Rassegna della critica cinematografica
Il miglior libro in circolazione sul cinema di Gualtiero Jacopetti
Stefano Loparco, Gualtiero Jacopetti. Graffi sul mondo, Ed. Il Foglio letterario p. 340, Euro 16
La monumentale Storia
del Cinema Italiano di Gian Piero Brunetta dedica poche righe a Gualtiero
Jacopetti (pag. 423 - vol.4): “Un grande successo hanno i film di Gualtiero Jacopetti
(il primo è Mondo cane del 1962), a
cui si deve riconoscere il merito di aver scoperto e contribuito a diffondere,
spacciandolo per documentario realistico, il gusto sado-masochista per lo
spargimento di sangue, la brutalità, la violenza, la morbosità e ogni
situazione cruenta”. È un giudizio limitante, perché il noto critico
cinematografico confina Jacopetti nel campo del cinema sadomasochista.
Il Dizionario
del cinema italiano del Poppi ci dice che Gualtiero Jacopetti nasce a Barga
il 4 settembre 1919, comincia come giornalista e direttore di cinegiornali,
esordisce nel cinema scrivendo il commento a Europa di notte (1959), celebre reportage di Alessandro Blasetti, e
traducendo, per la versione italiana, un’altrettanto conosciuta inchiesta del
francese Françoise Reichenbach: L’America
vista da un francese (1960). Jacopetti scrive subito dopo Che gioia vivere!, diretto nel 1961 da
René. Clément, una modesta ricostruzione comica dell’epoca fascista
interpretata da Alain Delon, Barbara Lass, Gastone Moschin e Ugo Tognazzi.
Il successo di pubblico giunge inaspettato con Mondo cane (1961), che inaugura un
genere completamente nuovo per la cinematografia europea: quello del
documentario scandalistico, violento, scioccante, che con immagini di inusitato
verismo, crudeli e sadiche, tendeva a impressionare lo spettatore rivolandogli
aspetti sconosciuti di riti e usanze proprie di numerose popolazioni. Il
critico Paolo Mereghetti distrugge l’opera, assegna una sola stella e parla di un documentario che assembla immagini ed
episodi curiosi, esotici, violenti e voyeuristici, spacciati come reali ma il
più delle volte frutto di montaggio o ricostruzione. Il critico milanese
giudica sgradevole e ipocrita il commento
della voce fuori campo, ma affonda il coltello nella piaga affermando che in futuro Jacopetti farà di peggio. Mondo cane 2 (1962) è oggetto di
ulteriore critica negativa come campionario residuale di immagini violente e
ripugnanti. Il Morandini è ancora più lapidario: due film ignobili di grande
successo. A nostro giudizio i due importanti critici sono troppo drastici
nel condannare un intero genere cinematografico che nasce con Jacopetti e
manifesta una certa originalità, riconosciuta da Pino Farinotti per il primo Mondo cane.
Jacopetti affronta l’inchiesta sull’universo femminile
con La donna nel mondo (1963), che presenta il sottotitolo di Eva sconosciuta ed è dedicato alla
giovane compagna scomparsa Belinda Lee. Jacopetti è soggettista, sceneggiatore
e montatore, affiancato dagli abituali collaboratori Paolo Cavara e Franco
Prosperi. Per Paolo Mereghetti la pellicola non merita più di una stella perché
le immagini accostano in maniera
assolutamente gratuita donne-sacerdote e circoli lesbici, lamentatrici
funerarie di Orgosolo e ballerine di tamuré a Tahiti, prostitute in vetrina ad
Amburgo e mogli in attesa di divorzio a Las Vegas, cercando unicamente
l’effetto sorpresa e l’inquadratura trasgressiva. Per Mereghetti è da
bocciare anche un commento esterno che giudica nichilista, cinico e sgradevole,
soprattutto irritante nella finta ironia
di voler sottomessa la donna all’uomo. Il Morandini non è meno drastico
quando parla di stile da rotocalco,
nichilismo reazionario e finta irriverenza goliardica. I critici salvano
soltanto la bella fotografia di Antonio Climati.
Jacopetti affronta il documentario etnografico,
presentando l’Africa in un’ottica che gran parte della critica ha definito razzista
e reazionaria. Africa addio (1966) è
il risultato finale di un’analisi all’interno del continente nero e dei suoi
aspetti più sanguinari della situazione post coloniale. Paolo Mereghetti boccia
il film senza possibilità di appello, definendolo un documentario cinico e parziale con un commento fuori campo
particolarmente qualunquista. L’Espresso
rivelò addirittura lo scandalo della finta
realtà jacopettiana, perché documentò la sospensione della fucilazione di
tre ragazzi neri per cambiare obiettivo alla macchina da presa. Alcuni ex collaboratori
come Paolo Cavara accusano Jacopetti di mistificazione per aver premeditatamente
costruito sequenze documentarie, ma l’accusa non è stata mai totalmente provata.
Marco Giusti trova del buono in Africa addio, salvando l’intera opera solo per la visione del lungo trailer animato
realizzato dai fratelli Pagot. Il critico romano parla anche di una classicità trashistica e di una grandezza insita in un film che è stato
il capostipite di tanti Africa movie italiani. Il Morandini detesta la
pellicola al punto di non commentarla, mentre Pino Farinotti concede
addirittura tre stelle, motivandole con la grande confezione tecnica. Noi siamo
dalla sua parte, visto che stiamo parlando di cinema e non dobbiamo analizzare
il contenuto ideologico di un’opera, ma il modo in cui viene realizzata. Va da
sé che la presa di posizione ideologica di Jacopetti è molto forte e presta il
fianco a vibranti polemiche.
Addio zio
Tom (1971), realizzato come il
precedente da Jacopetti e Prosperi, è una ricostruzione storica costruita con
stile da giornalismo televisivo sul tema dello schiavismo. Il budget è molto
alto, ma per Paolo Mereghetti il prodotto finale è decisamente basso, caratterizzato da un cinismo di fondo, un
montaggio voyeurista e un gusto perverso per le immagini scioccanti. Il
critico milanese rincara la dose e afferma che Addio zio Tom è un esempio
del peggior qualunquismo razzista al punto di voler far passare per vera la
tesi dell’inferiorità razziale dei neri. Il film doveva durare 138 minuti
ma sono stati ridotti a 100 dopo una denuncia per oscenità e l’obbligo di
cambiare il titolo in Zio Tom. Fa
molto discutere la decisione di girare il film ad Haiti accettando la
collaborazione del sanguinario dittatore Papa Doc che fornisce molte comparse.
Marco Giusti definisce la pellicola non
male, soprattutto per le grandi scene di nudo che al tempo facevano un certo
effetto. Morandini sceglie ancora di non parlare del film, mentre per
Farinotti è realizzato con la scusa di
raccontare lo schiavismo, ma con la precisa volontà di mostrare scene di nudo.
Belinda Lee
Mondo
candido (1975) è l’ultima opera
uscita al cinema di Jacopetti e Prosperi, questa volta si tratta di una fiction vera e propria, un libero
adattamento del Candido di Voltaire,
sceneggiato dai due registi e dal critico cinematografico Claudio Quarantotto.
Per Mereghetti è il miglior lavoro di Jacopetti, visto che concede una stella e
mezzo, ma il giudizio è ancora negativo: il
qualunquismo filosofico fa coppia con il più scontato degli spiriti goliardici…
un guazzabuglio di luoghi comuni che servono solo a far vedere un po’ di donne
spogliate. Il critico milanese conclude che si tratta di un film troppo ricco produttivamente e
troppo presuntuoso per diventare un reperto trash. Marco Giusti definisce Mondo candido come una fellinata filosofica partendo proprio dal Candido di Voltaire e
spaziando sul sesso, l’Irlanda e i rapporti tra arabi e israeliani. Ritiene
che sia da ritrovare come icona del trash
più eccesivo, sia per il cast (Salvatore Baccaro è un orco pazzo che tenta
di violentare una morta) che per le scenografie. Il film nasce con il
titolo in lavorazione de La vita è bella,
persino Jacopetti non lo ama molto, per averlo girato in mezzo a rapporti non
idilliaci con Prosperi e con la produzione. Morandini sceglie ancora la via del
silenzio, mentre Farinotti equivoca sul senso perché parla di un adattamento del Candido di Voltaire alla
moda dei Mondo cane.
Il Dizionario del Poppi conclude l’analisi della figura di
Jacopetti affermando che il suo cinema è
da considerare una testimonianza di una certa realtà presente nel nostro
secolo, magari distorta e mal presentata per eccessivo zelo e attaccamento a
un’ideologia non condivisibile. L’Enciclopedia
Garzanti del Cinema recita una pesante stroncatura, viziata da una
contrapposizione ideologica di fondo: “Gualtiero
Jacopetti (Barga, 1919) - regista italiano. Sceneggiatore di Europa di notte (1959), di A. Blasetti,
esordisce con il successo internazionale di Mondo cane (1962): crudeltà di varia natura e inserti
documentaristici su costumi esotici e religiosi di varie regioni del mondo
vengono montati nel solco di una ostentata spettacolarizzazione e sul filo di
un commento off di raro qualunquismo
e ipocrisia. Coadiuvato da Franco Prosperi (suo collaboratore fisso) e da Paolo
Cavara, replica su standard più ripugnanti (Mondo cane 2 - 1963) prima di affrontare con ottica reazionaria e
fazioso cinismo (oltre al sospetto di una tendenziosa manipolazione del girato)
la fine del colonialismo in Africa addio
(1966). Il soggetto grottesco di ispirazione letteraria di Mondo candido (1975) ne conferma lo stile pretestuoso e delirante”.
Per fortuna che in tempi recenti alcuni autori hanno
tentato una rivalutazione del regista contribuendo a realizzare un’inquadratura
storica del genere mondo movies. Tra
tutti citiamo Franco Grattarola di Cine
70, ma anche la redazione di Nocturno
Cinema rappresentata da Manlio Gomarasca e Davide Pulici. Roberto Curti e
Tommaso La Selva,
nel pregevole volume Sex and violence -
percorsi nel cinema estremo, edito da Lindau, perfezionano una critica
accurata e scevra da pregiudizi ideologici. Secondo i due critici il pubblico
degli anni Settanta non fa distinzione tra esotismo ed erotismo, frequenta sia
il documentario che la fiction, per
questo motivo decreta il successo di reportage osé come Europa di notte di Blasetti. Il documentario esotico nasce come
esigenza di confronto con l’esterno che indirettamente serve a raccontare un
sistema di valori italiano in rapida mutazione, caratterizzato da aperture
fintamente disinvolte al nord e rigidità ancestrali al sud. Il documentario si
afferma anche in una manciata di film inchiesta caratterizzati da uno stile
zavattiniano come l’opera collettiva Le
italiane e l’amore (1962) e Comizi
d’amore (1965) di Pier Paolo Pasolini, lavori impregnati di una passione
civile che non ha niente in comune con i mondo
movies alla maniera di Jacopetti.
I titoli dei mondo
movies presentano sempre parole chiave come sexy, nudo, notte, mondo e le pellicole seguono uno schema preordinato. Il racconto viene
costruito come un mosaico che non ha niente di narrativo ma sfrutta la tensione
dello spettatore per indirizzarla al frammento successivo. Il documentario
erotico non si estingue per effetto dei mondo
movies, ma i due generi per un certo periodo tentano di fondersi (Africa sexy e Mondo nudo) prima che il documentario sexy si estingua, ormai
incapace di soddisfare le istanze di pseudo emancipazione sessuale del pubblico
borghese cui si rivolge. Il documentario sexy finisce per presentare una
ripetitiva serie di strip-tease che annoia lo spettatore e alla fine anche la misoginia
tipica del filone è controproducente.
La tesi abbastanza condivisibile di Curti e La Selva è che “Jacopetti
spettacolarizza il film etnografico, enfatizzandone l’arbitrarietà e la
tendenziosità, cogliendone la potenzialità della televisione come manipolatrice
di verità, appropriandosi dei luoghi comuni più vieti (la Sacndinavia come culla
del libero amore, l’equazione tra emancipazione femminile e disinibizione
sessuale in La donna nel mondo) e
rivoltandoli cinicamente contro i fruitori senza un briciolo della dolorosa
sensibilità del Pasolini di Comizi
d’amore, ma con una vis polemica
debordante”.
È molto importante analizzare il cinema di Jacopetti e
Prosperi senza farsi condizionare da pregiudizi e cattive letture, soprattutto
dalle accuse di razzismo e fascismo che si leggono un po’ ovunque. Jacopetti
non è un netturbino cinematografico,
ma - come lui stesso si definisce nel corso di un’intervista - è un voltairiano patito. Forse sono proprio
l’illuminismo e l’enciclopedismo di Voltaire, Diderot e D’alambert la chiave di
volta per comprendere il suo cinema. Mondo
cane (1962) andrebbe visto come
illusione illuministica, come
ambizione di abbracciare la totalità delle conoscenze umane, catalogando gli
episodi come tante voci enciclopediche. In parte può essere anche vero, ma
non basta. Il documentario di Jacopetti non è mai del tutto oggettivo, ma il
commento esterno cerca di far dire certe cose alle immagini. Jacopetti prosegue
con lo stile sarcastico della Settimana
Incom e nei suoi film usa la voce fuori campo per dare un senso
prestabilito al montaggio. Franco Prosperi è il tecnico della coppia, il suo
ruolo è quello di illustrare dal punto di vista visivo, di far vedere allo
spettatore usi, costumi, immagini scioccanti. Gualtiero Jacopetti cura commento e montaggio per svelare i
segreti e dare un’impostazione ideologica al materiale girato. Tutto questo si
chiama utilizzo a tesi del montaggio,
più che documentario asettico. Un altro elemento fondamentale da tenere
presente in questi mondo movies è la ricostruzione
di alcuni avvenimenti a beneficio della macchina da presa, in modo tale che reale
e fasullo si intersecano e si confondono. Lo spettatore non riesce a
distinguere vero da falso, anche perché spesso
la finzione jacopettiana è più credibile della realtà stessa. Jacopetti è
voltairiano fino in fondo, perché è convinto che le sue opere devono servire a
dare un contributo per risolvere i problemi del tempo.
Curti e La
Selva affermano che “l’impianto visivo crudele ed estremo del
cinema di Jacopetti e Prosperi non è solo uno strumento al servizio di un
sensazionalismo di cassetta, ma anche riflesso di una precisa esigenza estetica
e ideologica - specie in Africa addio
e nelle opere successive. Nelle opere di Jacopetti la carrellata sul nostro
pianeta porta paradossalmente a un moralismo nostalgico che nasconde uno
spirito antimoderno al servizio di un antiumanismo che si oppone frontalmente
alla retorica e terzomondista dell’epoca”. Condividiamo in pieno.
Il mondo movie
modifica il suo atteggiamento con Paolo Cavara, ex collaboratore di Jacopetti
che abbandona il gruppo per mettersi in proprio, ma produce una brusca virata al genere in
direzione della pura fiction. Cavara gira
nel 1967 L’occhio selvaggio, un film
che dimostra grande risentimento nei confronti di Jacopetti. Il protagonista
della pellicola di Cavara è un regista interpretato da Philippe Leroy che non
arretra davanti a niente pur di ultimare il proprio documentario-shock. Cavara
critica Jacopetti al punto di riprendere in chiave grottesca l’episodio
incriminato raccontato da Carlo Gregoretti su L’Espresso a proposito di Africa
addio, con Leroy e l’operatore Gabriele Tinti che fanno spostare un
vietcong condannato alla fucilazione davanti a un muro bianco perché la ripresa
venga meglio. L’occhio selvaggio è scritto
dal regista con Fabio Carpi con Ugo Pirro (Tonino Guerra e Alberto Moravia
collaborano ala sceneggiatura), non è un mondo movie ma un film a soggetto,
criticabile sin quanto si vuole, ma resta opera dignitosa e complessa che tiene
in equilibrio poesia e autocritica. Cavara riflette sulla situazione
contemporanea, analizza la crisi dell’occidente, critica la riduzione a
mercanzia del genere umano e riflette sui meccanismi che scattano nella mente
dello spettatore durante la visione. Si tratta di un’operazione
metacinematografica, puro cinema sul cinema, che porta a riflettere in maniera
profonda sulla manipolazione della realtà. Jacopetti si adegua al cambiamento dei tempi e gira Addio zio Tom (1971), pellicola che
sconvolge i benpensanti per il commento dal contenuto razzista e per le
immagini sconvolgenti. Jacopetti ricostruisce la storia della schiavitù ma non
gira un documentario, piuttosto confeziona un pamphlet su una tesi
precostituita. Mondo candido (1975) è
il suo ultimo lavoro ed è un ritorno a Voltaire, sia per ispirazione che per
condivisione e struttura dei temi. Jacopetti fa capire con il suo cinema che
esiste una frattura insanabile tra verità e finzione: riprendere oggettivamente
la realtà è impossibile, ma soltanto l’occhio selvaggio della macchina da presa
riesce a ricrearla. La soluzione proposta e praticata per molti anni è stata
quella di fabbricare prove per dimostrare
la veridicità della realtà rappresentata, ma al tempo stesso ha decretato la soccombenza della realtà di fronte alla
finzione.
Il mondo movie subisce la sua degenerazione con
prodotti come Ultime grida dalla Savana (1975) e Savana violenta (1981) di Antonio
Climati e Mario Morra, ma anche con Addio
ultimo uomo (1978) di Alfredo e Angelo Castiglioni. I film di Climati e Morra sono vere e proprie fiction che si basano sulla
spettacolarizzazione della violenza e sulla ripresa di alcuni rituali indigeni
piuttosto raccapriccianti. Il commento fuori campo è scritto niente meno che da
Alberto Moravia e vorrebbe dimostrare che Rousseau si sbagliava e che le leggi
naturali si basano sulla sopraffazione.
Addio
ultimo uomo è un documentario etnologico che documenta riti ancestrali e
usanze di alcune tribù dell’Africa centrale, come culti fallici, sacrifici
animali e spellature di defunti. La violenza è molto esibita, notiamo
evirazioni, amputazioni, immagini di guerra e operazioni chirurgiche. Il
commento è scritto da Vittorio Buttafava. I fratelli Castiglione avevano girato
in precedenza Magia nuda (1975), per
documentare riti magici ancora esistenti nel nostro pianeta soprattutto in zone
ancora primitive. Savana violenta
viene distrutto dalla critica che lo definisce un contenitore di immagini
pseudo documentaristiche tendenti al raccapricciante, al gratuitamente crudele
e al sanguinario in genere. Curti e La
Selva sostengono che tutta questa serie di film riversano sugli schermi una quantità
torrenziale di immagini brutali. Tutto vero. Siamo in linea con la
richiesta di elementi scioccanti già pretesa dai generi horror, poliziesco ed
erotico. La violenza di queste pellicole è spesso fasulla e certe atrocità sono
girate per l’occasione. Hanno fatto storia l’episodio del turista sbranato dal
leone in Ultime grida dalla savana e
il taglio del membro in Addio ultimo
uomo, anche se i fratelli Castiglioni insistono sulla veridicità.
L’esperienza dei mondo movies
produrrà tutto il sottofilone dell’horror cannibalico,
ma anche le pellicole della serie Emanuelle
Nera giurate da Aristide Massaccesi. Lo schema vede Laura Gemser in giro per il pianeta a caccia di reportage
sensazionali, ma soprattutto in Emanuelle
in America (1976) si trova a
contato con bestialità, orge, bordelli per sole donne e soprattutto un
famigerato filmato snuff spacciato
per vero al momento dell’uscita del film. Cannibal
holocaust (1979) di Ruggero Deodato
tira le somme di un intero decennio, è un atto di accusa verso le
finzioni giornalistiche e cinematografiche, ma deriva direttamente dal mondo movie come film cannibalico che eredita la propensione
alle atrocità, inserite in un contesto narrativo. Il mondo movie si stempera nel nuovo genere cannibalico, pura fiction che conserva stralci delle
vecchie sensazioni.
Le ultime opere classificabili come mondo movie sono Dolce e selvaggio (1983) di Climati e Morra, Dimensione violenza (1984) del solo Morra, che certificano la morte
del documentarismo cinematografico per cedere il passo a quello televisivo. Mondo cane oggi – L’orrore continua
(1985) di Stelvio Massi e Mondo cane
2000 – L’incredibile (1988) di Gabriele Crisanti rappresentano il canto del
cigno del genere, disastrose e indifendibili visioni di stranezze che non hanno
niente del cinema jacopettiano. Le
riprese dei due film e il soggetto sono di Stelvio Massi, ma il regista di polizieschi
non amava quel tipo di cinema, al punto di non voler firmare il secondo lavoro
costruito con gli scarti del primo.
L'ultimo saggio su Jacopetti è il più completo ed esaustivo. Stefano Loparco ha fatto un ottimo lavoro di ricerca, esaustivo e ben documentato. la recensione estrapolata da NOCTURNO CINEMA lo conferma. Edizioni Il Foglio - ilfoglio@infol.it