Il regista e sceneggiatore italiano muore il 25 novembre 2023 a Roma all’età di 89 anni
Aldo Lado (Fiume, 1934 - Roma, 2023) comincia come aiuto tra il 1962 e
il 1971, fa lo sceneggiatore, debutta alla regia negli anni Settanta e spesso
firma le proprie opere con lo pseudonimo di George B. Lewis. Il suo primo film
è un giallo a tinte horror: La corta
notte delle bambole di vetro (1971). Chi
l’ha vista morire? presenta elementi macabri e misteriosi, soprattutto
un’atmosfera cupa e angosciosa messa in risalto da un’ottima colonna sonora. Il
limite di Lado è la discontinuità: alterna melodrammi e modesti ritratti della
vita di provincia a opere di qualità come L’ultimo
treno della notte (1975) e L’ultima volta (1976).
La corta notte delle bambole di vetro (1971) è un thriller misterioso,
scritto dal regista e ambientato in una imprecisata città dell’Est,
interpretato da Barbara Bach (Gregorini), Jean Sorel, Mario Adorf, Ingrid
Thulin, Hrvoje Svod, Petar Dumcic, Fabian Sovagovic, José Quaglio e Piero Vida.
Collabora alla sceneggiatura Ruediger Von Spiehs, la fotografia è di Giuseppe
Ruzzolini, il montaggio di Mario Morra, le scenografie di Gisella Longo e
Zeliko Senecici.
Il giornalista
americano Gregory Moore (Sorel) viene ritrovato apparentemente privo di vita in
un giardino pubblico di Praga, ma non è morto, perché rivive la sua
disavventura sul tavolo dell’obitorio. Il regista rende palpabile lo stato di
disperazione della vittima che non riesce a muoversi e a comunicare, ma
vorrebbe gridare al mondo che è ancora vivo. Tutto è cominciato con la
scomparsa di alcune ragazze e soprattutto di un’amica (Bach) che per Gregory
era molto importante. Lado inserisce elementi di romanticismo per far capire
l’affetto che stava nascendo tra i due giovani. Ingrid Thulin è perfetta
nell'interpretare una donna gelosa del nuovo amore di Gregory, mentre Mario
Adorf è un ottimo collega di lavoro. Le giovani donne scomparse erano
appassionate di musica, Gregory aveva capito che nella faccenda rivestiva un
ruolo importante il Club 99, un equivoco locale notturno. Nella sede
insospettabile si svolgevano i rituali di una setta capitanata dal dottor Kartin
(Sovagovich), intenzionata a sovvertire l’ordine sociale. Le giovani vittime servono a tutti coloro che vogliono conservare il
potere, che cercano il sangue per sopravvivere, fa dire il regista al capo
dei satanisti. Il film procede alternando i ricordi dell’uomo alla sua
sofferenza, dovuta al fatto di non riuscire a dire che è ancora vivo. Il Club
L’elemento horror è costituito dal satanismo che imperversa dall’inizio alla fine della pellicola ed è il sale dell’atmosfera thriller, caratterizzata da una statua demoniaca a forma di farfalla. Il film è noto anche come Malastrana, nome di un antico quartiere di Praga e rappresenta un esordio più che promettente per Aldo Lado. Per alcuni critici è il suo film migliore, che il regista ha saputo replicare solo in sporadiche occasioni. Si tratta di un thriller orrorifico pieno di metafore, in parte pure politico perché si scaglia contro i ricchi e il loro sistema di potere. Ottimo il cast degli attori, eccellenti le musiche di Ennio Morricone, studiata la suspense e suggestiva l’ambientazione tra Praga e Zagabria in un’atmosfera da regime comunista. La pellicola è un po’ lenta, ma inquietante, cupa, elegante e ricercata nei buoni effetti visivi. Resta impressa a lungo nella memoria.
Chi l’ha vista morire? (1972) è un thriller psicologico
ambientato a Venezia, il cui protagonista è un prete assassino (Alessandro
Haber) che uccide solo bambine con i capelli rossi perché gli ricordano la
madre. Un serial killer vestito da donna ammazza la figlia (Elmi) di un pittore
(Lanzeby) che comincia a indagare sul mistero, scoprendo il meccanismo
dell’omicida seriale. Non ravvisiamo elementi da horror soprannaturale, ma solo
momenti di terrore nella descrizione degli omicidi. La musica di Ennio
Morricone valorizza un film interessante, che contiene canzoncine per bambine
composte da Maria Morricone. Il film è scritto e sceneggiato dal regista con la
collaborazione di Francesco Barili e Massimo D’Avack. Tra gli interpreti George
Lanzeby, Anita Strindberg, Dominique Bosquero, Adolfo Celi e l’immancabile
Nicoletta Elmi. Sepolta viva (1973)
è la trasposizione cinematografica di un popolare romanzo d’appendice scritto
da Francesco Mastriani. La pellicola dà origine a un sottogenere di breve
durata, una vera e propria moda cinematografica anni Settanta. Il successo di
pubblico produce un sequel e una
serie di modesti film analoghi. Interpreti: Agostina Belli e Alessandro
Bonuglia. Sceneggiatore Claudio Masenza e Antonio Troisio. Musica del solito
Ennio Morricone. Aldo Lado frequenta episodicamente la commedia sexy con La
cugina (1974), un sottoprodotto di Malizia
tratto da un romanzo di Ercole Patti, interpretato da Dayle Haddon e Massimo
Ranieri.
Il suo ritorno ad atmosfere horror si registra
con L’ultimo treno della notte (1975),
scritto da Roberto Infascelli e Ettore Sanzò, sceneggiato dal regista con la
collaborazione di Renato Izzo. La fotografia è di Gabor Pogany, le suggestive
musiche di Ennio Morricone, il montaggio serrato di Alberto Gallitti e i
costumi di Franco Bottari. Interpreti: Laura D’Angelo, Irene Miracle, Flavio
Bucci, Macha Meril, Gianfranco De Grassi, Marina Berti, Enrico Maria Salerno,
Dalila Di Lazzaro, Franco Fabrizi, Daniele Dublino, Francesco D’Adda e Gianni
Di Benedetto. La pellicola è molto più che un horror metropolitano ed è
sbrigativo definirla un thriller sadico, mentre è più corretto dire che siamo
di fronte a un rape & revenge
(cinema della vendetta), sullo stile de L’ultima
casa a sinistra di Wes Craven (1972). Il film piace a Quentin Tarantino
perché incarna la sua filosofia cinematografica. La trama si sviluppa attorno
alle gesta di due personaggi negativi (Bucci e De Grassi) che a bordo di un
treno per Verona proveniente dalla Germania violentano e uccidono due ragazze
(D’Angelo e Miracle). La vendetta successiva allo stupro è a cura del padre
della D’Angelo, il chirurgo borghese interpretato da Enrico Maria Salerno, che
uccide a colpi di spranga e a fucilate i due teppisti.
Lisa Stradi e sua cugina Margaret vogliono
tornare in Italia per passare il Natale, aiutano due teppisti senza biglietto a
nascondersi dal controllore, ma diventano loro vittime. A un certo punto
cambiano treno perché si sparge la voce di una bomba messa sul convoglio da un
commando di terroristi. I due malviventi fanno lo stesso, ritrovano le donne e
le obbligano a subire prolungate e sevizie. Insieme ai farabutti c’è una donna
borghese (Meril), che dopo essere rimasta vittima di uno stupro si è unita alla
coppia e guida le scorribande con sadico piacere. Le ragazze fanno una brutta
fine: una muore dissanguata dopo essere stata sverginata con un coltello,
l’altra si getta dal treno per salvarsi ma finisce per sfracellarsi al suolo.
Per una serie di circostanze il terzetto infernale diventa ospite di Enrico
Maria Salerno, che si rende conto di avere a che fare con gli assassini della
figlia, e li massacra. La signora borghese la fa franca, riesce a convincere
tutti della sua innocenza, abbassa il velo nero al cappellino e riprende la sua
vita fatta di vizi privati e pubbliche virtù.
Il film è crudele, claustrofobico, senza
speranza, quasi compiaciuto nell’esibizione della violenza. Lo spettatore si
trova precipitato in un crescendo angoscioso e morboso scandito dalle ossessive
inquadrature di un treno che corre nella notte. All’interno dei vagoni si
consuma la tragedia. Le parti più dure descrivono lo stupro nei minimi dettagli
e nel terribile finale assistiamo alla vendetta paterna a colpi di fucile e di
spranga. Aldo Lado cerca di comporre un apologo antiborghese, anche se una
visione del film basata solo sull’esibizione della violenza lo identifica come
reazionario. Uscito come Violenza
sull’ultimo treno della notte e in Germania come Night Train – Der letze Zug
in der Nacht. Si tratta di un film che vive di contrasti, a partire dalle
prime sequenze sottolineate da una musica suadente e da un’atmosfera natalizia
che prelude a un’esplosione di violenza. Aldo Lado descrive bene il carattere
dei personaggi con una serie di immagini quotidiane: un padre borghese -
irreprensibile chirurgo- e una madre annoiata da un rapporto stanco, e
politici, preti, neonazisti, seminaristi, emigranti che tornano a casa per le
feste. Risultano un po’ retoriche e datate alcune parti in cui vengono inserite
discussioni sociopolitiche, ma servono per fare un discorso antiborghese. La
pellicola è girata con perizia a bordo di un treno e il rumore ossessivo dei
vagoni sulle rotaie accompagna la suspense
e il crescendo di violenza. Il rapporto erotico che riguarda Bucci e Meril è da
manuale, perché comincia come violenza carnale da parte del teppista e finisce
con la donna che prima prende l’iniziativa e subito dopo assume un potere
assoluto sulla coppia di sbandati. Il personaggio negativo del film di Lado è
proprio lei, che sarà la sola a non subire conseguenze, così come uscirà
indenne il voyeur interpretato da
Franco Fabrizi, che approfitta della situazione e torna alla sua vita
irreprensibile. L’accusa alla borghesia che presenta valori di facciata è la
costante del film, sottolineata nel corso di una simbolica cena di Natale, dove
si difende la proprietà e si mettono in primo piano i valori tradizionali. Gli
attori sono bravissimi, ma su tutti dobbiamo citare Macha Meril, perfetta
borghese perversa. Irene Miracle e Laura D’Angelo sono due ottime ragazzine
terrorizzate, che precipitano in una spirale perversa a base di orrore e morte.
La lunga sequenza dello stupro ideato e guidato dalla signora borghese è un
capolavoro di tensione morbosa. Alla fine i teppisti sembrano pentiti e
sconvolti, mentre la Meril è sadicamente contenta, soddisfatta del perverso
contributo. Molto bravo Enrico Maria Salerno come padre sconvolto dal dolore
che si fa giustizia da solo. Aldo Lado ambienta bene la pellicola in Germania,
sul treno e in un paesaggio veneto invernale, che rappresenta la spettrale
scenografia dell'eccidio finale.
L’ultimo treno della notte è un clone de L’ultima casa a sinistra, ma - come dice Rudy Salvagnini - gode di
una precisa originalità. Lado fa un discorso sociopolitico, non dà un nome ai
personaggi negativi, ma li indica con la categoria di appartenenza. Macha Meril
interpreta il peggior elemento del trio: è la
signora per bene che, dopo essere stata violentata, si unisce al perverso
gruppo e ne diventa la mente. La borghesia manipola il sottoproletariato per
compiere turpi vizi privati, che nasconde dietro pubbliche virtù. Un film
interessante, girato con maestria ed eleganza, spietato e terribile nel cupo
realismo.
La carriera di Aldo Lado prosegue con La disubbidienza
(1981), un
film insolito che rappresenta un momento di rottura rispetto alla precedente
produzione, caratterizzata da una grande attenzione verso il thriller violento.
Un prodotto indefinibile, tra il drammatico e l’erotico, come La disubbidienza, liberamente ispirato
a un buon romanzo di Alberto Moravia. Aldo Lado ambienta la storia a Venezia e
racconta il dramma interiore di Luca (Diemunch), un ragazzo in conflitto con il
padre (Adorf), borghese fascista, e con la madre (Nat), una cantante che si serve
dei tedeschi per sfondare nel mondo della musica lirica. Luca diventa
partigiano e solo per merito suo la famiglia scamperà alla persecuzione
comunista del dopoguerra. Il ragazzo resta profondamente deluso da quel che
accadrà dopo la liberazione. La delusione di Luca nei confronti di una
rivoluzione mancata è così grande da cercare l’autodistruzione, fino a
rifiutare di farsi curare quando si ammala di polmonite. Il sesso è la salvezza
di tutto, questo il messaggio desunto dall’opera di Moravia e rappresentato
dalle due figure femminili, simbolo dell’educazione sentimentale di Luca.
Therese Ann Savoy e Stefania Sandrelli danno vita a due personaggi intensi che
riescono a riportare il ragazzo sulla strada maestra.
La carriera di Lado termina con due film televisivi come Delitto in via Teulada (1980) e La città di Miriam (1983). Scirocco (1987), Rito d’amore (1989), Alibi perfetto (1992), La chance (1994), Il notturno di Chopin (2012) sono i suoi ultimi e poco memorabili lavori.
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