di Ingmar
Bergman
Titolo originale: Jungfrukällan.
Regia: Ingmar Bergman. Soggetto: da una leggenda svedese del XIII secolo, Töres dotter I Wänge (La figlia di Töre di Wänge).
Sceneggiatura: Ulla Isaksson. Fotografia: Sven Nykvist. Montaggio: Oscar
Rosander. Scenografia: P.A. Lundgren. Costumi: Marik Vos. Trucco: Börje Lundh.
Musica: Erik Nordgren. Suono: Aaby Wedin, Staffan Dalin. Produzione: Allan
Ekelund per Svensk Filmindustri. Distribuzione italiana: INDIEF. Riprese: 14
maggio – fine agosto 1959 (Styggeforsen, Skattungsbyn, Dalarna e negli studi di
Räsunda). Prima proiezione: 8 febbraio 1960. Durata: 88’. Origine: Svezia, 1959.
Interpreti: Max Von Sydow (Töre), Brigitta Valberg
(Märeta), Birgitta Pettersson (Karin), Gunnel Lindblom (Ingeri), Axel Düberg
(pastore), Tor Isedal (pastore muto), Allan Edwall (Simon), Ove Porath
(fratellino dei pastori), Axel Slangus (guardiano del ponte), Gudrun Brost
(Frida), Oscar Ljung (Simon, un contadino), Tor Borong, Leif Forstenberg (fattori),
Ann Lundgren (controfigura di Gunnel Lindblom e Birgitta Valberg).
Ingmar Bergman torna
scrutare i misteri del Medio Evo nordico, un mondo ancora a metà strada tra
paganesimo e cristianesimo, tre anni dopo Il
settimo sigillo (1957), utilizzando lo stesso protagonista (Max Von Sydow)
e una leggenda svedese del XIII secolo (La
figlia di Töre di Wänge), narrata in una vecchia ballata, sceneggiata dalla
scrittrice Ulla Usakssonm (Stoccolma, 1916 - 2000). Abbastanza insolito per
Bergman, che preferisce scrivere e sceneggiare i film che dirige per conferire
una marcata impronta d’autore. Ulla Usaksson aveva già scritto Alle soglie della vita (1958) e
collaborerà ancora con il Maestro per Il
segno (1985).
La fontana
della vergine è ambientato nel 1200,
un secolo prima de Il settimo sigillo,
ma si tratta di un Medio Evo onirico e surreale, quasi avulso dalla storia, un
mondo ricostruito dalle fantasie visionarie del regista. La fontana
della vergine è la storia di un
martirio, costruito su una trama semplice e lineare, che fa della tensione
narrativa la sua maggior forza. Töre (Max von Sydow) manda la figlia Karin
(Pettersson) in chiesa a portare i ceri pasquali alla Madonna, la fa
accompagnare dalla serva Ingeri (Lindblom), ma durante il percorso quest’ultima
si ferma dal guardiano di un ponte e lascia che la ragazza vada a cavallo nel bosco
da sola. Karin incontra sulla sua strada tre fratelli pastori, due adulti e un
ragazzo, che la violentano e la uccidono con un colpo di bastone, mentre Ingeri
assiste impotente alla scena. Il caso vuole che i tre pastori chiedano asilo ai
genitori di Karin per passare la notte e che la madre (Valberg) si renda conto
che possiedono gli indumenti della figlia. La vendetta del padre sarà
terribile, ucciderà i tre pastori a colpi di pugnale, con immane ferocia, ammazzerà
persino il ragazzino, scaraventandolo contro una parete. Un intenso e
drammatico finale mostra i genitori in lacrime sul corpo della figlia, mentre il
padre disperato chiede perdono per il gesto che ha compiuto, ma finisce per
dubitare della sua fede, non comprende perché Dio abbia permesso un simile
scempio.
La fontana
della vergine è un film che genera un
vero e proprio filone di exploitation
prodotto negli anni Settanta, americana e italiana. Certo, Bergman non può
saperlo, lui utilizza una leggenda svedese per raccontare un storia di angoscia
e disperazione, permeata di motivi religiosi. Noi che li abbiamo visti sappiamo
che tutto il moderno filone del Rape and
Revenge Movie (Stupro e Vendetta) proviene da questo capolavoro, dal modello colto di
Bergman. L’ultima casa a sinistra
(1972) di Wes Craven non è altro che un remake
modernizzato della storia di Töre, ma anche Le colline hanno gli occhi (1977), sempre di Craven, non è da meno.
In Italia sono molti gli esempi di rape
and revenge: L’ultimo treno della
notte (1974) di Aldo Lado, La casa
sperduta nel parco (1980) di Ruggero Deodato, La settima donna (1978) di Franco Prosperi. In Svezia è Alex
Fridolinski - si firma con lo pseudonimo di Bo Arne Vibenius - a seguire le
orme del Maestro e a definire il genere, nel 1974, con Thriller (Thriller - en grym film), una pellicola bandita dal mercato svedese per gli eccessi di violenza
gratuita. Vera e propria shoxploitation, citata da Quentin Tarantino nei
suoi film contemporanei, truce e spettacolare. Certo, tutti questi registi del rape
and ravenge non hanno molto a che vedere con la poesia drammatica del film
di Bergman, autore per niente interessato a riprendere la violenza per il gusto
della violenza, ma intenzionato a raccontare un mondo.
Nonostante tutto, La fontana della vergine ebbe problemi con la censura - come tutti i film di Bergman
- e soltanto in Svezia non venne tagliata la scena della violenza carnale,
perché il regista minacciò di ritirare il film dal mercato. Bergman è uno dei
registi più censurati della storia del cinema, soprattutto in Italia, sia per
come affronta il tema religioso, sia per l’esibizione carnale dei corpi. Nel
nostro paese, La fontana della vergine uscì
mutilato di ben 30 secondi, quasi tutta la sequenza dello stupro, da quando la
ragazza allarga le gambe, fino a quando i due pastori giacciono stremati dopo
aver compiuto il crimine. Il film venne vietato ai minori di anni 16. Il taglio
ci fu anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, perché la sequenza della
violenza carnale - cruda e realistica - era davvero estrema per il periodo
storico, ma la parte eliminata si riduceva a 10 secondi.
La fontana
della vergine è un film teatrale, molte
scene sono girate in interni angusti e spettrali, ma sono ottimi anche i piani
sequenza e le panoramiche tra boschi di conifere, laghi e torrenti di campagna.
Cinema puro, girato in uno splendido bianco e nero che gode della fotografia del
grande Sven Nykvist, da questo film in avanti collaboratore fisso di Bergman. I
movimenti di macchina sono morbidi e delicati, un cielo fantastico, solcato da
candide nubi, accompagna la cavalcata delle due donne che vanno incontro a un
turpe destino. Bella ricostruzione d’epoca con un Medio Evo ancora schiavo dei
riti pagani ma che si sta aprendo alla religione cattolica. I personaggi sono
ben costruiti. Il grande amore dei genitori per la loro unica figlia è il tema
conduttore della pellicola, ma anche l’invidia della serva pagana che lascia
violentare la ragazza senza intervenire è un elemento molto approfondito. La
violenza e la religione sono due temi cari a Bergman, che pone l’accento sul
tradizionalismo di cui è rimasto vittima vivendo in una famiglia puritana. I
primi piani di uomini e animali sono un’altra caratteristica che rende intenso
il discorso filmico: un corvo premonitore di disgrazie, un volto infido di un
guardiano del fiume, le espressioni pasoliniane
dei pastori dai denti marci. Monologhi letterari sul senso della vita, sulla
religione, sul ruolo dell’uomo nel mondo rendono la pellicola un vero capolavoro.
La tensione tipica di un thriller, prima dello stupro e prima della vendetta
paterna, è un elemento fondamentale della pellicola. La sequenza della violenza
carnale è da manuale, cinema moderno, vera
e propria sexploitation che
detta i canoni di un genere. Il tono del film è sospeso tra il poetico e il
drammatico, conduce a un finale da ecatombe biblica che lo spettatore attende
con ansia. Il finale riporta alla ballata nordica e mostra la sorgente miracolosa
che sgorga nel punto preciso in cui la vergine è stata massacrata. Il padre
edificherà una chiesa proprio dove è stato compiuto il sacrificio della figlia,
per chiedere perdono a un Dio della cui esistenza non è più così certo, perché
ha visto il massacro e non l’ha impedito.
La fontana
della vergine vinse l’Oscar come
miglior film straniero nel 1961 e fu candidato allo stesso premio per i
costumi. Vinse il Golden Globe per il miglior film straniero, e ottenne la
menzione speciale al Festival di Cannes, mentre in Giappone si aggiudicò il
Kinema Jumpo Awards per il miglior film
e il miglior regista stranieri.
Rassegna critica. T. Ranieri: “Il film riduce al
minimo i dialoghi per visualizzare con una forte fisicità di scenografie e di
rituali arcaici le fantasie sacre di Bergman”. Paolo Mereghetti (tre stelle):
“Il regista mette a confronto ragione e passione, paganesimo e cristianesimo,
tra brutalità primordiali e una raffinata introspezione psicologica. Impregnato
di un misticismo severo e aspro, è uno dei film più ricchi di speranza del
regista”. Morando Morandini (tre stelle): “Ventunesimo film di Bergman, il
primo (il solo?) in cui l’intervento di Dio nell’azione è concreto: un
miracolo. Miscuglio tra Cappuccetto Rosso e Shakespeare”. Roberto Chiesi
(Manuale su Bergman de Il sole 24 Ore):
“La fontana della vergine è la
storia del martirio di due innocenti, in un universo dove la legge degli uomini
e di Dio appare remota e irraggiungibile e il libero arbitrio umano è
sottomesso alla violenza. La psicologia è ridotta all’osso delle pulsioni e
egli affetti umani”. Un capolavoro da studiare più che da vedere.
La vergine e i briganti:
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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