domenica 25 settembre 2011

Breve Storia del Cinema Italiano - 11

Undicesima Puntata
Federico Fellini (1920 - 1993)


Federico Fellini è il più celebre regista italiano e come tale non è inquadrabile in un genere ben definito, anche se la prima parte della sua produzione risente dell’influenza neorealista. Fellini è un poeta visionario, gira film onirici difficili da catalogare e fa dell’autobiografismo la sua cifra stilistica più marcata. Nasce a Rimini in una famiglia piccolo - borghese e manifesta presto una voglia di fuga verso la capitale che è ben esposta ne I Vitelloni (1953), ritratto veritiero della vita in provincia attraverso le giornate di cinque fannulloni che inventano il quotidiano. L’inverno a Rimini è soltanto noia e rimpianto del tempo perduto, tra amici che si sposano, scappatelle, aspirazioni frustrate, sogni infranti.


Fellini si trasferisce a Roma, fa il disegnatore umoristico in riviste come Marc’Aurelio, comincia a lavorare alla radio e come sceneggiatore cinematografico. Nel 1943 sposa Giulietta Masina, conosciuta alla radio, vende disegni umoristici per campare, fino a quando Roberto Rossellini lo chiama per collaborare a Roma città aperta. Il regista più importante del neorealismo instaura con il giovane Fellini un rapporto fruttuoso, lo vuole accanto anche per Paisà, L’amore (scrive l’episodio Il miracolo) e Francesco giullare di Dio. Fellini scrive sceneggiature anche per altri registi come Lattuada, Germi e Comencini, ma è solo nel 1950 che dirige il primo film in collaborazione con Alberto Lattuada. Si tratta di Luci del varietà, racconto di illusioni e delusioni di un capocomico di una piccola compagnia di avanspettacolo.


Il primo film di Fellini con autonoma responsabilità di regia è Lo sceicco bianco (1952), interpretato da un giovanissimo Alberto Sordi che caratterizza un meschino divo dei fotoromanzi.


Abbiamo già accennato al grande successo de I vitelloni (1953), affresco generazionale su un gruppo di giovani che vivono in provincia, non vogliono diventare uomini e sognano la fuga. I primi film di Fellini sono atipici, si possono inserire nel neorealismo solo facendo delle forzature, pure se il regista è un ideologo del neorealismo, autore di soggetti, sceneggiature dialettali (Campo de’ fiori) e collaboratore di Rossellini.


Un altro lavoro importante è La strada (1954), favola commovente interpretata da Giulietta Masina, umile e ingenua donna innamorata che cerca di rendere migliore il rozzo Zampanò insieme a un assurdo personaggio chiamato Il Matto. I protagonisti sono tre attori girovaghi come Gelsomina (il sentimento e l’ingenua dolcezza), Zampanò (la forza bruta, la violenza, la bestialità) e Il Matto (la follia che diventa saggezza). Gelsomina vuole cambiare Zampanò e farlo diventare un uomo capace di provare sentimenti. La fantasia di Gelsomina incontra la follia del Matto che le fa capire come deve agire, ma l’unione dei due elementi fa scaturire la tragedia. Zampanò uccide Il Matto con un atto bestiale compiuto davanti a Gelsomina che impazzisce, subito dopo scappa via e abbandona la donna al suo destino. Passano gli anni, Zampanò viene a sapere che Gelsomina è morta e subito si verifica un cambiamento impensabile. La bestia si mette a piangere in riva al mare in compagnia della sua solitudine e comprende di aver perduto l’unica persona importante della sua vita. Anthony Quinn presta il suo volto truce per la caratterizzazione del forzuto Zampanò, Nino Rota compone una strabiliante colonna sonora, Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano collaborano alla sceneggiatura. Fellini realizza un’opera poetica che vince l’Oscar come miglior film straniero e il Leone d’Argento a Venezia.


Il bidone (1955) racconta le imprese di un gruppo di truffatori, ma soprattutto di Augusto che vorrebbe cambiare vita ma non ci riesce, alla fine cade in un giro peggiore e non scampa alla propria sorte. Il film contiene tutti i temi autobiografici cari a Fellini: i vitelloni, la provincia, la strada, il fatalismo, tanta introspezione dolorosa e una religiosità di fondo.


Amore in città (1953) è un film sperimentale a episodi, scritto da Cesare Zavattini, nel quale Fellini si segnala per il surreale Agenzia matrimoniale che racconta la storia di una donna che sposa un licantropo.


Le notti di Cabiria (1957) è la storia di una prostituta ingenua e dal cuore d’oro (Giulietta Masina) che pensa di poter cambiare vita sposando uno sconosciuto. Vince l’Oscar per il miglior film straniero e la Palma d’Oro a Cannes, anche per le mirabili interpretazioni di Giulietta Masina e Amedeo Nazzari. Fellini costruisce un film ironico e tragico ambientato nelle borgate romane, aiutato da Brunello Rondi e Pier Paolo Pasolini per i dialoghi, una sorta di apologo sulla grazia e sulla redenzione, ma soprattutto sulla durezza della vita. Il capolavoro registico sta nell’aver saputo mettere la maschera ingenua e clownesca di Giulietta Masina a confronto con le brutture e le nefandezze della vita.  Fino a questo film possiamo dire che Federico Fellini è influenzato da echi di neorealismo, anche se porta avanti una poetica personale legata alla caduta delle illusioni.

Mastroiani - Ekberg nella scena simbolo de La dolce vita

La dolce vita (1960) racconta le gesta del giornalista Marcello Rubini (Mastroianni) che ha abbandonato ogni ambizione letteraria e adesso vaga per via Veneto a caccia di emozioni. Gli sceneggiatori Tullio Pinelli, Brunello Rondi, Ennio Flaiano e Federico Fellini descrivono incontri erotici, orge e folli avventure. Il film è un viaggio nella notte romana, all’interno di una società corrotta dove crollano miti, valori e convenzioni. La dolce vita è una pietra miliare della carriera di Fellini ma anche della storia del cinema, perché rompe con un vecchio modo di fare cinema. Marcello Mastroianni diventa l’alter ego di Fellini che attraverso le parole dell’attore esprime la sua analisi del mondo. La pellicola suscita enorme scandalo, sia per la famosa scena del bagno nella Fontana di Trevi della affascinante Anita Ekberg, sia per l’orgia finale con spogliarello, sia per alcune scene di amori extraconiugali. Oscar Luigi Scalfaro scrive due articoli come Basta! e La sconcia vita per mettere all’indice il film su L’Osservatore Romano, proprio mentre in parlamento si discute sulla moralità dell’opera. La dolce vita è un film epocale anche perché resta come frase popolare del gergo quotidiano insieme a vitelloni, paparazzi e bidone.


Otto e mezzo (1963) vede Mastroianni nei panni di Guido, regista in crisi di ispirazione, ancora una volta alter ego di Fellini, per un nuovo film autobiografico e fantastico scritto da Flaiano, Pinelli, Rondi, con la collaborazione del regista. La stupenda colonna sonora di Nino Rota resta nella storia del cinema ed è un motivetto suadente che spesso riecheggia nella memoria. “Chi ha detto che si viene al mondo per essere felici?” resta una delle domande più inquietanti del film alla quale nessuno sa dare risposta. Otto e mezzo è un capolavoro che vince due Oscar e la cosa più assurda del film resta il titolo che indica il numero di regie realizzate da Fellini.


Giulietta degli spiriti (1965) è il primo film a colori di Fellini e affronta il tema della distruzione delle certezze di un’esistenza. Una signora borghese, tradita dal marito, va in crisi, anche per colpa di un’educazione cattolica che la condiziona e le fa vivere visioni angosciose. La soluzione finale sarà la solitudine, non servono sesso, psicanalisi e rimedi esoterici.


Satyricon (1969) si ispira all’opera di Petronio Arbitro è una Dolce vita ai tempi dell’antica Roma che racconta l’educazione sentimentale di Encolpio e Ascilto. Il regista filma un delirio onirico di amore e morte in una Roma imperiale fatta di cene infinite, sesso, assassini, minotauri ed ermafroditi.


I clowns (1970) è un film insolito tra la parodia del documentario e l’omaggio al circo, ancora una volta autobiografico, soprattutto nel raccontare l’amore per il circo.


Roma (1972) è la scoperta della città eterna con gli occhi del provinciale, un documentario autobiografico, visionario, lirico e nostalgico.


 Amarcord (1974)  è un’autobiografia lirica, il film più poetico di Fellini, un punto di arrivo difficile da superare, dopo questo film la carriera del regista registra una parabola discendente. Fellini scrive Amarcord insieme a Tonino Guerra, ripensa alle proprie origini e mette in scena i ricordi della Romagna al tempo del fascismo in una struggente saga da strapaese. Il film miscela bene amore, odio e nostalgia, rilegge il passato fascista in maniera acuta e interessante, mostra la mediocrità del regime ma anche del popolo che l’ha accettato. Vediamo i fascisti con l’olio di ricino, ma anche i maschi che insidiano donne, inventano balle e fanno scherzi feroci. Le musiche sono di Nino Rota e contribuiscono a dare valore a una pellicola che guadagna l’Oscar come miglior film straniero.


Nell’ultimo periodo della carriera di Fellini ricordiamo l’atipico E la nave va (1973), che non ha niente di autobiografico ma resta un film prezioso per la cura della confezione scenografica.


Il Casanova di Federico Fellini (1976) esprime sin dal titolo che non si tratta della solita storia su Casanova, ma una rilettura in chiave onirica e fantastica tipica del regista. Fellini compie un viaggio surreale nei più strani corpi femminili e ironizza su un Casanova che sogna una donna automa e vorrebbe essere ammirato più come poeta che come amante. La storia dell’ascesa e della decadenza di un grande seduttore è scandita dalle poesie di Andrea Zanzotto e di Tonino Guerra.


Prova d’orchestra (1979) è il ritratto graffiante di un’Italia sospesa tra vecchio e nuovo, punta il dito contro il sindacalismo e la difesa dei particolarismi.


Ginger e Fred (1983) è un attacco allo strapotere televisivo ma è anche un ricordo del tempo passato e una ricognizione lucida della società contemporanea.


Intervista (1987) è un lavoro autocelebrativo con Fellini intervistato a Cinecittà che ricorda un modo di fare cinema finito per sempre.


La voce della luna (1990) è un film geniale e bizzarro interpretato da Roberto Benigni e Paolo Villaggio, due folli individui che vogliono catturare la luna. La voce della luna è l’ultimo film del regista che riporta alle atmosfere oniriche di Amarcord e vuole essere una critica feroce all’Italia berlusconiana. Federico Fellini è un autore fondamentale e atipico del cinema italiano, sinonimo di regista geniale, simbolo di fantasia, leggerezza, umorismo, sentimentalismo, ironia graffiante e grande originalità.


Per approfondire consiglio il mio FEDERICO FELLINI, edito da MEDIANE - http://www.infol.it/lupi/Pubblicazioni_Fellini.htm

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