venerdì 22 novembre 2013

Il tunnel sotto il mondo, il debutto di Luigi Cozzi





Il tunnel sotto il mondo è un film del 1969 e segna l’esordio di Luigi Cozzi - sino a quel momento brillante aiuto regista di Dario Argento - dietro la macchia da presa. Accettiamo la definizione di Roberto Poppi, che nel suo celebre Dizionario dei Registi Italiani edito da Gremese definisce interessante il primo lavoro di Cozzi. 


Il tunnel sotto il mondo è una pellicola sperimentale che parte dal canovaccio di un bel racconto di Frederick Pohl e si dipana per strade tortuose nelle quali è facile smarrirsi. Il soggetto è scritto da Luigi Cozzi sulla base della storia originale che Pohl cede gratuitamente. Cozzi ha soltanto ventidue anni, lavora come giornalista, traduce da tempo romanzi di fantascienza e per questo motivo conosce Pohl che autorizza la realizzazione di un film ispirato al suo lavoro. Alfredo Castelli, oggi inventore di Martine Mystere e al tempo soggettista di Diabolik e di molti caroselli, lo sceneggia insieme a Tito Montego. Castelli è un altro giovane entusiasta della fantascienza e accetta subito la proposta di Cozzi cui è legato da rapporti di amicizia. Luigi Cozzi per il resto fa quasi tutto da solo e lavora persino al montaggio. Sergio Zaniboni si presta per alcuni disegni originali che ci portano nel mondo del fumetto erotico anni Sessanta. La fotografia di Piergiorgio Pozzi è ben fatta e realizza alcuni scorci interessanti sulla spiaggia e per le strade di una città innevata. Claudio Calzolari compone un’affascinante colonna sonora e scrive la poesia-canzone Isabell insieme a Luigi Cozzi. Gli effetti speciali sono realizzati dallo Studio Marosi e da Roberto Scarpa. Il film è girato interamente a Milano, in quattro mezze giornate, quasi clandestinamente, senza autorizzazioni, rubando le scene per strada. Gli attori sono scelti tra semisconosciuti che lavorano nella pubblicità, per la televisione e che provengono dal Piccolo Teatro. Cozzi non li può pagare, la produzione non ha soldi, direi quasi che non esiste, visto che produttore risulta il giovane Castelli.  Ivana Monti (la discepola del santone) è oggi uno dei nomi più noti della pellicola, visto che ha lavorato molto in televisione e in teatro, ma al tempo è solo una principiante. Alberto Moro, che interpreta almeno quattro ruoli, è un montatore di pubblicità milanese che non ha più fatto l’attore. Bruno Slaviero, Gretel Fehr, Isabell Karlsson, Anna Mantovani, Lello Maraniello e Piero Rosati completano il cast. Ne viene fuori una pellicola strana, a tratti assurda, priva di una vera trama soprattutto perché, come confessa lo stesso regista: “per fare un film che rispettasse l’idea di partenza occorrevano soldi e mezzi che noi non avevamo”. Cozzi e Castelli sono due ragazzi che debuttano e che provano a fare un film, come molti giovani registi di oggi che presentano le loro opere ai vari festival di cinema indipendente. E infatti Il tunnel sotto il mondo viene proiettato solo durante rassegne e festival ottenendo buoni successi. A Trieste vince il premio Astronave d’oro e al Filmstudio di Roma riceve molti apprezzamenti critici. La pellicola è il classico prodotto casalingo, arrangiata in economia dopo aver trovato a costo zero un operatore disponibile che possiede le cineprese adatte. 


Luigi Cozzi dice: “ Il tunnel sotto il mondo è un film di avanguardia, ricco di riferimenti al cinema francese di rottura di Godard e di messaggi di condanna alla società consumistica, concepito più in ottica psichedelica che politicizzata” (Spaghetti Nightmares). Il racconto di Pohl è solo l’intuizione di partenza e prevede un uomo che si sveglia il 32 di luglio in una città senza presente e senza futuro, per vivere ogni giorno la stessa esperienza. Su questo canovaccio iniziale si innesta la polemica contro le grandi agenzie pubblicitarie che sfruttano esseri umani ridotti ad androidi. Cozzi attinge alla sua grande cultura letteraria in campo fantascientifico e inserisce nel film parecchie tematiche mescolate tra loro. Nella bella sequenza sulla spiaggia (notevole anche a livello di fotografia) scopriamo uno spezzone di dialogo preso  da Ray Bradbury. Ci sono poi lunghi dialoghi prelevati da Kurt Bonnegurd, mentre quello sul tempo che si svolge in mezzo alla neve (location affascinante e suggestiva) è tratto da Ballard, allora scrittore sconosciuto. La pellicola è in tutto e per tutto sperimentale e Cozzi deve ricorrere a molti artifizi per rendere accettabile il prodotto finale. Ci sono attori non pagati che danno forfait all’ultimo istante e mettono in crisi la già asfittica produzione. Cozzi non ci pensa due volte e interpreta uno dei personaggi creando l’artifizio di doppiarsi con voce femminile. Il regista confessa: “Ero così imbarazzato nelle vesti di attore che ho voluto spingere il mio imbarazzo ai limiti dell’assurdo, appiccicando al personaggio una voce femminile”. La pellicola è girata in  libertà partendo da un canovaccio di idea che viene modificato in continuazione. Lo spirito che anima regista e attori è molto underground, ma ancora oggi è proprio questo il suo strano fascino.  Cozzi e Castelli si rendono conto che per terminare il film nei tempi stabiliti e soprattutto spendendo la cifra stanziata, devono girare ciò che è possibile e non ciò che vogliono. E allora sono molte le scene che vengono inventate di volta in volta al posto di quelle previste, perché ci sono attori che non si presentano. La parte del santone in mezzo alla neve è una delle più interessanti, pure se lo spettatore attento nota subito che sia il santone che il nemico nazista sono sempre Alberto Moro (che fa pure il padre di Janet e il killer). Si deve fare di necessità virtù, la pellicola è condizionata da ciò che accade sul set, ma la voglia di fare cinema supera ogni difficoltà. 


Il tunnel sotto il mondo è cinema libero che dà spazio alla fantasia sfrenata degli autori, impegnati a rendere un racconto fantascientifico che scena dopo scena si trasforma in un helzapopping psichedelico. La storia del personaggio che vive sempre lo stesso giorno è presentata con abbondanza di mezzi da Peter Weir in The Truman Show (1998) con Jim Carrey, ma non si deve dimenticare che l’idea originale è di Luigi Cozzi. Il nostro personaggio è il solo a rendersi conto che è sempre lo stesso giorno, un inesistente 32 di luglio (nel racconto di Pohl è il 15 giugno), mentre tutti gli altri vivono senza accorgersene. 



Il doppiaggio del tutto fuori sincronia è una nota di stile del film anche perché non si tratta di vero doppiaggio. Non ci sono soldi per pagare i doppiatori. Cozzi studia l’escamotage di registrare una colonna sonora a vuoto e di realizzare il parlato in studio, leggendo le battute sopra le scene. Ovvio che risulta tutto pesantemente fuori sincronia perché i dialoghi vengono appiccicati sul materiale girato.  Questo che pare un difetto dovuto a mancanza di denaro diventa una cifra stilistica che realizza una caratteristica tecnica del film. Un’altra tecnica importante è l’uso della macchina a mano, oggi di gran moda,  alla quale si fa ricorso per motivi di pura economia. Non ci sono soldi per realizzare immagini fisse che necessitano di macchinisti, elettricisti, metri di binario, prove su prove e molto tempo. Le inquadrature statiche del film sono poche mentre si dà grande spazio alla macchina a mano e ai carrelli che si spostano. La povertà di mezzi diventa uno stile, basta vedere la scena della telefonata con la macchina a mano che si muove attorno alla cabina telefonica realizzando un ottimo effetto filmico. Il merito è di Piergiorgio Pozzi, abile operatore e responsabile di tutta la fotografia della pellicola. 


Raccontare la trama del film è impossibile. Possiamo solo provare a dare rapidi flash delle idee più interessanti. È il 31 di luglio, un giorno che non esiste, e il protagonista si trova a vivere di continuo la stessa esperienza. Bruno si alza, fa le solite cose di sempre, fa colazione, va a lavoro, parla con un interlocutore misterioso della sua vita, del Natale, delle convenzioni borghesi e dei figli che preferisce non avere. Bruno vive situazioni ripetitive e la scena del killer che uccide è il leitmotiv che prelude sempre al suo risveglio. Da buon borghese parla del suo lavoro in termini positivi, ma poi si scopre che seleziona donne avvenenti per mandarle a letto con i clienti importanti della ditta. Bruno assume come hostess pure Isabel e vive con lei una breve storia d’amore, proprio sotto gli occhi del padre. Ma la trama non è la cosa più interessante, meglio parlare di un uso insistente della camera a mano che segue il protagonista nei suoi continui spostamenti. Appuntiamo sul nostro taccuino anche belle frasi a effetto come: “In una giornata d’autunno hai camminato a lungo fino a ritrovarti dove finisce il mondo e cominciano i sogni”. Non è poco e pure questo contribuisce a conferire una connotazione d’autore all’opera prima di Cozzi. Interessante anche la figura del Babbo Natale che insegue il perverso protagonista, salvato da Luigi Cozzi nelle vesti di attore con voce da donna. Ci sono parti di notevole suggestione psichedelica come la sequenza degli orologi che scandiscono il passare del tempo con un ticchettio ossessivo. “Il tempo odora di polvere, di orologi e di gente. L’aspetto del tempo è la neve che cade senza rumore in un bosco buio, sempre più giù, nel nulla”. Mica male questa parte di dialogo se si pensa che è solo l’intuizione di due ventiduenni. La sequenza sulla spiaggia è molto intensa e c’è pure un’ottima fotografia che ritrae l’Uomo di Marte mentre vede il sole morente e la gente carbonizzata. “Il tuo pianeta è stato distrutto. 

 
Basta voler vedere lo sfacelo” dice. Pure qui abbiamo una trama fantascientifica che si trasforma in critica sociale. Un’altra parte, a dire il vero poco cinematografica, mostra il sermone del calcolatore che governa il mondo e che ha deciso di trovare Dio per studiare le sue mosse. Il calcolatore è ripreso con la camera fissa e nel suo parlare ci fa capire che ha deciso di anticipare e prevenire Dio. Il calcolatore dice di essere privo del libero arbitrio e si perde in sillogismi del tipo: “Faccio la volontà di Dio e sono santo, Dio è vicino a me, la mia mente è Dio, quindi devo conoscere me stesso per conoscere Dio”. Alla fine prevede un’epoca in cui Dio distruggerà gli uomini. Intanto l’Uomo di Marte si scopre vampiro e succhia il sangue di chi incontra sulla sua strada. Non uccide il protagonista perché gli rivela che lui è già morto. A questo punto entra in scena David, il santone che si lascia andare a un sermone e ha in mano un rullo con cui dipinge la neve di rosso. Ivana Monti è la discepola del santone e da queste poche scene fa intuire la brava attrice che diventerà. Il santone le annoda i capelli, la veste di un telo bianco, poi le salta addosso per possederla, ma non ci riesce. Arriva un nazista (sempre Alberto Moro) che uccide santone e discepola con una raffica di fucile. Annotiamo un dialogo suggestivo in mezzo alla neve tra il nazista e il protagonista. “Lei non è fatto per vivere nel mio mondo fatto di nebbia e di vento. A tutti sta mancando il tempo perché è il tempo che ci abbandona” conclude il nazista. Il finale è molto intenso e aumentano gli incubi del protagonista che sente sempre più i putridi odori della vecchia città, il fruscio dei topi e l’agonia di un mondo che muore. Il ripetersi ossessivo degli eventi di quell’impossibile 32 di luglio termina con la pallottola del killer che ha per destinatario il protagonista. La morte è la sua ultima azione.       

Gordiano Lupi
(tratto da Cozzi stellari - Il cinema di Lewis Coates, edizione in italiano e in inglese - Profondo Rosso - Roma, 2009)


Cozzi stellari – Il cinema di Lewis Coates
Profondo Rosso – Roma, 2009 – Pag. 300 – Euro 25,00
Appassionato del Fantastique sin da giovanissimo Luigi Cozzi è il più noto e stimato storico e critico italiano del cinema di fantascienza, collaboratore anche di Dario Argento e sceneggiatore nonché regista di alcuni film che hanno ottenuto un grande successo anche in America quali Starcrash, Alien Contamination e Hercules. Gordiano Lupi ripercorre la vita e analizza tutti i lavori del regista in un’opera unica, completa ed esaustiva che va a comporre un nuovo tassello della nostra storia della cinematografia di genere. Il libro è riccamente illustrato con foto dal set prelevate dalla collezione personale del regista.

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