venerdì 14 febbraio 2014

Vamos a matar compañeros (1970)

di Sergio Corbucci



Regia. Sergio Corbucci. Soggetto: Sergio Corbucci. Sceneggiatura. Sergio Corbucci, Massimo De Rita, Fritz Ebert, Arduino Maiuri. Fotografia. Alejandro Ulloa. Montaggio: Eugenio Alabiso. Musiche: Ennio Morricone. Esecuzione: Bruno Nicolai. Scenografia: Adolfo Cofiño. Costumi: Jürgen Henze. Trucco: Giuseppe Capogrosso. Produttore: Antonio Morelli. Case di Produzione: Tritone Cinematografica, Terra-Filmkunst, Atlantida Films. Distribuzione: Titanus. Paesi Produzione: Italia, Germania Ovest, Spagna. Interpreti: Franco Nero (Yodlaf Peterson), Tomas Milian (El Vasco), Fernando Rey (Professor Xantos), Jack Palance (John), Iris Berben (Lola), José Bodalo (Generale Mongo), Eduardo Fajardo (colonnello), Karin Schubert (Zaira), Gino Pernice (Tourneur), Alvaro De Luna (pistolero), Lorenzo robledo (uomo che balla con Zaira), Gérad Tichy (luogotenente).


Vamos a matar compañeros (1970) è un tortilla-western rivoluzionario diretto da Sergio Corbucci, considerato uno specialista dopo il successo di Django (1966) interpretato da Franco Nero. La produzione è italo-spagnola, ma danno una mano anche i tedeschi; nel cast ci sono Tomas Milian, Franco Nero, Fernando Rey, Jack Palance, Francisco Bodalo, Iris Berben, Karin Schubert ed Eduardo Fajardo. Siamo nel Messico rivoluzionario diviso tra i seguaci di Mongo (Bodalo) e dell’idealista Xantos (Rey), prigioniero degli americani. La trama vede uniti Yod, un mercenario mercante d’armi detto Lo Svedese (Nero), ed El Vasco (Milian), uomo del generale Mongo, per liberare il professor Xantos. Lo scopo iniziale non è molto nobile, perché i due vogliono mettere le mani sulla combinazione della cassaforte che conterrebbe un cospicuo tesoro, ma alla fine si convincono della bontà della causa rivoluzionaria. 

Il film è costruito con la tecnica del flashback durante il duello finale tra Tomas Milian e Franco Nero. Nei ricordi dei personaggi si sviluppa la storia con il lustrascarpe Milian, detto El Vasco per via del cappello nero (in spagnolo “basco” si scrive “vasco” e si pronuncia “basco”), che dopo aver ucciso un soldato del generale Diaz viene reclutato come luogotenente dal generale Mongo. Il personaggio di Tomas Milian è ben caratterizzato, pare una sorta di Che Guevara ignorante, sempre a metà tra il buono e il cattivo, che alla fine sceglie la via del bene. El Vasco è un cialtrone del Messico, stile Monnezza, dal buffo modo di parlare italo-cubano (la vera voce di Milian), con un carattere rissoso e i modi rozzi da uomo privo di cultura.  Franco Nero invece è un killer damerino, colto e raffinato, veste abiti eleganti, è svedese ma pare un lord inglese con paglietta, ombrello, giacca e cravatta. Milian lo apostrofa sin dal primo incontro come “pinguino” e così fa per tutto il film. Tanto per sottolineare la differenza tra i due personaggi, quando giocano alla roulette e il croupier dice: “Rien va plus”, Milian chiede: “Che cazzo ha detto?”. Franco Nero partecipa alle minacce successive per vincere con la forza ma lo fa con altro stile. Franco Nero è Lo Svedese, un mercenario senza scrupoli che vende armi al generale Mongo, pure se sa che si tratta di un brigante. Il vero rivoluzionario è Xantos, un puro idealista, ma quando gli studenti chiedono allo Svedese di passare dalla loro parte, lui risponde che sta solo con chi paga di più. Lo Svedese è uomo di modi fini, ma è un pistolero spietato che non esita a far fuori nemici e a colpire chi si mette sul suo cammino. Notevole la scena che vede Franco Nero seppellito sino al collo dagli uomini di Milian e solo l’arrivo di Mongo lo salva dalla carica dei cavalli. Mongo è un bandito che approfitta della rivoluzione per fare quattrini, incarica El Vasco e Lo Svedese di liberare Xantos per recuperare la chiave di una cassaforte che contiene un tesoro. I due uomini diffidano l’uno dell’altro e non si stanno per niente simpatici, però accettano l’incarico. Il film si avvale di una stupenda fotografia e lo scenario spagnolo che fa da sfondo per le lunghe cavalcate dei desperados pare davvero il Messico. 


Entra in scena pure il cattivo Jack Palance, un tipo sinistro il cui migliore amico è un falcone e che ha un conto in sospeso con Lo Svedese. Ha perso la mano destra per colpa del pistolero che gli ha giocato un brutto tiro a Cuba. Una parte interessante la recita pure la bella Lola (Iris Berben), a lungo contesa dai due uomini, ma che alla fine opta per El Vasco. Karin Schubert invece è l’immancabile ballerina del saloon che conosce bene Lo Svedese, ma che nell’occasione se la fa con El Vasco e lo spompa a dovere. La Schubert - doppiata niente meno che da Laura Betti - partecipa alla liberazione di Xantos insieme a un gruppo di mignotte. La pellicola scorre tra situazioni che coinvolgono i due rivali e lo spettatore è portato a parteggiare per l’uno o per l’altro. Franco Nero scappa con il locomotore di un treno e sgancia Tomas Milian attaccato al resto delle carrozze, ma incontra il cattivo Jack Palance che lo fa malmenare dai suoi e lo lascia appeso per il collo con i piedi sopra un barile. Lo libera El Vasco dopo averlo preso un po’ in giro. Quando i due si ricongiungono riescono a far scappare il rivoluzionario Xantos da Fort Yuma, ma ancora una volta Lo Svedese gioca un brutto scherzo a El Vasco e lo lascia nelle mani di Jack Palance. Milian viene torturato dagli uomini del bandito e si ritrova una talpa sulla pancia che potrebbe scavare una galleria nel suo corpo. Per fortuna Xantos e Lo Svedese decidono di liberarlo, mentre Milian grida: “Non me ne frega un cazzo di Mongo! Viva Xantos! Pinguino… li mortacci tua!”. Certo che l’ultima esclamazione è poco messicana, ma è importante perché precorre l’epoca del Monnezza. 


Per far passare il confine al professor Xantos sotto gli occhi dell’esercito messicano, Milian e Nero si fingono frati del convento di San Bernardino con una bara da trasportare. “Se ci beccano succede un casino e facciamo la fine di San Bernardino”, dice Milian che mostra una certa passione per la recitazione in rima. Jack Palance li smaschera ma i nostri eroi la fanno franca a suon di mitragliatore, pure se Xantos non spara perché è contro la violenza. “Lottando per un giusto ideale si può vincere anche senza violenza”, dice. Una volta fuori pericolo, per placare i morsi della fame i tre uomini si fanno arrosto il falcone di Palance e Milian commenta che “quell’uccello sarà stato anche intelligente, però sa di merda”. E poi rincara verso Xantos che si gingilla con delle tartarughe (che saranno utili per ritrovare il professore nelle mani di Mongo): “Ma vaffanculo tu e le tue tartarughe!”. Negli elementi di fondo di questo messicano è già presente il personaggio di Monnezza, che si rivela ancora di più quando El Vasco dice che l’onore non ce l’ha, quindi può seguire Xantos che si è andato a cacciare nei guai. Infatti l’idealista rivoluzionario si consegna a Mongo per salvare i suoi uomini, ma solo l’intervento di Milian e Nero risolve la situazione. 

Alla fine Mongo viene catturato e ucciso, pure se Xantos lo voleva lasciare libero, ma è il bandito a cercare la sua fine con un gesto da vigliacco. La sorpresa finale è che nella tanto agognata cassaforte non c’è nessun tesoro materiale ma solo i simboli della terra, del grano e del lavoro. “Quella è la nostra ricchezza”, dice Xantos. El Vasco e Lola si sposano da soli in un buffo matrimonio dove Milian dice: “Va bene, ti sposo, va’…” e nelle ultime scene si capisce il motivo del duello tra i nostri eroi. Lo Svedese ruba una statua d’oro raffigurante San Bernardino perché non è abituato ad “andarsene a mani vuote”. Il duello si risolve con i due pistoleri che si alleano ancora una volta contro la banda di Jack Palance, solo che Xantos muore ucciso dal perfido bandito.


Il professore idealista minaccia il pistolero con un fucile scarico, ma la sua fine è utile alla causa perché convince Lo Svedese a restare con El Vasco e a lottare per la rivoluzione. “Resta con noi compañero. Vedrai che con gli ideali si può vincere. Ce la faremo”, dice El Vasco ormai convertito al buonismo. Lo Svedese ci pensa un po’ e poi grida: “Vamos a matar compañeros!”. Parte l’attacco verso l’esercito messicano e la bella colonna sonora insiste sul refrain di “Vamos a matar … vamos a matar … compañeros”.
Una pellicola che riscuote un incredibile successo: incasso oltre un miliardo di lire. Franco Nero è noto al pubblico per via di Django, e in alcune sequenze usa il mitragliatore come nel film precedente, Tomas Milian viene da personaggi come Cuchillo e Tepepa. L’unione dei due attori funziona bene, il gringo e il campesino che si aiutano per una causa comune affascina il pubblico. Tomas Milian indossa un basco da Che Guevara e recita battute da rivoluzionario, ma soprattutto comincia a darsi alle parolacce a ruota libera, cosa insolita per un western e la novità piace ai giovani. Il film copia un po’ da tutti i western che lo hanno preceduto e spruzza qua e là facili battute filo sessantottine, però funziona. Sergio Corbucci è bravo a sceneggiarlo insieme a Massimo De Rita, Fritz Ebert e Arduino Maiuri, importanti le musiche di Ennio Moricone (eseguite dall’orchestra di Bruno Nicolai) e il rapido montaggio di Eugenio Alabiso. 


A proposito della valenza politica di certi spaghetti-western basta citare quel che scrive Steve Della Casa: “Non sarà il miglior western, ma è il miglior esempio di quanto il Sessantotto sia penetrato negli strati più popolari e perché, quando i cortei stavano per scontrarsi con la polizia, mi veniva sempre in mente la scena finale  e la musica del film”. Milian e Nero litigarono a lungo sul set, soprattutto perché Franco Nero prendeva male certe battute del cubano, credeva che continuasse a sfotterlo pure fuori dalla finzione scenica. C’è da dire che Milian non sopportava altre prime donne, preferiva i comprimari. Franco Nero era un ragazzo timido e nervoso, secondo Corbucci, invece Milian era rissoso e mezzo matto. Fu Corbucci a spronarlo a doppiarsi da solo perché il suo accento mezzo cubano e mezzo romano si prestava bene alla parte. Il film subì un processo per turpiloquio perché il personaggio di Milian parla con espressioni gergali molto forti e pittoresche (“vaffanculo”, “stronzo”, “voglio fare la piscia”). L’Italia bacchettona di quel tempo non era ancora preparata a certe cose e bastava poco per scandalizzare, d’altra parte se un personaggio è volgare deve esprimersi in modo volgare…

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