Diciassettesima Puntata
Il nuovo cinema italiano
Non è facile parlare del cinema contemporaneo che ancora non è storicizzato. Si rischia di cadere nel commento di attualità, di farsi condizionare dalla passione del momento, senza la necessaria obiettività che deriva dal sedimentarsi delle emozioni. Proviamo a fare una sintesi sulle nuove produzioni degli ultimi vent’anni. La commedia all’italiana si rinnova con l’opera di autori originali che confezionano pellicole con un taglio riconoscibile.
Pupi Avati al lavoro
Pupi Avati (1938) diventa il cantore della vita di provincia, ricorda il tempo che passa, gira film dolci e malinconici su momenti giovanili, episodi di un mondo piccolo rivissuti con la tecnica del flashback. Ricordiamo lavori dai toni poetici e crepuscolari come Una gita scolastica (1983), storia d’amore tra un timido professore e una bella insegnante, Noi tre (1984), sugli amori adolescenziali, Festa di laurea (1984), ottimo ritratto generazionale, fino al più cattivo Regalo di Natale (1986). Avati è autore completo che non gira soltanto commedie, alterna vari generi e si ricorda come ottimo regista di horror provinciale ne La casa dalle finestre che ridono (1976), Tutti defunti tranne i morti (1977), Zeder (1983) e Il nascondiglio (2007). Pupi Avati è incontenibile, gira film a un ritmo vertiginoso, ma quasi mai ne sbaglia uno. Pare che con il passare degli anni la sua ispirazione aumenti e la sua voglia di raccontare divenga sempre più forte. Tra i suoi lavori più recenti citiamo: Ma quando arrivano le ragazze? (2005), La seconda notte di nozze (2005), La cena per farli conoscere (2007), Il papà di Giovanna (2008), Gli amici del Bar Margherita (2009), Il figlio più piccolo (2010), Una sconfinata giovinezza (2010), Il cuore grande delle ragazze (2011).
Lina Wertmüller
Tra i registi che rinnovano la commedia va citata Lina Wertmüller (1928) che realizza una serie di pellicole con protagonisti Marcello Giannini e Mariangela Melato che ottengono un buon successo e riescono a criticare vizi e difetti di un’Italia provinciale (Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, 1974). Altri registi di commedie anni Ottanta - Novanta sono Pasquale Festa Campanile (Il ladrone, 1980), Neri Parenti (Le comiche, 1990), Carlo ed Enrico Vanzina (inventori delle serie vacanziere note come Cinepanettone) e Christan De Sica (Il remake del Conte Max, 1982).
Nanni Moretti
La commedia si rinnova soprattutto per merito di alcuni interessanti attori - registi che caratterizzano gli ultimi vent’anni di cinema italiano. Nanni Moretti (1953) è un intellettuale di sinistra difficilmente inquadrabile in un genere, ma il suo cinema personalissimo deriva dalla lezione della grande commedia all’italiana. La sua narrazione è ironica, sarcastica, critica, analizza gli ideali perduti (La messa è finita, 1985), le illusioni del passato (Io sono un autarchico, 1977), la fine di un partito come crisi personale durante una gara di pallanuoto (Palombella rossa, 1989), i problemi della società contemporanea riscoprendo Roma a bordo della sua Vespa (Caro diario, 1994). Nanni Moretti è regista politico che sa dosare sentimento e sarcasmo, fa cinema autobiografico parlando per bocca dell’alter ego Michele Apicella, si pone sulla falsariga di Federico Fellini raccontando il mondo attraverso il suo personale vissuto (Aprile, 1998). Non è facile, ma spesso ci riesce. La stanza del figlio (2001) è un film atipico sulla elaborazione del lutto in una famiglia sconvolta dal dolore per la perdita di un figlio. Il caimano (2006) è cinema politico perché racconta le vicissitudini di un produttore che realizza un film su Silvio Berlusconi, ma sono intense soprattutto le parti intimistiche sulla crisi personale e lavorativa del protagonista. Il caimano è cinema che racconta la storia del cinema e soprattutto la crisi del cinema di genere. Habemus Papam (2011) si ricorda per la mirabile interpretazione di Michel Piccoli nei panni di un papa in crisi di identità, ma non è tra i migliori lavori del regista. Nanni Moretti è anche ottimo attore e in tempi recenti ha lasciato un’interpretazione memorabile in Caos calmo (2008) di Antonello Grimaldi, ma era stato notevole anche ne Il portaborse (1991) di Daniele Luchetti.
Massimo Troisi (1954 - 1994) è un attore autodidatta che comincia dal cabaret con il gruppo La Smorfia , riscuote successo in televisione, passa al cinema e debutta come regista e interprete di Ricomincio da tre (1981), seguito da Scusate il ritardo (1982). Troisi rinnova la commedia napoletana sulla scia di Totò arricchendola di elementi surreali che conquistano il pubblico. Il suo personaggio è quello del giovane timido e impacciato che non sa affrontare la vita, ma buona parte del merito va alla sceneggiatrice Anna Pavignano, autrice di un bel romanzo - biografia su Troisi (Da domani mi alzo tardi, 2007). Massimo Troisi incontra Roberto Benigni nel divertente Non ci resta che piangere (1984), strampalata commedia in costume intrisa di elementi fantastici e surreali. La regia è a quattro mani e la fusione di comicità toscana e napoletana crea una miscela esplosiva di grande presa sul pubblico. Troisi termina la carriera con un paio di storie d’amore surreali come Le vie del signore sono finite (1987) e Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991). Muore dopo la fine delle riprese del poetico Il postino di Michael Radford (partecipa alla regia senza comparire), lasciando un’interpretazione stupenda di un postino che entra in confidenza con Pablo Neruda.
Roberto Benigni alla notte degli Oscar
Roberto Benigni (1952) è un comico toscano che si forma nelle cantine romane, passa in televisione, conduce programmi scomodi (Televacca), si produce in interventi dissacranti (L’Altra Domenica) e debutta al cinema come attore nel surreale e volgarissimo Berlinguer ti voglio bene (1977) di Bernando Bertolucci. Il suo esordio alla regia avviene con i tre episodi comici, a tratti dissacranti e provocatori, di Tu mi turbi (1983). La commedia all’italiana subisce una rivisitazione totale nelle mani del comico toscano che inventa un genere nuovo, erede della macchietta e del trasformismo, ma denso di originalità. Il piccolo diavolo (1998) lo vede al fianco di Walter Matthau per un’insolita coppia comica che lo fa conoscere oltre oceano. Benigni prosegue la carriera di regista con le commedie brillanti Johnny Stecchino (1991) e Il mostro (1994), dove ironizza su mafia e serial killer. Il suo capolavoro è La vita è bella (1997), poetica narrazione sulle atrocità dell’olocausto che ottiene il premio della giuria a Cannes e ben tre Oscar (miglior film straniero, miglior attore e musica). Pinocchio (2002) è un passo indietro perché il film non regge il confronto con precedenti adattamenti dell’opera di Collodi, soprattutto con il televisivo di Comencini. La tigre e la neve (2005) è un film sulla necessità della poesia e sull’amore che supera ogni ostacolo, ambientato nella seconda guerra del Golfo per affermare una logica pacifista. Resta l’impressione che per Benigni non sia facile dire qualcosa di nuovo dopo una tappa importante come La vita è bella. Il regista - attore sente la necessità di confrontarsi con grandi temi e di cercare il messaggio trascendente, invece di partire da storie quotidiane che forse sarebbero più nelle sue corde.
Francesco Nuti
Francesco Nuti (1955) è un altro geniale attore toscano che comincia dal teatro insieme ai Giancattivi (Athina Cenci e Alessandro Benvenuti), lavora in televisione e interpreta il primo film sotto la direzione di Alessandro Benvenuti. Ad Ovest di Paperino (1982) è una pellicola dei Giancattivi che contiene in embrione la sua cifra stilistica fatta di comicità surreale. Il cinema di Nuti rinnova la commedia all’italiana ed è pervaso da una comicità agrodolce priva di addentellati realistici. Casablanca Casablanca (1985) è il primo film da regista, sequel di Io Chiara e lo Scuro (1983), diretto da Maurizio Ponzi. Le due pellicole ruotano intorno alla storia d’amore tra un campione di biliardo e una sassofonista (Giuliana De Sio). Il film migliore di Nuti è Tutta colpa del Paradiso, favola romantico - surreale ambientata nel parco del Gran Paradiso e interpretata insieme a un’affascinante Ornella Muti. Francesco Nuti gira anche Stregati (1986) con la bella attrice, ma il film segna l’inizio della parabola discendente di un buon attore comico troppo narcisista per essere un buon regista. Caruso Pascoski di padre polacco (1988) è un nuovo grande successo di pubblico, ma la critica storce la bocca e non ha tutti i torti. Willy Signori e vengo da lontano (1989) è un’altra opera pretenziosa che non si eleva sopra la mediocrità. Donne con le gonne (1991) è un film misogino che accusa le donne di ogni colpa possibile, persino di aver rovinato il rapporto con gli uomini, perché non vogliono più fare le casalinghe. La crisi creativa di Nuti tocca livelli preoccupanti con Occhiopinocchio (1994), Il signor Quindicipalle (1998) e Caruso, zero in condotta (2001). Io amo Andrea (1999) è una piacevole eccezione, purtroppo non confermata, in un quadro di profonda crisi personale e professionale.
La maschera comica di Maurizio Nichetti
Maurizio Nichetti (1948) è un altro innovatore della commedia che proviene dal teatro, un mimo che realizza pellicole intrise di comicità clownesca e surreale. Ratataplan (1979) è un film muto tutto basato su gag strampalate confezionate per sfruttare un’espressione buffa e ingenua. Nichetti gira e interpreta pellicole che sono cartoon coloratissimi con personaggi umani, veste come un clown, indossa abiti multicolori, ridicoli cappelli, pantaloni larghi e corti. Possiamo dire che come regista di commedie inventa una sorta di realismo fantastico, confermato da Ho fatto splash! (1980) e Ladri di saponette (1982). Nichetti critica la televisione, gli spot pubblicitari che massacrano film e programmi, ma soprattutto ironizza sulle contraddizioni della società contemporanea. Volere volare (1991) è ancora più sperimentale e rappresenta la consacrazione del realismo fantastico, perché è girato per metà utilizzando un cartone animato. Nichetti perfeziona la sua poetica in Stefano quantestorie (1993) e Honolulu baby (2001), confermandosi tra i registi più originali della nuova generazione. La crisi del cinema italiano colpisce anche lui, perché da sette anni non esce un suo film. Nichetti lavora molto per la televisione, rifugio terminale del nostro cinema di genere.
Paolo Villaggio nei panni di Fantozzi
Paolo Villaggio (1932) è attore importante per aver dato vita ai personaggi di Giandomenico Fracchia e Fantozzi. si identifica con un genere di commedia in gran voga dal 1975 al 1999, anche se non è il regista dei suoi film. Fantozzi - Fracchia è l’uomo comune frustrato nelle sue ambizioni in una società che premia i più forti e non ha pietà per i deboli. I due personaggi sono creazioni originali di Paolo Villaggio che li fa diventare protagonisti di libri e interpretazioni teatrali. Luciano Salce (1922 - 89), interessante regista di commedie sin dai tempi de Il federale (1961) con Ugo Tognazzi, è il regista di Fantozzi (1975) e Il secondo tragico Fantozzi (1976), ma personaggio e situazioni sono concertate direttamente con Villaggio. I primi film su Fantozzi riscuotono un enorme successo, al punto che molte gag del personaggio entrano a far parte della vita quotidiana. La saga di Fantozzi comprende una decina di pellicole (molte dirette da Neri Parenti) e si conclude con il pessimo Fantozzi 2000 - La clonazione (1999) di Domenico Saverni. Paolo Villaggio sa essere anche attore drammatico e lo dimostra nel poetico La voce della luna (1990) di Federico Fellini e in Denti (2000) di Gabriele Salvatores.
Gianni Amelio alla macchina da presa
Gianni Amelio (1945) porta nel nuovo cinema italiano uno stile che qualche critico ha definito neo - neorealista, ma soprattutto elabora trame drammatiche per denunciare il malessere contemporaneo. Il ladro di bambini (1992) è uno dei lavori migliori, un road movie dalla parte dei vinti che fotografa desideri, speranze e paesaggi bruciati dal sole. Lamerica (1994) si cimenta nel ritratto dell’Albania contemporanea per ritrovare le radici dell’Italia di oggi, mentre Colpire al cuore (1983) affronta il tema del terrorismo e degli ani di piombo. Tra le pellicole più recenti citiamo Così ridevano (1988), Leone d’oro a Venezia, racconto agrodolce dell’Italia anni Cinquanta, ma anche Le chiavi di casa (2004), che sceneggia Nati due volte, il bel romanzo di Pontiggia. La stella che non c’è (2006) porta l’occhio indagatore di Amelio a contatto con la società cinese e descrive l’inadeguatezza di un operaio italiano a contatto con un mondo troppo diverso dal suo passato. Dirige il Festival del Cinema di Torino.
Giuseppe Tornatore, Premio Oscar
Giuseppe Tornatore (1956) proviene dal documentario e si afferma con il poetico Nuovo cinema Paradiso (1988), premiato a Cannes come miglior film straniero. Tornatore realizza una piccola storia privata del cinema attraverso i ricordi di un regista di successo che torna nel paesino siciliano dove da bambino si innamora del cinema grazie a un vecchio operatore. Sono interessanti anche i successivi Una pura formalità (1993), thriller claustrofobico, La leggenda del pianista sull’oceano, adattamento cinematografico di Novecento di Baricco e L’uomo delle stelle (1995), pellicola sul cinema del primo dopoguerra. Malena (2000) è un raffinato film erotico ambientato nella Sicilia degli anni Quaranta, che racconta l’amore impossibile di un ragazzino per un’affascinante vedova (Monica Bellucci). La sconosciuta (2006) è un giallo - noir melodrammatico con molti colpi di scena che si avvale delle musiche di Ennio Morricone. Il suo film più importante dopo Nuovo cinema Paradiso è Baarìa (2009), una storia d’Italia in piccolo attraverso tre generazioni. Meno degno di nota L’ultimo gattopardo: ritratto di Goffredo Lombardo (2010).
Gabriele Salvatores all'opera
Gabriele Salvatores (1950) fa del viaggio vissuto come fuga dal modo un tema ricorrente, ma è anche vero che i suoi film raccontano l’amicizia tra uomini e analizzano i sentimenti di un gruppo. I suoi attori (come per Pupi Avati) sono quasi sempre gli stessi, forse per cementare un rapporto consolidato che permette di lavorare meglio. Tra le sue pellicole migliori citiamo Marrakech express (1989), storia di un gruppo di amici che va in Marocco per aiutare un compagno finito in galera, Turné (1990), classico road - movie, e Mediterraneo (1991), Premio Oscar come miglior film straniero. Mediterraneo è ambientato in un’isola greca durante la Seconda Guerra Mondiale, ma ribadisce il tema degli amici in fuga, approfondendo sentimenti e psicologie del gruppo. Come spesso accade, i film girati dopo l’Oscar sono inferiori ma dignitosi, cose come Puerto Escondido (1992) e Sud (1993). Salvatores tenta di rinnovarsi e di liberarsi dai cliché della commedia generazionale, esperimenta la fantascienza (Nirvana, 997) e cerca di evadere dai temi consueti che hanno caratterizzato il suo cinema (Denti, 2000 e Amnesia, 2002). Io non ho paura (2003) è una delle cose migliori, un capolavoro costruito sulla trama di un modesto romanzo. Salvatores prova anche la strada del noir con Quo vadis baby? (2005), ma pubblico e critica non lo premiano. Come Dio comanda (2008) è un altro noir di scarso successo che racconta il rapporto padre - figlio, tratto da un altro romanzo di Niccolò Ammaniti. Happy family (2010) e 1960 (2010) confermano un periodo di crisi creativa, in attesa di Educazione siberiana (2012).
Marco Risi (1951), figlio di Dino, non può che cominciare con la commedia, anche se non raggiunge le vette del padre. I suoi primi lavori sono Vado a vivere da solo (1982), Un ragazzo e una ragazza (1984) e Colpo di fulmine (1995). Le sue opere più originali sono Mery per sempre (1989) e il sequel Ragazzi fuori (1990), due pellicole di denuncia che raccontano con crudo realismo la vita all’interno di un riformatorio minorile. Risi prosegue su questa strada girando Il muro di gomma (1991), film inchiesta sulla strage di Ustica. Nel continente nero (1992) segna un ritorno alla commedia per raccontare i vizi dell’Italia contemporanea, mentre L’ultimo capodanno (1998) è un fallimentare pulp truculento e Tre mogli (2001), un road - movie al femminile. Maradona - La mano di Dio (2007) segna il punto più basso della carriera di Risi, che si perde in un’ambiziosa quanto inutile ricostruzione della carriera calcistica di Maradona. Il regista ha pure la colpa di far recitare Pietro Taricone. L’ultimo padrino (2008) per la Tv e Fortapàsc (2009) non lasciano il segno.
Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti, protagonista de La prima cosa bella
Paolo Virzì nasce nel 1964 a Livorno, città di mare ricca di ironia, la Napoli del Centro Italia, una fetta di meridione capitata per caso vicino a Firenze. Livorno è importante per la formazione culturale di Virzì, per quel che dice, per le storie che si porta dentro e che racconta con delicata maestria. Virzì studia cinema al Centro Sperimentale e si diploma in sceneggiatura con il maestro Furio Scarpelli. Collabora alla sceneggiatura di Tempo di uccidere di Giuliano Montaldo (1989), Turné di Gabriele Salvatores (1990), lo sceneggiato TV Condominio di Felice Farina (1990), Centro storico di Roberto Giannarelli. Esordisce alla regia con La bella vita (1994), dove racconta la vita problematica di Piombino alle prese con la crisi della siderurgia. Il film viene presentato a Venezia e ottiene il Ciak d’Oro come nuova proposta italiana. Non solo: Sabrina Ferilli ottiene il Nastro d’argento come migliore interprete femminile dell’anno. Realizza Ferie d’agosto (1996), che racconta la difficile convivenza sull’isola di Ventotene di due gruppi di turisti italiani in vacanza. Il film si aggiudica il David di Donatello. Nel 1997 è la volta di Ovosodo, scritto da Furio Scarpelli e sceneggiato come sempre da Virzì e da Francesco Bruni. Ovosodo vince il Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia, il Ciak d’oro per la migliore sceneggiatura ed è uno dei titoli italiani di maggior successo della stagione. Ovosodo consacra la grandezza di Paolo Virzì e della sua factory tutta livornese (o quasi) composta da autori e attori semi professionisti ma eccezionali. Nel 1999 gira Baci e abbracci, commedia tragicomica con protagonisti un gruppo di disoccupati che si inventano allevatori di struzzi nelle campagne della Val di Cecina. Nel 2001, dopo vicende difficili legate al fallimento della produzione Cecchi Gori, esce My nime is Tanino, un film fuori dalle corde di Virzì, girato tra la Sicilia e New York. Caterina va in città (2003) traccia con mano delicata pregi e difetti di un’Italia divisa tra una destra di governo, una sinistra indecisa e la povera gente che si sente abbandonata. N-Io e Napoleone (2006) non entusiasma il pubblico ma resta un dignitoso film in costume sceneggiato da un romanzo di Ernesto Ferrero. La trama è soltanto un pretesto per mettere in commedia un’Italia inginocchiata davanti ai potenti e per raccontare il fallimento delle idee giovanili. Tutta la vita davanti (2008) è un nuovo modo di fare commedia all’italiana, raccontando tra ironia e dramma la vita di chi si affanna per sbarcare il lunario ma non ci riesce. Virzì rappresenta l’Italia del lavoro precario, dei call center, di un mondo senza sogni ma pieno di cruda realtà. Il quarto Stato di Pellizza da Volpedo viene rivisto e corretto in un manifesto che rappresenta un proletariato precario in giacca e cravatta. L’uomo che aveva picchiato la testa (2009) è un film documentario girato a Livorno sulla vita e le opere del cantautore Bobo Rondelli, uscito per il mercato Home Video. La prima cosa bella (2010) è il suo capolavoro, una pellicola struggente e commovente che avrebbe meritato il Premio Oscar come miglior film straniero, ma non ce l’ha fatta. Virzì torna a Livorno per raccontare la nostra storia attraverso una famiglia, il tempo che passa, i destini che si incrociano e i tanti fallimenti. Paolo Virzì è il maestro della nuova commedia all’italiana, quella di Furio Scarpelli e di Age, fatta di storie e di personaggi, non certo quella che non fa pensare. I film di Virzì sono ambientati in provincia, vera epopea livornese dei ceti umili, degli sconfitti che lottano senza speranza ma che sanno stemperare le difficoltà in un sorriso liberatore.
Stefania Sandrelli, brava come sempre ne La prima cosa bella
Tra gli altri autori del nuovo cinema italiano meritano una segnalazione Giovanni Veronesi, Sergio Rubini, Michele Placido, Silvio Soldini, Mario Martone, Giuseppe Cino, Francesca Archibugi, Francesca Comencini, Cristina Comencini, Pasquale Pozzerese, Alessandro D’Alatri, Alessandro Di Robilant, Enzo Monteleone, Felice Farina e Carlo Carlei. L’elenco è lacunoso, ma nell’economia del nostro lavoro non abbiamo pretese di completezza.
Gordiano Lupi
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