di Rino Di Silvestro
Regia: Rino Di Silvestro. Soggetto e Sceneggiatura:
Rino Di Silvestro. Montaggio: Angelo Curi. Fotografia: Mario Capriotti.
Produzione. Ego Alchimede per Dialchi Film srl. Distribuzione: Ginis Films.
Direttore di Produzione: Bruno Evangelisti. Musiche: Coriolano Gori (dirette
dall’autore - Nazionalmusic).
Interpreti: Annik Borel, Tino Carraro, Dagmar Lassander, Howard Ross (Renato
Rossini), Frederick Stafford, Elio Zamuto, Andrea Scotti e Salvatore Billa,
Osvaldo Ruggieri. Titoli esteri: Werewolf woman (Internazionale), Naked Werewolf woman (UK), La louve sanguinaire (Belgio), La
louve se dechaine (Francia), Aullidos
de terror (Spagna), La loba (Venezuela), Terror of the she-wolf o The Legend of Wolfwoman (USA).
Rino Di Silvestro (1932
- 2009) è un autore di teatro che
scrive sceneggiature e soggetti per il cinema, debutta alla regia nel 1973 con Diario segreto di un carcere femminile e prosegue girando alcune pellicole non
eccelse, sempre caratterizzate da originalità e spirito trasgressivo. Marco Giusti scrive che Rino Di Silvestro fa cinema estremo, folle,
maniacale ed è l’unico critico cinematografico a ricordare la sua scomparsa
sulla rivista Nocturno del novembre
2009. La lupa mannara (1976) è il
suo unico horror, firmato con lo pseudonimo di Alex Berger.
Il clima è da
thriller psicologico. Daniela (Borel) è stata violentata da adolescente,
inoltre è tormentata dal ricordo della leggenda di un’antenata che nelle notti
di plenilunio diventava una lupa mannara. L’antefatto mostra un rito sensuale
con la Borel all’interno di un cerchio magico fatto con il fuoco che si
trasforma in lupa mannara con il naso simile a quello di un cane. La
trasformazione è molto trash, vediamo
una donna dal pelo rossiccio con i denti aguzzi che sbava come un’indemoniata.
Si tratta della contessa Daniela, antenata della ragazza, che al culmine di una
scena splatter uccide un uomo e lo
divora. I contadini inferociti la mettono al rogo come se fosse una strega. Si
torna ai tempi moderni e sembra che l’antefatto sia stato soltanto un incubo di
Daniela, ma non è così, perché la ragazza manifesta subito gravi problemi
psichiatrici. La violenza carnale subita da bambina e l’attrazione-repulsione
per l’altro sesso scatenano una licantropia nervosa che porta la ragazza a
compiere atti efferati.
La prima vittima è il fidanzato (Elio Zamuto) della
sorella (Dagmar Lassander), concupito, azzannato alla giugulare e fatto
precipitare in un burrone. Il film prosegue in un ospedale psichiatrico dove la
ragazza miete altre vittime tra cui una paziente lesbica e una dottoressa. La
fuga di Daniela dalla clinica trasforma il film in una specie di poliziesco con
un commissario (Frederick Stafford) che indaga sulle atroci morti e cerca di
catturare la lupa mannara. La ragazza si crede la reincarnazione dell’antenata
e dopo la fuga azzanna alla giugulare e divora chi incontra sul suo cammino.
Tra una sequenza erotica e una splatter,
Di Silvestro avvicina lo stile della propria pellicola a quello di Love Story (Arthur Hiller, 1971), per
raccontare l’amore tra la ragazza e un singolare cascatore del cinema (Howard
Ross).
L’istinto bestiale da lupa mannara sembra vinto dall’amore, ma una nuova
violenza carnale subita per opera di tre pregiudicati fa precipitare la situazione.
La scena dello stupro sulle scale dell’abitazione è molto verosimile, il
terrore della ragazza è palpabile e le sequenze sono filmate con crudo
realismo. La vendetta della lupa mannara sarà terribile: in uno sfasciacarrozze
schiaccerà due di loro con il gancio di una gru, mentre l’omicida del compagno
morirà bruciato vivo. Il finale è privo di suspense,
perché il commissario ha un’intuizione geniale e arriva alla cattura della lupa
che si era nascosta nel bosco. Tutto molto prevedibile.
La lupa mannara
presenta motivi di interesse, anche
se è inutile nascondere che si tratta di un lavoro modesto e ai limiti del trash. Di Silvestro gira una serie di
assurdi primissimi piani alla Jess Franco, inserisce lunghi dialoghi retorici e
una serie di spiegazioni medico-scientifiche non richieste, che sembrano
trattare lo spettatore come un bambino scemo. La recitazione è pessima, ma
soprattutto la protagonista è improponibile, né sexy né spaventosa come lupa
mannara, è un mix di comicità involontaria sia quando fa l’amore che quando
azzanna le vittime. Dagmar Lassander si mostra a suo agio in diverse scene di
nudo che Di Silvestro filma in maniera ginecologica, da regista hard. Molte
sequenze ricordano il cinema di Joe D’Amato, tra voyeurismo, masturbazioni femminili ed erotismo spinto.
Lo splatter non manca, va a braccetto con
un erotismo estremo, ai limiti del porno, al punto di rendere evidente l’indecisione
del regista su quale strada prendere. In alcune sequenze la lupa mannara sembra
un’indemoniata, apprezziamo citazioni de L’esorcista,
ma subito dopo il regista riconduce il lavoro verso canoni più ordinari e
inserisce l’eccidio a forbiciate di una degente al termine di una sequenza
lesbica. Molte scene di fellatio
risultano sfumate al momento giusto, ma lasciano il dubbio che dello stesso
film esista una versione porno, perché lo stile è molto esplicito.
La lupa mannara è un film estremo,
girato con pochi soldi, interpretato in maniera approssimativa e infarcito di
citazioni cinematografiche. Howard Ross è un personaggio prelevato dal mondo
del cinema, perché è un cascatore che vive in un singolare villaggio concepito
come un finto Far West. La scena dello stupro all’interno della casa ricorda e
identiche sequenze di Cane di paglia
(1971) di Sam Peckinpah, ma indugia molto di più sugli aspetti pornografici. Un
film modesto, anche se Di Silvestro si vanta di aver raccontato
scientificamente la licantropia. “La protagonista del film doveva essere una
donna realmente in grado di calarsi in una licantropa… Annick Borel, non
truccata, era incredibilmente simile a un lupo. La trovai in Svizzera, era
un’aspirante attrice amica di un produttore. Le feci un provino e scrissi la
sceneggiatura apposta su di lei…”, confida il regista a Nocturno.
Interessanti molti dettagli splatter alla Lewis e il divertente trucco da lupo della
protagonista, ai limiti del trash.
Annik Borel è sparita nel nulla dopo un film che possiede momenti di comicità
involontaria, soprattutto quando mostra la ragazza con naso da cane, peli rossi
sul corpo e calzamaglia marrone. Nanni Moretti cita con disprezzo La lupa mannara in una sequenza di Io sono un autarchico (1976), come
esempio di film orribile che sceglie di andare a vedere. Delirium adora la pellicola: “Joe D’Amato o Jess Franco non avrebbero
saputo fare di meglio”. Il mondo è bello perché è vario. Roberto Cozzuol nel
gruppo face book Film Italiani: “La Lupa Mannara si può definire come un
horror particolare, con tutto ciò che ne consegue. Senza dubbio con molti
difetti e lontano dall’essere un bel film, ma se non altro dotato di qualche
buona idea che riesce a farlo stare un po’ a galla. Gli appassionati potrebbero
anche farci un pensierino”. Pino Farinotti concede una misera stella e racconta
la trama riducendola ai minimi termini.
Mereghetti conferma la stroncatura (una
stella): “Un pastrocchio indigeribile tra dettagli splatter e gaglioffe scene
di sesso. Ha immeritata fama di cult”. Marco Giusti (Stracult) aggiunge:
“Stracult horror involontariamente comico… uno psicanalitico - femminista che
sconfina nel fantastico”. A nostro parere il film è horror fino a un certo
punto e il suo motivo di maggior interesse sta nella contaminazione dei generi,
dallo splatter al rape and revenge,
passando per erotico, porno - soft, poliziesco, condito da vaghi accenni di
esorcistico e di love story.
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