
risponde il segretario. Nella cabina Cocò completa l’opera e scambia un orinale
per una tazza da caffè. Ma ormai il piano è partito e sul treno c’è pure
l’onorevole con la sua bruttissima segretaria zitella che ha un debole per il
commendatore. Durante la cena Cocò non parla perché dice che ha fatto un
fioretto a San Rocco e dovrebbe sedurre l’onorevole, ma fa piedino alla
segretaria che pensa a un’insidia da parte di La Noce. Da qui parte la
commedia degli equivoci. Sul treno recita una piccola parte da conduttore anche
il caratterista Vincenzo Crocitti, che diventa matto per via dei continui cambi
di cuccette che sono la molla della comicità. Pippo Franco e la Fenech fingono di fare
l’amore per sconvolgere l’onorevole e alla fine si convincono così bene che
finiscono a letto insieme.
La
Fenech si presenta in tutto il suo splendore e lui esclama:
“Ammazzate che pompelmi e che belle cosce!”. E lei in ciociaro: “Nun è pe’ fa
la superba, ma a lu paese me chiamano Giovannona Coscialunga!”. Alla stazione
di Battipaglia sale anche un omosessuale e l’onorevole Pedicò entra nella sua
cabina invece che in quella di Cocò. Il gay arpiona la gamba dell’onorevole e
non se lo vuole far scappare. In tempi di politically
correct scene come questa si beccherebbero la qualifica di omofobe e non
potrebbero essere girate. Il commendator La Noce finisce nella cuccetta della segretaria
zitella dell’onorevole, mentre Pippo Franco e la Fenech se la spassano
perché in fondo Cocò è innamorata di lui. La situazione di caos ricorda molto
le comiche del cinema muto e la pochade,
ma è il sale dell’umorismo. La farsa raggiunge il suo apice quando entrano in
campo anche il protettore di Cocò e la vera moglie del commendatore. Il pappa
estorce a Pippo Franco la confessione a suon di ceffoni, quindi si allea con la
moglie di La Noce
e parte alla ricerca della sua donna. Robertuzzo è un Riccardo Garrone molto
bravo, che ricordiamo attore di molti film con Tinto Brass e che per
l’occasione veste la maschera di un bullo di periferia che parla ciociaro
sbagliando tutti i congiuntivi. Intanto Cocò impara a dire l’essenziale con
frasi numerate che il commendatore le fa memorizzare. La finta coppia è pronta
per l’invito a pranzo alla villa dell’onorevole. La parte conclusiva si consuma
proprio a casa Pedicò, dove tra piscina e camere assistiamo a un nuovo tourbillon di scambi di letti e
situazioni paradossali. Il commendatore se la dice con la moglie
dell’onorevole, ci gioca a tennis, le accarezza una gamba dopo che si è infortunata
e quando è notte cerca di entrare in camera sua. L’onorevole tenta di drogare La Noce con il caffè, ma
addormenta Cocò e non riesce ad approfittare di lei. La segretaria zitella
intanto muore dalla rabbia ed è gelosa del commendatore.
Un montaggio d'autore. Ovviamente La polizia s'incazza non esiste!
Una commedia degli
equivoci tra uomini e donne che passano da una stanza all’altra ma nessuno
combina niente. Intanto c’è Pippo Franco che ha avuto un guasto alla sua Fiat
500 e deve fare l’autostop per raggiungere Roccapizzo. Prima incontra un pazzo
uscito dal manicomio, che è quasi del tutto cieco e guida come un folle mentre
ride isterico. Quando il pazzo lo scarica ottiene un passaggio da un carro
funebre e si sdraia in mezzo ai fiori al posto del morto. Pippo Franco arriva
alla villa e a questo punto comincia la comica finale con lui che cade in acqua
ma non sa nuotare e tutti gli altri che lo seguono tra sganassoni e spinte.
Robertuzzo e la vera moglie del commendatore sono arrivati sul luogo del
misfatto e la frittata è completa. Mogli e amanti si prendono a botte in un
finale da torte in faccia che il regista gira a velocità innaturale per rendere
l’idea della comica. Finiscono tutti all’ospedale e Robertuzzo ricatta il
commendator La Noce
e l’onorevole Pedicò. Alla fine il protettore di Cocò diventa manager dell’industria
di formaggio, l’onorevole risolve tutti i problemi legati all’inquinamento e il
commendator La Noce
è contento perché ha trovato un vero segretario.
Pippo Franco corona il suo
sogno d’amore con Edwige Fenech e si mette a fare il pappa della ragazza per
sbarcare il lunario. Solo che non ha proprio il fisico da protettore e quando
porta Cocò in una zona che non è la sua viene massacrato di botte da un
gigantesco Franceschino (Nello Pazzafini). “’A Franceschi’, nun me mena’…”,
implora. Ma il ceffone arriva lo stesso e lo stende. “Ma almeno glielo hai
preso il numero di targa?” chiede a Cocò. Il film termina qui e a tratti pare
un Pretty Woman (1990)
all’incontrario, pure in questa pellicola la ragazza di strada si innamora, ma
finisce per tornare a fare la mignotta ed è proprio il suo ragazzo che ce la
porta. Il film non è per niente volgare, si tratta di una farsa divertente e
piacevole, una commedia degli equivoci secondo lo schema classico della
commedia all’italiana, condita con una spruzzatina di sesso. Gli attori sono
molto bravi. Pippo Franco è in gran forma e Vittorio Caprioli è un
professionista di grande livello. La
Fenech è molto sensuale e non si limita alla sola presenza
scenica. Bene anche Gigi Ballista, sempre molto credibile. Il titolo del film
doveva essere Un grosso affare per un
piccolo industriale, ma siccome andavano di moda i titoli lunghi (tipo Mimì metallurgico, ferito nell’onore)
si pensò a questa sorta di titolo-parodia.
In realtà è proprio il titolo volgare che ha prodotto tanti giudizi
negativi da parte dei critici dal palato fine, ma al tempo stesso è sempre
merito del titolo se lo ricordiamo come un film simbolo di un’epoca. La
pellicola si avvale di un Pippo Franco al massimo delle sue capacità e come era
già capitato per Quel gran pezzo
dell’Ubalda… è soprattutto su di lui che si appunta la responsabilità di
far ridere. Ricordiamo alcune battute simbolo. Commendatore: “Ma non dire cose
arcane!”. Pippo Franco: “Ar cane? E chi gli ha detto niente ar cane?”. Due
mogli all’aeroporto. Prima moglie: “Ma tu quando fai l’amore ci parli con tuo
marito?”. Seconda moglie: “Se mi telefona…”. Pippo Franco a Cocò: “La cosa
rimanga tra noi, come dicono i francesi entreneuse…”.
Pippo Franco che si becca una scarica di multe: “Vigile Mastofi, vigile
Mastofi… ma sto’ fijo de ’na mignotta c’ha le penne all’arrabbiata!”.
Protettore: “Dove sta’ Cocò?”. Pippo Franco: “Se dice dove sta’ Zazà!”.
Concordiamo con Michele Giordano che ha visto un film “ben costruito, anche se
appesantito da un eccesso di rocambole
finale e basato su battute spesso stantie”. Come abbiamo già detto Pippo Franco
è ottimo e in bocca sua freddure da barzelletta volgare diventano divertenti.
Pure se la componente comica è prevalente, le grazie della Fenech vengono
mostrate con abbondanza e proprio per questo motivo possiamo dire che con Giovannona Coscialunga comincia la
commedia erotica italiana. Tra l’altro è interessante notare che in molte
commedie del periodo c’è la figura dell’onorevole un po’ intrallazzone a cui
piacciono le donne. Citiamo Lando Buzzanca nella parte dell’onorevole Puppis
(in odore di omosessualità) nell’ottimo All’onorevole
piacciono le donne (1972), che costò anche qualche problema di censura al
regista Lucio Fulci, perché ispirato a un vero personaggio politico. In tempi
successivi lo stesso Vittorio Caprioli si ripeterà con L’Affittacamere (1976), film diretto dal geniale Nando Cicero,
impersonando l’onorevole Vincenzi.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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