di Carlo Vanzina
Abatantuono e Calà miti giovanili anni Ottanta
(tratto dal mio libro inedito: Gli eredi della commedia all'italiana - Il cinema dei Vanzina)
Regia di Carlo Vanzina. Soggetto e sceneggiatura:
Carlo ed Enrico Vanzina. Fotografia: Alessandro D’Eva. Montaggio: Raimondo
Crociani e Lidia Pascolini. Musica: Detto Mariano. Scenografia: Giuseppe
Mangano ed Emita Frigato. Costumi: Marina Straziota. Interpreti: Jerry Calà,
Diego Abatantuono, Simona Mariani, Mauro Di Francesco, Ugo Bologna, Loris
Zanchi, Renato Cecchetto, Carmine Franco, Annabella Schiavone, Jimmy il
Fenomeno, Barbara Herrera e Fabio Grossi.
La trama non è certo la cosa più importante di questo
quinto film dei Vanzina che decreta il successo cinematografico di Diego
Abatantuono e Jerry Calà. Alla fine resta solo un patrimonio di battute, mimica
e trovate assurde interpretate da due attori che condizioneranno i
comportamenti giovanili dei primi anni Ottanta. Jerry Calà (Romeo) è un milanese purosangue che fa il
posteggiatore di auto, mentre Diego Abatantuono (Felice) è un immigrato pugliese
(ma afferma di essere milanese ciento
pe’ ciento) che sbarca il lunario
trasportando frutta. Romeo e Felice sono a capo di due bande rivali che sin
dalle prime scene girate in metropolitana si sbeffeggiano a colpi di battute
razziste. In questa situazione si inserisce un complesso rapporto amoroso tra
la sorella di Felice (Simona Mariani) e Romeo, che il fratello osteggia con
tutte le sue forze. Romeo finisce addirittura in galera per aver tentato una
rapina al Banco dei Pegni e resta a consolarlo solo l’amico Mauro Di Francesco,
collega posteggiatore con la fissa degli States.
Romeo scrive lettere su lettere alla sua bella, ma Felice non gliele fa leggere
e convince Giulietta a sposare un ricco pretendente. Risolve la situazione il
brillante avvocato Colombo (Ugo Bologna), vecchio cliente di Romeo, che con una
brillante arringa fa assolvere il ragazzo. Il finale strappa gli applausi al
pubblico femminile, perché il sogno d’amore viene coronato. Romeo irrompe in
chiesa con un comico ralenti, rapisce
la sposa, finge di disonorarla e obbliga Felice ad acconsentire a un matrimonio
riparatore.
Il modello colto di riferimento è lo shakespeariano
Giulietta e Romeo, anche se la trama resta un modesto racconto confezionato a
uso e consumo dei giovani anni Ottanta. I Vanzina imitano i modelli statunitensi,
inseriscono una spruzzata di rock e di disco-music, puntano sull’antagonismo
tra settentrionali e meridionali, ma soprattutto inventano uno slang
giovanilistico che fa furore.
Marco Giusti su Stracult parla di “evidenti echi dei Guerrieri della notte”, ma
obiettivamente non sembra che il film di Walter Hill (1979) venga citato più di
tanto, se non in forma molto farsesca. I fichissimi lancia il primo Abatantuono e dimostra che Jery Calà
può far cinema popolare da solo, senza l’ingombrante presenza de I Gatti di
Vicolo dei Miracoli che lo costringevano a interpretare un cabaret più colto.
Rivisto oggi è un film che si segue con interesse, diverte e soprattutto
rappresenta un quadro veritiero di un mondo giovanile anni Ottanta. Sono
evidenti tutti i limiti semplificatori del cinema vanziniano, ma questo è un
difetto di base con il quale dobbiamo convivere. Le pretese non sono alte e gli
scopi di regista e sceneggiatore vengono ampiamente raggiunti.
Il tema conduttore della pellicola resta l’esclamazione
viuuulenz!, una sorta di tormentone
del primo Abatantuono, presente in quasi tutti i suoi film. Jerry Calà non è da
meno quando tira fuori dal cilindro i suoi allucinati: Ciao!, Libidine! Doppia libidine! e Mi acchiappa un casino…
Sono molte le battute da citare e i dialoghi assurdi,
frutto di una collaborazione intensa tra regista sceneggiatore e protagonisti.
Abatantuono giganteggia dall’inizio alla fine, il suo
slang è incontenibile, non c’è giovane che non lo conosca e che non provi a
imitarlo, a scuola o con gli amici. Tutto questo è indice di successo.
Citiamo alcune espressioni dove la comicità viene
fuori da un’operazione di trasformismo e di storpiamento della frase originale:
“Siamo nel deserto di Goblin, quello di Dario Argento”, “Non svegliare il babbo
che dorme!”, “Io vedo tutto, sento tutto, c’ho gli occhi dappertutto, pure
dietro la testa, come i camaleonti. Anzi, come i Dik Dik!”, “Ma che c’hai dentro al cervello? Gorgonzola
rancido?”, “Tu t’illudi! Illusionista…” (che ricorda la comicità di Totò).
Notevole quando si rivolge a mamma e sorella per criticare il pranzo: “Mmmh,
che profumino! Che avete cucinato oggi, polpette di mmedda?”. Indimenticabile
la canzone di Riccardo Cocciante, modificata in “Io rinascerò, cervo di
muntagna/ oppure micrerò come un maiale micratore/ come un purcello da
scogliera!/ il peperone non si bagna…”. “So’ milanese al ciento pe’ ciento!” è
l’immancabile intercalare accompagnato dalla giustificazione che usa il
dialetto perché va di moda, perché acchiappa…
Diego Abatantuono interpreta una sorta di
fratello-padrone originario di Bisceglie, che dopo la morte del babbo e in
assenza della madre - in visita alla famiglia in Puglia - si occupa dei
fratelli minori. Fabio Grossi presta il volto al fratello gay, vittima delle
considerazioni acide di Diego Abatantuono, davanti alla foto del padre defunto.
Si ricorda la sequenza dei preparativi per la discoteca. Abatantuono: “Io sono
pronto! Ma tu come ti sei conciato? E che è, un vestito di Luigi 113 questo?!”.
Grossi: “Perché?”. Abatantuono: “Non andiamo mica a ballare il minuetto,
andiamo in discoteca. Guarda che così le galline non ti cacano neanche”.
Grossi: “Ah, ma guarda che le galline non mi interessano mica, sai!”
Abatantuono: “Maronna babbo, guarda: non è venuto né carne né pesce, né maschio
né femmina. È ibrido! C’è il babbo che si sta ribaltando dentro la tompa!”.
Felice chiamerà il fratello gay sempre con l’appellativo ibrido e questa è una delle trovate più originali di Enrico
Vanzina. Felice è tutto preso dal ruolo paterno, crede di dover proteggere il
fratello minore dalla droga (ma poi fuma lui la canna), spedisce la sorella al
suo piccolo mondo antico (la cucina),
perché le donne non hanno diritto di parola, e sorveglia ogni mossa casalinga
come un simpatico despota. A una festa in maschera nella discoteca difende la
sorella vestito da moschettiere, a colpi di finta spada in un duello
improvvisato con un Romeo - Zorro. “Romeo! Già il nome mi sta’ su e balle… e
pesantemente!” esclama.
Jerry Calà esagera come sempre, balla in
metropolitana, si agita, strabuzza gli occhi, recita con una mimica sopra le
righe, ma riveste un ruolo efficace. Definisce il posteggiatore come un clown triste, perché vede auto di
lusso ma non può comprarle. Sono ottimi anche gli scontri generazionali padre -
figlio che tentano di far capire l’incomunicabilità generazionale, pur senza
scendere in profondità. Romeo va in discoteca vestito di rosso con un cappello
stile far west e il babbo non approva. “Ma come parli? Sembri il babbo di Pertini!”
dice Calà al padre. In discoteca vediamo Jerry Calà apostrofare Abatantuono
(vestito con un giubbotto di pelle con la scritta Toro Scatenato) con epiteti
ironico - razzisti: “Giubbotto ripieno di Puglie! Ti faccio un culo come il
promontorio del Gargano!”. L’incontro tra Jerry Calà e Simona Mariani è segnato
da una battuta storica. Mariani: “Non ci siamo ancora presentati.
Giulietta, come Giulietta Masina”. Jerry, di rimando: “Piacere, Romeo: come
Romeo Benetti”. L’allusione è al popolare calciatore milanista degli anni
Ottanta. Una sequenza da ricordare vede i due comici protagonisti di uno
scambio di battute. Calà imita lo slang di Abatantuono in maniera molto
efficace e quest’ultimo lo definisce “Gigi Sabani dei poveri”.
Mauro Di Francesco non ricopre un ruolo di grande
rilievo, come collega di parcheggio di Romeo, ma è bravo e interpretare un
milanese in preda al sogno americano che si sforza di parlare inglese anche se
non conosce una parola. Simona Mariani (Giulietta) è bella ed espressiva, peccato
che nel cinema italiano sia stata poco utilizzata. Ricordiamo film come Segni particolari: bellissimo (1983) di
Castellano e Pipolo, Al lupo al lupo
(1992) di Carlo Verdone, Ti amo Maria
(1997) di Carlo Delle Piane e Pazzo
d’amore (1999) di Luciano Cadore. Ugo Bologna (l’avvocato Colombo) è un buon
caratterista milanese che incontriamo spesso nei film dei Vanzina. Sapore di mare (1983) è il suo film più
interessante, ma recita un ruolo di rilievo anche in Yuppies - I giovani di successo (1986). Bologna è morto nel 1998,
all’età di ottant’anni.
I Vanzina realizzano un buon affresco di come ci si
divertiva negli anni Ottanta, salvaguardando la memoria storica della
discoteca, luogo di ritrovo e di sonore scazzottate tra bande rivali. Come
sempre nei loro film, anche ne I
fichissimi non mancano le citazioni cinematografiche, anche se sono
soltanto di maniera e vengono inserite all’interno di battute. Rocco e i suoi fratelli, pellicola di
Luchino Visconti (1960) in parte ricorda la situazione della famiglia di
Felice, anche se molto estremizzata in farsa. In una breve sequenza si cita L’uccello dalle piume di cristallo
(1970) di Dario Argento, ma con finalità comiche. I fichissimi resta uno dei film migliori del primo periodo
vanziniano, contribuisce a creare due icone comiche come Abatantuono e Calà,
fotografa il mondo giovanile di un periodo storico e regala una serie di modi
di dire che costituiranno l’ossatura dello slang giovanilistico in voga negli
anni Ottanta.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
(tutti i diritti riservati)
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