A dirla proprio tutta, Gordiano Lupi ci assomiglia un poco a Lucio Fulci.
Forse perché l’ha tanto studiato, forse perché l’ha fatto oggetto di tanti scritti o, forse, perché l’ha tanto amato, fatto è che il suo modo di scrivere e raccontare la storia del cinema horror italiano ha molto in comune con il gesto registico dell’autore di L’aldilà e di Paura nella città dei morti viventi.
In comune il saggista e il poeta del macabro hanno un gesto narrativo secco e ben inquadrato, una sostanziale sfiducia per gli ambiti culturali nei quali navigano e la precisa volontà di non abbandonare la strada che si sono preposti anche a costo di poter apparire antipatici per il loro bisogno di dire le cose come stanno, senza troppi infingimenti.
Entrambi danno spesso l’impressione di lavorare per prevenire le possibili obiezioni, consapevoli che gli argomenti che devono porgere e lo stile con cui verranno offerti al proprio pubblico sono destinati comunque ad ottenere forti reazioni, ma che non intendono per questo perdere tempo con superflue, inutili captatio benevolentiae.
Se Fulci ha sempre fatto i film che ha voluto fare, ritagliandosi uno spazio tutto suo nelle limitazioni produttive e nelle etichette che lo costringevano se non altro a fingere il compromesso, Lupi scrive quel che vuole, quel che ha bisogno di scrivere e quel che per lui è importante lasciare al proprio lettore.
Forse perché l’ha tanto studiato, forse perché l’ha fatto oggetto di tanti scritti o, forse, perché l’ha tanto amato, fatto è che il suo modo di scrivere e raccontare la storia del cinema horror italiano ha molto in comune con il gesto registico dell’autore di L’aldilà e di Paura nella città dei morti viventi.
In comune il saggista e il poeta del macabro hanno un gesto narrativo secco e ben inquadrato, una sostanziale sfiducia per gli ambiti culturali nei quali navigano e la precisa volontà di non abbandonare la strada che si sono preposti anche a costo di poter apparire antipatici per il loro bisogno di dire le cose come stanno, senza troppi infingimenti.
Entrambi danno spesso l’impressione di lavorare per prevenire le possibili obiezioni, consapevoli che gli argomenti che devono porgere e lo stile con cui verranno offerti al proprio pubblico sono destinati comunque ad ottenere forti reazioni, ma che non intendono per questo perdere tempo con superflue, inutili captatio benevolentiae.
Se Fulci ha sempre fatto i film che ha voluto fare, ritagliandosi uno spazio tutto suo nelle limitazioni produttive e nelle etichette che lo costringevano se non altro a fingere il compromesso, Lupi scrive quel che vuole, quel che ha bisogno di scrivere e quel che per lui è importante lasciare al proprio lettore.
Tutto si può dire della sua Storia del cinema horror italiano fuorché che non sia sincera. Tutto si può obiettare a queste pagine rosso sangue tranne che esse non siano un commosso atto d’amore nei confronti di un genere sottostimato del nostro cinema.
Anche questo secondo volume, che abbandona il terreno sperimentale delle origini per addentrarsi nell’analisi della poetica di due autori (con un’appendice, quasi, dedicata ad un episodio horror della produzione di Elio Petri) conferma le impressioni che ci avevano accompagnato durante la lettura del primo: questa non è una semplice storia del cinema horror italiano, ma la storia di Gordiano Lupi, la sua visione, il suo modo di intenderla. Quel che colpisce non è tanto il fatto che egli scelga il tono piano di un’asciutta autobiografia attraverso il filtro oggettivante del genere, quanto l’incredibile considerazione che questa vocazione non venga meno neanche nei momenti in cui l’autore cede la penna ad altri per farsi da parte (accade, ad esempio, nella commossa rievocazione fulciana a firma di Giovanni Modica).
Già Oscar Wilde diceva che, in fondo, la critica non è che la più raffinata forma di autobiografia: leggere Lupi ci pare, oggi più che mai, una conferma dell’assunto.
Anche questo secondo volume, che abbandona il terreno sperimentale delle origini per addentrarsi nell’analisi della poetica di due autori (con un’appendice, quasi, dedicata ad un episodio horror della produzione di Elio Petri) conferma le impressioni che ci avevano accompagnato durante la lettura del primo: questa non è una semplice storia del cinema horror italiano, ma la storia di Gordiano Lupi, la sua visione, il suo modo di intenderla. Quel che colpisce non è tanto il fatto che egli scelga il tono piano di un’asciutta autobiografia attraverso il filtro oggettivante del genere, quanto l’incredibile considerazione che questa vocazione non venga meno neanche nei momenti in cui l’autore cede la penna ad altri per farsi da parte (accade, ad esempio, nella commossa rievocazione fulciana a firma di Giovanni Modica).
Già Oscar Wilde diceva che, in fondo, la critica non è che la più raffinata forma di autobiografia: leggere Lupi ci pare, oggi più che mai, una conferma dell’assunto.
Il secondo volume della storia, dicevamo, centra la sua attenzione su due autori.
Il primo è Dario Argento, «un grande e geniale artigiano» per usare le parole di Lupi, di cui viene raccontata, con un occhio al dato di costume e un altro al giudizio estetico, la carriera fino al Dracula 3D che resta fuori discorso perché in fase di post produzione proprio nel periodo di editazione del volume (colma la lacuna un’intervista incrociata ad Antonio Tentori e Stefano Piani a cura di Francesca Lenzi).
Il secondo è, manco a farlo apposta Lucio Fulci che, occupa, in proporzione, una parte poco più consistente del libro. In realtà le pagine dedicate a Fulci non sono del tutto inedite. Esse sono, infatti, una libera riduzione e rielaborazione di un ben più consistente saggio dedicato all’autore, cofirmato da As Chianese, ed uscito sempre presso Il Foglio qualche anno fa. È da dire che il discorso, ristretto al fuoco lento di una passione mai sopita, risulta quasi più convincente qui che nell’edizione maggiore che sicuramente gli appassionati possiedono già.
Il primo è Dario Argento, «un grande e geniale artigiano» per usare le parole di Lupi, di cui viene raccontata, con un occhio al dato di costume e un altro al giudizio estetico, la carriera fino al Dracula 3D che resta fuori discorso perché in fase di post produzione proprio nel periodo di editazione del volume (colma la lacuna un’intervista incrociata ad Antonio Tentori e Stefano Piani a cura di Francesca Lenzi).
Il secondo è, manco a farlo apposta Lucio Fulci che, occupa, in proporzione, una parte poco più consistente del libro. In realtà le pagine dedicate a Fulci non sono del tutto inedite. Esse sono, infatti, una libera riduzione e rielaborazione di un ben più consistente saggio dedicato all’autore, cofirmato da As Chianese, ed uscito sempre presso Il Foglio qualche anno fa. È da dire che il discorso, ristretto al fuoco lento di una passione mai sopita, risulta quasi più convincente qui che nell’edizione maggiore che sicuramente gli appassionati possiedono già.
Gordiano Lupi non ha timore a dichiarare la sua assoluta partigianeria nei confronti del genere e degli autori che vi si sono cimentati. Eppure l’indubbia passione non annebbia il bisogno di mantenere uno sguardo critico capace di discernere, soprattutto nella multiforme carriera di Fulci, i capolavori dai film più strettamente commerciali e alimentari.
Il discorso è corredato da continue citazioni alla critica contemporanea all’uscita delle pellicole senza ritrarsi dal dibattito, ma, anzi, con sagace spirito polemico.
Il discorso è corredato da continue citazioni alla critica contemporanea all’uscita delle pellicole senza ritrarsi dal dibattito, ma, anzi, con sagace spirito polemico.
Sono passati i tempi in cui l’horror italiano era considerato un genere di serie Z. Argento è stato omaggiato addirittura al Festival di Pesaro di qualche anno fa. Solo l’astro di Fulci risulta ancora un poco appannato malgrado i continui omaggi che gli sono dedicati in particolar modo in Francia e America. Solo per questo lo spirito polemico di Lupi, qualche volta, muove il sorriso nel suo apparire un poco inattuale. Ma esso è motivato da un bisogno di dire che deriva dal dolore. Perché la ferita dell’incomprensione è sempre aperta e il ricordo, spesso, brucia ancora come nuovo sale.
Autore: Gordiano Lupi
Titolo: Storia del cinema horror italiano da Mario Bava a Stefano Simone. Vol. II - Dario Argento e Lucio Fulci
Editore: Edizioni Il Foglio
Collana: Cinema
Dati: 254 pp, brossura con alette
Anno: 2011
Prezzo: 15,00 €
Isbn: 978-88-7606-348-0
Titolo: Storia del cinema horror italiano da Mario Bava a Stefano Simone. Vol. II - Dario Argento e Lucio Fulci
Editore: Edizioni Il Foglio
Collana: Cinema
Dati: 254 pp, brossura con alette
Anno: 2011
Prezzo: 15,00 €
Isbn: 978-88-7606-348-0
Pezzo a firma di Alessandro Izzi
(che ringrazio)
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