Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Sergio Rossi.
Collaboratori alla sceneggiatura: Giorgio Patrono, Giuseppe Scavuzzo. Fotografia:
Roberto Girometti. Montaggio: Alfredo Muschietti. Aiuto Regista: Giorgio
Patrono. Assistente alla Regia: Bruno Cortini. Trucco: Franco Ruffini. Fonico:
Bruno Cortini. Assistenti Operatori: Sergio Baldi, Massimo Girometti. Fotografo
di Scena: Fausto Giaccone. Assistente al Montaggio: Giancarlo Tiburzi. Mixage:
Gianni Mazzarini. Costumi: Marcella De Marchis. Scene e Arredamento: Gianni
Tivoli. Direttore di Produzione: Giuseppe Scavuzzo. Organizzatore Generale:
Francesco Orefici. Musiche: Tito Schipa Jr., dirette da Giovanni Tommaso
(Edizioni Musicali Gemelli, Roma). Canzone: Combat
(Tito Schipa Jr., canta l’autore). Produzione: San Diego Cinematografica. Interpreti:
Paola Pitagora, Lou Castel, Bernardo B. Solitari, Marino Masè, Nicoletta
Machiavelli, Giancarlo Sbragia, Massimo Sarchielli, Germano Longo, Lorenza
Guerrieri, Franco Gulà, Marco Mariani, Aldo Grottola, Elio Licari, Gianni
Menon, Bruno Boschetti, Romano Trizzino, Leo Mingrone, Rago Mansueto, Gianni
Costanzi, Fabrizio Grillenzoni, Andro Cecovini.
Policeman è un film a progetto, a tesi, come soltanto negli
anni post contestazione studentesca del 1968 era possibile concepire, ma pur
tra i tanti difetti conserva un’importanza storica. Il film viene diretto da
Sergio Rossi (Roma, 1939) proprio nel 1968 - anno caldo di scontri di piazza
tra manifestanti e polizia - ma esce in poche sale e con scarso successo solo
tre anni dopo (1971). Un film
provocatorio, afferma Roberto Poppi, il cui programma è ben chiaro nel
manifesto finale: “Non contro di voi (poliziotti), ma contro ciò che
rappresentate: la difesa dell’ordine costituito, la conservazione dei privilegi
padronali, il braccio armato del potere che soffoca la rivolta degli oppressi”.
La trama si racconta in poche righe e non è la cosa
più importante. Un ragazzo del Sud (Solitari, doppiato da Amendola), figlio di
braccianti agricoli, viene convinto che il solo modo per sbarcare il lunario
sia arruolarsi in polizia, destino comune a molti figli di poveri che non
trovavano lavoro. Il film racconta nei minimi particolari l’azione di
indottrinamento psicologico e l’addestramento fisico finalizzato alla
repressione di manifestanti e facinorosi. Il regista punta l’indice sulle
scuole di polizia dove si insegnerebbe che gli scioperanti e i manifestanti vanno
trattati come ladri e assassini, da punire, rieducare, picchiare selvaggiamente.
Il ragazzo finisce per fidanzarsi con la figlia di un operaio (Pitagora),
nasconde il suo vero mestiere, ma quando la ragazza capisce che è un poliziotto,
lo lascia. Il ragazzo impazzisce durante un’azione repressiva mettendo a nudo tutte
le contraddizioni di un mestiere svolto da povera gente, costretta a difendere
il potere dei padroni.
Sergio Rossi mette davanti alla macchina da presa
identici temi affrontati da Pier Paolo Pasolini nella lirica Il Pci ai giovani, scritta il 16 giugno
1968 dopo gli scontri tra polizia e studenti a Valle Giulia. Ne riportiamo la
parte centrale, consigliandone la lettura integrale per capire il clima
ideologico - culturale del periodo storico: “Perché i poliziotti sono figli di
poveri./ Vengono da subutopie, contadine o urbane che siano./ Quanto a me,
conosco assai bene/ il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,/ le
preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,/a causa della miseria,
che non dà autorità./ La madre incallita come un facchino, o tenera/ per
qualche malattia, come un uccellino;/ i tanti fratelli; la casupola/ tra gli
orti con la salvia rossa (in terreni/ altrui, lottizzati); i bassi/ sulle
cloache; o gli appartamenti nei grandi/ caseggiati popolari, ecc. ecc./ E poi,
guardateli come li vestono: come pagliacci,/ con quella stoffa ruvida, che
puzza di rancio/ furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,/ è lo stato
psicologico cui sono ridotti/ (per una quarantina di mille lire al mese):/ senza
più sorriso,/ senza più amicizia col mondo,/ separati,/ esclusi (in un tipo
d’esclusione che non ha uguali);/ umiliati dalla perdita della qualità di
uomini/ per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare) (…).
Policeman è quasi un film fantapolitico, perché parla
dell’Italia ma non la cita mai, inoltre la polizia della finzione veste divise
di pura fantasia. Troppi sermoni ridondanti che insistono sui concetti di lotta
di classe, proletariato, scontro sociale
e rivoluzione potevano essere limitati, ma sono figli dei tempi. Molto
colore di fine anni Sessanta e tante cose pregevoli: il Sud depresso e
disperato, la povera casa dei genitori braccianti del poliziotto, il viaggio in
treno verso la capitale, le minigonne e gli stivaloni delle ragazzine, gli
scontri di piazza presi dalla realtà, mixati con sequenze filmate ad arte, la
storia d’amore e molte scene di vita quotidiana. Tra le tante parti
interessanti citiamo le filippiche grottesche dei rivoluzionari che gridano dal
tetto contro i manifestanti e inneggiano alla vera rivoluzione. Chiedono la fantasia al potere, la puttana proletaria liberata da tutti suoi
magnaccia, non vogliono fare politica neppure manifestando, ma fanno intendere
che il solo cambiamento possibile deve provenire dalla rivoluzione.
Straordinaria la metafora del poliziotto impazzito che non comprende più la sua vera identità: figlio del popolo, ma servo del padrone, per pochi soldi al mese, per mettersi da parte un gruzzoletto e tornare al paese. Torniamo a Pasolini e al discorso di uno Stato che mette in contrapposizione diverse tipologie di poveri. Non solo, in certi casi i veri figli di poveri sono soltanto i poliziotti che stanno facendo un mestiere in cui spesso non credono. Ottime la prove degli attori. Un cast interessante che vede persino Lou Castel e Paola Pitagora tra io protagonisti. Tito Schipa Jr. firma una colonna sonora molto sessantottina.
Straordinaria la metafora del poliziotto impazzito che non comprende più la sua vera identità: figlio del popolo, ma servo del padrone, per pochi soldi al mese, per mettersi da parte un gruzzoletto e tornare al paese. Torniamo a Pasolini e al discorso di uno Stato che mette in contrapposizione diverse tipologie di poveri. Non solo, in certi casi i veri figli di poveri sono soltanto i poliziotti che stanno facendo un mestiere in cui spesso non credono. Ottime la prove degli attori. Un cast interessante che vede persino Lou Castel e Paola Pitagora tra io protagonisti. Tito Schipa Jr. firma una colonna sonora molto sessantottina.
Vediamo la critica. Pino Farinotti (due stelle) è il
solo autore di dizionari cinematografici che cita Policeman, sintetizzando la trama, senza giudizi critici. Marco
Giusti (Stracult): “Mitico primo, e
penultimo, film di Sergio Rossi che mette in scena proprio l’odiato nemico di
classe, il poliziotto. Il film risente di tutto il cinema militante del tempo,
ma ha un cast da paura, da Lou Castel a Massimo Sarchielli, con Bernardo B.
Solitari nel ruolo del giovane poliziotto figlio di poveracci che si arruola
per fame, poi si scontra con i superiori, con gli studenti, con una fidanzata
comunista che non lo accetta, Alla fine si sfogherà sugli studenti. Da recuperare,
mai visto. Aveva una fama terribile”. Per non averlo visto - una tantum - gli errori del Giusti sono
abbastanza accettabili. Davinotti on line:
“Molto crudo, in quanto espone dalla A alla Z l’addestramento più mentale che
fisico delle nuove leve di polizia, ragazzi spesso provenienti da realtà
isolate e culturalmente arretrate che di problemi e lotte sociali ne san meno
di mezza. Vulnerabili e penetrabili, ma delusi e perfino distrutti quando
capiscono che la loro missione scava in realtà distanze incolmabili con la
società che sono chiamati a tutelare. (I
Gusti di Fauno).
“Prima di vederlo avevo letto la trama ed ero rimasto molto incuriosito. Dopo la visione mi sono trovato un po' con la bocca asciutta: la storia ha un senso ed è molto interessante, d’accordo, ma è proprio il film che gira a vuoto. Onestamente mi aspettavo un poliziesco all’italiana tipico anni Settanta con scene d’azione. La pellicola racconta un argomento importante per quell’epoca, ma è priva di una vera e proprio sceneggiatura; il regista Sergio Rossi a un certo punto perde il filo e non sa dove andare a parare. Sembra un vecchio sceneggiato Rai... Il protagonista sembra un giovane Dustin Hoffman (guarda caso doppiato anche lui da Ferruccio Amendola). (I Gusti di Geppo, alias Giacomo Di Nicolò).
“Prima di vederlo avevo letto la trama ed ero rimasto molto incuriosito. Dopo la visione mi sono trovato un po' con la bocca asciutta: la storia ha un senso ed è molto interessante, d’accordo, ma è proprio il film che gira a vuoto. Onestamente mi aspettavo un poliziesco all’italiana tipico anni Settanta con scene d’azione. La pellicola racconta un argomento importante per quell’epoca, ma è priva di una vera e proprio sceneggiatura; il regista Sergio Rossi a un certo punto perde il filo e non sa dove andare a parare. Sembra un vecchio sceneggiato Rai... Il protagonista sembra un giovane Dustin Hoffman (guarda caso doppiato anche lui da Ferruccio Amendola). (I Gusti di Geppo, alias Giacomo Di Nicolò).
Sergio Rossi prosegue la carriera tra documentari (La terra non trema, Fatua incongrua scucita, Storie
di vita) e televisione. Secondo lungometraggio nel 1989: Le affettuose lontananze, presentato a
Locarno, una storia sentimentale di tre giovani donne solitarie. Il film è noto
anche come Luisa, Carla, Lorenza e… le
affettuose lontananze. Il suo ultimo lavoro è La medaglia (1997), una storia drammatica - tra il sociale e il
politico - ambientata nella Torino degli anni Cinquanta, molto apprezzato dalla
critica. (Fonte R. Poppi “I Registi Italiani”).
Dove poterlo reperire? Sembra introvabile....
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