di Pietro
Germi
Regia: Pietro Germi. Soggetto: Alfredo Giannetti.
Sceneggiatura. Luciano Vincenzoni, Pietro Germi. Revisione Sceneggiatura: Ennio
De Concini, Carlo Musso. Fotografia. Leonida Barboni. Montaggio: Dolores
Tamburini. Musiche: Carlo Rustichelli. Scenografia: Carlo Egidi. Produttore:
Carlo Ponti per ENIC/ Ponti De Laurentiis. Distribuzione: ENIC. Durata: 118’. B/N. Genere: Drammatico.
Interpreti: Pietro Germi (doppiato da Gualtiero De Angelis), Luisa Della Noce
(doppiata da Dhia Cristiani), Sylva Koscina (doppiata da Lydia Simoneschi),
Saro Urzì (doppiato da Manlio Busoni), Carlo Giuffrè, Renato Speziali (doppiato
da Giuseppe Rinaldi), Edoardo Nevola, Riccardo Garrone, Franco Fantasia, Renato
Terra, Gustavo Serena, Amedeo Trilli, Lina Tartara Minora, Mirella Fedeli,
Antonio Acqua, Lilia Landi. Premi: Nastro d’Argento Miglior Film e Miglior
Produttore; Festival Internazionale di San Sebastian: Concha de Oro miglior
film, Concha de Plata miglior regista a Pietro Germi, Concha de Plata migliore
attrice a Luisa Della Noce; Premio San Francisco a Pietro Germi come miglior
attore. Premio Cork a Pietro Germi come Miglior Regia.
Il
ferroviere nasce da un soggetto
originale di Alfredo Giannetti, intitolato Il
treno, adattato per il cinema dagli esperti Vincenzoni e Germi. Il regista
ritaglia per sé la parte del protagonista e dà vita a una figura tormentata e coinvolgente
di un ferroviere cinquantenne, in crisi familiare e lavorativa. Carlo Ponti
avrebbe voluto Spencer Tracy nel ruolo principale, ma Germi decide di
interpretare Andrea Marcocci, arrivando a minacciare l’abbandono della regia. Il ferroviere viene presentato a Cannes
e a Berlino. Ottiene due Nastri d’Argento, mentre al Festival di San Sebastian fa
man bassa di premi: regia e migliori attori per Germi e Della Noce. Un grande
film, una pietra miliare del cinema italiano, un melodramma neorealista di
taglio intimista, con sfumature deamicisiane (come dice Morandini) che non
guastano, perché il lato umano dei personaggi è tratteggiato in profondità. Le
accuse di moralismo populista che piovono su Germi dal versante della critica
militante sono del tutto infondate.
In breve la storia, molto articolata, che racconta
l’esistenza tormentata di un macchinista ferroviere. Il vino, l’osteria e gli
amici sono il leitmotiv di un
racconto per immagini intenso e coinvolgente. Andrea conduce lo spettatore alla
scoperta di un luogo importante per l’Italia degli anni Cinquanta: l’osteria,
dove scorre la vita degli uomini dopo il lavoro, tra partite a carte,
chiacchiere con gli amici e fiaschi di vino, la droga dei poveri. Vediamo gli
scontri padre - figlia ripercorsi grazie a intensi flashback, la ragazza (Koscina) che sposa un uomo che non ama
(Giuffrè) per volere del padre, ma anche un altro figlio che non vorrebbe fare
la vita del genitore, ma non lavora e si mette nei guai. Il primo dramma nella
vita della figlia è la nascita di un figlio morto che segna la crisi
matrimoniale. Un amante entra nella vita della figlia, motivo della separazione
e di una lite furibonda con il padre. Straordinaria Luisa Della Noce nei panni
della donna di casa, mite e sottomessa, che si sobbarca in silenzio tutti i
problemi familiari, sia la crisi matrimoniale della figlia che i fallimenti del
figlio.
Il racconto procede seguendo le considerazioni del figlio più piccolo,
Sandro (Nevola), innamorato del padre ma studente svogliato e per questo spesso
rimproverato dal genitore. Il rapporto padre - figlio è una delle cose più
belle dell’intera pellicola, tratteggiato con dovizia di particolari,
realistico e in linea con la concezione paterna del periodo storico. Il padre
non è un amico, ma il capo famiglia, a volte duro, ma sempre rispettato,
lavoratore infaticabile, a lui è concesso andare con gli amici all’osteria, persino
ubriacarsi dopo il turno massacrante di lavoro. Il dramma irrompe nella vita di
Andrea quando investe un suicida alla guida del treno, subito dopo non vede un
segnale rosso e rischia di provocare un incidente ferroviario.
Andrea crolla
psicologicamente dopo la sospensione dal lavoro, dovuta alla cattiva fama di
bevitore, non crede nel sindacato che non l’aiuta, finisce ai servizi sedentari
e deve fare il crumiro per recuperare la guida del treno. Soltanto Gigi
Liverani (Urzì), il collega e l’amico di sempre, resta al suo fianco e l’aiuta
nei momenti difficili. Il finale è drammatico. Andrea è malato di cuore ma
vuole festeggiare il Natale insieme agli amici e con la famiglia. È il Natale
più bello della sua vita, si riappacifica con i figli, comprende che è stato un
padre troppo intransigente. Non fa in tempo a cambiare, perché muore sul suo
letto mentre imbraccia la chitarra per dedicare una serenata alla moglie, che
non l’ha mai abbandonato. Il piccolo Sandro resta solo, senza guida paterna, ma
il figlio maggiore comincia a lavorare, si capisce che prenderà il posto del
padre alla guida della famiglia, e il matrimonio della sorella pare rimettersi
in sesto.
Pietro Germi compone uno spaccato dell’Italia anni
Cinquanta crudo e realistico, una nazione povera che stenta a ricostruire
palazzi e fabbriche dopo la guerra. La macchina da presa del regista indaga la
vita delle famiglie proletarie, che vivono in povere case, vestono abiti
rattoppati, lavorano duro per pochi soldi. I contrasti generazionali sono in
primo piano: i figli si ribellano all’autorità paterna, pretendono una vita diversa
in un mondo che cambia, mentre il padre ragiona come in passato. Il film è un
melodramma sentimentale, ma non rinuncia a fare politica in senso lato. Germi
punta l’indice accusatore su un sindacato che parla molto ma non fa l’interesse
dei lavoratori, non li difende come dovrebbe.
Una filippica di Andrea contro il
sindacato viene recitata nell’osteria e non risparmia nessuno, anche se l’uomo
è ubriaco si capisce che ragiona in piena lucidità. Pietro Germi conferisce
forza e carisma a un personaggio importante, dando ragione a se stesso per aver
scommesso sulla sua interpretazione. Si tratta del ruolo della sua vita, come
attore. Indimenticabili le sequenze alla guida del treno, lo sconforto in
osteria davanti a un bicchiere di vino e l’amore burbero per il figlio più
piccolo che lo ama e lo teme. Brava anche Sylva Koscina (1933 - 1994), ventidue
anni, al suo secondo film dopo Siamo
uomini o caporali? (1955) di Camillo Mastrocinque, dove si limitava a una
breve apparizione sexy. Il ruolo di Giulia, la figlia del ferroviere è intenso
e drammatico, la bella jugoslava di Zagabria, si mette in mostra come una
presenza interessante del nostro cinema. Luisa Della Noce (1923 - 2008),
invece, interpreta una manciata di pellicole dal 1952 al 1970, ma resta
fondamentale il ruolo come moglie del ferroviere, rappresentativo della
rassegnazione femminile negli anni Cinquanta. La sua parte è la
personificazione della moglie parafulmine dei problemi casalinghi, sempre
comprensiva e disposta a perdonare. L’uomo
di paglia (1958) di Pietro Germi è un altro film importante che vede la sua
interpretazione, mentre in tempi recenti la ritroviamo in Identificazione di una donna (1982) di Michelangelo Antonioni. Il
ruolo della donna nel cinema di Germi è secondario, visto da un’ottica molto
maschile, autori come Brunetta hanno parlato di misoginia, termine che pare eccessivo. Quel che conta in Germi è il
rapporto virile padre - figlio, amico - compagno di lavoro, ma nella sua opera
non c’è traccia di quella lotta di classe tanto amata dagli ideologi, che si
stempera nella normalità della vita quotidiana.
Rassegna critica. La critica di sinistra stronca il
film, perché il regista mostra una figura di operaio troppo diversa dai cliché
precostituiti e rassicuranti. Si tratta di critiche ideologiche fuorvianti, che
parlano di populismo, mancanza di coscienza di classe, intenti deamicisiani.
Morando Morandini (tre stelle e mezzo per la critica, quattro per il pubblico):
“Nonostante
i limiti della sua poetica (un po’ De Amicis, un po’ Capra) e del suo moralismo
ottocentesco, sfugge alle trappole della retorica per la scrittura calda e
avvolgente, concentrata sugli attori, per quel neorealismo intimistico che è la
cifra stilistica migliore di Germi (ma il merito è anche dello sceneggiatore
Alfredo Giannetti) che ne fa un narratore popolare ad alto livello”.
Filippo
Sacchi critica la prova di attore: “La sua maschera non possiede l’intensità e
il dinamismo fotogenico necessari per occupare continuamente lo schermo”. (Al cinema col lapis, Milano, Mondadori,
1958). Gian Piero Dell’Acqua: “Uno dei
migliori film di Germi, per la notevole ricchezza psicologica con cui è
ritratto il protagonista, e definita la sua mentalità piccolo borghese”. Gian
Piero Brunetta (Storia del Cinema Italiano, Editori Riuniti, 1982): “Il ferroviere e L’uomo di paglia segnano la crisi del riferimento al cinema
americano e il tentativo di guardare più da vicino, secondo codici più
pertinenti (melodramma popolare, cinema francese), la crisi individuale e i
problemi del privato, nel mondo proletario. Germi pone al centro della sua
poetica istanze regressive, una specie di nostalgia per figure e valori perduti
e anacronistici. Il fatto che entri come attore in alcuni film segnala il grado
di coinvolgimento e l’incrocio quasi autobiografico con la vicenda”. Paolo
Mereghetti (due stelle e mezzo): “Il film si concede qualche indulgenza di
troppo nella descrizione del mondo operaio e rischia di scivolare nel
patetismo, ma la storia di un proletario che vede crollare i valori in cui ha
creduto è raccontata con molta umanità e può contare su un’interpretazione
sincera e partecipata del regista e protagonista, che cerca strade originali
nell’incerto panorama produttivo successivo all’esperienza neorealista. Esordio
della Koscina”. Pietro Germi amava molto questo film, era il lavoro in cui più
si riconosceva, “fatto per gente all’antica…col risvolto dei pantaloni”, diceva.
Germi è doppiato da Gualtiero De Angelis, voce intensa e vellutata di James
Stewart, Cary Grant, Dean Martin.
Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi
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