Carlo Ludovico Bragaglia
Carlo Ludovico Bragaglia (Frosinone 1894 - Capri, 1998) è uomo dai mille record, non ultimo la longevità, perché muore a 104 anni, dopo aver girato una quantità industriale di pellicole, di ogni genere commerciale. Il fratello è Anton Giulio Bragaglia (Frosinone, 1890 - Roma, 1960), meno longevo e meno commerciale, autore futurista impegnato a rinnovare l’arte della fotografia e buon autore teatrale. Anton Giulio Bragaglia lascia solo quattro pellicole: Thaïs (1916), Il mio cadavere (1916), Il perfido incanto (1917) e Vele ammainate (1931). La sua opera surrealista ed espressionista non ha niente a che vedere con la foga produttiva del fratello che si dedica soltanto al cinema di genere e lo percorre in lungo e in largo senza lasciarsi affascinare da intenzioni autorali.
Carlo Ludovico e Anton Giulio Bragaglia sono figli di Francesco, direttore generale della Cines, mentre un altro fratello è Arturo (1893 - 1962), caratterista di modesto spessore. Carlo Ludovico interrompe gli studi per dedicarsi al teatro insieme ad Anton Giulio, fonda la Casa d’Arte Bragaglia (1918) e in seguito il Teatro degli Indipendenti. Si avvicina al cinema alla fine degli anni Venti come fotografo di scena, montatore, sceneggiatore e persino documentarista per la Cines. Non esiste branca del cinema che Carlo Ludovico Bragaglia non abbia sperimentato, grande conoscitore della materia ed esperto tecnico di luci ed effetti. Vele ammainate (1931), girato dal fratello, vede la sua collaborazione tecnica, ma dirige il primo film in proprio a quarant’anni: O la borsa o la vita (1933), insolito per il periodo storico, perché intriso di elementi surreali, anche se la narrazione resta di taglio popolare. Il protagonista è un agente di borsa che crede di aver rovinato un amico, per questo pensa di poter rimediare facendosi uccidere. Ha contratto una polizza vita e in caso di incidente mortale i suoi eredi potranno rimborsare l’amico dei soldi perduti. La prima pellicola di Bragaglia entusiasma la critica per l’originalità di una storia paradossale e per le molte situazioni surreali. Il film risente della lezione di René Claire e delle suggestioni futuriste, al punto che la critica è unanime nel definirlo il miglior film di Bragaglia. Sergio Tofano è bravissimo nei panni di uno stralunato protagonista che le prova tutte come aspirante suicida: entra nella fossa dei leoni allo zoo, sale su un aereo impegnato in pericolose acrobazie, finisce in un covo di pazzi fuggiti dal manicomio e accetta un incarico da kamikaze. La pellicola deriva da una commedia radiofonica scritta da Alessandro De Stefani (La dinamo dell’eroismo), sceneggiata dal regista con la collaborazione di Gino Mazzucchi.
Carlo Ludovico Bragaglia dirige ben 64 pellicole, ma nelle successive cambia completamente registro. Il suo stile diventa popolare, il tono è quasi sempre da farsa anche se mai fine a se stessa, cita le comiche del periodo muto, si ispira ai temi teatrali della pochade e della commedia degli equivoci. Bragaglia ama fare cinema popolare destinato al pronto consumo della platea, commedie sentimentali, leggere, interpretate da attori come Porelli, De Sica, Melnati, Viarisio… (Tutta la vita in ventiquattro ore, 1943 - girato in piena guerra mondiale). Tra i suoi attori prediletti troviamo il grande Totò, che guida in alcuni dei lavori migliori, come Animali pazzi (1939), secondo film in carriera del comico napoletano. I telefoni bianchi sono il pane di Bragaglia, su tutti citiamo Pazza di gioia (1940), ma si dedica pure a trasposizioni teatrali importanti come Non ti pago! (1942), interpretato dai fratelli De Filippo al gran completo (Eduardo, autore della commedia, Peppino e Titina). Ricordiamo anche un garbato Barbablù (1941), storia di un misogino che ospita una ragazza scappata di casa per sfuggire al matrimonio. Nel dopoguerra il regista ciociaro gira pellicole a ritmi forsennati e si pone all’attenzione degli storici del cinema come uno dei registi italiani più prolifici di tutti i tempi. Bragaglia fa più attenzione alla quantità che alla qualità, confeziona prodotti validi destinati a un pubblico di bocca buona, dichiaratamente commerciali.
Tra i migliori film girati da Bragaglia che vedono interprete il principe Antonio De Curtis citiamo: Totò le Mokò (1949), Totò cerca moglie (1950), 47 morto che parla (1950), Figaro qua… Figaro là (1950). Totò le Mokò è una parodia dei polizieschi francesi interpretati da Jean Gabin, 47 morto che parla vede un Totò avarissimo che scende all’inferno prima di tirar fuori i soldi, ma soprattutto segna l’incontro tra il principe della risata e Silvana Pampanini, un amore contrastato al quale dedicherà la famosa Malafemmina. Figaro qua… Figaro là è un insolito tentativo di costruire una commedia dalla trama de Il barbiere di Siviglia, ma la sceneggiatura rischia di imbrigliare l’estro di Totò. Le sei mogli di Barbablù (1950) è un altro Totò - movie, l’ottavo interpretato dal popolare comico nell’anno di grazia 1950, questa volta tutto improvvisazione, compreso il numero della marionetta disarticolata. Barbablù è il killer di cinque moglie e ha un petto così villoso da farlo sembrare Mister Hyde. Nel cast anche Sophia Loren, molto giovane, al punto che si fa ancora chiamare Sofia Lazzaro. I film interpretati da Totò girati da Bragaglia e da Steno (per non parlare di Rossellini e di Pasolini) sono a un livello superiore rispetto alle opere di Mattoli, perché si sente la regia e la mano di autori che cercano di imbrigliare il talento comico in una solida struttura narrativa.
Una bruna indiavolata (1951) è una farsa a base di doppi sensi ed equivoci di varia natura interpretata da Ugo Tognazzi e Silvana Pampanini. Soggettisti e sceneggiatori sono Age, Scarpelli, Metz, Marchesi, Vecchietti e Amendola. Pure troppi per un risultato modesto. L’eroe sono io (1952) vede all’opera un altro grande della risata come Renato Rascel, attore dalla comicità slapstick difficilmente imbrigliabile in una trama, che fa coppia con la diva sexy Delia Scala per raccontare una storia felliniana sul mondo dei fotoromanzi. Bragaglia è molto attivo nel peplum, dove lascia alcuni lavori di buona fattura, veri e propri esempi per chi vuole misurarsi con il genere. Il peplum è un tipo di film che ha successo perché non si cura di fare puntuali analisi storiche, ma punta direttamente ai valori fondanti del mito e sulla loro importanza nella realtà contemporanea. Maciste, Ercole, Ursus, Thaur, Goliath diventano i portavoce dei desideri e delle aspirazioni delle masse. Carlo Ludovico Bragaglia gira La cortigiana di Babilonia (1955), La Gerusalemme liberata (1957), Annibale, (1959) - un film storico più che un peplum -, Gli amori di Ercole (1960), Le vergini di Roma (1961), Ursus nella valle dei leoni (1961). Sono interessanti anche alcuni film storici (Il segreto delle tre punte, 1952) e diverse pellicole cappa e spada (A fil di spada, 1952 - La spada e la croce, 1958).
Bragaglia si ricorda anche per molte commedie sentimentali garbate e di buon successo come Lazzarella (1957) e Io, mammeta… e tu (1958), tratta da una canzone di Domenico Modugno e interpretata dal popolare cantante insieme a Marisa Merlini. È permesso maresciallo? (1958) è ancora una buona storia d’amore che risente del successo dei fotoromanzi, interpretata da Peppino De Filippo, Memmo Carotenuto, Lorella De Luca e Giovanna Ralli. Le cameriere (1959) è un giallo rosa con Andrea Checchi e Valeria Morriconi, ambientato in un condominio, che vede un gruppo di cameriere a caccia d’un ladro.
La carriera di Bragaglia finisce in farsa con due modesti lavori che vedono in campo un buon cast di comici poco amalgamato tra loro. Il primo è I quattro monaci (1962), una farsa di ambientazione storica interpretata da Aldo Fabrizi, Erminio Macario, Peppino De Filippo e Nino Taranto, quattro ladruncoli travestiti da frati. L’ultimo film di Bragaglia è I quattro moschettieri (1963), un cappa e spada comico ancora una volta interpretato da Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Erminio Macario e Peppino De Filippo. Ci sono anche come comprimari interessanti Carlo Croccolo, Lisa Gastoni, Georges Rivière, John Francis Lane, Francesco Mulé e Alberto Bonucci. Bragaglia lascia il cinema con una farsa approssimativa, ben recitata dagli attori, ma senza molto nerbo come parodia dell’opera di Alexandre Dumas.
Bragaglia racconta Totò: http://www.youtube.com/watch?v=-3fqe2RxRU8
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