di Alberto Cavallone
Regia: Dirk Morrow (Alberto Cavallone). Soggetto:
Nicolò Pomilia. Sceneggiatura: Alberto Cavallone, José Luis Martinez Molla.
Fotografia: Sandro Mancori, Maurizio Dell’Orco, Gianfranco Maioletti.
Montaggio: Alberto Cavallone, Stefano Pomilia (assistente). Costumi: Maria Pia
Luzi. Musiche: Alberto Baldan Bembo. Cameramen: Aldo Marchiori, Giovanni
Brescini, Giovanbattista Marras. Trucco: Rosario Prestopino. Effetti Speciali:
Roberto Pace. Produzione: Falco Film srl (Roma) e Stefano Film. Produttore:
Luciano Ceprani. Interpreti: Sven Kruger, Sacha D’Arc, Viviana M. Rispoli,
Vittoria M. Garlanda, Aldo Sambrell, Serafino Profumo, Fabio Baciocchi, Paolo
Bernacchioni, Tristano Iannetta, Adriano Chiaramida, Massimo Pompei, Adriana
Giuffrè, Gianfranco Amoroso, Edoardo Terzo, Roberto Trinci, Pietro Angelo Pozzato,
Nicola Di Gioia, Gina Giuri, Marina Medde, Gabriella Montemagno, Antonio Mea, Salvatore
Bardaro, Massimo Bardaro, Michele Knewels, Renato Moriconi, Maurizio Faraoni,
Palmiro Liotta, Sebastiano Tosto, Luciano Casamonica, Patrizia Salerno, Zaira
Zoccheddu, Daniela Airoldi.
Il padrone
del mondo è stato girato da Cavallone
con pochi mezzi, tra le Canarie e le campagne laziali, ispirandosi a La guerra del fuoco (1981) di
Jean-Jacques Annaud, divagando intorno a una sua sceneggiatura originale scritta
per un film di Umberto Lenzi: La guerra
del ferro - Ironmaster (1982). La guerra
del fuoco è il capostipite del
sottogenere clava movie, racconta il viaggio di tre uomini
preistorici in fuga da una tribù di antropofagi alla ricerca del fuoco, che
sono capaci di conservare ma non di accendere. Il soggetto è ricavato dal
romanzo di J. H. Rosny Aîné, sceneggiato da Gérard Brach, girato con perizia (e
con mezzi ingenti) da Jean-Jacque Annaud, tra Kenia, Irlanda, Scozia e
Canada. Desmond Morris è consulente per
i linguaggi gestuali e Anthony Burgess per i suoni gutturali. Un film che vince
un Oscar per i trucchi e che si ricorda per molte scene di nudo di Rae Dawn
Chong. Filologicamente corretto e ben girato. La guerra del ferro - Ironmaster (1983) è il primo clone italiano,
girato da Umberto Lenzi, scritto e sceneggiato da Alberto Cavallone, Dardano
Sacchetti, Luciano Martino e Gabriel Rossini. Un film trash, tutto sommato, soprattutto per i costumi, per gli
improbabili interpreti (i costumi di Pamela Prati e George Eastman toccano
livelli di ridicolo difficilmente eguagliabili) e per la scarsità di mezzi.
Pamela Prati è più nuda e sexy di quanto lo fosse la Chong nel film originale. La guerra del ferro è una storia avventurosa
di battaglie tra cavernicoli per un posto da capotribù che toccherà al più
forte e soprattutto allo scopritore del ferro. Un clava movie ridicolo, come scrivono molti critici importanti. Non
hanno tutti i torti se lo prendiamo sul serio.
Il padrone
del mondo come qualità di girato non
è lontano dal film originale, cosa encomiabile perché i mezzi di cui Cavallone
dispone sono davvero scarsi. Abbiamo visto la versione inglese Master of world, con sottotitoli in
greco, perché non è facile reperire la traccia italiana, mai uscita sul mercato
e non distribuita. In ogni caso si apprezza senza problemi perché non ci sono
dialoghi ma soltanto musica suggestiva, suoni gutturali, rumori e fotografia
coloratissima. Nella nostra copia non abbiamo trovato nei titoli di testa lo
pseudonimo Dirk Morrow attribuito al regista, ma forse era soltanto nella
versione italiana. Cavallone affronta la cultura tribale primitiva e vorrebbe
descrivere il delicato passaggio culturale dai primi fonemi alla capacità di
esprimersi. In breve la trama. Siamo agli albori della storia dell’umanità. Il
regista ci presenta alcune tribù caratterizzate da diversi stadi evolutivi che si
muovono in una scenografia composta da montagne, fiumi e radure, combattendo
per sopravvivere e difendendosi da bestie feroci. Conosciamo un orso colossale,
il nemico più infido tra tutte le belve incontrate, nemico dei nostri
cavernicoli e in alcuni casi adorato come divinità. Cavallone tenta di non
cadere negli stereotipi, ricostruisce ambienti e scenari secondo le più recenti
scoperte antropologiche ed etnografiche. Il soggetto è poco originale, ma il
regista pone l’accento sulla rivoluzione intellettuale, sull’articolazione del
linguaggio, accompagna lo spettatore alla scoperta della nascita del vero uomo.
Cinema puro composto di rumori, immagini, vento che fruscia, suoni
gutturali, fonemi dei primitivi, musica
gelida e intensa. Cavallone racconta i comportamenti tribali di uomini
primitivi che hanno scoperto il fuoco, si vestono con le pelli degli animali
che uccidono e vagano per laghi e foreste. I primitivi di Cavallone lottano
come selvaggi per conquistare il territorio e per possedere una donna che
assicuri la riproduzione della specie. Interessanti e molto cavalloniane le sequenze in cui gli
uomini divorano il cervello dei nemici per acquisire il loro coraggio e le loro
capacità intellettive. Apprezziamo crani di primitivi fatti a imitazione degli
uomini e teste fracassate con la materia cerebrale che fuoriesce per essere
divorata. Parti da puro cinema horror, più gore che splatter, ma filologicamente
corretto, secondo il regista. Molti inserti da mondo movie cercano di colmare le lacune di budget quando si tratta
di inquadrare condor, aironi, scimmie, lupi e sparvieri. La colonna sonora di
Alberto Baldan Bembo è intensa, gelida e suggestiva, contribuisce a creare
momenti di suspense durante le fasi delle battaglie tribali. Cavallone
ricostruisce il primitivo rapporto uomo - donna, ma sfuma sui rapporti sessuali
e non riprende mai un nudo integrale, inoltre ricostruisce nel finale una
singolare quanto credibile sequenza di parto. Le sequenze i lotta sono intrise
di un realismo crudo anticonvenzionale, mentre l’ambientazione preistorica è
ottima, nonostante lo scarso budget, e tutte le parti da action movie sono girate a ritmo sostenuto. La cosa migliore resta
la lotta uomo - orso, con la ricostruzione di una credibile vittoria umana,
senza far ricorso a inserti posticci o a trucchi di scena. Fotografia luminosa,
tendente al rosso e al celeste, tramonti coloratissimi, zummate a iosa, persino
inutili, ma era un problema dei tempi. cavallone gira con sapienza tecnica e si
dimostra ottimo direttore di attori che istruisce a dovere.
Il padrone
del mondo è un film poco visto,
persino poco cercato, perché di non grande importanza per capire la filosofia
del regista. Di fatto non aggiunge niente sulla poetica cavalloniana ed è inutile per capire i film migliori di un regista
problematico, surrealista ed estremo. In Italia è inedito, a parte una
proiezione al San Panfilo, un cinema d’essai romano. Realizzato per salvare la
Stefano Film (e la Falco), ma finì per inabissarsi nel naufragio economico dei
produttori. Il crack economico si verificò durante la lavorazione del film alle
Canarie, e la pellicola fu utilizzata per far nascere perdite sul bilancio,
sanare utili e risolvere problemi di tasse.
Paolo Mereghetti (una stella e mezzo) riconosce i debiti
d’ispirazione con La guerra del fuoco, ma
afferma che “non è girato tanto peggio” oltre a essere coerente perché “i
personaggi si esprimono solo a grugniti”. Condivisibile l’affermazione finale
secondo la quale “Cavallone non riesce a concretizzare le intenzioni presenti
in sceneggiatura: raccontare la prima rivoluzione intellettuale, il passaggio
alla parola”. In definitiva, secondo il critico milanese: “La vicenda prende
una piega da monotono film d’avventura, con scampoli horror e meno sesso del
previsto”. Se è il sesso che interessa, non ce n’è per niente, come non si
tratta di un film d’avventura, ma di un preistorico che solo a tratti lascia
intuire lo stile di Cavallone. Marco Giusti (Stracult): “Curioso preistorico con idee che vede protagonisti gli
uomini delle caverne in un zona di transizione tra la parola e il mutismo.
Grande scena con un orso vero, che in un primo tempo era stato costruito come
un pupazzo da Rosario Prestopino, ma non ci si poteva stare dentro oltre i tre
minuti. Il protagonista Sven Kruger è un ragazzo svedese figlio di un
funzionario della Fao, mentre Sasha D’Arc è un ex pugile jugoslavo.
Completamente ignorato in Italia, è andato bene all’estero”. Interpretazione
autentica di Alberto Cavallone, intervistato da Nocturno Cinema: “È un film estremamente documentato: tutti i
teschi ritrovati nelle grotte, vicino al Principato di Monaco, presentano buchi
nella testa perché questa gente mangiava il cervello… che poi il nutrirsi di
cervelli abbia portato l’uomo a essere sempre più intelligente, questo è tutto
da discutere. Gli attori mi seguirono molto bene nel film, li ho preparati io
personalmente in palestra per insegnarli come muoversi”. Per quel che mi
riguarda, una piacevole sorpresa.
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