venerdì 19 ottobre 2012

Porgi l’altra sberla - L’eredità dello zio buonanima (1974)

di Alfonso Brescia


Regia: Alfonso Brescia. Soggetto: Antonino Russo-Giusti (commedia omonima). Adattamento e Sceneggiatura: Roberto Gianviti. Aiuto Regista: Filippo Perrone. Direttore delle Luci (Fotografia): Franco Villa. Montaggio: Liliana Serra. Operatore alla Macchina: Gianfranco Turini. Architetto e Arredatore: Romeo Costantini. Truccatore: Andrea Riva. Segretaria di Edizione: Giuliana Gherardi. Ispettore di Produzione: Augusto Dolfi. Produzione: Canguro Produzioni Internazionali Cinematografiche. Musiche: Roberto Pregadio (Nationalmusic, Milano). Realizzazione: Luigi Mondello. Teatri di Posa: De Paolis - Incir. Interpreti: Franco Franchi, Riccardo Garrone, Patrizia Gori, Franco Ressell, Andrea Lala, Grazia Di Marzà, Maria Bosco, Enzo Monteduro, Renato Pincirolli, Gaetano Balestreri, Enzo Andronico, Tonino Accolla, Dante Cleri, Renato Malavasi, Maria Morales, Grazia Spadaro, Consalvo Dell’Arti, Alberto Postorino.


L’eredità dello zio buonanima è una vecchia pochade teatrale scritta da Antonino Russo-Giusti, adattata per il grande schermo da Roberto Gianviti, ma resa ai minimi termini da Alfonso Brescia che gira con il consueto stile trasandato. La storia si racconta in poche battute, non regge una sceneggiatura da lungometraggio, per pochezza di spessore e scarsità di trovaste comiche. Un ricco zio muore, tutti vorrebbero ereditare, Franco è convinto di essere il nipote prediletto, in realtà è proprio vero, ma se ne rende conto soltanto dopo una serie di malintesi. L’eredità è il filo conduttore del film, contesa, perduta, ritrovata, alla fine contenuta in un quadro di grande valore, dopo il fallimento della banca dove era stato versato il denaro. Alla fine tutti contenti e, per sottolineare la teatralità del film, Franco si rivolge al pubblico con un saluto da palcoscenico: “Speriamo che sia contento anche questo rispettabile pubblico”.


Non è facile contentarsi di così poco, pur con tutta la stima per Franco Franchi, che si impegna non poco per salvare il salvabile con la sua faccia di gomma, incline a smorfie di ogni tipo. Bene anche Riccardo Garrone come notaio che soffre di un equivoco tic nervoso e tutto sommato anche Enzo Monteduro, fratello pittore dal cuore d’oro. Patrizia Gori è la bellezza femminile ma si nota poco ed è un elemento marginale. Pessima Grazia di Marzà, litigiosa sorella di Franco. Nella pellicola recitano tutti gli elettrodomestici di Franco Franchi, a parte Nino Terzo e Lino Banfi che hanno preso altre strade. Riconosciamo Dante Cleri (il medico), Enzo Andronico (il pasticcere marito della sorella), Tonino Accolla, Mario Malavasi e Consalvo Dell’Arti.


Ottima la colonna sonora a base di musica siciliana, composta da Roberto Pregadio, che abbonda in scacciapensieri e ritmi da avanspettacolo. Alfonso Brescia ci mette del suo per peggiorare il tutto: zumate fuori luogo, macchina da presa che insegue gli attori, riprese sghembe, inutili primi piani, pellicola sporca, effetti speciali risibili. Il film si salva solo per il tono dichiaratamente trash, per alcune citazioni di generi popolari come la sceneggiata, il western e le comiche del periodo muto. Vediamo una sequenza in cui Franco Franchi cammina sotto la pioggia e si muove come Charlie Chaplin, così come troviamo epocale la scena in pasticceria tra torte in faccia, uova sbattute in testa e bagni di farina.

Il dvd non è uscito, resta la VHS DE Agostini

Le battute sono insipide e le trovate potrebbero funzionare a teatro, ma al cinema si perdono tra pessimi dialoghi che non funzionano. Manca una spalla efficace. Manca un Ciccio Ingrassia, che è molto più di una spalla. Alcuni girotondo e diverse canzoncine sono dei miti del trash, mentre una delle parti migliori si svolge nello studio del notaio quando viene aperto il testamento. La farsa termina con un quadro di Caravaggio ritrovato che fa diventare ricco Franco e riunisce la famiglia.

Alberto Postorino è il ricco e goloso Don Fefè

Un film modesto, difficile da salvare e da recuperare, pur con tutta la buona volontà. Una dimostrazione in più di quanto possa contare il regista nell’economia di una pellicola. Alfonso Brescia ha girato di tutto, ma non ricordo un solo film da salvare. Marco Giusti su Stracult esprime un giudizio simile: “Curiosa rielaborazione del cinema basso anni Settanta della vecchia commedia di Russo Giusti. Ma è anche uno dei rari film di Franco Franchi da solo in cerca di un successo. Forse Alfonso Brescia, oltre a non conoscere bene il protagonista, non è il regista più fine per un’operazione del genere e il cast secondario è di grana un po’ grossa, ma il film è una rarità…”. Pino Farinotti concede addirittura due stelle ma senza motivare. Morando Morandini conferma le due stelle, ma non racconta neppure la trama e aggiunge che per il pubblico vale tre stelle. Una tantum condivido il caustico giudizio di Paolo Mereghetti: “Dopo il litigio con Ingrassia, Franchi cerca nuove strade e si affida alla commedia di Antonino Russo-Giusti (già portata sullo schermo nel 1934 da Amleto Palermi) ma nella classica parte dell’erede trombato non va più in là della farsa e del solito campionario di smorfie”.

Ancora Postorino (discreto) con la Di Marzà (pessima)

Concordiamo che la pellicola meriti una sola stella e che non sia da consigliare, ma il solo motivo d’interesse resta la convincente interpretazione di Franco Franchi. Regia e sceneggiatura, invece, lasciano molto a desiderare. Il giudizio complessivo è negativo.


Gordiano Lupi

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