di Salvatore Samperi
Regia: Salvatore Samperi. Soggetto: Salvatore Samperi.
Sceneggiatura: Salvatore Samperi, Sergio Bazzini, Pier Giuseppe Murgia.
Direttore di Produzione: Ugo Novello. Ispettore di Produzione: Paolo Zaccaria. Produttore:
Enzo Doria per Doria G. Film. Fotografia: Aldo Scavarda. Montaggio: Silvano
Agosti (accreditato come Alessandro Giselli). Operatore alla Macchina: Gaetano
Valle. Assistenti alla Macchina: Rino Bernardini, Franco Transunto, Giuseppe
Lanci. Aiuto Regista: Sergio Bazzini. Assistente al Montaggio: Anita
Cacciolati. Scenografia e Costumi: Giorgio Mecchia Madalena, Claudio Cordaro. Fonico:
Vittorio De Sisti. Arredamento: Gisella Longo. Sincronizzazione: C.D.S..
Fonico: Danilo Moroni. Direttore del Doppiaggio: Franco Bucceri. Edizioni
Musicali: C.A.M. spa. La canzone Filastrocca
Vietnamita (Settimelli - Endrigo - Morricone) è canta da Sergio Endrigo.
Musica: Ennio Morricone, Sergio Endrigo. Direzione Musica: Bruno Nicolai.
Durata. 94’.
Bianco e Nero. Interni: Hotel International Bertha di Montegrotto Terme,
Clinica Itor, Villa della famiglia Vergani di Bresseo. Interpreti: Lisa
Gastoni, Lou Castel, Gabriele Ferzetti, Luisa De Santis, Massimo Sarchielli, Nicoletta
Rizzi, Anita Dreyer. Premi. David di Donatello 1968: Targa d’Oro a Lisa
Gastoni. Nastro d’Argento 1969: Aldo Scavarda, Miglior Fotografia in Bianco e
Nero.
Salvatore Samperi (Padova, 1944 - Roma, 2009) nasce in
una famiglia borghese, frequenta l’Università di Padova ma lascia presto gli
studi e si iscrive al Movimento Studentesco del 1968, esperienza politica che
gli lascia in eredità una carica antiborghese rilevabile in buona parte della
sua produzione cinematografica. Samperi debutta alla regia a soli ventiquattro
anni - dopo aver fatto il segretario di edizione in alcuni film di Marco
Ferreri - e lo fa alla grande, realizzando con un budget esiguo Grazie zia (1968), un film fondamentale
per la futura commedia erotica, ispirato a I
pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio. Il regista è un ammiratore di
Bellocchio, la sua opera prima denota condivisione di molti temi antiborghesi e
critici nei confronti della società contemporanea. Il tema della dissoluzione
della famiglia espresso da Lou Castel e da Paola Pitagora nel dissacrante
debutto di Bellocchio, si ripete nell’esordio di Samperi, anche se nel suo film
il regista patavino dedica maggior attenzione all’aspetto erotico - morboso.
L’interprete principale è Lou Castel, nei panni di Alvise, figlio di un
industriale che si finge paralitico perché rifiuta di integrarsi nella società.
Lisa Gastoni è la zia Lea, premurosa e amorevole dottoressa che si vede
affidare il nipote e cerca di recuperarlo, ma tra i due comincia una relazione
morbosa che porterà alla reciproca distruzione. Alla fine il ragazzo chiederà
alla zia di ucciderlo, in un ultimo terribile gioco, che conduce alla morte
dolce.
Salvatore Samperi è molto giovane, sceneggia un film
contestatario, girato in un suggestivo bianco e nero, insieme a Sergio Bazzini
e Pier Giuseppe Murgia, aggiornando i temi espressi da Bellocchio secondo la
lezione del dibattito sessantottino. Il regista vuol fotografare
l’autodistruzione della borghesia ricorrendo a una serie di simbolismi erotici:
Gabriele Ferzetti è Stefano, l’amante di Lea (intellettuale di sinistra che ha fatto la resistenza), ma al tempo
stesso rappresenta l’illusione democratica, così come la zia incarna la
ribellione ai modelli precostituiti e un impulso regressivo verso la
giovinezza. Samperi insiste sul rapporto sadomasochista che lega zia e nipote,
una visione attualizzata del binomio eros
- thanatos, ma il film è spontaneo, genuino e civilmente arrabbiato. Il
lavoro di introspezione psicologica sui personaggi è approfondito, i caratteri
non sono mai abbozzati, la sopraffazione sessuale di Alvise su Lea rappresenta
in maniera convincente la rivincita degli studenti sul mondo degli adulti.
Samperi realizza un quadro perfetto di una società in crisi e di una famiglia
disgregata in preda a un violento scontro generazionale. La storia è molto ben
strutturata e non è certo una scusa per mostrare scene di sesso, come succederà
in film successivi di pura imitazione. La qualità di questa importante opera
prima è testimoniata da un’intensa colonna sonora di Ennio Morricone - con
brani di Sergio Endrigo - dalla fotografia in bianco e nero di Aldo Scavarda e
dal montaggio serrato di Silvano Agosti (nei titoli accreditato come Alessandro
Giselli).
Lisa Gastoni è sensuale e provocante, mostra generosi nudi e rilancia
la sua carriera prestando volto e corpo a un ruolo complesso di donna matura
alle prese con un amore scandaloso. La donna diventa succube del ragazzo,
lascia l’amante e il lavoro, per dare vita a un rapporto complesso, basato su
un sentimento torbido che la conduce sull’orlo di un baratro senza ritorno. Lou
Castel replica il personaggio interpretato ne I pugni in tasca, ma con alcune differenziazioni, anche se è il
solito anarcoide contestatario che non vede spiragli positivi nella società
contemporanea. La pellicola viene presentata al Festival di Cannes nel 1968, ma
la critica si divide tra chi la definisce un capolavoro e chi sottolinea i molti
debiti d’ispirazione con I pugni in
tasca. La critica alla guerra in Vietnam e alla società dei consumi è
serrata, sottolineata dalla Filastrocca
Vietnamita di Sergio Endrigo e dalla cantilena ironica Guerra e pace
Pollo e brace che accompagna tutto
il film e ne mette in evidenza i momenti topici. Il ragazzo gioca con un
plastico che rappresenta l’esercito statunitense schierato in assetto
d’invasione nei confronti delle vittime vietnamite da civilizzare. Non
solo. Il suo disprezzo nei confronti della paludata cultura ufficiale è
contrassegnato da un gesto simbolico: toglie dalla libreria i testi letterari
per fare posto alla collezione di Diabolik. Il criminale in calzamaglia creato
dalle sorelle Giussani è un personaggio di gran moda nel periodo storico e
rappresenta tutto il negativo possibile per gli intellettuali cattolici che vorrebbero
proibire ogni fumetto nero, considerato diseducativo. Alvise imposta la
sua vita secondo le avventure del suo eroe preferito e anche i giochi erotici
con la zia risultano ispirati alle avventure di Diabolik.
La contestazione giovanile
nei confronti di una società che non tiene conto delle esigenze individuali ma
tende a massificare, è palesata da una cena borghese che vede una discussione
tra un intellettuale marxista (Ferzetti) e un imprenditore liberale. Per il
ragazzo sono entrambi discorsi inutili, vuote parole che non meritano
ascolto.
Il leitmotiv della
pellicola è il suicidio, che in un finale da thriller erotico diventa
eutanasia, come per significare che non c’è scelta per chi vorrebbe vivere in
un mondo diverso. Non basta l’erotismo, non serve il sadismo e la perversione,
neppure far soffrire chi ci ama è la soluzione. La morte è la decisione finale,
quasi scontata, l’ultima forma possibile di ribellione nei confronti della
vita.
Gli attori sono molto
bravi, specie i tre protagonisti (Castel, Gastoni e Ferzetti), ma stendiamo uno
pietoso velo su Nicoletta Rizzi, la
cantante che prova a intonare Auschwitz -
Canzone del bambino nel vento,
che fa rimpiangere non poco l’originale di Guccini. La Rizzi ricopre il ruolo
della coetanea che dovrebbe far ingelosire la zia quando si apparta con Alvise
e insieme ridono di lei.
Il film è girato a Padova,
in grande economia, tra ville di campagna e alberghi, producendo molti
imitatori negli anni Settanta, persino a livello di ambientazione. Grazie zia fa nascere un sottogenere, quello dei Peccati in famiglia, che darà vita a una
serie interminabile di opere classificabili come commedia sexy. In questa sede
ricordiamo il satirico Grazie nonna
(1975) di Marino Girolami, interpretato da Edwige Fenech, ma anche La nipote (1974) di Nello Rossati e Cugini carnali (1974) di Luciano
Martino. Salvatore Samperi anticipa in versione drammatica molti temi erotico - voyeuristici che torneranno in
Malizia (1973) in chiave prettamente
comica. I titoli di testa, introdotti da un gustoso cartone animato, ingannano
sul tenore della pellicola che non ha niente di umoristico. Fotografia perfetta
in un bianco e nero livido e suggestivo, di Aldo Scavardo, una scelta e non una
necessità, che merita un Nastro d’Argento. La Gastoni non è da meno come
interprete, premiata ai David di Donatello.
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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