martedì 26 novembre 2013

Grazie zia (1968)


di Salvatore Samperi 
 

Regia: Salvatore Samperi. Soggetto: Salvatore Samperi. Sceneggiatura: Salvatore Samperi, Sergio Bazzini, Pier Giuseppe Murgia. Direttore di Produzione: Ugo Novello. Ispettore di Produzione: Paolo Zaccaria. Produttore: Enzo Doria per Doria G. Film. Fotografia: Aldo Scavarda. Montaggio: Silvano Agosti (accreditato come Alessandro Giselli). Operatore alla Macchina: Gaetano Valle. Assistenti alla Macchina: Rino Bernardini, Franco Transunto, Giuseppe Lanci. Aiuto Regista: Sergio Bazzini. Assistente al Montaggio: Anita Cacciolati. Scenografia e Costumi: Giorgio Mecchia Madalena, Claudio Cordaro. Fonico: Vittorio De Sisti. Arredamento: Gisella Longo. Sincronizzazione: C.D.S.. Fonico: Danilo Moroni. Direttore del Doppiaggio: Franco Bucceri. Edizioni Musicali: C.A.M. spa. La canzone Filastrocca Vietnamita (Settimelli - Endrigo - Morricone) è canta da Sergio Endrigo. Musica: Ennio Morricone, Sergio Endrigo. Direzione Musica: Bruno Nicolai. Durata. 94’. Bianco e Nero. Interni: Hotel International Bertha di Montegrotto Terme, Clinica Itor, Villa della famiglia Vergani di Bresseo. Interpreti: Lisa Gastoni, Lou Castel, Gabriele Ferzetti, Luisa De Santis, Massimo Sarchielli, Nicoletta Rizzi, Anita Dreyer. Premi. David di Donatello 1968: Targa d’Oro a Lisa Gastoni. Nastro d’Argento 1969: Aldo Scavarda, Miglior Fotografia in Bianco e Nero.
 
 
Salvatore Samperi (Padova, 1944 - Roma, 2009) nasce in una famiglia borghese, frequenta l’Università di Padova ma lascia presto gli studi e si iscrive al Movimento Studentesco del 1968, esperienza politica che gli lascia in eredità una carica antiborghese rilevabile in buona parte della sua produzione cinematografica. Samperi debutta alla regia a soli ventiquattro anni - dopo aver fatto il segretario di edizione in alcuni film di Marco Ferreri - e lo fa alla grande, realizzando con un budget esiguo Grazie zia (1968), un film fondamentale per la futura commedia erotica, ispirato a I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio. Il regista è un ammiratore di Bellocchio, la sua opera prima denota condivisione di molti temi antiborghesi e critici nei confronti della società contemporanea. Il tema della dissoluzione della famiglia espresso da Lou Castel e da Paola Pitagora nel dissacrante debutto di Bellocchio, si ripete nell’esordio di Samperi, anche se nel suo film il regista patavino dedica maggior attenzione all’aspetto erotico - morboso. L’interprete principale è Lou Castel, nei panni di Alvise, figlio di un industriale che si finge paralitico perché rifiuta di integrarsi nella società. Lisa Gastoni è la zia Lea, premurosa e amorevole dottoressa che si vede affidare il nipote e cerca di recuperarlo, ma tra i due comincia una relazione morbosa che porterà alla reciproca distruzione. Alla fine il ragazzo chiederà alla zia di ucciderlo, in un ultimo terribile gioco, che conduce alla morte dolce.
 
 
Salvatore Samperi è molto giovane, sceneggia un film contestatario, girato in un suggestivo bianco e nero, insieme a Sergio Bazzini e Pier Giuseppe Murgia, aggiornando i temi espressi da Bellocchio secondo la lezione del dibattito sessantottino. Il regista vuol fotografare l’autodistruzione della borghesia ricorrendo a una serie di simbolismi erotici: Gabriele Ferzetti è Stefano, l’amante di Lea (intellettuale di sinistra che ha fatto la resistenza), ma al tempo stesso rappresenta l’illusione democratica, così come la zia incarna la ribellione ai modelli precostituiti e un impulso regressivo verso la giovinezza. Samperi insiste sul rapporto sadomasochista che lega zia e nipote, una visione attualizzata del binomio eros - thanatos, ma il film è spontaneo, genuino e civilmente arrabbiato. Il lavoro di introspezione psicologica sui personaggi è approfondito, i caratteri non sono mai abbozzati, la sopraffazione sessuale di Alvise su Lea rappresenta in maniera convincente la rivincita degli studenti sul mondo degli adulti. Samperi realizza un quadro perfetto di una società in crisi e di una famiglia disgregata in preda a un violento scontro generazionale. La storia è molto ben strutturata e non è certo una scusa per mostrare scene di sesso, come succederà in film successivi di pura imitazione. La qualità di questa importante opera prima è testimoniata da un’intensa colonna sonora di Ennio Morricone - con brani di Sergio Endrigo - dalla fotografia in bianco e nero di Aldo Scavarda e dal montaggio serrato di Silvano Agosti (nei titoli accreditato come Alessandro Giselli). 
 

Lisa Gastoni è sensuale e provocante, mostra generosi nudi e rilancia la sua carriera prestando volto e corpo a un ruolo complesso di donna matura alle prese con un amore scandaloso. La donna diventa succube del ragazzo, lascia l’amante e il lavoro, per dare vita a un rapporto complesso, basato su un sentimento torbido che la conduce sull’orlo di un baratro senza ritorno. Lou Castel replica il personaggio interpretato ne I pugni in tasca, ma con alcune differenziazioni, anche se è il solito anarcoide contestatario che non vede spiragli positivi nella società contemporanea. La pellicola viene presentata al Festival di Cannes nel 1968, ma la critica si divide tra chi la definisce un capolavoro e chi sottolinea i molti debiti d’ispirazione con I pugni in tasca. La critica alla guerra in Vietnam e alla società dei consumi è serrata, sottolineata dalla Filastrocca Vietnamita di Sergio Endrigo e dalla cantilena ironica Guerra e pace Pollo e brace che accompagna tutto il film e ne mette in evidenza i momenti topici. Il ragazzo gioca con un plastico che rappresenta l’esercito statunitense schierato in assetto d’invasione nei confronti delle vittime vietnamite da civilizzare. Non solo. Il suo disprezzo nei confronti della paludata cultura ufficiale è contrassegnato da un gesto simbolico: toglie dalla libreria i testi letterari per fare posto alla collezione di Diabolik. Il criminale in calzamaglia creato dalle sorelle Giussani è un personaggio di gran moda nel periodo storico e rappresenta tutto il negativo possibile per gli intellettuali cattolici che vorrebbero proibire ogni fumetto nero, considerato diseducativo. Alvise imposta la sua vita secondo le avventure del suo eroe preferito e anche i giochi erotici con la zia risultano ispirati alle avventure di Diabolik.  


La contestazione giovanile nei confronti di una società che non tiene conto delle esigenze individuali ma tende a massificare, è palesata da una cena borghese che vede una discussione tra un intellettuale marxista (Ferzetti) e un imprenditore liberale. Per il ragazzo sono entrambi discorsi inutili, vuote parole che non meritano ascolto.  
 

Il leitmotiv della pellicola è il suicidio, che in un finale da thriller erotico diventa eutanasia, come per significare che non c’è scelta per chi vorrebbe vivere in un mondo diverso. Non basta l’erotismo, non serve il sadismo e la perversione, neppure far soffrire chi ci ama è la soluzione. La morte è la decisione finale, quasi scontata, l’ultima forma possibile di ribellione nei confronti della vita.
 

Gli attori sono molto bravi, specie i tre protagonisti (Castel, Gastoni e Ferzetti), ma stendiamo uno pietoso velo su Nicoletta Rizzi, la cantante che prova a intonare Auschwitz - Canzone del bambino nel vento, che fa rimpiangere non poco l’originale di Guccini. La Rizzi ricopre il ruolo della coetanea che dovrebbe far ingelosire la zia quando si apparta con Alvise e insieme ridono di lei.
 

Il film è girato a Padova, in grande economia, tra ville di campagna e alberghi, producendo molti imitatori negli anni Settanta, persino a livello di ambientazione. Grazie zia fa nascere un sottogenere, quello dei Peccati in famiglia, che darà vita a una serie interminabile di opere classificabili come commedia sexy. In questa sede ricordiamo il satirico Grazie nonna (1975) di Marino Girolami, interpretato da Edwige Fenech, ma anche La nipote (1974) di Nello Rossati e Cugini carnali (1974) di Luciano Martino. Salvatore Samperi anticipa in versione drammatica molti temi erotico - voyeuristici che torneranno in Malizia (1973) in chiave prettamente comica. I titoli di testa, introdotti da un gustoso cartone animato, ingannano sul tenore della pellicola che non ha niente di umoristico. Fotografia perfetta in un bianco e nero livido e suggestivo, di Aldo Scavardo, una scelta e non una necessità, che merita un Nastro d’Argento. La Gastoni non è da meno come interprete, premiata ai David di Donatello.


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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